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    Ucraina, la nuova proposta dell’Ue per i rifugiati: protezione fino al 2027 e supporto per un ritorno sicuro

    Bruxelles – La protezione 4,3 milioni di rifugiati ucraini in Europa si trova oggi a un bivio, tra la necessità di offrire continuità e quella di preparare un futuro diverso. Dopo oltre tre anni di guerra in Ucraina, la Commissione europea propone di estendere per un altro anno la protezione temporanea, mantenendo gli stessi diritti, ma avviando nel contempo un piano per una graduale transizione verso forme di sostegno più durature o il ritorno sicuro in Ucraina.Allo scoppio del conflitto l’Unione Europea ha reagito immediatamente, attivando già nel marzo 2022 la misura eccezionale che ha permesso agli ucraini fuggiti dalla guerra di avere accesso immediato a diritti come residenza, lavoro, assistenza sociale e sanitaria in tutti gli Stati membri. L’ha poi prorogata, ogni anno, di fronte al perdurare della guerra. Oggi (4 giugno) la Commissione propone di prolungare questa tutela fino al marzo 2027, assicurando così stabilità a chi è costretto a vivere lontano da casa. “La nostra solidarietà verso l’Ucraina e i suoi cittadini rimane salda”, ha affermato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione: “Continueremo a offrire protezione a chi scappa dalla guerra e, al contempo, prepariamo le condizioni per un futuro in cui il ritorno sicuro e dignitoso sarà possibile”.L’estensione della protezione temporanea è accompagnata da una strategia più ampia che tiene conto delle esigenze di lungo termine. La Commissione invita infatti gli Stati membri a coordinarsi per facilitare una transizione graduale verso altre forme di status legale, come permessi di lavoro o di studio, per chi ha iniziato a integrarsi nei Paesi ospitanti. Questo approccio mira a evitare l’insicurezza e la frammentazione, offrendo ai rifugiati prospettive più solide. Allo stesso tempo, viene promossa l’idea di programmi che favoriscano il ritorno volontario e sicuro in Ucraina, in stretta collaborazione con le autorità locali. Si prevede la possibilità per i rifugiati di effettuare visite esplorative nel Paese per valutare le condizioni reali, mentre saranno creati centri di supporto, chiamati “Unity hubs“, con informazioni e assistenza sia per chi resta in Europa sia per chi sceglie di tornare. Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva per Sovranità tecnologica, sicurezza e democrazia, ha spiegato che “estendere la protezione temporanea è un segnale di solidarietà e impegno europeo. Tuttavia, è altrettanto importante preparare una gestione coordinata della fase successiva, tra reinserimento e integrazione”.Il commissario per gli Affari interni Magnus Brunner ha ricordato come siano milioni gli ucraini che hanno trovato rifugio e opportunità nell’Ue negli ultimi anni, e come sia importante offrirgli le possibilità per ricostruire il proprio Paese una volta raggiunta una condizione di stabilità duratura. Per evitare squilibri, la Commissione raccomanda una migliore condivisione dei rifugiati e l’eliminazione di permessi di soggiorno doppi. Questo aiuterà a gestire più efficacemente i flussi e a offrire risposte più coordinate. I programmi di ritorno volontario sono stati progettati per garantire che il rientro sia sicuro e dignitoso, con particolare attenzione alle categorie vulnerabili e alle famiglie. Gli “Unity Hubs” saranno punti di riferimento essenziali, a Berlino, Praga e Alicante, dove i rifugiati potranno ricevere supporto sia per la vita in Europa sia per il rientro in Ucraina. L’Unione Europea si impegna inoltre a mantenere aperti i canali di comunicazione e scambio dati tra Stati membri e con l’Ucraina tramite piattaforme dedicate, garantendo un monitoraggio costante della situazione e la possibilità di adeguare la risposta alle evoluzioni sul terreno.Per Kiev il ritorno non è solo una questione simbolica, ma una necessità economica. Il vice primo ministro ucraino, Oleksandr Chernyshev, ha parlato chiaramente della necessità di programmi strutturati per favorire un rientro volontario e sostenibile per garantire supporto pratico e informazioni sui servizi disponibili in patria, dalla scuola al lavoro. “Abbiamo bisogno dei nostri cittadini per ricostruire l’economia”, ha detto Chernyshev, aggiungendo che l’Ucraina avrà bisogno di almeno 4 milioni di persone in più nel mercato del lavoro per raddoppiare il Pil nei dieci anni successivi alla fine della guerra.La palla ora passa al Consiglio, che dovrà formalmente approvare la proposta di proroga e le linee guida per la gestione coordinata della protezione e del futuro dei rifugiati ucraini in Europa.

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    Conte a Bruxelles per dire no al riarmo: “In Ucraina la strategia bellicista è una scommessa fallita”

    Bruxelles – L’Europa ha fallito, perché la Russia ha oggi “un potere negoziale maggiore di quello che aveva all’indomani immediato dell’aggressione”. Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte torna all’attacco a Bruxelles per ribadire con decisione due ‘no’: al riarmo del continente e alla “strategia bellicista di scommettere sulla vittoria militare contro la Russia”. Una “scommessa fallita”, secondo l’ex premier.Sulla scalinata d’ingresso del Parlamento europeo di Bruxelles, insieme agli otto eurodeputati pentastellati e a un centinaio di ragazze e ragazzi del Network giovani del partito, Conte ha puntato il dito contro il governo di Giorgia Meloni (e quello di Mario Draghi prima di lei), che “doveva assolutamente battersi per imprimere una svolta negoziale in linea con quella che è la tradizione, la sensibilita’ del nostro popolo e del nostro Paese”. E invece, secondo il leader pentastellato dopo “tre anni di falsità” la realtà è che la strategia del blocco Ue sposata dall’Italia è “un fallimento”.Giuseppe Conte con la delegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo, 13/05/25Per il Movimento, “è evidente che ormai tutti stanno comprendendo che solo la soluzione negoziale è l’unica possibile“. Ma, ha incalzato il presidente, “se l’avessero compresa prima”, a Washington come a Londra e a Bruxelles, “ci saremmo sicuramente risparmiati centinaia di migliaia di morti e di distruzione”.All’eventualità che sia Vladimir Putin, atteso giovedì 15 maggio a Istanbul per un faccia a faccia con Zelensky, a disertare e rifiutare l’interruzione delle ostilità, Conte ha risposto: “Il negoziato lo fai anche se non in presenza“, e ha avvertito del rischio di “entrare in questi giochini” e di fare valutazioni definitive “su singoli passaggi, gesti, dichiarazioni”.L’avvertimento diventa allarme quando si parla di piano di riamo europeo, perché “se oggi fai una riconversione industriale” per cui anziché automobili produci “missili e carrarmati”, continuerai a produrre “missili e carrarmati sempre per il futuro”. E “quando hai tutti questi armamenti, poi li devi utilizzare“, ha proseguito l’ex premier.Verso i referendum: quattro sì sul lavoro, sulla cittadinanza serve lo Ius ScholaeNel bel mezzo della campagna per i referendum dell’8-9 giugno, Conte ha indicato la linea agli iscritti al Movimento. Quattro sì per i quesiti sul lavoro, perché “lavoratori e lavoratrici che in Italia vivono già il problema di salari molto bassi” e “addirittura dell’assenza di un salario minimo legale” hanno “l’opportunità di avere maggiori tutele e sicurezza“. Mentre per il quinto quesito, che dimezzerebbe da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale in Italia necessario a uno straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, il Movimento 5 Stelle ha deciso per la libertà di voto.“Abbiamo fatto una riflessione interna – ha spiegato Conte – e non è la soluzione“. I rischi sarebbero due: “Temo che il Paese non sia pronto a questo dimezzamento e che la battaglia per lo Ius Scholae venga buttata via”, ha proseguito il leader M5S. Conte ha comunque dichiarato che “voterà sì” anche al quesito sulla cittadinanza, bacchettando il governo, “molto irresponsabile” per aver invitato lavoratori e lavoratrici a non andare a votare.

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    Ue-Russia, scintille dopo “l’ultimatum” per il cessate il fuoco. Vicino l’accordo a 27 su nuove sanzioni al Cremlino

    Bruxelles – In attesa che Mosca risponda all’invito di Volodymyr Zelensky per un faccia a faccia in Turchia, l’Unione europea sta limando un nuovo pacchetto di misure restrittive contro la Russia a cui, secondo fonti diplomatiche, i 27 potrebbero dare un primo via libera a livello di ambasciatori già mercoledì (14 maggio). Intanto il Cremlino respinge le minacce giunte da Londra, dove Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna hanno fatto intendere che, se Putin non accetterà di sospendere le ostilità entro la fine della giornata, dovrà affrontare nuove sanzioni.Il portavoce del governo tedesco, Stefan Kornelius, ha avvertito che “il tempo sta per scadere” per la Russia affinché accetti la tregua di 30 giorni in Ucraina a partire da oggi, messa sul tavolo da Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer, in accordo con il premier ucraino. Pena, l’applicazione di nuove sanzioni. L’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, ha affermato in un post su X che Putin “dovrebbe finirla di giocare” e “impegnarsi seriamente” nei negoziati per la pace.L’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, e i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Polonia e Spagna a Londra, 12/05/25 [Ph: Account X Kaja Kallas]Immediatamente, durante una conferenza stampa, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha risposto che gli “ultimatum” lanciati dai leader dell’Ue “sono inaccettabili” e che “non si può parlare alla Russia con un linguaggio del genere”. Nel frattempo, lontano dalle telecamere, le diplomazie dei 27 Paesi membri stanno finalizzando il diciassettesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, in cantiere da fine febbraio (da quando cioè è stato adottato il sedicesimo) e ormai quasi pronto. Secondo quanto riportato da fonti diplomatiche, la Commissione europea ha presentato alcune modifiche al pacchetto per dare seguito alle osservazioni formulate dalle capitali e “negli ultimi giorni la presidenza polacca del Consiglio dell’Ue ha collaborato con gli Stati membri per migliorare il pacchetto”.Le stesse fonti rivelano che sono state aggiunte altre navi della cosiddetta flotta ombra, con cui la Federazione russa aggira l’embargo europeo sul petrolio e su altre merci, all’elenco delle imbarcazioni soggette a misure restrittive. Sarebbero ora “quasi 200”. Alcuni Paesi, in particolare i baltici e gli scandinavi, spingono per l’imposizione di sanzioni anche sul gas naturale liquefatto (Gnl) russo e sulla società atomica statale Rosatom.Il via libera del Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri, potrebbe arrivare mercoledì. “La maggior parte delle delegazioni sostiene la proposta. Alcune hanno chiesto un po’ più di tempo per concludere ulteriori analisi”, confermano le fonti. A quel punto, i ministri degli Esteri dei 27 potrebbero formalizzare il 17esimo pacchetto di sanzioni già il giorno successivo, giovedì 15 maggio. Sempre che Mosca non lanci un segnale forte e risponda all’appello (o “ultimatum”) di Bruxelles.

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    Ucraina, l’Ue sostiene la creazione di un tribunale speciale per perseguire l’aggressione russa in Ucraina

    Bruxelles – Una nuova iniziativa giuridica prende forma in Europa, con il sostegno politico e istituzionale dell’Ue e di numerosi partner internazionali: un tribunale ad hoc per punire il reato di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Il progetto, annunciato lo scorso venerdì (9 maggio) dalla Commissione europea, dal Consiglio d’Europa e dal primo ministro ucraino Denys Shmyhal, mira a colmare una lacuna giuridica lasciata aperta dal diritto internazionale, che attualmente impedisce alla Corte penale Internazionale di intervenire pienamente contro Mosca, in quanto la Russia non ne riconosce la giurisdizione.Il nuovo tribunale sarà istituito sotto la legislazione ucraina con il supporto di partner internazionali e avrà sede nei Paesi Bassi, già centro simbolico e operativo della giustizia penale internazionale. Il suo compito sarà esclusivo: giudicare il crimine di aggressione, ovvero l’atto con cui la Russia ha lanciato l’invasione su larga scala dell’Ucraina nel febbraio 2022. Secondo quanto comunicato dalla Commissione Europea, il tribunale opererà con l’appoggio congiunto della Commissione, del Servizio europeo per l’azione esterna, del Consiglio d’Europa e dell’Ufficio del Procuratore generale ucraino. Sarà finanziato da una coalizione di Stati, tra cui i Paesi Bassi, il Giappone e il Canada, con l’ambizione di avviare i lavori entro la fine del 2025.Il crimine di aggressione, a differenza di altri crimini internazionali come il genocidio o i crimini di guerra, è un reato che riguarda la leadership politica e militare: mira a identificare e processare coloro che hanno deciso e diretto l’invasione, mettendo al centro il ruolo personale di figure come il presidente, il primo ministro e il ministro degli esteri. In tal senso, il tribunale si configura come uno strumento mirato per attribuire responsabilità a chi ha il potere decisionale più alto, e non solo agli esecutori materiali dei crimini sul campo. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha più volte ribadito l’importanza di assicurare giustizia per il crimine originario da cui sono scaturite tutte le altre atrocità, affermando che solo un processo credibile e imparziale può fungere da deterrente contro future aggressioni. Per questo motivo, il nuovo tribunale mira a rappresentare un esempio giuridico e politico per la comunità internazionale, riaffermando il principio secondo cui l’impunità non può essere la norma nei conflitti armati.Kaja Kallas visita il cimitero di Lychakiv a Lviv (Foto: Commissione europea)La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha definito l’iniziativa come una risposta necessaria a una violazione flagrante del diritto internazionale: “Quando la Russia ha scelto di far avanzare i suoi carri armati oltre i confini dell’Ucraina, infrangendo la Carta delle Nazioni Unite, ha commesso una delle violazioni più gravi: il crimine di aggressione. Ora, la giustizia sta arrivando”. Il progetto del tribunale si inserisce nel più ampio quadro di sostegno legale fornito dall’Unione Europea, che ha già contribuito alla creazione dell’International centre for the prosecution of the crime of aggression, con sede a L’Aia e sotto la supervisione di Eurojust. Questo centro sta attualmente costruendo i dossier giudiziari necessari a preparare i futuri procedimenti. Quanto alle prove necessarie, l’Alta rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas non nutre alcun dubbio: “Ogni centimetro della guerra della Russia è stato documentato. Ciò non lascia alcuno spazio a dubbi sulla palese violazione da parte della Russia della Carta Onu. L’aggressione russa non resterà impunita”.Il cammino che porterà all’operatività del tribunale non sarà privo di ostacoli. Secondo le norme del diritto internazionale, i principali leader di uno Stato godono di immunità finché restano in carica, il che potrebbe posticipare l’avvio di eventuali processi effettivi. Tuttavia, il meccanismo previsto consentirà la conservazione delle prove e l’avvio dei procedimenti istruttori, con la possibilità di avviare il processo non appena le condizioni legali lo permetteranno. Il prossimo passo, ora, sarà l’adozione formale degli atti giuridici da parte del Consiglio d’Europa e la nomina dei giudici e procuratori tramite un comitato indipendente.

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    Ucraina, von der Leyen spinge per aprire tutti i capitoli per l’adesione all’Ue nel 2025. I Patrioti di Orbán di traverso

    Bruxelles – Nel percorso verso l’adesione all’Unione europea, l’Ucraina può contare sul più influente dei sostenitori: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si sta spendendo in prima persona per accelerare l’ingresso di Kiev nel blocco Ue. “Può essere la più forte garanzia di sicurezza” e di una “pace giusta e duratura”, ha evidenziato oggi (7 maggio) intervenendo al Parlamento europeo di Strasburgo. L’obiettivo – che la leader Ue avrebbe concordato con Zelensky a Roma, in occasione dei funerali di papa Francesco – è “aprire tutti i capitoli di negoziati di adesione nel 2025“.I vertici delle istituzioni europee sono d’accordo, l’adesione dell’Ucraina si deve fare il più presto possibile. A costo di far passare Kiev davanti a candidati di lunga data, come i sei dei Balcani occidentali. Serbia e Montenegro, ad esempio, di capitoli di negoziazione ne hanno già aperti da anni ma procedono a rilento verso il completamento dei 35 totali. Ma – come emerso già nell’ultimo Consiglio europeo – i Paesi membri, titolari del potere di veto sugli avanzamenti dei Paesi candidati, sono divisi. A ben vedere, l’Ue è già venuta meno alla promessa di aprire il processo di adesione entro marzo: se formalmente il percorso è stato avviato, non è stato però aperto nessuno dei cluster negoziali, nemmeno quello dei cosiddetti capitoli fondamentali.Da un lato ci sono i baltici e i nordici (Danimarca, Finlandia, Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania), che vorrebbero premere sull’acceleratore. A loro, in linea di principio, si unirebbe anche la Polonia. Ma Varsavia, che attualmente detiene la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue, è più cauta, perché consapevole delle difficoltà nel costruire un consenso all’unanimità che ancora non c’è. I Paesi dell’Europa meridionale e orientale hanno sensibilità differenti e – per quanto generalmente d’accordo con la necessità di allargare l’Unione a Kiev – hanno riserve a scavalcare altri Paesi candidati con cui storicamente intrattengono rapporti più stretti.C’è poi il solito elefante nella stanza, quel Viktor Orbán che proprio non ne vuole sapere. Anche oggi, il gruppo dei Patrioti per l’Europa, creatura fondata dal premier sovranista ungherese, ha ribadito il suo no all’ingresso dell’Ucraina nei 27: “Non è nel nostro interesse – ha dichiarato Kinga Gal, vicepresidente del gruppo e membro di Fidesz, il partito di Orbán -, causerebbe gravi danni alla politica agricola, alla politica di coesione e altro”. L’Ucraina non sarebbe in linea “con nessuna delle condizioni di adesione”, ha proseguito Gal, denunciando il rischio di “doppi standard” nella politica di allargamento di Bruxelles.In realtà, la posizione filo-russa di Budapest – e dei Patrioti – va ben oltre l’opposizione all’allargamento a Kiev. Delle tre priorità elencate oggi da von der Leyen per fare in modo di arrivare all’agognata pace “giusta e sostenibile”, l’Ungheria non ne condivide nessuna. Non il sostegno alle capacità di difesa dell’Ucraina, tanto meno l’eliminazione graduale dei combustibili fossili russi. Ma se su queste due – con qualche escamotage – l’Ue può procedere a 26, sull’adesione non può. E continuare a fissare date e a fare promesse, diventa rischioso.

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    Ucraina, Trump: “Forse la pace non è possibile”, gli Usa considerano nuove sanzioni a Mosca

    Bruxelles – Dopo il rifiuto di Vladimir Putin alla proposta di un cessate il fuoco in Ucraina di 30 giorni avanzata da Washington, il presidente americano Donald Trump ieri sera (4 maggio), in un’intervista alla NBC News, ha dichiarato che la sua decisione di firmare il decreto legge sulle sanzioni avanzato dal senatore repubblicano Lindsey Graham: “dipenderà dal fatto che la Russia si stia muovendo o meno in direzione della pace“.Graham, stretto alleato di Trump al Congresso, ha fatto sapere lo scorso 1 maggio che almeno 72 senatori sarebbero pronti votare a favore di ulteriori sanzioni contro la Federazione Russa e per ingenti dazi verso i Paesi che la supportano. La sensazione dominante a Washington è che i negoziati per la conclusione del conflitto russo-ucraino stiano andando troppo per le lunghe, e nonostante il presidente continui a mostrarsi fiducioso nei confronti della situazione, non fa mistero della sua insoddisfazione per l’atteggiamento di Mosca. “Vogliamo che la Russia e l’Ucraina accettino un accordo. Pensiamo di essere abbastanza vicini” ha detto Trump, ma in merito al raggiungimento dell’accordo in questione, ha dichiarato: “Credo che siamo più vicini con una parte, e forse non altrettanto vicini con l’altra. Ma dovremo vedere. Non vorrei dire a quale delle due parti siamo più vicini”. L’accordo sui minerali siglato il 1 maggio con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky può tuttavia suggerire quale sia effettivamente la più vicina delle parti.Riconducendo le sorti del conflitto russo-ucraino a una diatriba tra i rispettivi leader, Trump si è lasciato andare ad una amara costatazione: “Forse la pace non è possibile, c’è dell’odio tremendo. Parliamo di odio tremendo tra questi due uomini, e tra alcuni dei soldati e generali che hanno combattuto duramente per tre anni”. Il tycoon non si è tuttavia perso d’animo, evocando ancora una volta “ottime possibilità di farcela”.Già lo scorso 26 aprile Trump si era scagliato contro Putin, definendolo “non interessato davvero a finire la guerra”. Il ruolo di mediatore che il presidente statunitense si è assunto sin dai primi giorni della sua presidenza diventa sempre meno facile e la possibilità di sfilarsene è stata minacciata in diverse occasioni.  Ucraina e Stati Uniti non hanno ricevuto segnali di apertura verso la loro proposta di tregua di un mese, con Mosca che insiste per mantenerla a tre giorni, in occasione delle celebrazioni per il Giorno della Vittoria del 9 maggio. L’iniziativa fa gioco al Cremlino, che per gli 80 anni dalla vittoria sovietica nel secondo conflitto mondiale ha invitato a Mosca diversi leader, tra cui il presidente cinese Xi Jinping, in visita ufficiale nel Paese tra il 7 e il 10 maggio.Intanto, come ha riferito ieri sera il New York Times, l’esercito statunitense sta attualmente trasferendo un sistema di difesa missilistico Patriot da Israele all’Ucraina. Con l’intensificazione degli attacchi russi contro Kiev, Odessa, Karkiv e Sumy, questa decisione viene incontro alla pressante richiesta di maggiore difesa aerea avanzata da Zelensky lo scorso 13 aprile, quando si era dichiarato pronto ad acquistare 10 sistemi Patriots da dislocare nelle città più densamente popolate del Paese. Le fonti non indicano alcun dettaglio sulla posizione di Trump in merito al trasferimento, e non chiariscono se tale iniziativa sia stata avviata da lui stesso o durante l’amministrazione del suo predecessore, Joe Biden. In ogni caso, gli alleati occidentali starebbero già discutendo la logistica di un eventuale trasferimento di un’altra batteria da parte della Germania o della Grecia.

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    Ucraina e Stati Uniti trovano l’accordo sulle terre rare, da Washington assistenza economica

    Bruxelles – Dopo lo scontro, l’intesa. I presidenti di Stati Uniti e Ucraina, Donald Trump e Volodymyr Zelensky, raggiungono un’intesa di cooperazione economica che è anche un accordo di sostegno per la sicurezza del Paese dell’est Europa. Washington respinge l’ipotesi di un ingresso di Kiev nella Nato, ma ha offerto investimenti massicci e presenza economica nel Paese che può fungere da motivo per evitare nuove aggressioni russe future. Trump ha di fatto chiesto e ottenuto ingresso di aziende statunitensi in Ucraina, per il momento per attività minararia ed energetica (petrolio e gas).Al centro dell’accordo ucraino-americano c’è lo speciale Fondo di investimento per la ricostruzione Stati Uniti-Ucraina, gestito in forma paritaria, e che i due Paesi supervisioneranno in modo congiunto. I profitti del Fondo saranno investiti esclusivamente in Ucraina, alla quale non verra’ chiesto di ripagare alcun debito. Kiev manterrà il controllo delle sottosuolo e delle risorse naturali, ma gli Stati Uniti ottengono un diritto di prelazione sui diritti di estrazione mineraria in Ucraina. E’ così che Washington si garantisce l’accesso alle terre rare e le risorse messe nel mirino da Trump.“Non spetta a noi commentare un accordo bilaterale”, il commento dell’Unione europea, convinta comunque che l’intesa non pregiudichi la validità del protocollo d’intesa Ue-Ucraina del 2021 per le materie prime. L’accordo tra Trump e Zelensky “non sembra avere impatti”, assicura il servizio dei portavoce. L’intesa non pregiudica neppure il processo di integrazione dell’Ucraina nell’Ue. La Commissione europea assicura comunque che verrà garantito ancora pieno sostegno, economico e militare, a Kiev. “Un’Ucraina più forte sul campo di battaglia è un’Ucraina più forte al tavolo negoziale”, taglia corto Anouar el Anouni, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue.

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    L’Ue aggira il veto di Orbán in extremis e rinnova le sanzioni contro individui e entità russi. Ma ne rimuove quattro

    Bruxelles – Il premier ungherese filorusso Viktor Orbán è andato vicinissimo a far saltare il periodico rinnovo delle misure restrittive europee che colpiscono quasi 2 mila individui e circa 500 entità nell’ambito della guerra russa in Ucraina. In extremis, gli altri 26 Paesi membri l’hanno convinto – acconsentendo a rimuovere tre oligarchi e il ministro dello sport di Mosca dalla lista – e hanno raggiunto l’unanimità necessaria per riaffermare le sanzioni. E soprattutto per trattenere i beni privati per un valore di 25 miliardi di euro congelati dall’Ue nel corso dei tre anni di guerra.I nomi dei 1927 individui che Bruxelles ha identificato come responsabili dello sforzo bellico russo e delle violenze commesse in Ucraina – così come delle circa 500 entità – vanno confermati ogni sei mesi. Dopo l’ultimo rinnovo di settembre, la scadenza era fissata a sabato 15 marzo. Ieri, Budapest aveva confermato il suo “no”. Secondo fonti Ue, Orbán aveva posto come condizione per togliere il proprio veto che fossero cancellati 9 nomi. Questa mattina, all’ultima riunione degli ambasciatori dei 27 possibile sul calendario, la presidenza polacca del Consiglio dell’Ue è riuscita a trovare un compromesso: l’Ungheria si è fatta da parte in cambio della cancellazione di 4 persone dalla lista. E di tre recentemente decedute.Fonti diplomatiche confermano che si tratta dell’oligarca Vyacheslav Kantor, dell’uomo d’affari Vladimir Rashevsky, di Gulbakhor Ismailova, sorella dell’uomo d’affari Alisher Usmanov, e del ministro dello sport della Federazione Russa, Mikhail Degtyarev. I tre deceduti rimossi dalla lista sono il veterano politico russo Nikolai Ryzhkov e gli ufficiali militari Andrei Ermishko e Aleksei Bolshakov. Rimangono le misure restrittive contro il  miliardario Mikhail Fridman, oligarca russo nato in Ucraina, che l’Ungheria insisteva per rimuovere dall’elenco.“L’Ue aumenta la pressione sulla Russia. Estendiamo le nostre sanzioni a circa 2400 individui ed entità a causa dell’aggressione in corso da parte della Russia contro l’Ucraina”, ha esultato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un post su X. In realtà, ciò che salta all’occhio sono le sempre maggiori frequenza e forza con cui Budapest mette in pericolo il supporto dell’Ue all’Ucraina e l’unità dei 27. Non è la prima volta che Orbán mette in discussione le misure restrittive contro la Russia: lo scorso gennaio aveva minacciato a lungo – salvo poi cedere all’ultimo minuto in cambio di una fumosa dichiarazione sulle garanzie di forniture di gas attraverso l’Ucraina – di far saltare tutte le sanzioni settoriali, quelle che hanno permesso a Bruxelles di congelare 200 miliardi di euro di asset russi, di imporre divieti su import ed export e di tagliare fuori Mosca dai circuiti finanziari occidentali. In totale, dal febbraio 2022 a oggi, Bruxelles ha adottato 16 pacchetti di sanzioni contro la Russia e i suoi alleati nell’ambito della guerra in Ucraina.Le misure restrittive Ue contro i responsabili di “minare l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina” si applicano a oltre 2.400 persone ed entità e consistono – per quanto riguarda gli individui – in divieto di viaggio e congelamento dei beni sul territorio Ue, mentre nei confronti delle entità nel congelamento dei beni. L’elenco comprende dal presidente Vladimir Putin al ministro degli Esteri Sergey Lavrov, l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych, i membri della Duma russa, del Consiglio di sicurezza nazionale e del Consiglio della Federazione Russa, ministri, governatori e politici locali, come il sindaco di Mosca, funzionari di alto rango e personale militare, comandanti del gruppo Wagner, imprenditori e oligarchi di spicco. Sono inclusi nell’elenco anche individui provenienti da Iran, Bielorussia e Repubblica Democratica Popolare di Corea. Nella lista nera ci sono poi partiti politici, forze armate e gruppi paramilitari, banche e istituzioni finanziarie, organizzazioni mediatiche responsabili di propaganda e disinformazione, aziende nei settori della difesa, dei trasporti, dell’energia e IT, società coinvolte nell’elusione delle sanzioni. E organizzazioni responsabili dei programmi di rieducazione e deportazione dei bambini ucraini.