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    Un report dell’ONU conferma che l’allarme bomba sul volo Ryanair dirottato in Bielorussia era “deliberatamente falso”

    Bruxelles – Dopo un’inchiesta approfondita, durata quasi sette mesi, è arrivato il responso dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO): “l’allarme bomba” lanciato da Minsk il 23 maggio dello scorso anno per dirottare il volo Ryanair Atene-Vilnius in Bielorussia è stato “deliberatamente falso”. Lo ha messo nero su bianco l’agenzia delle Nazioni Unite in un report su cui si baseranno le decisioni del Consiglio dell’ICAO nella riunione del 31 gennaio prossimo sulle possibili violazioni del diritto internazionale dell’aviazione da parte della Bielorussia di Alexander Lukashenko.
    Il giornalista e oppositore politico bielorusso Roman Protasevich, arrestato dopo il dirottamento del volo Ryanair su Minsk
    “Durante i controlli prima della partenza ad Atene e dopo varie perquisizioni dell’aereo in Bielorussia e Lituania, non è stata trovata né una bomba né prove della sua esistenza“, è la spiegazione dell’agenzia ONU, che smonta la giustificazione di Minsk di interferire nelle operazioni del velivolo FR4978 del vettore Ryanair. A seguito del dirottamento era stato arrestato il giornalista e oppositore politico bielorusso Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega, che stavano viaggiando in direzione della capitale lituana. A seguito di questi eventi l’Unione Europea aveva imposto la chiusura dello spazio aereo alla compagnia di bandiera bielorussa Belavia e il lancio di sanzioni economiche contro il Paese.
    Secondo la ricostruzione dell’ICAO, l’allarme bomba risulterebbe “deliberatamente falso” anche per una  questione di tempistiche. Nel giro di tre minuti – tra le 11:25 e le 11:28, fuso orario italiano – cinque e-mail erano state inviate agli aeroporti di Vilnius, Atene, Sofia, Bucarest e Minsk (a quello Kiev invece alle 11:34, cinque minuti dopo che il velivolo aveva lasciato lo spazio aereo ucraino). Il testo, uguale per tutte le mail, era attribuito a “soldati di Hamas” che chiedevano il cessate il fuoco da parte di Israele nella Striscia di Gaza e la fine del sostegno da parte dell’UE a Tel Aviv: se non fossero state soddisfatte le richieste “la bomba che abbiamo piazzato sul volo FR4978 esploderà il 23 maggio sopra Vilnius”, causando la morte dei partecipanti del Delphi Economic Forum di ritorno da Atene. L’organizzazione palestinese Hamas ha sempre negato ogni coinvolgimento nella vicenda.
    Non appena il velivolo Ryanair aveva lasciato l’Ucraina, il controllore dello spazio aereo della Bielorussia si era messo in contatto con il comandante del volo, avvertendolo del pericolo e sostenendo che l’informazione era stata ricevuta da “diversi aeroporti”. Il problema è che nel caso di Atene e di Kiev le mail non siano mai state ricevute, mentre tutti gli altri Paesi hanno confermato che le autorità aeroportuali competenti avevano visualizzato il testo solo minuti o ore più tardi. “Non è stato possibile stabilire come il controllore sapesse che le e-mail erano state condivise con diversi aeroporti“, si legge nel rapporto, anche per il fatto che lo stesso responsabile per lo spazio aereo bielorusso “non era disponibile per essere intervistato durante l’indagine conoscitiva” dell’ICAO.
    Il velivolo FR4978 di Ryanair dirottato su Minsk (23 maggio 2021)
    Nonostante la mancanza di spiegazioni, informazioni e supporto da parte della Bielorussia alle indagini sul dirottamento del volo Ryanair con materiale utile (come le registrazioni delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto di Minsk, o i tabulati telefonici tra le autorità aeroportuali e il controllore dello spazio aereo bielorusso), gli investigatori dell’agenzia ONU non sono riusciti ad attribuire la commissione dell’atto di interferenza illegale “a nessuno Stato”. Sulla base di questo rapporto preparato dal segretario generale dell’Organizzazione, Fang Liu, il Consiglio ICAO presieduto da Salvatore Sciacchitano dovrà ora decidere se e come procedere nei confronti di queste violazioni del diritto internazionale dell’aviazione, in particolare sulla “comunicazione consapevole di informazioni false che mettono in pericolo la sicurezza di un aereo in volo”.
    La leader dell’opposizione a Lukashenko e presidente ad interim della Bielorussia riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha sottolineato in un tweet che il rapporto ICAO “mostra che il regime ha cercato di nascondere i fatti sull’incidente”. Dal momento in cui il documento “conferma anche che la verità è dalla parte dei bielorussi, non del dittatore” Lukashenko, l’agenzia ONU “dovrebbe adottare una linea dura per impedire agli autocrati di ripetere tali incidenti” e “la questione deve essere sollevata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.

    The @icao report shows that the regime tried to hide facts about the @Ryanair incident. It also confirms – the truth is on the side of Belarusians, not the dictator. ICAO should take a hard line to prevent autocrats to repeat such incidents. The issue must be raised by the #UNSC. pic.twitter.com/4EliMZhAZd
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 19, 2022

    L’indagine dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile conferma che “non c’erano prove” che giustificassero l’azione del 23 maggio 2021. Mancano spiegazioni, ma “non è stata riscontrata interferenza illegale da parte di nessuno Stato”

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    Tra sanzioni, violazioni dei diritti umani e traffico di migranti: l’anno in cui i rapporti tra UE e Bielorussia si sono frantumati

    Bruxelles – È difficile pensare a un anno più tormentato per le relazioni tra l’UE e un Paese terzo. Dopo le elezioni-farsa a Minsk dell’agosto 2020, nemmeno a Bruxelles ci si aspettava che tra la Bielorussia e l’Unione Europea non solo calasse il gelo, ma che si aprisse uno scontro diplomatico la cui fine non si riesce ancora a intravedere.
    Che le relazioni tra Minsk e Bruxelles fossero ormai irrimediabilmente incrinate si era capito già da tempo, almeno da quando l‘Unione Europea aveva dichiarato “illegale” l’insediamento dell’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, riconoscendo nella leader dell’opposizione, Sviatlana Tsikhanouskaya, la presidente eletta e guida ad interim del Paese. Tuttavia, aldilà delle denunce e delle prese di posizione, alla fine del 2020 l’azione delle istituzioni europee non era sembrata così decisa per sostenere il popolo bielorusso oppresso da quello che viene definito “l’ultimo dittatore d’Europa”. Fatta eccezione per i tre pacchetti di sanzioni contro il regime e l’assegnazione del Premio Sakharov per la libertà di pensiero ai leader dell’opposizione.
    Il dirottamento dell’aereo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk da parte delle autorità bielorusse (23 maggio 2021)
    Ma dopo mesi di silenzio da parte dell’Unione Europea – in cui la repressione delle proteste pacifiche e del dissenso in Bielorussia è comunque continuata senza sosta (come ha recentemente ricordato Tsikhanouskaya alla plenaria del Parlamento UE) – la crisi è scoppiata il 23 maggio con il dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk. L’azione bollata come “terrorismo di Stato” da parte dei leader UE è stata voluta dallo stesso dittatore bielorusso per arrestare il giornalista e oppositore politico, Roman Protasevich, che stava viaggiando su quell’aereo. La risposta di Bruxelles è stata la chiusura dello spazio aereo alla compagnia di bandiera bielorussa, Belavia, e il lancio di sanzioni economiche contro il Paese.
    Da quel momento i rapporti tra Unione Europea e Bielorussia si sono disintegrati, complice anche la fragilità del regime di Lukashenko, messo in crisi dalle misure restrittive di un importante partner commerciale quale è l’UE. Come un animale accecato da una ferita, il dittatore si è reso ancora più dipendente dal presidente russo, Vladimir Putin, annunciando poi la sospensione della propria partecipazione al Partenariato orientale e giocandosi la carta che sarebbe diventata dominante nei mesi a seguire: una nuova rotta migratoria aperta artificialmente dal regime bielorusso verso le frontiere dell’Unione.
    La questione era stata sollevata per la prima volta dai Paesi baltici al Consiglio Europeo di giugno, ma allora erano in pochi ad aver capito che la rotta bielorussa avrebbe creato non pochi problemi ai Paesi membri UE. Già a inizio luglio l’incremento di arrivi irregolari di persone migranti in Lituania e Lettonia era stato esponenziale rispetto agli anni precedenti, ma per tutta l’estate il flusso è costantemente aumentato e ha coinvolto anche la Polonia. I leader dell’Unione Europea hanno iniziato a parlare di una “guerra ibrida” condotta dal dittatore della Bielorussia, caratterizzata dall’organizzazione di viaggi per i cittadini dei Paesi del Medio Oriente e dall’Africa subsahariana verso Minsk e di lì verso le frontiere dell’UE.
    Idranti usati dai soldati polacchi contro le persone migranti bloccate alla frontiera con la Bielorussia (16 novembre 2021)
    La mossa di Lukashenko è stata ben calcolata, dal momento in cui sapeva di toccare uno dei tasti più delicati dell’Unione: quello delle divisioni interne nella gestione dei flussi migratori. Non è un caso se i Paesi di frontiera hanno iniziato subito a destinare fondi per la costruzione di barriere di filo spinato e muri, introducendo stati di emergenza e zone rosse che hanno reso inaccessibili a giornalisti e ONG i confini con la Bielorussia. In particolare in Polonia, si sono iniziati a registrare una serie di pushback (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea), mentre a Bruxelles si aprivano duri scontri tra istituzioni comunitarie e tra eurodeputati su come affrontare la crisi: il tema prevalente è diventato presto la possibilità di destinare fondi comunitari per il finanziamento di muri al confine con la Bielorussia.
    Alla fine è passata la linea del ‘no’ della Commissione: “Nel proteggere l’Unione va comunque rispettato il principio di non-respingimento e la possibilità di richiedere la protezione internazionale ai valichi di frontiera”, ha ribadito alla plenaria del Parlamento UE di novembre l’alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell (anche se solo un mese dopo è stato proprio l’esecutivo UE a proporre la sospensione di alcune regole sull’asilo e la migrazione in Polonia, Lituania e Lettonia). Bruxelles si è concentrata su tre direttrici di intervento per cercare di risolvere la crisi lungo la rotta bielorussa: convincere i Paesi di origine delle persone migranti a interrompere i voli verso Minsk, inviare aiuti umanitari alla frontiera e colpire con un nuovo pacchetto di sanzioni i responsabili del favoreggiamento della tratta di migranti per scopi politici. Una tattica che al momento sembra aver tamponato una situazione che non è mai stata disperata in termini numerici – mai più di diecimila persone migranti in tutto il territorio bielorusso, secondo le stime più negative – ma lo stesso non si può dire in termini umani.
    La leader bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, e il presidente del Parlamento UE, David Sassoli (24 novembre 2021)
    In tutti questi mesi di crisi alla frontiera l’errore che però l’Unione Europea ha commesso spesso è stato quello di dimenticare la situazione interna in Bielorussia (anche questo era uno degli obiettivi di Lukashenko). Nel Paese si contano almeno 882 prigionieri politici, un regime del terrore che ha messo in ginocchio non solo l’opposizione, ma anche qualsiasi voce critica e il giornalismo indipendente. In ordine temporale, gli ultimi a essere condannati sono stati Maria Kolesnikova e Maksim Znak, membri del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa, e il marito della leader Tsikhanouskaya, Siarhei Tsikhanouski, imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali). Dietro le sbarre c’è anche Ales Bialiatski, uno dei vincitori del Premio Sakharov e fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna.
    La leader bielorussa Tsikhanouskaya, presidente eletta riconosciuta dall’UE, ha spiegato dettagliatamente quali sono i passi per non far passare invano un altro anno: isolamento del regime, limitazioni alle risorse e rafforzamento della resistenza democratica. Se era difficile pensare a un anno più tormentato per le relazioni tra l’Unione Europea e la Bielorussia, non risulta molto più semplice immaginare come evolverà la situazione nel 2022. Una delle poche certezze è che Bruxelles dovrebbe iniziare a dare più ascolto alle voci che lottano contro il regime di Lukashenko dall’interno, o rischierà di essere messa di nuovo in crisi su piani che fatica a gestire e che scavano divisioni ancora più profonde all’interno dell’Unione.

    Dopo le elezioni-farsa dell’agosto dello scorso anno, nel 2021 è scoppiata la crisi tra Bruxelles e Minsk. Dopo le sanzioni economiche imposte dall’UE, Lukashenko ha risposto aprendo una nuova rotta migratoria. Ma rimane drammatica anche la situazione dell’opposizione nel Paese

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    Condannato a 18 anni il marito della leader dell’opposizione bielorussa Tsikhanouskaya. L’UE: “È un processo farsa”

    Strasburgo – Non si è fatta attendere la risposta dell’Unione Europea alla condanna a 18 anni di prigione per Siarhei Tsikhanouski, marito della leader dell’opposizione bielorussa e presidente ad interim riconosciuta dall’Unione, Sviatlana Tsikhanouskaya. “Queste sentenze sono esempi delle accuse infondate contro i cittadini della Bielorussia che hanno esercitato il loro diritto di espressione e chiesto elezioni libere ed eque”, ha puntato il dito contro il regime di Alexander Lukashenko l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri, Josep Borrell. “Queste sentenze fanno parte della continua repressione brutale e sistematica di tutte le voci indipendenti nel Paese”, ha puntualizzato Borrell.
    Tsikhanouski, blogger e attivista pro-democrazia, era stato imprigionato il 29 maggio dello scorso anno, con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alla campagna elettorale per le presidenziali contro l’attuale dittatore Lukashenko. Oggi (martedì 14 dicembre) nella città di Homiel è stato condannato insieme ad altri cinque prigionieri politici “con dubbie accuse di preparazione di disordini di massa e incitamento all’odio in un processo a porte chiuse”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).
    “L’UE ribadisce la sua richiesta di rilascio immediato e incondizionato di tutti i 920 prigionieri politici in Bielorussia”, ha aggiunto l’alto rappresentante Borrell. Oltre ai cinque pacchetti di sanzioni già in atto nei confronti del regime di Lukashenko, “l’UE considera ulteriori misure restrittive“. Da Strasburgo il presidente del Parlamento UE, David Sassoli, ha condannato “questo processo farsa e le sentenze politicamente motivate” in Bielorussia. “Ci schiereremo sempre contro la repressione di Lukashenko e sosterremo coloro che lottano per un Paese libero e democratico. Siamo con voi”, ha promesso Sassoli.

    The @Europarl_EN condemns this sham trial and the politically motivated sentences.
    We will always speak out against Lukashenko’s repression and support those fighting for a free and democratic Belarus.
    We stand with you. https://t.co/pOtgpRDCX5
    — David Sassoli (@EP_President) December 14, 2021

    Diciotto anni di prigione per Siarhei Tsikhanouski, accusato di “preparazione di disordini di massa e incitamento all’odio”. L’alto rappresentante UE Borrell ha anticipato che Bruxelles considererà “ulteriori sanzioni al regime Lukashenko”

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    La leader dell’opposizione bielorussa Tsikhanouskaya chiama l’UE all’azione: “Non abbiamo un altro anno di tempo”

    Bruxelles – “In questo momento ci sono più prigionieri politici in Bielorussia che eurodeputati in quest’Aula”. Potrebbero bastare solo queste parole rivolte dalla leader dell’opposizione bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, all’emiciclo del Parlamento UE per tracciare la gravità della situazione e delle violazioni dei diritti umani nella Bielorussia di Alexander Lukashenko.
    Una lunga standing ovation da parte degli eurodeputati ha accolto “una delle leader più prestigiose dell’opposizione democratica in Bielorussia”, come l’ha presentata il presidente del Parlamento UE, David Sassoli. Proprio l’invito di Sassoli ha riportato in plenaria la presidente ad interim riconosciuta dall’Unione Europea, vincitrice (insieme ai compagni e alle compagne di lotta) del Premio Sakharov per la libertà di pensiero del 2020: “È un simbolo per la democrazia e la libertà ed è la voce dei prigionieri politici in carcere che non vogliamo dimenticare“, ha sottolineato il presidente del Parlamento UE, che ha definito quel regime “una tirannia”, nel suo discorso di apertura, richiamando “anche le altre istituzioni comunitarie” a essere “all’altezza della difesa dei diritti fondamentali e dei valori europei che non sono in vendita”.
    La standing ovation degli eurodeputati per la leader dell’opposizione democratica bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya (24 novembre 2021)
    Prendendo parola, Tsikhanouskaya si è soffermata proprio sul fatto che tra gli 882 prigionieri politici in Bielorussia, ci sono anche i vincitori del Premio Sakharov “che un anno fa erano presenti nell’Aula di Bruxelles”. Il riferimento è ad Ales Bialiatski, fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, che “dimostra quanto la crisi sia più vicina di quanto sembri”. Nonostante le “decisioni senza precedenti della Commissione e il sostegno del Parlamento Europeo”, la leader dell’opposizione bielorussa ha richiamato l’UE all’azione: “Perdonate la mia schiettezza, ma devo dirlo, è tardi e ora tocca agli europei mostrare il loro impegno per i valori democratici e la dignità umana con misure più incisive”.
    Se alla fine del 2020 Tsikhanouskaya parlava di un “risveglio dei cittadini bielorussi” e chiedeva già il supporto dell’Unione, quasi 365 giorni dopo ha avvertito che “non abbiamo un altro anno a disposizione, non ce l’ha la Bielorussia e nemmeno l’Europa”. All’escalation di violenza del regime di Lukashenko si oppone la resistenza del popolo bielorusso, che “vuole nuove elezioni presidenziali e trova modi di protestare nonostante l’intensa pressione politica”. È però necessario che l’UE si risvegli e diventi “più proattiva di fronte all’autocrazia di Lukashenko“, ha esortato la leader dell’opposizione bielorussa.
    Per spiegare meglio il concetto, Tsikhanouskaya ha utilizzato una metafora efficace: “Le dittature sono come un virus che infetta il corpo, sappiamo che più la malattia viene ignorata, più sarà difficile curarla in futuro”. Di qui la necessità di “non rimanere ad aspettare e vedere cosa succede, ma è cruciale passare all’azione”, attraverso una strategia divisa in tre parti: “Isolamento, per prevenire la sua diffusione, trattamento, per rimuovere i suoi effetti negativi, e immunità, per mantenere il corpo in buona salute”.
    Una nuova strategia per la Bielorussia
    La prima parte della strategia riguarda l’isolamento e il non riconoscimento del regime: “Molti bielorussi sono feriti nel vedere che ancora oggi i media europei più influenti chiamano Lukashenko ‘presidente’, quando non lo è”, ha cercato di sensibilizzare la stampa Tsikhanouskaya. La leader dell’opposizione bielorussa ha spiegato che “in questo modo si forma una percezione sbagliata tra milioni di cittadini dell’UE” su un politico che “ha illegalmente usurpato il potere presidenziale con la violenza”. Se Bruxelles non considera valide le elezioni-farsa dell’agosto del 2020, “bisogna impostare una politica di non riconoscimento coerente“. Per esempio “non si dovrebbero nominare nuovi ambasciatori in Bielorussia, ricevere ambasciatori del regime, o invitare rappresentanti a eventi internazionali”, ma si dovrebbe anche “sospendere l’appartenenza del regime all’Interpol”. Tutto questo “manderebbe un segnale che gli abusi non saranno più tollerati“, ha aggiunto la presidente ad interim.
    La leader dell’opposizione democratica bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, al Parlamento UE (24 novembre 2021)
    In secondo luogo, servono pressioni sul regime e limitazioni all’accesso di risorse: “Vi assicuro che le sanzioni economiche funzionano, continuate a mantenere questa politica”. Tsikhanouskaya ha spiegato che le misure restrittive “dividono le élite attorno a Lukashenko e distruggono gli schemi di corruzione, perché nessuno vuole condividere le responsabilità dei crimini del regime”. Così come fatto con gli ultimi pacchetti di sanzioni, “non vanno ascoltati i lobbisti e vanno coordinate le azioni con Londra e Washington”. Secondo la leader dell’opposizione bielorussa, è necessario anche “perseguire i trasgressori dei diritti umani secondo la giurisdizione penale universale“.
    L’ultima parte della strategia riguarda il rafforzamento della resistenza democratica della società bielorussa. Tsikhanouskaya ha chiesto all’UE di “dare più assistenza al nostro popolo”, seguendo la linea di flessibilità del pacchetto di investimenti da 3 miliardi di euro che verrà sbloccato solo quando in Bielorussia saranno rispettato i diritti umani. “La gente deve sentire di non essere abbandonata“, è stata l’esortazione della presidente legittima riconosciuta dall’UE, che ha invitato le istituzioni comunitarie a “non permettere che il regime manipoli il traffico di migranti per oscurare la catastrofe dei diritti umani all’interno del Paese”. Sia i cittadini bielorussi sia le persone migranti sono “ostaggi del regime e questi due problemi non possono essere risolti separatamente”, ha specificato.
    Il 2021 visto dall’opposizione bielorussa
    Inseguendo il sogno di “un’Europa unita nei nostri valori condivisi di rispetto dei diritti umani, di governo rappresentativo e costituzionale, e dello Stato di diritto”, per l’opposizione democratica bielorussa il 2021 è stato un anno particolarmente difficile e Tsikhanouskaya l’ha spiegato passo per passo al Parlamento UE. “A gennaio la polizia ha iniziato ad arrestare i cittadini dissenzienti, facendo irruzione nelle loro case”, mentre a febbraio anche la stampa è finita nel mirino, quando le giornaliste Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova sono state condannate a due anni di carcere “solo per aver riferito sulle proteste e dopo essere state picchiate dalle forze di sicurezza”. A marzo, “mentre l’Europa parlava di una situazione che si stava stabilizzando”, centinaia di persone sono state arrestate “semplicemente per essere state all’aperto nel giorno dell’indipendenza”. In aprile, il ministro degli Esteri del regime, Vladimir Makei, “ha promesso di distruggere la società civile, ma l’interesse dei media europei per la Bielorussia stava rapidamente svanendo”.
    La leader dell’opposizione democratica bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, al Parlamento UE (24 novembre 2021)
    È stato maggio il punto di svolta. Dopo la chiusura del sito di notizie indipendente TUT.BY, si è verificato lo scandalo del dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk e il rapimento del giornalista e oppositore politico, Roman Protasevich. Solo allora, “dopo nove mesi interi dall’inizio della catastrofe dei diritti umani in Bielorussia”, l’UE ha preso le prime misure contro il regime, ha ricordato la leader dell’opposizione bielorussa con una nota di disappunto. Con l’approvazione delle sanzioni economiche contro il regime di Lukashenko, “a giugno molti politici europei si preoccupavano che le misure potessero danneggiare i bielorussi, come se non stessero già soffrendo”. A luglio l’aspirante candidato presidenziale Viktor Babariko è stato condannato a 14 anni di prigione e ad agosto l’atleta olimpica Krystina Tsimanouskaya è stata quasi rapita durante i Giochi di Tokyo “semplicemente per aver criticato la gestione sportiva bielorussa”.
    A settembre è arrivata anche la condanna a 11 anni di prigione per una delle tre leader dell’opposizione bielorussa, Maria Kolesnikova, mentre l’informatico Andrey Zeltser è stato ucciso nel corso un’incursione del KGB nel suo appartamento: “Sua moglie, unica testimone, è stata mandata in un ospedale psichiatrico”. A ottobre è esplosa la crisi dei migranti, che già da mesi si era manifestata alle frontiere dell’UE. Fino ad arrivare a oggi, a novembre, con “migliaia di cittadini stranieri presi in ostaggio dal regime che sono finiti al centro dell’attenzione dell’Unione Europea“, mentre “nove milioni di bielorussi lo sono ogni giorno da più di un anno”, ha ricordato Tsikhanouskaya. “Ma pensate davvero che si fermerà qui? La Lituania e la Polonia stanno affrontando la più grande prova della loro sicurezza alle frontiere, ma le minacce aumenteranno ancora”, è stato l’avvertimento all’UE della leader dell’opposizione bielorussa.
    “Ascoltiamo e rendiamo omaggio Tsikhanouskaya”, è stato il messaggio dell’eurodeputato del Partito Democratico Massimiliano Smeriglio. Raccontando di repressione, di prigionieri politici, della chiusura di tutti i media indipendenti e delle ONG, e dello sfruttamento delle persone migranti alla frontiera dell’UE, “ci ricorda che in Bielorussia il tempo si misura in lacrime e ci chiede di esserci, di fare la nostra parte, di non lasciarli soli“, ha aggiunto l’europarlamentare italiano.

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    Bielorussia, condannati gli oppositori Kolesnikova e Znak. L’UE: “Minsk disprezza i diritti umani. Siano rilasciati subito”

    Bruxelles – È arrivato il verdetto. Maria Kolesnikova e Maksim Znak, membri del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa, sono stati condannati dal tribunale regionale di Minsk rispettivamente a 11 e 10 anni di carcere. Entrambi sono stati ritenuti colpevoli di aver incitato la popolazione a “commettere azioni contro la sicurezza nazionale, di cospirazione per impadronirsi del potere con mezzi incostituzionali e di creazione e direzione di una formazione estremista”. In altre parole, di aver organizzato le proteste popolari e la piattaforma di opposizione al presidente Alexander Lukashenko, dopo le elezioni-farsa del 9 agosto dello scorso anno.
    Il processo a carico dei due imputati era iniziato un mese fa, dopo quasi un anno di detenzione. A settembre dello scorso anno aveva fatto scalpore la vicenda dell’arresto di Kolesnikova. L’attivista – che aveva diretto il quartier generale del candidato presidenziale Viktor Babariko e successivamente aveva offerto sostegno alla campagna elettorale di Sviatlana Tsikhanouskaya – era stata rapita dai servizi segreti bielorussi a Minsk in pieno giorno. Portata alla frontiera con l’Ucraina, le autorità avevano tentato di espellerla dal Paese, ma Kolesnikova si era opposta e aveva distrutto il suo passaporto. A quel punto era stata arrestata e portata in isolamento nel carcere della capitale.
    “L’Unione Europea deplora la continua palese mancanza di rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali del popolo bielorusso da parte del regime di Minsk “, è stata la condanna di Bruxelles, attraverso una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). “Ribadiamo la richiesta di rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici in Bielorussia“, che al momento “sono più di 650”. Tra questi, oltre Kolesnikova e Znak, anche “giornalisti e tutte le persone che sono dietro le sbarre per aver esercitato i loro diritti”.
    L’UE ha avvertito il regime di Lukashenko che “deve rispettare i suoi impegni e obblighi internazionali” e che le istituzioni europee continueranno i loro “sforzi per promuovere la responsabilità della brutale repressione da parte delle autorità bielorusse”. Dopo le sanzioni economiche contro Minsk e i quattro pacchetti di misure restrittive nei confronti di persone e aziende vicine al regime, è attesa a stretto giro a Bruxelles l’adozione di un quinto pacchetto di sanzioni mirate.
    Per quanto riguarda il processo che ha portato alle condanne per i due membri del Presidium dell’opposizione democratica, l’UE ha bollato come “infondate” le accuse del tribunale di Minsk. Anche la leader dell’opposizione e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha puntato il dito contro gli uomini di Lukashenko: “Si tratta di terrore contro i cittadini bielorussi che osano opporsi al regime“, ha commentato su Twitter. “Chiediamo l’immediato rilascio di Maria e Maksim, che non sono colpevoli di nulla”.

    The regime sentenced Maria Kalesnikava & Maksim Znak to 11 & 10 years in prison. We demand the immediate release of Maria & Maksim, who aren’t guilty of anything. It’s terror against Belarusians who dare to stand up to the regime. We won’t stop until everybody is free in Belarus. pic.twitter.com/RbnefQzX0q
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) September 6, 2021

    I due membri del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa sono stati riconosciuti colpevoli di cospirazione e direzione di una formazione estremista. Accuse definite “infondate” da Bruxelles, che invoca il rispetto degli obblighi internazionali

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    Bielorussia, tutti contro Lukashenko: UE e Stati Uniti tengono alta l’attenzione su repressioni interne e flussi migratori

    Bruxelles – Prosegue su due binari, quello della repressione dell’opposizione interna e quello della facilitazione del flussi migratori, la strategia del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, per rafforzare la sua posizione nel Paese e sullo scacchiere internazionale. Nonostante le sanzioni economiche imposte a Minsk dall’Unione Europea e le condanne internazionali per la violenze nei confronti di attivisti e giornalisti indipendenti, l’ultimo dittatore d’Europa cerca di non mollare la presa, giocandosi le ultime carte per mettere a tacere le voci critiche.
    Da mesi si sta stringendo sempre più il cappio al collo dei media, come dimostrato anche dallo scandalo internazionale del dirottamento dell’aereo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk per arrestare il giornalista Roman Protasevich, e la compagna, Sofia Sapega. Ieri (mercoledì 28 luglio) un tribunale della Bielorussia ha dichiarato “estremista” Belsat TV, televisione indipendente con sede in Polonia, dopo la minaccia del ministero dell’Interno di multare e incarcerare chiunque condivida informazioni provenienti da questo canale d’informazione.
    L’ingiunzione del Tribunale, che ha bloccato il sito web Belsat e tutti i suoi account social in Bielorussia, è l’ultimo atto di un’intensa azione di repressione dei media e della società civile: lo stesso Lukashenko ha affermato di voler “ripulire” il Paese da attivisti e media indipendenti, che a suo avviso hanno l’unico obiettivo di sovvertire l’ordine pubblico. Il vicedirettore della testata, Aleksy Dzikawicki, ha annunciato che il canale continuerà il suo lavoro in ogni caso: “Continueremo a portare informazioni indipendenti in bielorusso e senza censura”. Con un affondo al regime: “Chi detiene il potere in Bielorussia chiama ‘estremisti’ tutti coloro che si oppongono alla violenza e al terrore imposto dopo le elezioni truccate, cioè la stragrande maggioranza dei propri cittadini”.
    La situazione tragica del giornalismo bielorusso è stata recentemente descritta alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo da Stanislav Ivashkevich, reporter di Belsat TV, ma risale già a cinque mesi fa la condanna a due anni di carcere per due colleghe della stessa emittente, Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova, per aver ripreso la manifestazione in memoria dell’attivista Raman Bandarenka nel novembre dello scorso anno. Senza dimenticare il blocco di Tut.by, uno dei più importanti siti di informazione bielorussi, e l’arresto dei giornalisti della redazione lo scorso 18 maggio.
    Da Bruxelles è arrivata la ferma condanna della decisione del tribunale bielorusso: “È un altro esempio della repressione della libertà di espressione e di informazione sotto il regime di Lukashenko, che mira a mettere a tacere tutte le voci indipendenti”, ha accusato la portavoce della Commissione UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali. Da Washington invece è arrivata la reazione della leader dell’opposizione bielorussa e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya: “I giornalisti sanno che stanno facendo la cosa giusta e stanno combattendo per la libertà del nostro Paese”.

    Belarus: EU deplores recent court decision declaring Belsat TV channel “extremist”. Another example of the crackdown on freedom of expression and freedom of information under the Lukashenko regime, aiming to silence all independent voices.
    — Nabila Massrali (@NabilaEUspox) July 28, 2021

    La dichiarazione di Tsikhanouskaya è arrivata durante il suo viaggio negli Stati Uniti, che l’ha portata a incontrare il presidente democratico, Joe Biden, il segretario di Stato, Antony Blinken, e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan. L’obiettivo è quello di raccogliere sostegno per un’azione più decisa contro il presidente Lukashenko, oltre a quello attuato – le sanzioni economiche – e promesso – il pacchetto di investimenti da 3 miliardi di euro per il futuro democratico del Paese – dall’Unione Europea. La leader dell’opposizione bielorussa ha esortato Washington a imporre misure restrittive alle aziende petrolifere, di potassio, dell’acciaio e del legno legate al regime. “Lukashenko capisce solo il linguaggio della forza. Ecco perché le sanzioni devono essere estremamente dure”.
    Il presidente Biden ha ribadito il suo sostegno alla società civile in Bielorussia nel corso del colloquio di ieri con Tsikhanouskaya alla Casa Bianca, definendosi “onorato” dell’incontro con la leader dell’opposizione: “Gli Stati Uniti sono al fianco del popolo bielorusso nella sua ricerca della democrazia e dei diritti umani universali”, ha fatto sapere via Twitter. Da parte sua, Tsikhanouskaya ha ringraziato Biden per il “potente segno di solidarietà con milioni di impavidi bielorussi” che stanno combattendo “pacificamente per la libertà”. Il Paese dell’Est Europa in questo momento “è in prima linea nella battaglia tra democrazia e autocrazia”, ha aggiunto su Twitter: “Il mondo è con noi, la Bielorussia sarà una storia di successo”.

    I was honored to meet with @Tsihanouskaya at the White House this morning. The United States stands with the people of Belarus in their quest for democracy and universal human rights. pic.twitter.com/SdR6w4IBNZ
    — President Biden (@POTUS) July 28, 2021

    Ma intanto a Bruxelles c’è apprensione anche su un altro fronte, quello del ricatto di Lukashenko all’Unione attraverso l’apertura della rotta bielorussa alle persone migranti verso la Lituania. La Commissione UE ha attivato il meccanismo europeo di protezione civile per aiutate il Paese membro ad affrontare un flusso che dall’inizio dell’anno conta oltre 2.100 migranti e richiedenti asilo, quasi tre volte in più di tutto lo scorso anno. I Paesi di provenienza sono soprattutto africani (Repubblica del Congo, Gambia, Guinea, Mali e Senegal) e mediorientali (Iraq, Iran e Siria).
    Non a caso l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è messo in contatto con il ministro degli Esteri iracheno, Fuad Hussein. “Ho avuto una buona conversazione su come affrontare l’aumento del numero di cittadini iracheni che attraversano irregolarmente la Bielorussia verso la Lituania”, ha fatto sapere su Twitter. “Questo è motivo di preoccupazione per l’intera UE. Contiamo sul sostegno dell’Iraq“. In aggiunta, la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha comunicato che sarà in visita in Lituania il primo e il 2 agosto, per ribadire l’opposizione del gabinetto von der Leyen “all’ondata di aggressione” di Minsk.
    Durante il punto quotidiano con la stampa il portavoce per gli Affari interni, la migrazione e la sicurezza interna, Adalbert Jahnz, ha confermato il supporto dell’esecutivo UE alla Lituania, negando qualsiasi tentativo di pushback alla frontiera con la Bielorussia (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea). “Dalla composizione dei gruppi di migranti arrivati è evidente che non si tratta di aventi il diritto di richiedere l’asilo e perciò diventa centrale il tema del rimpatrio di queste persone“. Desta però particolare perplessità tra i giornalisti a Bruxelles la decisione del governo lituano – non ostacolato nemmeno a parole dall’esecutivo comunitario – di costruire un muro lungo i 678,8 chilometri di confine tra la Lituania e la Bielorussia, per una spesa pari a circa 48 milioni di euro.

    Good conversation w/ Iraqi Foreign Minister @Fuad_Hussein1 yesterday on how to tackle increased number of Iraqi citizens irregularly crossing from Belarus into Lithuania.
    This is an issue of concern not only for one Member State but for the entire EU. We count on Iraq’s support.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 28, 2021

    Mentre il sito di informazione indipendente Belsat è stato dichiarato “estremista” da Minsk, la leader dell’opposizione Tsikhanouskaya ha incontrato il presidente Biden a Washington. Bruxelles preoccupata per l’aumento dei migranti iracheni verso la Lituania

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    Bielorussia, alta tensione sul confine della Lituania. Michel: “Questa è la frontiera dell’Unione Europea”

    Bruxelles – È entrata nel vivo la sfida diplomatica tra Unione Europea e Bielorussia e per la prima volta Bruxelles si trova a dover rispondere ad azioni di ritorsione da parte del regime del presidente Alexander Lukashenko. Dopo l’imposizione delle sanzioni nei confronti dell’economia bielorussa, Minsk ha deciso di giocare la carta della migrazione irregolare verso la Lituania per far pressione sui Ventisette e spingerli a ritirare le misure restrittive. Ma proprio da Vilnius è arrivata la secca risposta del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “I confini lituani sono i confini europei“. Tradotto: ogni tentativo di “strumentalizzare la migrazione illegale per esercitare pressione” sugli Stati membri UE sono un attacco all’Unione nel suo insieme. E come tali saranno affrontati dalle istituzioni europee.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al valico di frontiera di Padvaronys, Lituania (6 luglio 2021)
    “Sono impegnato in prima persona per garantire la solidarietà degli Stati membri verso la Lituania“, ha confermato Michel durante la sua visita nel Paese (in programma tra ieri e oggi). “È questo il senso della reazione rapida di Frontex”, che da giovedì scorso (primo luglio) ha iniziato a mobilitare personale e mezzi “a sostegno delle autorità lituane e lettoni per prevenire il rischio di un aumento della pressione migratoria” sui due Paesi. Solo nel mese di giugno le autorità di Vilnius hanno registrato 412 ingressi irregolari sul territorio nazionale dalla Bielorussia, più di cinque volte il numero totale del 2020. Durante la conferenza stampa congiunta con il presidente lituano, Gitanas Nauseda, Michel ha ribadito che “l’Unione Europea ha attuato sanzioni contro la Bielorussia e continua a lottare per promuovere i nostri valori”.
    Proprio in merito alle sanzioni europee, non si è fatta attendere la risposta del presidente bielorusso Lukashenko, che ha incaricato il governo di limitare il transito delle merci in risposta alle sanzioni occidentali. “Sappiamo chi negli Stati Uniti, in Germania e in altri Paesi europei non vuole fornire componenti e materiali base alle nostre imprese”, tra cui “Skoda e Nivea“, ha attaccato, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa russa Interfax. “Prima di tutto, sono esclusi dal mercato bielorusso e, in secondo luogo, è vietato il transito attraverso la Bielorussia”.

    Lithuanian borders are European borders.
    The EU implemented sanctions against #Belarus and keeps fighting to promote our values.
    You can count on the EU to bring more support to #Lithuania and its people. @IngridaSimonyte pic.twitter.com/N0gwT72U7D
    — Charles Michel (@eucopresident) July 6, 2021

    Ma rimane caldo anche il fronte interno. Oggi la Corte suprema della Bielorussia ha condannato a 14 anni di prigione Viktor Babariko, ex-capo della banca Belgazprombank ed ex-candidato alle elezioni presidenziali del 2020, arrestato poche settimane prima del voto (insieme al figlio). È il primo avversario politico di Lukashenko ad essere condannato, con l’accusa di riciclare fondi ottenuti in modo criminale e di aver ricevuto una mega-tangente da 30,5 milioni di rubli bielorussi (più di 10 milioni di euro) quando era a capo di Belgazprombank.
    La difesa del banchiere ha bollato la sentenza come “politicamente motivata”, considerati anche l’arresto e la detenzione in un centro del KGB per impedirgli la corsa alla poltrona di presidente della Bielorussia. Anche l’Unione Europea ha chiesto il “rilascio immediato e incondizionato” di Babariko, “nonché di tutti i prigionieri politici, i giornalisti detenuti e le persone che si trovano dietro le sbarre per aver esercitato i loro diritti fondamentali”, ha reso noto il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano. Viktor Babariko “voleva vedere la Bielorussia come un Paese giusto, equo e aperto. Il regime si vendica di lui in modo orribile”, ha commentato la leader dell’opposizione e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Proprio la legittimazione di Tsikhanouskaya da parte dell’Unione Europea sta diventando un elemento sempre più significativo nell’approccio dell’Occidente verso la Bielorussia. Ieri (5 luglio) il ministro degli Affari esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha conferito lo status diplomatico all’ufficio di rappresentanza della democrazia bielorussa guidato da Tsikhanouskaya: “Sono profondamente grata per l’enorme sostegno e per essere stati i primi ad accoglierci. Insieme, dimostriamo che la Bielorussia non è Lukashenko”, ha rivendicato durante la cerimonia ufficiale. Nel corso della sua visita a Vilnius, anche il presidente del Consiglio UE Michel ha incontrato la leader dell’opposizione, per ribadire che i Ventisette sono “fermamente con il popolo della Bielorussia” e che “il legittimo appello a un futuro democratico e al rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani deve essere finalmente ascoltato”.

    The #EU stands firmly with the people of #Belarus and will continue to do so.
    The legitimate call for a democratic future and respect for fundamental freedoms and human rights must finally be heeded. pic.twitter.com/DyTB6iBfUw
    — Charles Michel (@eucopresident) July 6, 2021

    Visita del presidente del Consiglio UE a Vilnius per denunciare la strumentalizzazione della migrazione illegale da parte del regime di Lukashenko. Intanto è stato condannato a 14 anni di prigione l’ex-candidato alle elezioni presidenziali 2020, Viktor Babariko

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    Bielorussia, adottato il quarto pacchetto di sanzioni UE in coordinamento con Stati Uniti, Canada e Regno Unito

    Bruxelles – E sono quattro. Il Consiglio Affari Esteri ha adottato oggi (lunedì 21 giugno) un nuovo pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea contro il regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. Repressione delle proteste pacifiche, dirottamento di un volo di linea internazionale, violenze contro gli oppositori politici e violazioni dei diritti umani: è lunga la lista delle motivazioni che hanno spinto i ministri degli Esteri europei ad aggiornare la lista nera di individui e aziende da colpire con misure restrittive.
    “Oggi abbiamo lavorato sodo e abbiamo deciso di imporre un ampio pacchetto di sanzioni nei confronti di 78 persone e 8 entità bielorusse“, ha spiegato l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Un’azione attuata per “influenzare il comportamento dei responsabili”, soprattutto della vicenda del dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius e il successivo arresto del giornalista Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega. L’alto rappresentante UE ha avvertito che “non è esclusa una quinta tornata di sanzioni“, dal momento in cui “non abbiamo la bacchetta magica, ma questo è uno strumento pesante che può contribuire a sfiancare persone, istituzioni e aziende vicine al regime”. Una visione confermata anche dalla leader dell’opposizione democratica e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, che durante il suo intervento alla riunione dei ministri “ha fornito molti consigli utili a questo riguardo”.
    Il fattore di novità del quarto ciclo di sanzioni è il coordinamento dell’Unione Europea con Stati Uniti, Canada e Regno Unito. “Ci impegniamo a sostenere le aspirazioni democratiche a lungo represse del popolo bielorusso e siamo uniti per imporre costi al regime per il suo palese disprezzo degli impegni internazionali”, si legge nella nota congiunta. Le richieste sono sempre le stesse – “cooperare con le indagini internazionali sugli eventi del 23 maggio, rilasciare i prigionieri politici, avviare un dialogo politico con i rappresentanti dell’opposizione democratica” – ma l’azione armonica del blocco delle potenze occidentali, guidata da Bruxelles, potrebbe essere una vera svolta nella risposta internazionale al regime di Lukashenko.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Per quanto riguarda l’aggiornamento della lista nera, sono ora 166 le persone e 15 le entità destinatarie di sanzioni che “inviano un ulteriore forte segnale ai sostenitori del regime”. Congelamento dei beni, divieto di viaggio nell’UE e impossibilità per i cittadini e le imprese europee di mettere fondi a loro disposizione: “Appoggiare il regime di Lukashenko ha un costo sostanziale”. Tra i nomi compaiono anche quello di uno dei tre figli di Lukashenko, Dimitry, e la nuora Liliya (già dal 6 novembre è incluso il primogenito Viktor, consigliere per la Sicurezza nazionale), ma anche importanti uomini d’affari della cerchia ristretta del presidente: Siarhei Tsiatseryn, nel settore dei prodotti alimentari, Mikhail Gutseriev, imprenditore russo dell’energia e del potassio e Aliaksey Aleksin, con interessi che vanno dal petrolio al tabacco.
    Nel mirino di Bruxelles sono finiti anche uomini della propaganda di regime, come Andrei Mukavozchyk, giornalista di Belarus Today (quotidiano dell’amministrazione presidenziale) e Siarhei Gusachenka, vicepresidente della televisione di Stato, Belteleradio. Compaiono inoltre professori e rettori universitari, come il vicerettore dell’Università statale di economia, Siarhei Skryba, il rettore dell’Università statale di medicina, Siarhei Rubnikovich, e quello dell’Accademia statale delle arti, Mikhail Barazna, tutti ritenuti responsabili per la decisione di espellere gli studenti che hanno partecipato alle manifestazioni pacifiche contro il regime. Da non dimenticare anche il vicecapo per le strutture detentive del ministero degli Affari interni, Ivan Myslitski, a causa dei trattamenti disumani e degradanti inflitti ai manifestanti, e l’impresa di proprietà dello Stato Belaeronavigatsia, responsabile del controllo del traffico aereo bielorusso: decisivo il suo ruolo in tutta la vicenda del dirottamento del volo Ryanair su Minsk il 23 maggio.
    Dopo il quarto pacchetto di sanzioni contro persone ed entità bielorusse e la decisione del Consiglio di vietare l’ingresso nello spazio aereo UE e l’accesso agli aeroporti dei Paesi membri a tutti i vettori battenti bandiera rosso-verde, sono attese a breve sanzioni economiche contro Minsk. L’alto rappresentante UE ha confermato che “le approveremo secondo le indicazioni che ci arriveranno dal prossimo vertice dei leader europei“, in programma questa settimana (24-25 giugno). “Finora non le abbiamo messe in atto perché creano danni indiscriminatamente all’economia di tutto Paese e colpiscono tutti i cittadini”, ha concluso Borrell, “ma ormai è arrivato il momento di adottare anche questo strumento”.

    L’alto rappresentante Borrell ha annunciato le nuove misure restrittive contro 86 individui e aziende al termine del vertice con i ministri degli Esteri dei Ventisette. Sanzioni economiche settoriali al vaglio del prossimo Consiglio Europeo