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    Metsola risponde a Trump: “L’Ue è un progetto di pace”

    Bruxelles – “L’Unione europea è principalmente ed essenzialmente un progetto di pace“, premiato anche con il Nobel. Mette le cose in chiaro, Roberta Metsola. La presidente del Parlamento europeo vuole rispondere al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha accusato l’Ue di esistere sulla base di intenzioni contrarie agli interessi americani. Metsola sceglie di replicare da Washington, in occasione della sua visita negli Usa dove è stata invitata per tenere un discorso alla Johns Hopkins University. E’ qui, con garbo ma con decisione, che ricorda all’opinione pubblica americana che la versione offerta dall’inquilino della Casa Bianca necessita delle precisazioni.“La pace è l’essenza dell’Unione europea“, insiste Metsola. Tradotto: l’Ue non è stata creata per essere un avversario degli Stati Uniti. Semmai, continua, è stata creata per dare seguito a quelle relazioni scolpite nel tempo e non solo: “La storia dei rapporti tra Unione europea e Stati Uniti è scritta nel sacrificio di quanti hanno dato la vita contro la tirannia”. Un riferimento ai conflitti mondiali del XX secolo, ma anche un implicito riferimento ai conflitti di oggi, in particolare quello in corso in Ucraina avviato dalle operazioni militari russe.“La sicurezza dipende dalle relazioni trans-atlantiche, che vanno oltre l’industria, oltre il commercio e oltre le considerazioni politiche immediate”, continua Metsola, con una velata critica alle intenzioni di imporre dazi sui beni europei. “Nelle guerre commerciali non vince nessuno”, chiarisce quindi la presidente dell’europarlamento, che dopo le precisazioni del caso sulla natura dell’Ue, ne aggiunge un’altra: “L’Europa risponderà con fermezza. Non vogliamo, ma siamo pronti“.

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    L’industria della difesa europea agli Stati: “Basta contratti di appalto a fornitori di Paesi terzi”

    Bruxelles – Ora più che mai pensare ‘europeo’. Quando si parla di sicurezza e difesa l’Unione europea deve saper tenere fede ad ambizioni e agende. Alla vigilia della conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco, l’industria del settore vuole suggerire all’Europa degli Stati come provvedere davvero alla sicurezza europea. Asd Europe, l’insieme dei produttori europei, pone l’accento sulla necessità di cambiare logiche che non fanno il bene della sicurezza europea. “Molti contratti di appalto europei vengono assegnati a fornitori di paesi terzi“, sottolinea l’associazione, per la quale “questa tendenza deve essere invertita“. Le relazioni esterne dell’Ue e dei suoi Stati membri rischiano di diventare un fattore contrario alla crescita dell’industria delle difesa. Per rispondere ai dazi annunciati dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nelle istituzioni Ue inizia a prendere corpo l’idea di acquistare di più in America proprio in difesa, quale modo per superare le barriere commerciali e ristabilire il quieto vivere con il partner d’oltre Atlantico. Un modo di fare in contraddizione con il rapporto Draghi – che Eunews ha integralmente tradotto in italiano – e l’agenda europea volta al rilancio di un settore strategico per la sicurezza.“Dobbiamo spendere di più, e di più in Europa“, ribadisce Asd Europe, che sulla dipendenza economica di soggetti extra-Ue nell’industria delle difesa ha già messo in guardia pubblicamente nei mesi scorsi: “Una solida base industriale europea è essenziale per la preparazione alla difesa europea: è una capacità di difesa in sé“. Rimanere nel solco del ‘made in Eu’ è dunque la via da seguire e da non abbandonare. “La preferenza europea è un imperativo strategico”, e se l’Ue vuole svolgere un ruolo di peso sullo scacchiere internazionale “deve rafforzare la propria capacità produttiva” anziché affidarsi a fonti esterne.Da qui l’industria europea della difesa rivolge suggerimenti utili alla politica. Innanzitutto fare sempre in modo che “ove possibile, le soluzioni di difesa europee dovrebbero avere la priorità“. Laddove non esiste una soluzione di capacità europea, l’attenzione dovrebbe essere rivolta a sviluppare una. Infine, bisognerebbe fare sempre in modo che se proprio non esiste davvero una soluzione Ue praticabile, gli appalti non europei dovrebbero evitare di ostacolare uno sviluppo Ue.

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    Misure di ritorsione e negoziati con l’India, l’Ue si compatta contro i dazi di Trump

    dall’inviato a Strasburgo – Reagire con misure di ritorsione, e concludere nuovi accordi commerciali, a cominciare con l’India. La risposta dell’Ue alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre dazi del 25 per cento all’acciaio e all’alluminio si produce nel dibattito d’Aula del Parlamento europeo, dove i principali gruppi si compattano, si crea una vera ‘maggioranza Ursula’ come mai prima dal post voto del 6-9 giugno. E’ la prova dell’emiciclo che sancisce un compattamento a dodici stelle contro le mosse di Washington, perché le reazioni preliminari non convincono.“Mi rammarico profondamente della decisione degli Stati Uniti di imporre dazi sulle esportazioni europee di acciaio e alluminio”, la reazione ufficiale della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a pochi minuti della riunione d’Aula. Von der Leyen, non presente a Strasburgo per impegni istituzionali, promette che “i dazi ingiustificati sull’Ue non rimarranno senza risposta”, e annuncia “contromisure ferme e proporzionate”. Però dai banchi de laSinistra Rudi Kennes attacca: “Mi rammarico? E’ ridicolo. Trump ride di questo”. La collega e co-presidente del gruppo, Manon Aubry, rincara la dose: “La reazione dell’Ue è nulla. Continuiamo a essere il cagnolino degli Stati Uniti anche quando colpiscono i diritti della comunità Lgtbqi e attaccano gli interessi dell’Europa. Quante provocazioni ancora dovremo subire perché i leader si sveglino?“.Il commissario per il Commercio, Maros Sefcovic, prova a calmare un’Aula che chiede e pretende interventi. “L’Ue non vede alcuna giustificazione per questa decisione, e risponderemo in modo proporzionato e per difendere i nostri interessi”, assicura agli europarlamentari. Ammette che una guerra commerciale a colpi di dazi “non il nostro scenario preferito”, ma si andrà avanti con decisione. Comunque, precisa Sefcovic, “restiamo aperti a negoziare“. Contro le politiche di Trump e di quanti volessero seguirne l’esempio la risposta è più commercio, sottolinea ancora il commissario Ue. Ricorda e rivendica la chiusura degli accordi con i Paesi del Mercosur e l’aggiornamento dell’accordo con il Messico voluto proprio come scudo anti-Trump. Alla luce di quanto accaduto Sefcovic anticipa l’intenzione di accelerare con India, Filippine e Thailandia.Il commissario per il Commercio, Maros Sefcovic [Strasburgo, 11 febbraio 2025]Parole e strategia valgono a Sefcovic il sostegno dei popolari (Ppe). “Serve il Mercosur, e serve continuare con India e Indonesia”, sottoscrive Jorgen Warborn. Ma soprattutto occorre una risposta ferma e decisa, e perché “la frammentazione ci indebolisce”. Per la Commissione arriva però il suggerimento di “rispondere nel rispetto dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), altrimenti si creano ancora più incertezze”. Anche tra le fila dei liberali (Renew Europe) si invita a procedere con i negoziati con Nuova Delhi. “Più commercio è la risposta” ai dazi di Trump, sostiene Svenja Hahn, “e l’India è la risposta migliore” in tal senso.Socialisti (S&D), liberali (Re) e Verdi si uniscono nella richiesta di fermezza e contro-tariffe, come il Ppe. “Vogliamo che la Commissione europea risponda con misure di ritorsione“, taglia corto la socialista Kathleen Van Brempt. “Non si ferma un bullo dandogli ciò che vuole, perché altrimenti chiederà sempre di più”. Anche l’eurodeputato del Pd, Stefano Bonaccini, ritiene che “di fronte alla minaccia dell’arma protezionistica dovremo rispondere insieme, senza esitazioni”.Analoga la linea di Renew Europe, come spiegato da Karin Karlsbro: “Con gli Stati Uniti siamo pronti a rispondere”, per far capire che “Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, non del mondo”. Niente tentennamenti, aggiunge la liberale Marie-Pierre Vedrenne: “Dobbiamo rispondere duramente”. Anche Anna Cavazzini, dei Verdi, esorta l’esecutivo comunitario a reagire: “L’Unione europea non può farsi ricattare”.Più timido il co-presidente del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) all’Eurocamera, Nicola Procaccini: “L’unico modo per affrontare questa nuova sfida è avere un approccio equo“, sostiene. Il che vuol dire che come Unione europea “dobbiamo essere pronti, non ci piacciono i dazi, ma sappiamo che fanno parte del commercio internazionale. Lo erano ieri, lo sono ora e lo saranno in futuro”.Sulla questione si esprime anche il presidente di Eurofer Henrik Adam, secondo il quale “l’ordine esecutivo  che impone una tariffa generale del 25 per cento su tutte le importazioni di acciaio è una radicale escalation della guerra commerciale lanciata sotto la sua prima amministrazione. Esso – rileva Adam – peggiorerà ulteriormente la situazione dell’industria siderurgica europea, esacerbando un contesto di mercato già in terribile difficoltà”.Il presidente Jeo Biden aveva ammorbidito le sanzioni imposte nella prima amministrazione Trump, ma, nonostante questo, afferma il presidente di Eurofer, “le importazioni di acciaio dell’UE negli Stati Uniti sono diminuite di oltre 1 milione di tonnellate all’anno”, e secondo i suoi calcoli se i dazi dovessero essere introdotti nella misura annunciata “l’Ue potrebbe perdere fino a 3,7 milioni di tonnellate di esportazioni di acciaio verso gli Stati Uniti, il secondo mercato di esportazione per i produttori di acciaio dell’Unione, che rappresenta il16 per cento delle esportazioni totali di acciaio dell’Ue nel 2024”. Secondo Adam, inoltre, “la perdita di una parte significativa di queste esportazioni non può essere compensata dalle esportazioni verso altri mercati”.

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    L’Ue attende Trump sui dazi: “Finora solo dichiarazioni, risponderemo a notifiche ufficiali”

    Bruxelles – L’Unione europea attende gli Stati Uniti e il suo presidente, Donald Trump. Sui dazi minacciati contro beni Ue, l’esecutivo comunitario sceglie la linea del silenzio. “Non risponderemo ad annunci generici privi di dettagli o chiarimenti scritti“, spiega il comunicato ufficiale diramato a Bruxelles, dove si fa presente che “in questa fase non abbiamo ricevuto alcuna notifica ufficiale in merito all’imposizione di tariffe aggiuntive sui beni dell’Ue“, e che questo fa dunque fede. Si risponderà se e quando arriverà il momento, in sostanza. Lo spiega chiaramente Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario responsabile per il Commercio: “Stiamo ancora parlando di minacce, non c’è niente di concreto, nessun dazio è stato ancora imposto”. Per questa ragione la linea dell’esecutivo comunitario è di evitare di concentrarsi su un tema ammantato da troppi punti interrogativi. Certamente, riconosce Gill, eventuali tariffe “metterebbero in discussione relazioni tra partner” di lungo corso. Fermo restando, aggiunge, che con dazi ai prodotti Ue “gli Stati Uniti tasserebbero i propri cittadini, aumentando i costi per le imprese e alimentando l’inflazione”.Olof Gill, portavoce della Commissione europea responsabile per questioni di commercio [Bruxelles, 10 febbraio 2025]In ogni caso, ribadisce la Commissione europea, “reagiremo per proteggere gli interessi delle aziende, dei lavoratori e dei consumatori europei da misure ingiustificate”. In tal senso il team von der Leyen sottolinea che alla luce degli annunci privi di documenti di accompagnamento e così come raccontati tramite dichiarazioni pubbliche, “l’Ue non vede alcuna giustificazione per l’imposizione di tariffe sulle sue esportazioni“, anche perché la bilancia commerciale non è così sbilanciata come sostiene la Casa Bianca.Secondo la Commissione europea l’Ue ha un surplus commerciale di 154 miliardi di euro in beni con gli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti mantengono un surplus di 104 miliardi di euro in servizi con l’Ue, con un conseguente surplus commerciale complessivo dell’Ue del tre percento su un flusso commerciale totale di 1,5 trilioni di euro. Nel 2023, gli Usa erano il principale partner per le esportazioni di beni dell’Ue e il secondo partner per le importazioni di beni dell’Ue.

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    Von der Leyen agli ambasciatori Ue: “Abbiamo un nostro ruolo, costruiamo la politica estera europea”

    Bruxelles – “La necessità è di costruire una politica estera europea“, che sia “mirata” e che tenga fermo il principio per cui si negozia quando si può e quando si deve, ma non a tutti a costi. Tradotto: “Se ci sono vantaggi reciproci in vista, siamo pronti a impegnarci con te”. Altrimenti niente. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sprona gli ambasciatori Ue nel mondo ad una nuova diplomazia, che sia pragmatica e sappia rispondere al mondo di oggi. “Gran parte del mondo vede l’Europa come più forte di come la vediamo noi stessi, e l’Europa – insiste von der Leyen – ha molta più influenza in questo mondo di quanto a volte potremmo pensare“. Uno strumento da usare, anche nel confronto con gli amici di sempre.La presidente dell’esecutivo comunitario è brava a non fare nomi, a dire quello che deve in modo da non esporsi ma comunque affondare il colpo. Von der Leyen non chiama mai in causa Donald Trump, ma quello che lei dice ben si presta ad essere lette come riferimento al presidente degli Stati Uniti. E’ vero quando avverte gli ambasciatori che “ci sarà un uso crescente e una maggiore minaccia di strumenti di coercizione economica, quali sanzioni, controlli sulle esportazioni e dazi“. Un chiaro riferimento a Trump e il suo ‘bullismo commerciale’, contro cui von der Leyen ribadisce fermezza: “Ci prepariamo ad ogni scenario”, dice. Vuol dire anche eventualmente una guerra dai dazi Ue-Usa.Bandiere dell’Unione europea e degli Stati Uniti [foto: imagoeconomica]Non va per il sottile von der Leyen, in fin dei conti sono altri gli ambasciatori, e a loro invita a “cambiare il nostro modo di agire”. Un invito a essere pronti a “impegnarsi in difficili trattative, anche con partner di lunga data” – altro riferimento agli Stati Uniti – e un invito allo stesso ad accettare di “dover lavorare con paesi che non hanno idee simili ma condividono alcuni dei nostri interessi”. Perché, insiste la presidente della Commissione Ue, “il principio di base della diplomazia in questo nuovo mondo è di tenere gli occhi puntati sull’obiettivo”. Ciò significa real-politik, “trovare un terreno comune con i partner per il nostro reciproco beneficio, e accettare che a volte dovremo accettare di non essere d’accordo”.Si tratta di “un nuovo approccio che riguarda la garanzia della futura sicurezza e prosperità dell’Europa”, insiste von der Leyen, e che riguarda anche le relazioni con Repubblica popolare cinese. “La Cina è uno dei paesi più intricati e importanti al mondo. E il modo in cui la gestiremo sarà un fattore determinante per la nostra futura prosperità economica e sicurezza nazionale”.

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    La proposta politica della Finlandia: Alleanza Ue-Stati Uniti in senso anti-Cina

    Bruxelles – Meno Cina nell’agenda dell’Unione europea, e più Stati Uniti. La Finlandia prova a riorganizzare la politica dell’Unione europea, suggerendo ai partner di entrambe le sponde dell’Atlantico il modo di andare avanti. Suggerisce un’alleanza commerciale tutta euro-americana e dazi contro Pechino, il tutto in considerazione delle alleanze sullo scacchiere internazionale, prime fra tutte quelle militari. Elina Valtonen, ministra degli Esteri finlandese, tiene a ricordare come il conflitto russo-ucraino si sia allargato, con la partecipazione di Corea del Nord, Iran e “anche Cina” al fianco di Mosca.“Se la Cina sta ostacolando in modo così importante la sicurezza e l’architettura della sicurezza dell’Europa non possiamo continuare con le relazioni normali”, scandisce la ministra al suo arrivo a Bruxelles per i lavori del consiglio Affari esteri: “Non possiamo andare avanti con il ‘business as usual’ con la Cina per quanto riguarda il nostro commercio”.Da qui l’invito di Valtonen, che “vale anche per l’Europa” e non solo per gli Stati Uniti, di tessere nuove relazioni trans-atlantiche. Per ragioni storiche e contingenti “la relazione tra Ue e Usa è più importante che mai, e in tal senso siccome siamo alleati così uniti e condividiamo gli stessi valori non possiamo imporci dazi l’uno contro l’altro“.La sottolineatura di Valtonen conferma una volta di più i timori dell’Ue per una guerra commerciale che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe innescare, vista la natura molto più decisa del presidente eletto a tutelare e difendere interesse ed economia degli Stati Uniti. Allo stesso tempo le considerazioni della ministra finlandese offrono un esempio di realpolitik: visto che a Washington si vede nella Repubblica popolare il principale concorrente economico un’alleanza in senso anti-cinese potrebbe aiutare entrambe le parti. Del resto l’imposizione a titolo definitivo di dazi Ue sulle auto elettriche cinesi ha già aperto un fronte di guerra commerciale a cui aggiungerne un altro per l’Europa diventerebbe complicato.

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    Gentiloni: “2024 bivio nei rapporti UE-Stati Uniti, le elezioni possono incidere sulle relazioni”

    Bruxelles – Il 2024 può produrre un vero e proprio terremoto politico. L’incertezza delle urne, su una sponda dell’Atlantico come sull’altra, può ridefinire gli assetti di Unione europea e Stati Uniti, e inevitabilmente le relazioni tra le due parti. Paoll Gentiloni ne è consapevole e non lo nasconde. Il commissario per l’Economia, nel suo discorso pronunciato all’università di Harvard, lo dice chiaramente: considerando l’appuntamento elettorale UE di inizio giugno e quello degli Stati Uniti di novembre, “l’esito di entrambe le elezioni potrebbe avere gravi conseguenze per le nostre politiche sul clima e le nostre politiche economiche su entrambe le sponde dell’Atlantico”.Da una parte c’è l’Unione europea. Gli interrogativi non mancano, ammette il componente italiano del team von der Leyen, soprattutto su impegni politici rimessi in discussione. “La campagna per le prossime elezioni europee sarà, in una certa misura, anche un referendum sul Green Deal“, come dimostrano le proteste del mondo agricolo e la solidarietà mostrata da certi schieramenti. Gli stessi che potrebbero rimettere tutto in discussione nel corso della prossima legislatura. “L’Europa si sta preparando per le elezioni europee che potrebbero produrre uno spostamento verso gli estremisti, soprattutto a destra, e vedere il centro schiacciato”. Con le ripercussioni del caso. Perché, avverte Gentiloni, “i populisti in tutta Europa sono ancora concentrati sull’immigrazione ma hanno trovato un nuovo grido di battaglia e ora stanno cavalcando un’onda anti-verde”.Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti. Qui la situazione non è molto diversa. Analogamente a dinamiche a dodici stelle, “possiamo aspettarci che la campagna per le prossime elezioni presidenziali americane si basi su due visioni opposte sui meriti della transizione verde“, continua il commissario per l’Economia, preoccupato per le scelte che gli elettori d’oltre oceano prenderanno a novembre. “Le elezioni di novembre sembrano destinate a rappresentare una rivincita tra il presidente Biden e l’ex presidente Trump, vicini di età ma molto distanti su quasi tutto il resto”.Le preoccupazione di Gentiloni sono le stesse dell’intero collegio dei commissari. A Bruxelles si è consapevoli delle possibili ricadute nei rapporti bilaterali in caso di un’affermazione del repubblica Donald Trump, e ci si prepara allo scenario peggiore, quello di un rinnovato braccio di ferro commerciale a colpi di dazi. Un’eventualità che rischia anche di colpire quel Green Deal tanto centrale e che nel Vecchio Continente non si intende rimettere in discussione. “Voglio essere chiarissimo”, scandisce Gentiloni: “Invertire la rotta del Green Deal europeo sarebbe estremamente miope, dal punto di vista ambientale, economico e geopolitico”.In sostanza, sintetizza Gentiloni, “il 2024 è davvero un bivio per l’Europa. Ma il 2024 sarà, ovviamente, un bivio anche per gli Stati Uniti”. Da questo bivio si determinerà il futuro dell’UE, delle sue politiche, e delle sue strategie. In gioco c’è molto, soprattutto la tenuta economica del blocco dei Ventisette: “Guardando al futuro, le sfide stanno diventando chiare: un rallentamento economico, con punti interrogativi che incombono sulla competitività dell’Europa“.

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    L’Ue e lo spettro di un Trump 2.0. Balfour (Carnegie): “Rischio di divisioni ideologiche e tattiche”

    Bruxelles – Nell’anno elettorale in cui si decideranno gli equilibri tra le forze politiche nell’Unione Europea, le istituzioni comunitarie a Bruxelles devono già iniziare a prestare attenzione e considerare le implicazioni di quanto potrebbe succedere Oltreoceano. Perché, in vista delle presidenziali del 5 novembre negli Stati Uniti, le possibilità di Donald Trump di tornare alla Casa Bianca (nonostante ancora non sia ufficialmente il candidato del Partito Repubblicano) preoccupano il presidente uscente. “Nelle istituzioni si stia iniziando a prendere coscienza e si sta consolidando la convinzione che un secondo mandato di Trump non sarà come primo, ma diverso e focalizzato su alcuni obiettivi specifici“, spiega a Eunews la direttrice del think tank Carnegie Europe, Rosa Balfour, tracciando i potenziali rischi per l’Europa.L’ex-presidente degli Stati Uniti, Donald TrumpPrima di tutto Balfour sottolinea con forza la necessità di tenere a mente che – nello scenario di un Trump 2.0 negli Stati Uniti – “non ci sarà l’incertezza del periodo iniziale” del primo mandato nel 2016. Sette anni più tardi attorno a The Donald c’è una classe dirigente “pronta a lavorare nella nuova amministrazione con delle idee” formulate da think tank che sono “piuttosto espliciti, dal commercio internazionale all’Ucraina e la Nato”. Ma tra le questioni più preoccupanti non bisogna dimenticare le implicazioni dell’atteggiamento del nuovo presidente una volta entrato in carica: “Trump sarà molto concentrato sulla vendetta personale, sarà come una caccia alle streghe nei confronti degli oppositori politici degli ultimi anni, democratici ma anche repubblicani, e dei funzionari che hanno impedito il ribaltamento del voto nel 2020″. In altre parole, secondo la direttrice di Carnegie Europe “quella statunitense sarà una democrazia in pericolo, in modo sistematico e serio“.Considerare le implicazioni interne negli Stati Uniti è inevitabile nel ragionamento sulle conseguenze per l’Unione Europea. “Per gli europei significa non poter più fare affidamento sul sistema di controlli e contrappesi americano“, tra cui quegli “adulti nella stanza” che durante la prima amministrazione Trump hanno fatto sparire dalla scrivania dello Studio Ovale i dossier più controversi. Con l’alleato più stretto dell’Ue che si incammina in un “tentativo di distruzione della democrazia”, va considerato che “anche l’agenda di politica estera seguirà questo tracciato“, avverte Balfour. Come l’appartenenza alla Nato. Nonostante sia stato reso quasi impossibile il ritiro unilaterale per decisione presidenziale (serve una supermaggioranza in Senato o un atto del Congresso), è altrettanto vero che “può venir meno ad alcuni impegni e quindi sarebbe come non partecipare”. Allo stesso modo si può considerare la questione ucraina: “Se Trump e Putin si accordano per la pace, negozieranno senza consultare i partner ucraini ed europei“, lasciando non solo libertà di manovra alla Russia per “continuare a destabilizzare ciò che rimane dell’Ucraina”, ma anche indebolendo tutta la politica europea di sostegno all’Ucraina “anche se mantenesse il livello richiesto”, è la previsione della direttrice del think tank.Rosa BalfourLe preoccupazioni riguardo un’eventuale rielezione dell’ex-presidente repubblicano alla Casa Bianca si riversano anche nel campo europeo. “Ragionare su come prepararsi non è facile“, spiega Balfour: “Un po’ perché è difficile prevedere Trump, non avendo un’ideologia chiara, e un po’ perché gli europei non condividono una visione di cosa comporterebbe una sua amministrazione”. Il rischio reale è quello di una “frammentazione politica, a livello ideologico ma anche tattico”, mentre lo scenario più prevedibile è quello di un aumento delle tariffe doganali, che “avrebbe un impatto devastante per l’Unione Europea” e per l’equilibrio con il suo partner più stretto (con cui però è in vigore nessun accordo commerciale).Sul piano politico il pericolo è una divisione tra i Ventisette non in due fazioni, ma almeno tre. La prima è quella che spingerebbe sull’autonomia strategica dell’Unione – capeggiato dalla Francia – “anche se per il momento è un discorso astratto, visto che sul fronte della difesa gli europei stanno sostanzialmente comprando armi dagli americani”. La seconda è quella di chi tenterà di “ingraziarsi Washington in modo tattico“, cioè i Paesi fortemente filo-atlantici come la Polonia. E infine il terzo gruppo sarebbe quello dei governi e partiti filo-trumpiani, “che potrebbero andare per conto proprio”. L’attenzione della direttrice del Carnegie Europe è non solo sul premier ungherese, Viktor Orbán – “osannato negli Stati Uniti come leader della destra estrema” – ma anche sulla prima ministra italiana, Giorgia Meloni, che potrebbe trovarsi in grossa difficoltà per il forte impegno sul fronte ucraino e il forte atlantismo, ma la parallela vicinanza ideologica un The Donald imprevedibile se rieletto alla Casa Bianca a novembre.