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    Ue-Cina, von der Leyen invoca pragmatismo: “Riequilibrio commerciale per contrastare i dazi globali”

    Bruxelles – Un summit convocato con aspettative limitate, compresso da due a un solo giorno, e concluso con l’impressione che l’Unione europea e la Cina siano tenute legate solamente dalla necessità di non farsi nuovi nemici nel sempre più precario equilibrio internazionale. I vertici Ue ripartono da Pechino con in tasca una dichiarazione congiunta sull’impegno per il clima e l’intesa per un meccanismo che faciliti l’export di terre rare dalla Cina. Sui dossier principali, la guerra in Ucraina e gli attriti commerciali, nessun significativo passo avanti.“Le nostre relazioni sono a un punto di svolta. È importante ascoltarsi a vicenda e trovare soluzioni pragmatiche“, ha esordito la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa a margine del 25esimo summit Ue-Cina, con cui Bruxelles e Pechino hanno celebrato i 50 anni di relazioni diplomatiche. L’Ue tira dritto sulla strategia di de-risking nei confronti del gigante asiatico: “Difendiamo i nostri interessi, nel contempo rimaniamo impegnati a favore di un dialogo franco, rispettoso e aperto”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario. Nessuna illusione su una convergenza di vedute, ma la consapevolezza – come sottolineato dal presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa – che “il modo in cui interagiamo e cooperiamo è importante per il mondo”.I presidenti di Cina e Russia, Xi Jinping e Vladimir Putin, tra i generali durante la parata miliare a Mosca per le celebrazioni della grande vittoria [foto: imagoeconomica]A partire dal posizionamento nei confronti della guerra d’aggressione russa in Ucraina. “In qualità di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha un ruolo fondamentale“, hanno insistito i leader Ue, che da tre anni chiedono a Pechino di fare pressioni su Mosca per mettere fine al conflitto. O quanto meno di non sostenerla attivamente. “In tempo di guerra, le tecnologie a duplice uso sono spesso utilizzate come strumenti di guerra, abbiamo chiesto alla Cina di prestare attenzione”, ha dichiarato Costa. Di fronte alla negligenza di Pechino, che fa orecchie da mercante dall’inizio del conflitto, l’Ue ha già incluso diverse aziende cinesi nei pacchetti di sanzioni comminati alla Russia e ai suoi alleati.C’è poi il nodo commercio. Nel 2024 le relazioni commerciali bilaterali hanno raggiunto un valore di 730 miliardi di euro. Ma è cresciuto progressivamente anche il deficit dell’Ue nei confronti della Cina, che tocca ora i 305 miliardi. L’analisi di Bruxelles è nota: distorsioni sistemiche, barriere commerciali e la sovra-capacità produttiva di Pechino “aggravano le condizioni di disparità”. Von der Leyen ha attaccato: “A differenza di altri mercati importanti, l’Ue mantiene il suo mercato aperto alla Cina. Tuttavia, questa apertura non è ricambiata”. L’altro mercato è un riferimento agli Stati Uniti di Trump, ben presenti sullo sfondo – e nelle menti – dei leader impegnati al vertice. Tant’è che von der Leyen ha affermato chiaramente che “la necessità di riequilibrare le nostre relazioni è ancora più urgente a causa dell’aumento globale dei dazi“.Sulla destra la delegazione Ue con Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, sulla sinistra il presidente cinese Xi Jinping e il suo team durante i lavori del summit Ue-Cina a PechinoBruxelles ha visto diversi contenziosi con Pechino negli ultimi anni: i dazi sui veicoli elettrici e l’esclusione delle imprese cinesi dagli appalti pubblici per dispositivi medici ne sono due esempi. D’altra parte, la Cina ha imposto misure di difesa commerciale “ingiustificate e di ritorsione” sei confronti del brandy, della carne suina e di prodotti lattiero-caseari provenienti dall’Ue.Sulla reciprocità e l’accesso al mercato cinese alle aziende europee, “abbiamo convenuto di lavorare a soluzioni concrete”, ha annunciato la leader Ue. Quanto alla sovra-capacità nell’economia cinese – oltre che nei veicoli elettrici, anche nell’acciaio, nelle batterie, nei pannelli solari – “la leadership cinese ha espresso la volontà di sostenere maggiormente i consumi e meno la produzione“.L’ultimo punto, l’unico in cui von der Leyen ha strappato a Xi Jinping qualcosa in più rispetto a una generico impegno, riguarda il controllo statale sulle esportazioni di terre rare dalla Cina, che secondo Bruxelles starebbe rallentando le catene di approvvigionamento globali. Le due parti hanno raggiunto un’intesa su un nuovo “meccanismo di approvvigionamento per l’esportazione potenziato”, che dovrebbe risolvere rapidamente eventuali colli di bottiglia.Nessuna dichiarazione congiunta a corredo del vertice, salvo per un impegno scritto per l’azione contro i cambiamenti climatici, nella quale Bruxelles e Pechino hanno affermato di voler “guidare gli sforzi globali per ridurre le emissioni di gas a effetto serra“, e in cui l’Ue ha incoraggiato la Cina a proporre un piano ambizioso per la riduzione delle emissioni fino al 2035 e ad aumentare i propri contributi finanziari internazionali, “in linea con le sue dimensioni e la sua responsabilità globale”.

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    Summit Ue-Cina, l’Europa prova a giocare la carta asiatica contro gli Usa di Trump

    Bruxelles – Alla ricerca di cooperazione con la Cina, ma pronti a fare a meno di Pechino se le relazioni non saranno possibili. L’Unione europea intravede nella Repubblica popolare la risposta all’America di Trump, in un vertice bilaterale che arriva in una congiuntura tanto delicata quanto potenzialmente strategica. I presidenti di Commissione e Consiglio europeo, Ursula von der Leyen e Antonio Costa, si recheranno in Asia la prossima settimana (24 e 25 luglio) per cercare di ridefinire relazioni con la Cina nel doppio tentativo di scrivere un nuovo capitolo di scambi commerciali e dotarsi di una leva di pressione per rispondere ai dazi Usa.La missione non è di quelle semplici, e a Bruxelles lo sanno bene. La Cina è un interlocutore scomodo, spigoloso, al cospetto del quale l’Ue si presenta oltretutto in una posizione poco confortevole e ancor meno invidiabile: il Paese è definito chiaramente una minaccia per l’Unione europea, i suoi interessi e la sua sicurezza, ed è stato inserito nella lista dei ‘cattivi’, ma si va a chiedere una sponda per uscire dall’angolo in cui la Casa Bianca ha spinto gli europei.Il freddo riavvicinamento tra Ue e Cina. Von der Leyen: “Rapporto complesso che dobbiamo far funzionare”Ci sono tensioni commerciali tra Bruxelles e Pechino: i dazi europei sull’auto elettrica cinese, la sovra-produzione cinese di acciaio con cui inonda i mercati globali di prodotti a basso costo e che si intreccia con le restrizioni imposte dagli Stati Uniti sullo stesso prodotto. E poi c’è la questione delle reciprocità, regole del gioco che sono ancora troppo diverse. La Cina non permette l’ingresso all’interno del proprio mercato, e distorce quello globale con sussidi pubblici. Ciò nonostante si vuole cogliere l’occasione del 25esimo summit Ue-Cina per provare quanto meno a gettare le basi per un nuovo corso, e dare anche messaggi a Trump.Von der Leyen e Costa andranno a Pechino da Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro) “con uno spirito positivo e costruttivo”, ammettono a Bruxelles. Del resto non avrebbe senso tenere un summit se le aspettative fossero minime e anche meno di minime. “Non siamo pronti a compromessi su valori, ma siamo pronti a commerciare se ce ne sono le condizioni“, ammettono gli addetti ai lavori a Bruxelles. “Ribadiremo che siamo un partner affidabile”, sottolineano funzionari Ue. L’obiettivo è segnare distanze e differenze con gli Stati Uniti. Certo, reciprocità e nessuna distorsione del mercato restano gli obiettivi da raggiungere, in assenza dei quali l’Ue è pronta a cercare altri mercati. “Diversificazione, e non riduzione dei rischi, è l’approccio da tenere con la Cina” in questo momento.Von der Leyen ora guarda a est: India e Cina come alternativa all’America di TrumpLo dimostra il summit con il Giappone che anticipa quello con la Cina. Von der Leyen e Costa voleranno prima a Tokyo (23 luglio) per discutere di tre argomenti principali di cooperazione: sicurezza e difesa, commercio e sicurezza economica, difesa del multilateralismo e dell’ordine internazionale fondato su regole. Gli ultimi due punti sono sempre in funzione di una risposta alle politiche degli Stati Uniti. Una logica che stride con la visita che seguirà a Pechino. Il summit Ue-Giappone sarà l’occasione per “fare pressione” sulla Repubblica popolare, ammettono a Bruxelles, su temi come ordine mondiale e regionale e divieto di sostegno alla Russia. Cose che non faranno piacere alla leadership cinese, mai favorevole a ingerenze nelle decisioni interne e alla manovre su un quadrante di mondo dove gli interessi del Dragone non sono pochi.Non c’è solo Taiwan nelle mire della Cina, che considera l’isola come parte del Paese. Nel mar cinese meridionale le isole Spratly sono oggetto di contese sino-filippine. De facto nella zona economica esclusiva di Manila,  per le contestazioni di Pechino. L’Ue ha rilanciato il partenariato con le Filippine, senza riconoscere le rivendicazioni territoriali cinesi, e di fatto riconoscendo le ragioni dell’altro. Un altro elemento che può essere usato contro l’Ue.

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    Orbán, scheggia impazzita alla testa del Consiglio. In Cina il terzo viaggio tenuto segreto a Bruxelles

    Bruxelles – È iniziato solo da una settimana il semestre di presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea, ma Viktor Orbán ha già fatto capire che saranno sei mesi all’insegna dell’imprevedibilità e di una tensione sempre altissima con i leader Ue e con i vertici delle altre istituzioni dell’Unione. “Missione di pace 3.0. Pechino“, annuncia così il premier ungherese con un post su X il suo terzo viaggio nel giro di pochi giorni, anche questo “a sorpresa” e senza la minima consultazione con i presidenti di Commissione e Consiglio Europeo.Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor Orbán, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca il 5 luglio 2024 (credits: Alexander Nemenov / Afp)“La Cina è una potenza chiave nel creare le condizioni per la pace nella guerra tra Russia e Ucraina“, rivendica ancora il presidente di turno del Consiglio dell’Ue, che nella sua nuova (ma temporanea) veste istituzionale sta creando non poco scompiglio a Bruxelles. Perché fino al 31 dicembre Orbán non è solo il solito primo ministro più controverso al tavolo dei Ventisette, ma è anche al vertice dell’organo che rappresenta tutti i governi nazionali e che detiene (insieme al Parlamento Europeo) il potere legislativo. Ogni sua parola dovrà sempre essere misurata con il bilancino, per capire dove finisce il suo essere premier provocatore e dove inizia la sua sfida aperta all’unità dell’Unione nei rapporti con i Paesi terzi. Così come successo la scorsa settimana a Kiev e Mosca, oggi (8 luglio) a Pechino Orbán arriva senza un mandato dei capi di Stato e di governo dei Paesi membri o delle altre istituzioni Ue. Ma ciò che sta provocando forte irritazione a Bruxelles e nelle capitali è sia la scelta degli interlocutori – già a maggio aveva steso il tappeto rosso a Budapest per il leader cinese, Xi Jinping, e nell’ottobre 2023 a Pechino aveva stretto la mano dell’autocrate russo, Vladimir Putin – sia l’intenzione ormai piuttosto chiara di raggirare i partner interni all’Unione sfruttando l’esposizione istituzionale garantitagli da questi sei mesi alla guida del Consiglio dell’Ue.Da sinistra: il presidente della Cina, Xi Jinping, e il primo ministro dell’Ungheria e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor Orbán, a Budapest il 9 maggio 2024 (credits: Szilard Koszticsak / Pool / Afp)In attesa delle nuove reazioni da Bruxelles all’ennesimo viaggio tenuto nascosto ai partner Ue (la destinazione si è saputa solo ieri attraverso il monitoraggio della rotta del suo aereo di Stato), valgono le parole dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in occasione della visita a Mosca di venerdì scorso (5 luglio): “Non comporta alcuna rappresentanza esterna dell’Unione, che spetta al presidente del Consiglio Europeo a livello di capo di Stato o di governo e all’alto rappresentante a livello ministeriale”. Eppure Orbán sembra sempre più una scheggia impazzita e dal Parlamento Europeo si alzano nuovamente voci di richiesta di attivazione della procedura secondo l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, ovvero il meccanismo che permette di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di violazione “grave e persistente” dei principi fondanti dell’Unione da parte di un Paese membro. Al momento è “seriamente” in dubbio solo la tradizionale visita della Commissione Europea alla presidenza di turno, in programma a Budapest “subito dopo la pausa estiva”, ha spiegato il portavoce dell’esecutivo Ue, Eric Mamer.Da sinistra: la prima ministra dell’Italia, Giorgia Meloni, e il primo ministro e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Viktor OrbánC’è poi da ricordare che oltre alla sua “missione di pace” – che a Bruxelles viene piuttosto definita “appeasement” verso Putin – questo fine settimana è stata causa di grossa tensione la partecipazione di Orbán al vertice informale dell’Organizzazione degli Stati Turchi sabato (6 luglio) a Şuşa, in Azerbaigian. “L’Ungheria non ha ricevuto alcun mandato dal Consiglio dell’Ue per portare avanti le relazioni”, ha dovuto precisare di nuovo l’alto rappresentante Ue a seguito delle polemiche legate al fatto che il premier ungherese era seduto allo stesso tavolo dei rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord. “L’Unione Europea respinge i tentativi dell’Organizzazione degli Stati turchi di legittimare l’entità secessionista turco-cipriota”, ha messo in chiaro Borrell a proposito della controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, con la sola Turchia che riconosce l’indipendenza dei secessionisti del nord (i negoziati sono congelati dal 2017). La questione ha creato già una prima crepa nel fronte delle destre europee, alla vigilia della formazione ufficiale del gruppo Patrioti per l’Europa al Parlamento Ue: “Patriottismo significa difendere le nazioni europee, non sostenere le occupazioni illegali“, ha attaccato Orbán il co-presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), Nicola Procaccini, eurodeputati di Fratelli d’Italia.

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    A Taiwan vince l’autonomista Lai Ching-te. L’Ue preoccupata per le tensioni con la Cina

    Bruxelles – Il voto più dirompente di tutto il 2024 per le potenziali conseguenze a livello globale tra Cina, Stati Uniti ed Europa ha consegnato il risultato previsto alla vigilia. Le elezioni presidenziali a Taiwan sono state vinte dal candidato autonomista Lai Ching-te, attuale vicepresidente dell’isola ed esponete di spicco del Partito Progressista Democratico (Dpp). Da oggi soprattutto a Bruxelles e Washington dovranno essere osservate con attenzione tutte le sfumature della risposta cinese, che vede nel futuro presidente una minaccia e un ostacolo per il progetto di Pechino di annettere Taiwan alla Repubblica Popolare Cinese. “L’Unione Europea sottolinea che la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan sono fondamentali per la sicurezza e la prosperità regionale e globale“, si legge nella nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) pubblicata dopo l’annuncio del risultato del voto di sabato (13 gennaio).Il vincitore delle elezioni presidenziali a Taiwan, Lai Ching-te (credits: I-Hwa Cheng / Afp)Le elezioni presidenziali a turno unico hanno consegnato a Lai la vittoria con il 40 per cento dei voti, staccando di oltre 6 punti percentuali il candidato del partito conservatore Kuomintang (Kmt), Hou Yu-ih – favorevole a un progressivo riavvicinamento con la Cina – mentre l’ex-sindaco della capitale Taipei, Ko Wen-je, si è posizionato terzo con il 26,5 per cento. La reazione da Bruxelles ha evidenziato particolare cautela, anche a causa dell’atteggiamento duro con cui la diplomazia cinese si è posizionata contro i governi che si sono congratulati con il vincitore delle elezioni. A livello più generale l’Ue si è complimentata “con tutti gli elettori che hanno partecipato a questo esercizio democratico”, mettendo in risalto il fatto che “i nostri rispettivi sistemi di governo si fondano su un impegno comune nei confronti della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani”. Dal 20 gennaio – quando il nuovo presidente di Taiwan entrerà in carica – Lai dovrà affrontare due grossi problemi: in primis l’assenza di una maggioranza per il suo Dpp in Parlamento (che deve approvare leggi e spese da lui presentate), ma soprattutto la minaccia militare di Pechino.Quest’ultima è una preoccupazione condivisa esplicitamente anche dalle istituzioni comunitarie, che parlano di “crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan” e si oppongono a “qualsiasi tentativo unilaterale di modificare lo status quo” tra Taipei e Pechino. I rischi di una possibile invasione dell’isola da parte dell’esercito cinese coinvolgono da vicino anche i Ventisette, gli sviluppi del commercio internazionale e le ambizioni di avanzare con la doppia transizione digitale e verde. Nonostante Taiwan sia un Paese di soli 23 milioni di abitanti, negli anni si è ritagliato un ruolo di leader nella produzione di semiconduttori avanzati – con oltre il 90 per cento della produzione globale – e l’Ue registra ancora una forte dipendenza dai grossi fornitori del Paese. In caso di interruzione delle catene di approvvigionamento globale dei semiconduttori, il nuovo European Chips Act (in vigore da settembre 2023) non sarebbe ancora in grado di compensare le perdite per la produzione di tecnologie pulite: l’obiettivo dell’Unione è quello di raddoppiare la propria quota di mercato globale entro il 2030, dal 10 ad almeno il 20 per cento.L’Ue tra Cina e Taiwan“Dobbiamo preservare lo status quo a Taiwan, che non può essere cambiato con la forza, è fondamentale per il mantenimento della pace e del commercio globale e nella regione”, ha recentemente affermato il vicepresidente della Commissione Ue responsabile per l’Economia, Valdis Dombrovskis, in un dibattito alla sessione plenaria del Parlamento Ue sulle minacce cinesi nello Stretto di Taiwan. Pochi giorni prima la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, avevano partecipato a Pechino al 24esimo vertice Ue-Cina in cui sono state ribadite le linee per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina – considerato lo squilibrio commerciale con il partner/competitor – e le questioni delle tensioni in Ucraina e a Taiwan con il leader cinese, Xi Jinping, proprio come fatto a inizio aprile dalla presidente von der Leyen e il presidente francese, Emmanuel Macron.Proprio il tema del rapporto dei Ventisette con Taipei – nel caso dell’escalation della tensione con Pechino – era stato al centro di un teso dibattito interno all’Unione nella primavera dello scorso anno, a causa delle parole del presidente francese Macron di ritorno dal viaggio a Pechino: “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina“, era stato il commento dell’inquilino dell’Eliseo, tratteggiando la necessità di una vera autonomia strategica europea (ma non un’equidistanza tra Washington e Pechino). La presidente della Commissione e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, avevano gettato acqua sul fuoco, sostenendo la necessità di unità contro la “politica di divisione e conquista” cinese e di “ferma opposizione” a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo, “in particolare attraverso l’uso della forza”. A confermare questa posizione, in un’intervista a Le Journal du Dimanche lo stesso alto rappresentante Ue aveva esortato le marine europee a “pattugliare lo Stretto di Taiwan, per dimostrare l’impegno dell’Europa a favore della libertà di navigazione in quest’area assolutamente cruciale” per il commercio globale.

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    Ue e Cina tentano un riavvicinamento, 7 e 8 dicembre il summit bilaterale a Pechino

    Bruxelles – Conflitto russo-ucraino, questione medio-orientale, ma soprattutto commercio. Unione europea e Cina tentano un riavvicinamento e una normalizzazione dei rapporti bilaterali attraverso il 24esimo meeting congiunto, il primo in formato fisico dal 2019. I presidenti di Consiglio e Commissione Ue, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tentano di convincere presidente e primo ministro della Repubblica popolare ad avare un ruolo di primo piano innanzitutto sulle questioni di stretta attualità.La guerra tra Russia e Ucraina è la principale di questi temi. Gli europei, spiegano fonti Ue ben informate, vorrebbero che la Cina utilizzasse la propria influenza per fermare Vladimir Putin e le sue operazioni militari. Si nutre cauto ottimismo, alimentato dalla consapevolezza che a Pechino questa guerra non piace perché non fa comodo. Una situazione che però sin qui non ha visto una posizione decisa né una condanna.“Non abbiamo ancora una prova di sostegno militare diretto in questa guerra, e vediamo che l’export cinese di tutta una serie di beni che possono essere usati in prima linea si riduce, e questo è positivo”, il ragionamento a Bruxelles, dove però si guarda con una certa attenzione alle relazioni bilaterali Ue-Cina, in particolare in ambito commerciale.L’Ue non vuole scontri con la Cina, ma la delegazione Ue si presenta a Pechino con un’inchiesta aperta contro i sussidi statali alle auto elettriche ‘made in China‘ che può voler dire, potenzialmente, anche dazi contro i prodotti cinesi. Una decisione, quella di Bruxelles, che potrebbe anche irrigidire gli interlocutori Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro), ma che nell’ottica a dodici stelle serve a ribadire una posizione di determinazione. Qui il messaggio che si intende recapitare è la necessità di maggiore equilibrio.L’Ue ha una bilancia commerciale in forte squilibrio nei confronti della Cina, e una delle ragioni sono le restrizioni all’ingresso del mercato cinese poste dal partito. “Se ci sono barriere agli investimenti diventa difficile vedere investimenti diretti dell’Ue”, riassumono, in estrema sintesi, le fonti europee. Si vuole da parte cinese la fine di pratiche sleali per una concorrenza vera e basate sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ferma restando, per l’Unione europea, la necessità di ridurre quelle dipendenze da materie prime e catene di approvvigionamento che pongono questioni di stabilità, oltre che di competitività.Non sarà facile, perché “i cinesi sono un po’ nervosi sul concetto di derisking“, ossia la riduzione della dipendenza economica dalla Repubblica popolare. “Vedono che la loro presenza sul nostro mercato potrebbe ridursi”, così come la forza della loro leva geopolitica nei confronti dei Ventisette. Difficile immaginare concessioni. L’Ue comunque ci prova.Le premesse non sembrano delle migliori. Come da tradizione la Cina mostra una certa allergia a conferenze stampa, infatti non sono previste previste. Ma, a meno di cambi di rotta dell’ultimo momento, non è prevista neppure una dichiarazione congiunta. “Non ci è stato chiesto di averne una”, ammettono a Bruxelles. Gli europei non danno l’impressione di aver insistito chissà quanto, e certamente non ottengono documenti di fine lavoro sottoscritti dalla leadership cinese. “Avere questo dialogo Ue-Cina è una buona occasione per affrontarli tanti temi”, spiegano a Bruxelles. Già è tanto che Michel e von der Leyen siano accolti a Pechino.
    Xi Jinping e Li Qiang ricevono Michel e von der Leyen. E’ il primo meeting ‘di persona’ dal 2019. Sul tavolo la guerra in Russia ma soprattutto le relazioni commerciali

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    Bruxelles sfida Pechino, von der Leyen avvia l’indagine anti-sussidi sulle auto elettriche cinesi

    Bruxelles – L’aveva annunciata Ursula von der Leyen nel suo Discorso sullo stato dell’Unione a metà settembre, ora è una realtà. La Commissione europea ha avviato formalmente oggi (4 ottobre) l’indagine antisovvenzioni sui veicoli elettrici a batteria provenienti dalla Cina, e si dice pronta a prendere misure compensative se sarà necessario.
    L’indagine – annuncia Bruxelles in una nota – è stata avviata di iniziativa della stessa Commissione (senza quindi che ci fosse qualche denuncia da parte di aziende europee) e “determinerà innanzitutto se le catene del valore” dei veicoli elettrici a batteria in Cina beneficiano “di sovvenzioni illegali e se tali sovvenzioni causano o minacciano di causare un danno economico ai produttori europei”, si legge nella nota. Se Bruxelles dovesse riscontrare che i fatti sussistono, l’indagine “esaminerà le probabili conseguenze e l’impatto delle misure su importatori, utenti e consumatori di veicoli elettrici a batteria nell’Ue”, spiega ancora.
    Sulla base dei risultati dell’indagine, la Commissione stabilirà se sia nell’interesse dell’Ue “porre rimedio agli effetti delle pratiche commerciali sleali accertate” imponendo dazi antisovvenzioni sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina. L’indagine si concluderà entro un massimo di 13 mesi dall’avvio, ma se “giuridicamente giustificato” eventuali dazi provvisori potranno essere imposti da Bruxelles già entro 9 mesi dall’apertura dell’indagine, mentre eventuali misure definitive possono essere istituite fino a 4 mesi dopo o entro 13 mesi dall’apertura dell’inchiesta. L’Unione europea è convinta che Pechino stia inondando i mercati globali con auto elettriche a basso prezzo. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi di stato. Questo, a detta di Bruxelles, rischia di distorcere i mercati.
    Valdis Dombrovskis
    “Il settore dei veicoli elettrici racchiude un enorme potenziale per la futura competitività dell’Europa e per la leadership industriale verde. I produttori automobilistici dell’Ue e i settori correlati stanno già investendo e innovando per sviluppare appieno questo potenziale”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Ovunque troveremo prove che i loro sforzi sono ostacolati da distorsioni del mercato e concorrenza sleale, agiremo con decisione. E lo faremo nel pieno rispetto dei nostri obblighi comunitari e internazionali, perché l’Europa rispetta le regole, all’interno dei suoi confini e a livello globale. Questa indagine antisovvenzioni sarà approfondita, equa e basata sui fatti”, ha assicurato la leader tedesca. A farle eco anche il vicepresidente esecutivo con delega al Commercio, Valdis Dombrovskis, che ricorda come i veicoli elettrici a batteria siano “fondamentali per la transizione verde e per rispettare i nostri impegni internazionali volti a ridurre le emissioni di CO2. Questo è il motivo per cui abbiamo sempre accolto con favore la concorrenza globale in questo settore, che significa più scelta per i consumatori e più innovazione. Ma la concorrenza deve essere leale e le importazioni devono competere alle stesse condizioni della nostra industria”. 

    Si concluderà entro un massimo di 13 mesi dall’avvio, ma se “giuridicamente giustificato” Bruxelles potrà imporre eventuali dazi provvisori entro 9 mesi dall’apertura dell’indagine

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    Il vertice dei leader Ue dà il via libera alla nuova strategia dell’Unione sulla Cina: de-risking e relazioni equilibrate

    Bruxelles – In un Consiglio Europeo dominato dalla questione migrazione, il capitolo sulla Cina rimane quasi ai margini, almeno se confrontato con le attese fino a un mese fa. Eppure il contenuto è un orientamento strategico dell’Unione non di poco conto, che costituirà per il prossimo futuro la base di partenza su cui impostare qualsiasi discorso e confronto con Pechino: “Nonostante i diversi sistemi politici ed economici, l’Unione Europea e la Cina hanno un interesse comune a perseguire relazioni costruttive e stabili, ancorate al rispetto dell’ordine internazionale basato sulle regole, all’impegno equilibrato e alla reciprocità”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader Ue.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (29 giugno 2023)
    Come affermato per la prima volta nel discorso programmatico della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina lo scorso 30 marzo, i Ventisette confermano che l’Unione “continuerà a impegnarsi con la Cina per affrontare le sfide globali”, ma soprattutto incoraggia Pechino a “intraprendere azioni più ambiziose in materia di cambiamenti climatici e biodiversità, salute e preparazione alle pandemie, sicurezza alimentare, riduzione delle catastrofi, riduzione del debito e assistenza umanitaria”. La discussione strategica tra i 27 capi di Stato e di governo si è dimostrata un lavoro “rapido” sia nel lavoro per avere “una posizione unica”, ma anche per concordare conclusioni che mettessero in chiaro come Pechino sia “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico” e che gli Stati membri devono tenere un “approccio politico multiforme”.
    Questo discorso riguarda prima di tutto l’aspetto economico e commerciale: “L’Unione Europea cercherà di garantire condizioni di parità, in modo che le relazioni commerciali ed economiche siano equilibrate, reciproche e reciprocamente vantaggiose”. L’obiettivo dichiarato è quello di “ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento”, così come “diversificare dove necessario e appropriato”. La stella polare – discussa anche nel confronto del 6 aprile a Pechino tra la presidente della Commissione Ue von der Leyen, quello francese, Emmanuel Macron, e quello cinese, Xi Jinping – rimane il fatto che “l’Unione Europea non intende disaccoppiarsi o ripiegarsi su se stessa“. O, come ripete la numero uno dell’esecutivo comunitario, “de-risking, non disaccoppiamento”, che significa “ridurre le vulnerabilità dal punto di vista delle nostre relazioni economiche” come sulle materie prime critiche necessarie per la produzione di tecnologia pulita. Un tema su cui “c’è ampio consenso sia tra i governi Ue sia con i nostri partner G7”, ha messo in chiaro von der Leyen.

    Ue e Cina su politica estera e interna (cinese)
    Ma nelle conclusioni del vertice rientrano anche tematiche di natura puramente politica. In primis quella del controverso rapporto tra Pechino e Mosca, che Bruxelles sta cercando di spezzare per assicurarsi un alleato di peso per spingere la Russia a cessare la sua invasione dell’Ucraina: “In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha una responsabilità speciale nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole”, ricordano i leader Ue, facendo riferimento alla “pressione” che Xi Jinping dovrebbe esercitare su Vladimir Putin perché “cessi la sua guerra di aggressione e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina”. Sempre sul piano delle relazioni esterne viene messo nero su bianco il fatto che “i mari della Cina orientale e meridionale sono di importanza strategica per la prosperità e la sicurezza regionale e globale” e che l’Unione “è preoccupata per le crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan“. In questo senso il Consiglio “si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione” e “riconferma la coerente politica di una sola Cina”.
    In ultima istanza non manca il riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, con un riferimento alla ripresa del dialogo sui diritti umani con la Cina. In ogni caso i Ventisette ribadiscono le preoccupazioni per “il lavoro forzato, il trattamento dei difensori dei diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze e la situazione in Tibet e nello Xinjiang“, ma anche il rispetto dei “precedenti impegni della Cina in materia di impegni assunti dalla Cina in relazione a Hong Kong”.

    Nelle conclusioni del Consiglio Europeo trova spazio anche il capitolo sulle relazioni con Pechino, sulla base dei risultati del viaggio Macron-von der Leyen del 6 aprile: “È contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico, serve un approccio politico multiforme”

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    A Bruxelles filtra ottimismo per la telefonata tra Xi Jinping e Zelensky dopo il viaggio di von der Leyen e Macron in Cina

    Bruxelles – Con pazienza, dopo qualche settimana dal viaggio dei presidenti della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e della Francia, Emmanuel Macron, l’Unione Europea inizia a cogliere i frutti del proprio impegno diplomatico. Il presidente cinese, Xi Jinping, ha telefonato ieri (26 aprile) al leader ucraino, Volodymyr Zelensky, aprendo ufficialmente i canali di comunicazione tra Pechino e Kiev. Potrebbe sembrare semplicemente un caso, ma i fatti sono fatti: in oltre un anno di guerra russa l’assenza di un contatto diplomatico tra Cina e Ucraina è sempre stata il grande elefante nella stanza, mentre dopo sole tre settimane dalle pressioni Ue a Pechino si è concretizzata la tanto attesa conversazione di alto livello tra i due leader.
    Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il presidente della Cina, Xi Jinping (credits: Afp)
    “È un primo passo importante, atteso da tempo, della Cina nell’esercizio delle sue responsabilità di membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”, è quanto rendono noto i portavoce della Commissione Europea, commentando la notizia della telefonata tra Xi Jinping e Zelensky, in linea con le richieste di von der Leyen e Macron. Questo passo in avanti da parte del presidente cinese viene considerato come un segnale incoraggiante per mettere pressioni sul Cremlino, dopo i timori suscitati dalla visita all’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca il mese scorso: “Deve usare la sua influenza per indurre la Russia a porre fine alla guerra di aggressione, a ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina e a rispettare la sua sovranità, come base per una pace giusta”.
    Funzionari Ue parlano esplicitamente di momento “positivo”, perché ora “i canali di comunicazione sono aperti”. Per Bruxelles il dovere morale di Pechino nel fare pressione su Mosca per mettere fine all’invasione russa deriva sempre dal fatto che la Cina è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e “condivide la responsabilità globale di difendere e sostenere la Carta delle Nazioni Unite e i principi del diritto internazionale”. Ecco perché si guarda con ottimismo all’annuncio di Xi Jinping di voler inviare a Kiev un rappresentante speciale per gli affari eurasiatici, che avrà il compito di analizzare come il testo in 12 punti sui principi politici di Pechino possa convergere con il piano di pace di Zelensky per la pace. A questo proposito le fonti ribadiscono che l’Unione continua a sostenere l’iniziativa del presidente ucraino “per una pace giusta basata sul rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità territoriale” del Paese invaso dal 24 febbraio dello scorso anno: “Spetta all’Ucraina decidere i parametri futuri di ogni potenziale negoziato“.
    C’è poi la questione nucleare, su cui Pechino è particolarmente sensibile: “Non ci sono vincitori in una guerra nucleare“, ha ribadito Xi Jinping nella telefonata di ieri. Un messaggio chiaramente indirizzato a Putin (e all’Occidente), dal momento in cui l’Ucraina non dispone di armamenti di questo tipo dal 1994. Anche nelle istituzioni comunitarie si guarda a questo aspetto della guerra con grande attenzione e le parole del leader cinese non sono passate inosservate: “L’appello ha avuto luogo nel giorno dell’anniversario del disastro di Chernobyl [l’incidente del 26 aprile 1986 alla centrale nucleare ucraina, allora parte dell’Unione Sovietica, ndr], che sottolinea l’importanza della sicurezza nucleare”, fanno notare i funzionari europei. Una questione che è tornata di stretta attualità non solo per le minacce dell’uso dell’arma nucleare da parte di Mosca, ma soprattutto per le continue “attività militari attorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia”.
    Prima e dopo il confronto von der Leyen-Macron-Xi Jinping
    A Bruxelles il dossier Cina è caldissimo, anche ma non solo per la questione della guerra russa in Ucraina. Per le istituzioni comunitarie è diventato cruciale trovare una via per mantenere aperto il dialogo con Pechino, senza però rendersi dipendenti da un partner/competitor con cui esistono evidenti divergenze sul piano del rispetto della democrazia, dei diritti umani e delle relazioni internazionali. Ecco perché lo scorso 30 marzo la presidente della Commissione Ue von der Leyen ha tenuto un discorso programmatico sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina, considerato soprattutto lo squilibrio commerciale. Una strategia che si baserà sul de-risking nelle aree in cui non è possibile trovare un’intesa di cooperazione – ma che in ogni caso non implica uno sganciamento di Bruxelles da Pechino – e che è stata ribadita il 6 aprile a Pechino su diversi temi: relazioni economiche, guerra russa in Ucraina e tensioni sullo Stretto di Taiwan.
    Proprio il rischio di un’escalation della tensione tra Cina e Taiwan – che rischierebbe di diventare un nuovo scenario di guerra globale dopo quello nell’Europa orientale – è diventato centrale nel dibattito interno all’Unione Europea, dopo le parole del presidente francese Macron di ritorno dal viaggio a Pechino. “La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo essere dei seguaci su questo tema e adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina“. Il contesto era quello della necessità di raggiungere una vera autonomia strategica europea (non un’equidistanza tra Washington e Pechino), ma anche nel dibattito al Parlamento Ue della settimana scorsa è emerso più uno scontro tra i gruppi politici sulle parole di Macron che un effettivo ragionamento sulla gestione dei rapporti con la Cina sia sul tema della guerra in Ucraina sia nel caso di uno scivolamento delle tensioni diplomatiche tra Pechino e Taipei verso uno scontro armato.
    A tentare di mettere una pezza sono stati la presidente von der Leyen e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che hanno ribadito la necessità di unità contro la “politica di divisione e conquista” cinese e la “ferma opposizione” a qualsiasi cambiamento unilaterale dello status quo nello Stretto di Taiwan, “in particolare attraverso l’uso della forza”. Lo stesso alto rappresentante Ue ha esortato le marine europee a “pattugliare lo Stretto, per dimostrare l’impegno dell’Europa a favore della libertà di navigazione in quest’area assolutamente cruciale per il commercio globale”. Ad agitare nuovamente i rapporti tra Pechino e Bruxelles è stato però l’ambasciatore cinese in Francia, Lu Shaye, che ha messo in discussione la sovranità dei Paesi dell’ex-Unione Sovietica, inclusi quelli oggi parte dell’Ue (Estonia, Lettonia e Lituania). Ecco perché a Bruxelles si stanno iniziando a preparare le discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo al Consiglio di giugno, quando si dovrà “rivalutare e ricalibrare la nostra strategia verso Pechino“, ha anticipato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel.

    Fonti Ue precisano che si tratta di “un primo passo importante, atteso da tempo” e che è stato al centro delle discussioni dei due leader europei con il presidente cinese a Pechino: “Deve usare la sua influenza per indurre la Russia a porre fine alla sua guerra di aggressione in Ucraina”