More stories

  • in

    La rivoluzione svizzera: Berna adotta tutte le sanzioni varate dall’UE contro la Russia

    Bruxelles – La Svizzera si allinea all’Unione europea sulle sanzioni alla Russia per l’aggressione all’Ucraina. Dopo notevoli pressioni dal Parlamento , “visto l’avanzamento delle operazioni militari in Ucraina da parte dell’esercito russo” oggi (28 febbraio) il Consiglio federale, spiega una nota, “ha deciso di riprendere il pacchetto di sanzioni varato dall’UE tra il 23 e il 25 febbraio. Il patrimonio delle persone e delle imprese menzionate è congelato con effetto immediato”.
    Diventano inoltre immediatamente esecutive le sanzioni finanziarie contro il presidente russo Vladimir Putin, il primo ministro Michail Mišustin e il ministro degli esteri Sergej Lavrov. La Svizzera “ribadisce la propria solidarietà allo Stato e al popolo ucraino e invierà aiuti umanitari ai profughi che hanno trovato rifugio in Polonia”.
    Il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR) è stato incaricato di adeguare l’ordinanza “in base alle misure adottate dall’UE e d’intesa con l’UE”. Il patrimonio delle persone e delle aziende elencate nell’allegato dell’ordinanza è congelato con effetto immediato e rimane in vigore il divieto di stipulare relazioni d’affari con tali persone e imprese.
    “In questo modo – continua la nota – il nostro Paese reagisce alle gravi violazioni del diritto internazionale di cui sono responsabili queste persone. Il divieto di importazione, esportazione e investimento nei confronti della Crimea e della città di Sebastopoli in vigore dal 2014 viene esteso alle regioni ucraine di Doneck e Lugansk, che non sono più sotto il controllo del governo ucraino”.
    Disposizioni per l’entrata in Svizzera e chiusura dello spazio aereo
    Il Consiglio federale ha inoltre deciso di sospendere parzialmente l’accordo del 2009 sulla facilitazione del rilascio del visto per i cittadini russi. Il Consiglio federale ha altresì emanato un divieto di entrata nei confronti di diverse persone che hanno relazioni con la Svizzera e sono vicine al presidente Putin. 
    Infine, in accordo con i blocchi decisi da altri Paesi europei, è stata decretata la chiusura a partire da lunedì alle ore 15:00 dello spazio aereo svizzero per tutti i voli provenienti dalla Russia e i movimenti di volo di aeromobili con identificativo russo, ad eccezione dei voli a scopo umanitario, medico o diplomatico.
    La Svizzera continua a offrire i suoi buoni uffici
    Nelle sue decisioni il Consiglio federale ha tenuto conto della neutralità e degli aspetti legati alla politica di pace, ribadendo la disponibilità della Svizzera a contribuire attivamente alla risoluzione del conflitto tramite i suoi buoni uffici. Ciò nonostante, “l’aggressione militare senza precedenti della Russia contro uno Stato sovrano europeo ha spinto il Consiglio federale a rivedere la propria prassi in materia di sanzioni”. La difesa della pace e della sicurezza, così come il rispetto del diritto internazionale, sono valori ai quali la Svizzera “in quanto democrazia aderisce e che condivide con i suoi vicini europei. Il nostro Paese continuerà ad esaminare ogni ulteriore pacchetto di misure dell’UE”, assicura la nota del governo elvetico.
    Invio di beni di prima necessità alla popolazione ucraina
    In questi giorni la Svizzera invierà circa 25 tonnellate di aiuti umanitari per un valore di otto milioni di franchi verso la Polonia (Varsavia). Il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) mette a disposizione medicamenti e materiale medico di prima necessità dalla farmacia dell’esercito. Gli aiuti sono destinati alla popolazione ucraina che si trova in Ucraina e nei Paesi confinanti. La consegna sarà coordinata dal Corpo svizzero di aiuto umanitario.

    “L’aggressione militare senza precedenti della Russia contro uno Stato sovrano europeo ha spinto il Consiglio federale a rivedere la propria prassi in materia

  • in

    Iniziato l’incontro tra russi e ucraini a Gomel

    Bruxelles – E’ iniziato nella tarda mattinata italiana il “negoziato” tra Ucraina e Russia per por termine all’aggressione di Mosca.
    Le due delegazioni si stanno incontrando a Gomel, una città bielorussa vicina al confine ucraino e russo, una località  e una situazione che il presidente autoproclamato Alexander Lukashenko in un messaggio di auguri per la trattativa ha assicurato essere assolutamente sicura per i delegati.
    Nel messaggio, letto da un suo delegato ai negoziatori , l’ultimo dittatore d’Europa dice di sperare “sinceramente che con i dialoghi di oggi si possa trovare una soluzione a questa situazione critica. Tutti bielorussi – ha assicurato – stanno pregando per questo”.

    FM #Makei: President Lukashenko sincerely hopes that during today’s talks it will be possible to find solutions to the critical issues. And all Belarusians are praying for this pic.twitter.com/kkRwdIxY0Y
    — Belarus MFA 🇧🇾 (@BelarusMFA) February 28, 2022

    Dopo alcune ore i negoziatori sono tornati in patria “per consultazioni”, ma sul dialogo pesa comunque la dichiarazione di oggi del presidente russo Vladimir Putin il quale ha detto che la pace potrà giungere solo accettando “in modo incondizionato” i “legittimi interessi della Russia nella sfera della sua sicurezza”, specificandoli poi nel: “Riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, la demilitarizzazione e la denazificazione dello Stato ucraino e la garanzia dello status neutrale dell’Ucraina”.

    Le due delegazioni sono in una cittadina bielorussa vicina ai confini dei due Paesi

  • in

    La guerra parallela di Lukashenko. La Bielorussia abbandona lo status di Paese non-nucleare: può ospitare le armi russe

    Bruxelles – Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ma senza dubbio anche prima – l’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, ha iniziato una sua personalissima guerra a fianco di Mosca, per stringere ancora di più i legami con il suo protettore Vladimir Putin. Ormai la Bielorussia sembra sempre meno uno Stato sovrano e indipendente e sempre più una succursale de facto del Cremlino, sin dall’inizio delle esercitazioni militari delle forze russe (e il loro stanziamento) sul territorio bielorusso a inizio mese. Con gli eventi delle ultime ora, però, Lukashenko ha deciso di trascinare tutto il popolo giù per una china inquietante: un referendum (farsa) ha dato il via libera alla nuova Costituzione della Bielorussia, che cancella lo status di Paese non-nucleare e permette il dispiegamento di armamenti nucleari russi sul territorio nazionale.
    La presenza militare russa in Bielorussia
    Secondo quanto rende noto la commissione elettorale centrale bielorussa, il 65,2 per cento degli elettori che si sono recati alle urne ieri (domenica 27 febbraio) ha votato a favore degli emendamenti costituzionali. Un risultato per nulla sorprendente, in linea con le volontà dell’ultimo dittatore d’Europa (se non vogliamo ancora considerare tale anche Putin) in un Paese che di democratico non ha più nulla sicuramente dalle elezioni-farsa dell’agosto 2020. Quello che cambia è però il nuovo pericolo nucleare che arriva per Minsk e per l’Europa intera dalla Bielorussia di Lukashenko, in un momento in cui l’ex-Repubblica sovietica è già una base di partenza per le truppe russe che stanno invadendo da nord l’Ucraina e dopo le dichiarazioni minacciose del Cremlino sullo stato di allerta nucleare.
    Si tratta del terzo emendamento della Carta costituzionale introdotto da Lukashenko da quanto è saluto al potere nel 1994. Ma è la prima volta in assoluto dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica che viene autorizzato il dispiegamento dell’arma nucleare sul suolo della Bielorussia. Tra le altre novità introdotte in Costituzione c’è anche una nuova Assemblea Popolare che agirà come struttura parallela al Parlamento (presieduta da Lukashenko) con ampi poteri in politica estera, di sicurezza ed economica. Proprio per Lukashenko è prevista la possibilità di essere rieletto almeno altre due volte, conferendogli la possibilità di rimanere in carica per altri  13 anni (fino alle elezioni del 2035) e l’immunità dai procedimenti giudiziari anche dopo la fine del mandato. A chiunque abbia lasciato temporaneamente il Paese negli ultimi 20 anni sarà impossibile diventare presidente della Repubblica, una misura diretta in particolare contro la leader legittima secondo l’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Nessuno in Occidente è intenzionato a riconoscere i risultati del referendum e questo aggrava ulteriormente l’isolamento del dittatore bielorusso, che ormai ha solo il Cremlino come interlocutore: “Se trasferirete le armi nucleari in Polonia o Lituania, ai nostri confini, allora mi rivolgerò a Putin per farci restituire quelle di cui ci eravamo liberati senza alcuna condizione”, ha minacciato Lukashenko le potenze europee. “La cancellazione del riferimento nell’articolo 18 allo status non-nucleare della Bielorussia è un altro elemento preoccupante”, ha condannato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, senza dimenticare il “forte sostegno a una Bielorussia indipendente, sovrana e democratica”, dove non ci siano “più di 1070 prigionieri politici e uno spazio per un autentico dibattito pubblico completamente chiuso”.
    La sala dei negoziati tra le delegazioni di Mosca e Kiev al confine tra Bielorussia e Ucraina
    Sul fronte militare, oltre alle 30 mila truppe russe di stanza a tempo indeterminato in Bielorussia, le ultime notizie dal fronte orientale – ancora non verificate – danno l’esercito bielorusso pronto a unirsi nella guerra in Ucraina “nel giro di ore”, riporta il Kyiv Independent, parlando di circa 17 mila soldati in mobilitazione. Intanto però è tutto pronto al confine tra Bielorussia e Ucraina per i colloqui tra le delegazioni di Mosca e di Kiev a Gomel. La parte ucraina è già arrivata nell’area del fiume Pripyat ed è rappresentata dal ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, e da David Arakhamia, leader del partito ‘Servitore del popolo’ del presidente, Volodymyr Zelensky. Proprio Zelensky si è detto “scettico” sulle possibilità che possa uscire qualcosa dall’incontro, ma ha aperto alla possibilità di “almeno provarci”. Nelle prossime ore si dovrebbe conoscere l’esito del confronto.
    Da Bruxelles la reazione nei confronti della minaccia nucleare della Bielorussia è stata durissima. “Il regime di Lukashenko è complice di questo feroce attacco contro l’Ucraina, perciò lo colpiremo con un nuovo pacchetto di sanzioni“, ha puntato il dito la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa di presentazione delle nuove misure restrittive contro la Russia di ieri. Il regime bielorusso condividerà le stesse sanzioni di Mosca: “Prenderemo di mira i loro settori più importanti, fermeremo le loro esportazioni di prodotti dai combustibili minerali al tabacco, legno e legname, cemento, ferro e acciaio“, ha spiegato von der Leyen, precisando che saranno estese anche alla Bielorussia “le esportazioni che abbiamo introdotto sui beni a doppio uso per la Russia”, in modo da “evitare qualsiasi rischio di elusione delle nostre misure contro Mosca”.
    Anche dal presidente francese, Emmanuel Macron, titolare della presidenza di turno del Consiglio dell’UE, è arrivato un ammonimento a Lukashenko, nel corso di una telefonata tra i due: “Il ritiro delle truppe russe dalla Bielorussia deve avvenire il più rapidamente possibile, perché stanno conducendo una guerra unilaterale e ingiusta”. Macron ha cercato di fare leva sulla “fratellanza tra i popoli bielorusso e ucraino” per instillare a Minsk il pensiero di “rifiutare di essere vassallo della Russia e complice nella guerra contro l’Ucraina“. Ma le ultime decisioni del regime non sembrano andare in questa direzione.

    Third, we will target the other aggressor in this war, Lukashenko’s regime, with a new package of sanctions, hitting their most important sectors.
    All these measures come on top of the strong package presented yesterday,agreed by our international partners. pic.twitter.com/ikN99V14zU
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 27, 2022

    È stato approvato il referendum-farsa che cancella il riferimento alla neutralità del Paese nell’articolo 18 della Costituzione. Il presidente Lukashenko sempre più isolato e dipendente da Putin, ma organizza l’incontro tra le delegazioni di Kiev e Mosca

  • in

    Putin minaccia il ricorso alle armi nucleari in risposta alle sanzioni dell’UE

    Bruxelles – Deterrenza nucleare in risposta alla raffica di sanzioni europee varate nelle ultime ore. Di fronte a una risposta sempre più di vasta portata da parte dell’Occidente, il presidente russo Vladimir Putin ha reagito ieri (27 febbraio) mettendo in stato d’allerta le forze di deterrenza del Paese, forze strategiche di attacco e di difesa dell’esercito russo che includono anche una componente nucleare. Così mettendo in allarme l’intero occidente.
    Putin non dice di voler usare l’arma atomica, ma minaccia di poter arrivare a farlo. “Ordino al ministro della Difesa e al Capo di stato maggiore (delle Forze armate russe) di far preparare le forze di deterrenza dell’esercito russo a un regime speciale di servizio di combattimento”, ha detto al termine di una riunione con il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il Capo di stato maggiore delle Forze armate russe, Valery Gerasimov, motivando la decisione alla luce dei provvedimenti “ostili” dei Paesi occidentali verso l’economia di Mosca.
    Proprio ieri i ventisette hanno approvato il terzo pacchetto di sanzioni ai danni di Mosca da quando l’invasione è cominciata tra mercoledì e giovedì della settimana scorsa, con il divieto di transazioni con la Banca centrale russa, la messa al bando di tutte le compagnie aeree russe e l’inserimento nella lista nera di altri funzionari vicini al Cremlino, dopo aver congelato i beni all’estero dello stesso Putin. Per la prima volta nella loro storia, i governi europei hanno deciso di fornire armi a un Paese in guerra, a significare che la guerra in Ucraina ha segnato davvero un momento spartiacque.
    L’espressione “deterrenza nucleare” risale alla Guerra Fredda, quando la minaccia di poter ricorrere al nucleare rendeva sconsigliabile l’uso della forza bellica da entrambi gli schieramenti, gli Stati Uniti e l’Unione sovietica. Per circa 40 anni dopo la seconda guerra mondiale, è la deterrenza ad aver assicurato di fatto un periodo di inaspettata stabilità, che non significa pace e prosperità ma nessun ricorso alla forza bellica per dirimere i conflitti tra est e ovest del mondo. Per Washington il capo del Cremlino “fabbrica solo minacce”, si legge in una nota della Casa Bianca, che però ha denunciato una escalation “inaccettabile” da parte di Mosca. Sulla stessa linea il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che alla CNN ha ribadito che “questa guerra è responsabilità di Putin”, parlando di “retorica aggressiva” da parte di Mosca.
    Le preoccupazioni da parte dell’UE erano emerse già in alcune dichiarazioni dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’UE Josep Borrell, in una riunione del Parlamento europeo, che aveva denunciato l’ingiustificata aggressione “da parte di una potenza nucleare” contro un Paese libero e sovrano in Europa. Allo stesso tempo Mosca aveva già minacciato “conseguenze mai viste” a chiunque avesse ostacolato l’operazione della Russia, e per Bruxelles ha significato una minaccia di utilizzare armi nucleari, mai usate in Europa. Il pensiero si è rafforzato quando, poche ore dopo l’avvio dell’invasione, le forze dell’esercito russo hanno occupato la centrale nucleare di Chernobyl, chiusa dopo un incidente del 1986 durante un test di prova nel reattore numero 4, che il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy aveva definito una “dichiarazione di guerra contro l’intera Europa”.

    Il presidente russo mette in stato d’allerta il sistema difensivo e la sua componente nucleare contro le ritorsioni dell’occidente ai danni dell’economia di Mosca. Minaccia ma non dice che le userà, il segretario generale NATO Stoltenberg parla di “retorica aggressiva” inaccettabile

  • in

    L’Unione davanti alla Storia: dall’accoglienza dei profughi ucraini all’invio di armi a Kiev, le scelte inedite dell’UE

    Bruxelles – La storia, quella con la S maiuscola, è fatta di momenti ben riconoscibili e quello a cui ci troviamo di fronte da una settimana è proprio uno di quei momenti. Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin, l’UE ha reagito con una prova di unità quasi inattesa. Sicuramente non nella logica del dittatore russo, che probabilmente immaginava di inchiodare i Ventisette con le spalle al muro, facendo leva sulle ben note divisioni e difficoltà a trovare posizioni condivise in ambito di politica estera.
    Ma dalla prima tornata di sanzioni annunciata lunedì scorso (21 febbraio) ai successivi due pacchetti – che hanno portato al congelamento degli asset di Putin, all’esclusione russa dal circuito di pagamenti Swift e alla chiusura dello spazio aereo e dei canali di propaganda del Cremlino – l’Unione ha davvero parlato con una sola voce. Oggi l’UE ha fatto molto di più: ha annunciato due decisioni mai viste prima, una in ambito militare e una di migrazione e asilo.
    Per quello che riguarda l’aspetto militare, l’annuncio è arrivato direttamente dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel pomeriggio: “Per la prima volta, l’UE finanzierà l’acquisto e la consegna di armi e attrezzature a un Paese sotto attacco“. Non era mai successo prima nella storia dell’Unione e questo segna un precedente di portata storica. Fino a questa mattina si parlava, secondo copione, dei finanziamenti e invii di materiale bellico all’Ucraina dei singoli Paesi membri UE (tra cui anche l’Italia, attraverso finanziamenti economici). Ma con quanto comunicato in conferenza stampa, è cambiato tutto: ora anche Bruxelles si fa carico di questo compito, coordinando i governi nazionali. “Un altro tabù è caduto, quello che voleva l’Unione Europea non finanziare una guerra“, ha sottolineato l’alto rappresentante, Josep Borrell, che domani (lunedì 28 febbraio) dovrebbe ricevere l’appoggio dei ministri UE della Difesa.
    “Stiamo organizzando la consegna d’emergenza di attrezzature militari difensive. Fucili, munizioni, razzi e carburante stanno arrivando alle truppe ucraine”, ha fatto sapere in serata il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Si tratta di 500 milioni di euro, di cui 450 per “armamenti letali”. Grazie al via libera degli ambasciatori dei Ventisette riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper), si attiverà la European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, attraverso il finanziamento di azioni operative nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC) che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa. Grazie al “pilastro Misure di assistenza”, l’UE può sostenere Paesi terzi (in questo caso l’Ucraina) a rafforzare le capacità belliche, secondo quanto concordato dal Consiglio Affari Esteri nel marzo dello scorso anno.

    LIVE NOW: Press Statement by HR/VP @JosepBorrellF and President Ursula @vonderleyen on further measures to respond to the Russian invasion of Ukraine https://t.co/KMRZPQZjy1
    — EUSecurityDefence (@EUSec_Defence) February 27, 2022

    Ma c’è anche l’aspetto migrazione e asilo da non sottovalutare. Nel corso del vertice di oggi dei ministri UE per la Giustizia e gli affari interni è stato deciso di mettere sul tavolo l’applicazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea del 2001, quella che stabilisce uno status di protezione di gruppo, che può essere applicato in situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo. Lo ha fatto sapere la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, lasciando intendere che la data fissata per una (quasi sicura) applicazione sarà giovedì (3 marzo), nel corso del prossimo Consiglio Affari Generali.
    Con l’attivazione del meccanismo – che servirà ad accogliere un numero di persone in fuga dalla guerra che si attesterà presto a 400 mila (stando alle stime dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi) – l’UE sta mandando un altro segnale importante sia all’Ucraina, sia ai Paesi UE sulla frontiera orientale. La direttiva del 2001 prevede un principio di redistribuzione delle persone migranti tra i Paesi membri (la commissaria Johansson ha già fatto sapere che chi ha amici o parenti nell’UE si potrà dirigere verso di loro), un’assistenza speciale garantita di tre anni – 12 mesi mesi rinnovabili due volte – con il riconoscimento automatico del diritto di lavoro. Ma soprattutto per il via libera non serve l’unanimità dei Paesi membri, ma la maggioranza qualificata: “È già schiacciante al momento”, ha assicurato il ministro degli Interni francese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Gérald Darmanin.
    Nonostante da più di 20 anni esista questa base legislativa e normativa per l’applicazione dei corridoi umanitari, la direttiva non è mai stata usata da quando è entrata in vigore. Non senza polemiche, l’ultima volta che l’argomento si è presentato all’ordine del giorno a Bruxelles è stato esattamente sei mesi fa, con la crisi in Afghanistan dopo la presa di potere dei talebani. Nonostante l’appello di 76 eurodeputati, allora non era stato attivato il meccanismo per dare accoglienza ai cittadini afghani in fuga da quella che difficilmente non poteva non essere considerata “una crisi derivante da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo”. Questo momento unico per l’UE nel rispondere alla Storia passa anche dall’applicazione della direttiva che darà accoglienza ai profughi in arrivo dall’Ucraina. A patto che questo non costituisca un precedente per fare – come ha affermato un politico italiano che non si è mai distinto per umanità nella gestione delle politiche di accoglienza – un distinguo tra “i profughi veri che scappano da una guerra vera” e quelli esclusi per discriminazioni puramente etniche e razziali.

    Actions en matière d’accueil et de solidarité : nous avons évoqué la possibilité d’activer la directive “protection temporaire”, afin d’offrir une protection immédiate pour les Ukrainiens déplacés, le temps que la crise le nécessitera. https://t.co/9TlFN8zMBk
    — Gérald DARMANIN (@GDarmanin) February 27, 2022

    Con il finanziamento per l’acquisti e la consegna di armamenti a Kiev per la guerra contro la Russia e l’attivazione del meccanismo di accoglienza temporanea, l’Unione Europea oggi ha iniziato a tracciare una nuova strada in politica estera

  • in

    L’UE attacca la propaganda di Putin, chiuse Russia Today e Sputnik in Europa

    Bruxelles – “Una situazione senza precedenti” che richiede risposte senza precedenti. La Commissione europea annuncia nuove misure contro la Russia quale risposta alla guerra in Ucraina, e lo fa chiudendo lo spazio aereo UE a tutti gli aerei russi, chiudendo Russia Today e Sputnik, e attivando lo staff militare per dare sostegno all’Ucraina. E’ l’ultimo tassello della strategia a dodici stelle contro Putin e non solo, perché nella lista nera finisce anche il leader bielorusso, Alexander Lukashenko.
    “Con un altro passo senza precedenti, vieteremo nell’UE la macchina mediatica del Cremlino”, annuncia la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, a poche ore di distanza dalle misure che colpiscono banca centrale russa e sistema bancario russo. Verranno chiuse “Russia Today e Sputnik, di proprietà statale, così come le loro sussidiarie, che non saranno più in grado di diffondere le loro bugie per giustificare la guerra di Putin e di vedere la divisione nella nostra Unione”. Si tratta di “un passo cruciale contro la manipolazione dell’informazione” da parte di Mosca, fa eco l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrel. “Putin non vuole solo conquistare territori, ma lo spirito delle persone con messaggi tossici. Uccideremo la serpe nella sua rete” di propaganda.
    Non finisce qui. Oltre a chiudere Russia Today e Sputnik l’UE  chiuderà l’intero spazio aereo alla federazione russa. “Stiamo proponendo un divieto su tutti gli aeromobili di proprietà russa, registrati o controllati dalla Russia“, l’annuncio di von der Leyen. “Questi aerei non potranno più atterrare, decollare o sorvolare il territorio dell’UE. Ciò si applicherà a qualsiasi aereo posseduto, noleggiato o altrimenti controllato da una persona fisica o giuridica russa”. In sintesi: i cieli europei saranno interdetti “a tutti gli aerei russi, compresi i jet privati degli oligarchi“.
    Sul fronte militare, l’UE è pronta ad attivare la European Peace Facility per due diverse operazioni di emergenza. Lo speciale strumento finanziario dell’UE al di fuori del bilancio pluriennale verrà utilizzato per rispondere alle necessità del governo riconosciuto dall’Unione sul campo. “Un altro tabù è caduto: quello che voleva l’Unione europea non finanziare una guerra”, sottolinea Borrell.
    Oltre alla Russia si colpisce la Bielorussia. L’Ue introdurrà misure restrittive “nei confronti dei loro settori più importanti”, spiega von der Leyen. Vuol dire stop alle esportazioni dai combustibili minerali al tabacco, legno e legname, cemento, ferro e acciaio.

    Chiuso lo spazio aereo dell’Unione europea a tutti gli aeromobili russi, finanziamenti per le necessità militari dell’Ucraina, e nuove sanzioni pure contro la Bielorussia

  • in

    Lo sport internazionale taglia fuori la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina: dal calcio alla Formula 1, fino al basket

    Bruxelles – Al terzo strike, Mosca è fuori dalla maggior parte delle grandi manifestazioni sportive in programma nei prossimi mesi. Dopo il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate Repubbliche nel Donbass, l’invasione dell’Ucraina e i bombardamenti su Kiev, la Russia viene tagliata fuori dallo sport internazionale, dal calcio alla Formula 1, fino al basket. Ma anche altri organizzatori potrebbero presto prendere la stessa decisione e cancellare gli eventi in programma sul suolo della Russia o riprogrammare le partite delle squadre russe nelle rispettive competizioni. “Come ministri degli Esteri dell’UE guardiamo con soddisfazione al fatto che non solo la politica, ma anche lo sport sta reagendo contro l’aggressione della Russia”, ha commentato Luigi Di Maio, al termine del Consiglio Affari Esteri convocato oggi a Bruxelles.
    Tutto è iniziato con l’annuncio di questa mattina da parte del Comitato Esecutivo UEFA della decisione di cancellare la finale di Champions League di calcio dalla Gazprom Arena di San Pietroburgo  – casa dello Zenith, squadra di calcio per cui tifa il presidente russo Vladimir Putin – e spostarla allo Stade de France di Saint-Denis (a Parigi), mantenendo la stessa data di sabato 28 maggio. La decisione è arrivata “in un momento di crisi senza precedenti a seguito della grave escalation della situazione della sicurezza in Europa”, in cui si rende necessario “garantire il soccorso ai giocatori di calcio e alle loro famiglie in Ucraina, che devono affrontare terribili sofferenze umane, distruzione e sfollamento”. L’UEFA ha stabilito anche che “i club e le squadre nazionali russe e ucraine dovranno giocare le loro partite in casa in luoghi neutrali fino a nuovo ordine”.
    Nel calcio il nome Gazprom – l’azienda energetica russa parzialmente controllata dallo Stato – è una costante e non a caso sta causando le polemiche maggiori. In attesa di conoscere la decisione dell’UEFA sul taglio dei rapporti con il suo maggiore sponsor per la Champions League, il club tedesco Schalke 04 ha già reso noto con un comunicato ufficiale di aver cancellato ogni riferimento alla sponsorizzazione russa dal suo kit di divise ufficiali: “Seguirà un confronto con Gazprom Germania, ma per il momento sulla divisa dei Königsblauen comparirà solo la scritta Schalke 04″. Ma anche per la FIFA ora si pone la questione. Il presidente Gianni Infantino si è detto “molto preoccupato per la situazione tragica” e dovrà prendere una decisione sugli spareggi per l’accesso ai Mondiali di Qatar 2022 (la Russia dovrebbe giocare in casa il 24 marzo contro la Polonia e, se vincerà, il 29 marzo contro Svezia o Repubblica Ceca). Proprio queste tre federazioni hanno inviato ieri una lettera congiunta per chiedere alla FIFA di spostare il luogo dello svolgimento delle partite. “Continueremo a monitorare la situazione comunicheremo a tempo debito la nostra decisione“, ha fatto sapere Infantino.
    Il pilota tedesco di F1, Sebastian Vettel, al GP di Ungheria (primo agosto 2021)
    Anche la Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) ha seguito a ruota l’esempio dell’UEFA e, dopo una discussione con le scuderie, i piloti e gli organizzatori del Circus della Formula 1 ieri sera, ha concluso oggi che “è impossibile tenere il Gran Premio di Russia nelle circostanze attuali“. La gara era prevista nel fine settimana tra il 23 e il 25 settembre, ma al momento disputare il Gran Premio nel circuito di Soči non sarebbe compatibile con “la visione positiva per unire le persone e riunire le nazioni” perseguita dalla Formula 1. Tutte le parti interessate guardano “con tristezza e shock” agli attuali sviluppi in Ucraina, nella speranza di “una risoluzione rapida e pacifica della situazione attuale”, si legge nel comunicato. Già nella giornata di ieri (giovedì 24 febbraio) il pilota tedesco della scuderia Aston Martin, Sebastian Vettel, aveva anticipato la decisione della Formula 1: “Sono scioccato e molto triste per quello che sta accadendo in Ucraina, per questo ho già deciso che non parteciperò al prossimo GP di Russia“.
    Ha deciso invece di obbligare le squadre russe a giocare in campo neutro l’Eurolega di basket, in una nota pubblicata nel pomeriggio: “Le partite programmate per essere giocate sul suolo russo saranno spostate in altre sedi, mentre le partite che coinvolgono squadre russe, ma programmate per essere giocare in altri Paesi, continueranno a svolgersi come da programma”. CSKA Mosca, Zenit San Pietroburgo e UNICS Kazan subiscono la volontà degli organizzatori della competizione dopo i boicottaggi degli ultimi giorni decisi dalle altre squadre europee (rinviate Bayern Monaco-CSKA, Baskonia-UNICS e Zenit-Barcellona), mentre la partita fra CSKA-Barcellona in programma domenica (27 febbraio) “è sospesa”, fa sapere l’Eurolega. La decisione è stata presa per “tutelare l’integrità della competizione e consentire alle squadre di continuare a difendere il proprio diritto a gareggiare in campo, isolando lo sport da qualsiasi azione politica”. Anche se viene messo in chiaro che “è nostra responsabilità proteggere l’integrità di giocatori, allenatori, tifosi e staff” e che “qualsiasi tipo di violenza non è né tollerata né accettata come mezzo per difendere l’opinione o la posizione di nessuno”.
    Si accendono però i riflettori anche sulla Federazione internazionale di volley (FIVB): dal 26 agosto all’11 settembre sarebbe in calendario il mondiale di pallavolo maschile e ora dovrà essere deciso se seguire (con tutta probabilità) l’esempio di UEFA, Formula 1 ed Eurolega. Intanto, dal mondo del tennis, merita una menzione speciale il gesto del tennista russo Andrej Rublëv, che dopo la vittoria di oggi sul polacco Hubert Hurkacz agli ATP di Dubai ha firmato la telecamera scrivendo “No war please”. Anche dagli sportivi russi arrivano messaggi chiari contro le azioni belliche intraprese dal presidente Putin.

    La scritta di Andrey #Rublev sulla telecamera
    “No war please”#DDFTennis pic.twitter.com/blPgVTDuuB
    — Luca Fiorino (@FiorinoLuca) February 25, 2022

    Gli organizzatori dei maggiori eventi sportivi internazionali prendono posizione sullo scoppio della guerra in Europa e le responsabilità di Mosca. Spostata la finale di Champions League a Parigi, cancellato il Gran Premio di Soči e squadre di russe di basket in campo neutro

  • in

    L’Europa risponderà unita. E la società civile?

    Il contrasto tra il movimento al rallentatore dell’Europa e la rapida e completa invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin non potrebbe essere più netto. Fino a due giorni fa, gli europei discutevano di quale azione russa avrebbe innescato quali sanzioni, mentre l’esercito russo stava già accerchiando l’Ucraina.
    Ma anche se lo hanno fatto al rallentatore, gli europei si sono preparati e si uniranno attorno a questa crisi.
    Rosa Balfour
    Gli enormi sforzi compiuti nelle ultime settimane hanno consentito l’approvazione di un forte pacchetto di sanzioni a meno di ventiquattro ore dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Questa risposta veniva giustamente preparata mentre venivano perseguite tutte le vie diplomatiche per ridurre l’escalation della crisi. Ma gli europei devono fare di più, perché il revisionismo di Putin sull’ordine del dopo Guerra Fredda continuerà, a prescindere dall’esito militare dell’invasione dell’Ucraina. Questa crisi è un passo in un lungo gioco.
    Il pacchetto di sanzioni dell’UE sarà la prima fase, non l’ultima, di un’escalation. Anche se l’impegno militare è stato escluso, i cittadini europei non sono preparati alle conseguenze della guerra sull’approvvigionamento energetico o sull’economia, né sono pronti ad accogliere i rifugiati. Al contrario, flussi di disinformazione hanno disseminato i media tradizionali e sociali europei. Gli europei devono essere mobilitati attraverso spiegazioni basate sulle evidenze e il contatto con i russi dovrebbe essere un altro pilastro di una diversa strategia di comunicazione.
    Oltre al pacchetto da 1,2 miliardi di euro che l’UE ha adottato il 21 febbraio per sostenere l’Ucraina, gli altri Paesi in una regione già destabilizzata dalla Russia avranno bisogno di più energia politica e risorse finanziarie, mentre la NATO rafforza il suo fianco orientale in caso di allargamento del conflitto.
    Infine, gli europei devono rivolgersi alla società civile nell’Europa orientale e in Russia per dare energia a quelle reti che sono state i motori di un cambiamento positivo in tutta l’ex Unione Sovietica in nome dei diritti umani, della libertà e dell’autodeterminazione.
    Rosa Balfour è direttrice di Carnegie Europe, leggi questo intervento su Strategic Europe.

    Dare energia a quelle reti che sono state i motori di un cambiamento positivo in tutta l’ex Unione Sovietica in nome dei diritti umani, della libertà e dell’autodeterminazione