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    La condanna a 15 anni di carcere per la leader bielorussa Tsikhanouskaya. L’Ue: “Il regime Lukashenko ne risponderà”

    Bruxelles – Il Paese delle condanne già scritte. A soli tre giorni dalla sentenza a 10 anni di carcere per il Premio Nobel per la Pace 2022, Ales Bialiatski, anche la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha ricevuto la sua condanna – in contumacia – dal regime di Alexander Lukashenko. Quindici anni in prigione, se mai ritornerà nel Paese. O, sarebbe meglio dire, se lo farà mentre l’autoproclamato presidente bielorusso ancora sarà a capo della macchina di repressione dell’opposizione e della libertà di pensiero.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, con la foto del marito Siarhei Tsikhanouski (credits: John Thys / Afp)
    “Quindici anni di carcere, è così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia“, è quanto rende noto la stessa Tsikhanouskaya da Vilnius (Lituania), città in cui vive da esule da quando è stata costretta a fuggire per non fare la fine dei quasi 1.500 oppositori in carcere per la partecipazione alle manifestazioni pacifiche e la richiesta di democrazia nel Paese. “Oggi non penso alla mia condanna, penso a migliaia di innocenti, detenuti e condannati a pene detentive reali”, ha incalzato la leader dell’opposizione, promettendo di non fermarsi “finché ognuno di loro non sarà rilasciato”. Il processo in contumacia a carico di Tsikhanouskaya era iniziato lo scorso 17 gennaio, con accuse di matrice politica – dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista. La pena massima prevista dal Codice penale bielorusso era di 15 anni di reclusione, che nel pomeriggio di ieri (6 marzo) è stata effettivamente inflitta alla leader che aveva corso per le elezioni presidenziali del 2020.
    “È una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia“, era stato l’avvertimento di Tsikhanouskaya durante la sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) dello scorso 22 febbraio. A Minsk è stata modificata la legislazione sulla cittadinanza del 2002 con la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. A questo si aggiunge il fatto che il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo lunedì scorso (27 febbraio): “Vogliono spezzarlo e fare pressione su di me, ma non ce la faranno”.

    15 years of prison.
    This is how the regime “rewarded” my work for democratic changes in Belarus.
    But today I don’t think about my own sentence. I think about thousands of innocents, detained & sentenced to real prison terms.
    I won’t stop until each of them is released. pic.twitter.com/9kQREV0sgl
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 6, 2023

    Le istituzioni Ue contro la Bielorussia di Lukashenko
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (26 maggio 2022)
    “Prima hanno imprigionato il marito, poi hanno arrestato lei, ora la condannano a 15 anni di carcere in contumacia”, è l’attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, al regime di Lukashenko, che “sarà chiamato a risponderne”. Tsihanouskaya “sta pagando le conseguenze della sua lotta per la libertà e la democrazia“, ha incalzato Metsola, che ha promesso di portare avanti “la nostra spinta per una Bielorussia libera”. Da parte della Commissione Ue è stato il titolare per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a condannare l’ennesimo “deplorevole segno di come funziona il regime di Lukashenko”, mentre “il popolo bielorusso sa che la libertà prevarrà”.
    Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle sanzioni dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – sia per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, sia per la partecipazione ormai attiva all’aggressione armata della Russia all’Ucraina. Da mesi gli eurodeputati chiedono all’esecutivo comunitario di inasprire il regime di misure restrittive contro Lukashenko e la sua cerchia, adeguandolo a quello applicato al regime di Putin. Al momento non ci sono novità dal Berlaymont rispetto alle anticipazioni di metà gennaio della presidente Ursula von der Leyen: “Presenteremo presto una nuova tornata di sanzioni contro la Bielorussia”.

    Comminata la pena massima alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue per capi d’imputazione che vanno dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista: “È così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia”

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    La leader bielorussa Tsikhanouskaya esorta a distinguere tra popolo e regime: “Lukashenko alleato di Putin, noi con Kiev”

    Bruxelles – Ripartire dalla società civile per impedire alla Russia di Putin di continuare a sfruttare la Bielorussia come un sostegno e uno Stato vassallo nella guerra contro l’Ucraina. Ma anche per mettere fine a generalizzazioni e discriminazioni nei confronti del popolo bielorusso (e verrebbe da estendere il ragionamento anche a quello russo) come co-belligerante al fianco del Cremlino, anche chi lotta contro il regime di Alexander Lukashenko. Con questi messaggi rivolti a Bruxelles e ai 27 Paesi membri Ue è intervenuta oggi (22 febbraio) alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese), Christa Schweng (22 febbraio 2023)
    “Sono qui in questa Aula a nome del popolo bielorusso”, ha rivendicato Tsikhanouskaya, aprendo il suo discorso di fronte ai rappresentanti della società civile, dei lavoratori e dei datori di lavoro dell’Ue ed elogiandone l’operato: “È cruciale che l’Ue implementi le raccomandazioni del report sui media indipendenti in Bielorussia“, perché “siamo in un momento decisivo per l’Europa, il suo destino si decide sul campo di battaglia in Ucraina ma anche in tutte le capitali europee“. È qui che si inserisce la necessità di supportare la società civile bielorussa: “O difendiamo la democrazia, o lasciamo i dittatori vincere”, ha incalzato la presidente ad interim. Dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, “sono 1.500 i prigionieri politici in tutto il Paese e il numero cresce ogni giorno“, mentre nelle prigioni del regime di Lukashenko “vengono negati i diritti umani basilari”.
    Continuando il suo intervento alla plenaria del Cese, Tsikhanouskaya ha ricordato come “nel suo disperato tentativo di rimanere al potere, Lukashenko sta cercando di colpire anche chi è all’estero” con gli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, che hanno introdotto la possibilità di privare della cittadinanza chi è condannato per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia” – anche in assenza dell’imputato a processo – e rendendo queste persone potenziali apolidi. A questo si aggiunge il voto favorevole di lunedì (20 febbraio) del “Parlamento fantoccio” alla possibilità di punire con la pena di morte soldati e ufficiali per tradimento: in altre parole “chi critica il regime può essere fucilato”.
    L’intervento della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (22 febbraio 2023)
    La leader delle forze di opposizione è direttamente coinvolta nella repressione del regime, anche se ormai da due anni e mezzo esule in Lituania. Lo scorso 17 gennaio è iniziato il processo in contumacia a suo carico, “una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia”, ha attaccato Tsikhanouskaya, ricordando come suo marito, Siarhei Tsikhanouski, stia affrontando nuove accuse penali – dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali e già condannato a 18 anni di reclusione – “per spezzarlo e fare pressione su di me”. Tsikhanouskaya ha poi ricordato Ales Bialiatski, fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna e vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2022, che rischia dai 7 ai 12 anni di carcere per le accuse di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste. In carcere c’è anche Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020, che a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni e da allora non sono più arrivate notizie. “Non riusciranno a spezzarci, siamo più forti, e intanto la dissidenza continua in piccoli gruppi sotterranei”, ha sottolineato con forza la leader dell’opposizione.
    Tra Bielorussia e Ucraina
    La situazione interna è direttamente collegata allo scenario bellico nel Paese confinante. “Bielorussia e Ucraina stanno combattendo lo stesso demone, cioè l’imperialismo della Russia, la nostra lotta è intrecciata”, ha assicurato Tsikhanouskaya, richiamandosi a quanto già dichiarato a ottobre dello scorso anno di fronte ai membri della commissione Affari esteri (Afet) del Parlamento Europeo: “Dalla vittoria dell’Ucraina dipende il futuro democratico in Bielorussia e viceversa”, dal momento in cui il regime di Lukashenko “minaccia non solo il suo popolo, ma anche i nostri vicini ucraini”. È l’autoproclamato presidente bielorusso ad aver “permesso, facilitato ed essersi unito alla Russia in questa guerra in Ucraina” e, mentre il Parlamento Ue continua a chiedere un allineamento delle misure restrittive contro Minsk a quelle applicate a Mosca, la leader delle forze democratiche propone “una task force per controllare l’applicazione delle sanzioni, perché non devono essere aggirate”.
    Allo stesso tempo i Ventisette devono evitare di cadere in un errore grossolano nei confronti del popolo bielorusso (e, di nuovo, il discorso dovrebbe essere esteso anche al popolo russo). “Da quando è scoppiata la guerra, i bielorussi che vivono all’estero subiscono discriminazioni, anche chi combatte contro il tiranno Lukashenko”. Ma è una questione cruciale “distinguere tra il popolo e il regime” in Bielorussia: “Il popolo che vuole libertà e indipendenza sta con Kiev, il regime invece collabora ed è alleato di Putin, anche Lukashenko deve essere portato davanti alla giustizia internazionale”. A Bruxelles e in tutte le capitali europee “va ascoltata la voce del popolo”, che indica come “illegale” la scelta di sospendere il Partenariato orientale: “Per noi è uno strumento cruciale per aiutare il nostro popolo e per continuare la strada che ci porta nell’Ue”, ha concluso con decisione la leader bielorussa Tsikhanouskaya, appoggiata dalla presidente del Cese, Christa Schweng: “Tutti i politici autoritari hanno paura del potere del popolo, investire in Bielorussia significa investire in Europa”.

    🗣️@Tsihanouskaya at the #EESCplenary:
    “The future of Europe is being decided right now on the battlefields of Ukraine, in the Belarusian underground resistance, and in 🇪🇺 capitals.
    Are we as Europeans able to defend democratic values or will we let tyrannies take over again?” pic.twitter.com/UOmX5O42dV
    — EESC President Christa Schweng (@EESC_President) February 22, 2023

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo, la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue ha denunciato le “discriminazioni dei bielorussi all’estero da quando è scoppiata la guerra, ma stiamo combattendo lo stesso demone”

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    L’Ue condanna la legge bielorussa che permette di privare gli oppositori all’estero della cittadinanza (rendendoli apolidi)

    Bruxelles – Una nuova stretta del regime di Alexander Lukashenko contro l’opposizione dentro e fuori la Bielorussia, per privare dei diritti umani di base chi tenta di denunciare l’oppressione che si aggrava giorno dopo giorno nel Paese alleato della Russia di Vladimir Putin. L’Assemblea nazionale della Bielorussia ha dato il via libera agli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, introducendo la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. Si attende ora la ratifica dell’autocrate Lukashenko, mentre l’Ue denuncia “l’ulteriore passo in avanti nella brutale persecuzione del regime bielorusso nei confronti di tutte le voci indipendenti”.
    L’autoproclamato presidente bielorusso, Alexander Lukashenko
    Il disegno di legge approvato dall’Assemblea nazionale della Bielorussia elenca 55 articoli del Codice penale che potrebbero essere considerati per i due reati, già utilizzati da due anni nei processi a sfondo politico. Secondo i dati pubblicati dall’organizzazione bielorussa per i diritti umani Viasna, più di 200 prigionieri politici sono stati accusati di “incitamento all’odio” (articolo 130), 148 di “partecipazione a disordini di massa” (articolo 293) e 140 di “violenza o minaccia di violenza contro un ufficiale delle forze dell’ordine” (articolo 364). A questo si associa anche l’emendamento del Codice penale dello scorso luglio, che autorizza le cosiddette “procedure speciali” per processi penali senza la presenza dell’imputato (per reati come “tentati atti di terrorismo” è stata reintrodotta la pena di morte), in aperta violazione del diritto a un processo equo.
    “I rappresentanti delle forze democratiche, dei media e della società civile, che hanno abbandonato il Paese per sfuggire alle persecuzioni, potrebbero così rischiare di diventare apolidi“, è quanto denuncia la portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Nabila Massrali. Si tratterebbe, in altre parole, di una “violazione del diritto internazionale“, dal momento in cui l’articolo 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo “tutela il diritto alla cittadinanza e ne vieta la privazione arbitraria”. Ma allo stesso tempo la legge violerebbe anche la stessa Costituzione bielorussa, che all’articolo 10 stabilisce che “nessuno può essere privato della cittadinanza bielorussa”. Ad agosto le disposizioni erano state introdotte per revocare la cittadinanza a chi è stato naturalizzato e successivamente condannato per reati contro lo Stato, ma ora la portata della legge si estende a tutti gli oppositori, anche a chi è nato nel Paese e non possiede altra cittadinanza se non quella bielorussa.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (16 dicembre 2020)
    La denuncia di Bruxelles sulla “crescente illegalità in Bielorussia” – rappresentata dai nuovi emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002 – si lega alla detenzione di “più di 1440 prigionieri politici, spesso in condizioni disumane” (erano mille a inizio anno), oltre al fatto che “i processi si svolgono a porte chiuse e le sentenze vengono emesse in contumacia”, ha ricordato la portavoce del Seae. Dopo le proteste di massa dell’agosto 2020 contro il risultato truccato delle elezioni presidenziali e le repressioni che ne sono seguite, migliaia di cittadini sono fuggiti dalla Bielorussia (compresa la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche, Sviatlana Tsikhanouskaya), mentre altri – come la compagna di campagna elettorale Maria Kolesnikova – sono rimasti nel Paese a guidare l’opposizione a Lukashenko. Tra il 2020 e il 2021 si è registrato un aumento di rifugiati e richiedenti asilo bielorussi a livello globale presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) da 7.837 a 11.431. La maggior parte è fuggita in Polonia, Lituania, Lettonia, Germania, Repubblica Ceca, Estonia, Ucraina (prima dell’inizio dell’invasione russa) e Georgia.

    Lo prevedono gli emendamenti alla legislazione del 2002, approvati dall’Assemblea nazionale, nei casi di condanna per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista”, anche senza la presenza dell’imputato. Per Bruxelles si tratta di “violazione del diritto internazionale”

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    Le notizie sullo stato di salute dell’oppositrice bielorussa Maria Kolesnikova preoccupano l’Ue: “Sia subito liberata”

    Bruxelles – Maria Kolesnikova, una delle tre leader di spicco dell’opposizione bielorussa, ha scontato il primo anno di carcere degli 11 a cui è stata condannata, ma le notizie che arrivano da Gomel (nel Sud-est del Paese) sono sempre più preoccupanti. “Maria Kolesnikova è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni, all’avvocato viene negato l’accesso e la diagnosi è tenuta segreta”, ha reso noto il suo entourage, che su Twitter tiene accesi i riflettori su quanto sta vivendo da dietro le sbarre la donna che dall’interno del Paese ha denunciato le violazioni dei diritti fondamentali da parte del regime di Alexander Lukashenko.
    La leader dell’opposizione Maria Kolesnikova e il membro del Presidium del Consiglio di coordinamento Maksim Znak
    Quello che si sa al momento è che né al suo avvocato né al padre viene concesso l’accesso alla stanza dell’ospedale, così come alla diagnosi, con la motivazione della “assenza del consenso scritto di Maria”, riportano i portavoce dell’attivista. Fonti non confermate affermano allo stesso entourage dell’oppositrice bielorussa che “potrebbe avere una perforazione dello stomaco“. La notizia ha raggiunto ieri (mercoledì 30 novembre) anche Bruxelles, con una nuova presa di posizione netta del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae).
    Il portavoce Peter Stano ha messo in chiaro che l’Ue è “estremamente preoccupata” per lo stato di salute di Kolesnikova: “Il regime deve garantirle cure mediche urgenti e adeguate e rilasciarla immediatamente“, dal momento in cui “hanno la responsabilità della sua salute”, ha ribadito oggi (giovedì primo dicembre) nel punto quotidiano con la stampa. Si tratta di una “detenzione illegale, è una prigioniera politica”, ha precisato con forza Stano.

    The diagnosis was not disclosed even to her father. Reason: absence of Maria’s written consent. Unconfirmed sources say Maria might have stomach perforation.
    — Maria Kalesnikava (@by_kalesnikava) November 30, 2022

    Bruxelles continua a ribadire anche la richiesta di “rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici“, il cui numero ha superato i 1350, come ha recentemente reso noto la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya. “L’Ue sta portando il caso nei forum internazionali con i nostri partner”, ha aggiunto Stano nel punto con la stampa europea, ricordando ciò che Bruxelles ha già fatto: “Abbiamo introdotto sanzioni contro la repressione delle violenze” interne al Paese, oltre a quelle per il coinvolgimento di Minsk nella guerra russa in Ucraina.
    “Sappiamo che ai prigionieri politici in Bielorussia viene negata un’adeguata assistenza medica”, ha denunciato su Twitter Tsikhanouskaya: “È impossibile immaginare cosa abbia passato Maria Kolesnikova nella cella di punizione“. La leader dell’opposizione al regime dell’autoproclamato presidente Lukashenko ha poi avvertito che “senza maggiori informazioni e senza avere accesso a lei, non possiamo essere certi che stia ricevendo le cure adeguate”.

    We know that political prisoners in Belarus are being denied proper medical care. It is impossible to imagine what Maria Kalesnikava has been going through in the punishment cell. Without more information & access to her, we can’t be sure she is getting the proper treatment. pic.twitter.com/zkCNZVKKuQ
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) November 30, 2022

    La vicenda di Maria Kolesnikova
    Kolesnikova è la figura politica di opposizione più importante rimasta in Bielorussia. Quasi tutti gli altri leader, inclusa Tsikhanouskaya, si trovano in esilio all’estero. L’attivista era una delle due compagne di campagna elettorale di Tikhanovskaya durante le elezioni del 9 agosto 2020, insieme a Veronika Tsepkalo. Kolesnikova, flautista e insegnante di musica, era entrata in politica seguendo la campagna di un altro politico dell’opposizione, l’ex banchiere Viktor Babaryko, a cui era però stata impedita la corsa alle presidenziali con l’arresto. Quando a Tsikhanouskaya, insegnante e traduttrice di inglese senza esperienza politica, era stato concesso di candidarsi, Kolesnikova e Tsepkalo l’avevano sostenuta durante le manifestazioni e la campagna elettorale, elaborando un segno distintivo per ciascuna: un pugno alzato per Tsikhanouskaya, un cuore per Kolesnikova e il segno di vittoria per Tsepkalo.
    Da sinistra, le tre leader dell’opposizione alle elezioni in Bielorussia nel 2020: Veronika Tsepkalo, Sviatlana Tsikhanouskaya e Maria Kolesnikova
    Dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali – in cui Lukashenko aveva annunciato la propria rielezione con l’80 per cento dei voti – l’attivista era rimasta l’unica delle tre politiche a guidare le decine di migliaia di manifestanti scesi in piazza. Il 31 agosto aveva annunciato di voler lanciare con la squadra di Babaryko un nuovo partito, “Insieme”, per spingere sulla questione della riforma costituzionale, oltre alle dimissioni dell’autocrate Lukashenko. Questo prima dell’inizio della sua repressione da parte del regime. Il 7 settembre l’attivista 40enne era stata rapita dai servizi segreti bielorussi a Minsk in pieno giorno. Portata alla frontiera con l’Ucraina, le autorità avevano tentato di espellerla dal Paese, ma Kolesnikova si era opposta e aveva distrutto il suo passaporto. A quel punto era stata arrestata e portata in isolamento nel carcere della capitale, dove il 10 settembre la sua avvocata aveva potuto incontrarla.
    Il 6 settembre dello scorso anno Kolesnikova (insieme con il membro del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa Maksim Znak) è stata condannata dal tribunale regionale di Minsk a 11 di carcere. Entrambi gli oppositori sono stati ritenuti colpevoli di aver incitato la popolazione a “commettere azioni contro la sicurezza nazionale della Bielorussia, di cospirazione per impadronirsi del potere con mezzi incostituzionali e di creazione e direzione di una formazione estremista”, è stata la sentenza del tribunale.

    The regime sentenced Maria Kalesnikava & Maksim Znak to 11 & 10 years in prison. We demand the immediate release of Maria & Maksim, who aren’t guilty of anything. It’s terror against Belarusians who dare to stand up to the regime. We won’t stop until everybody is free in Belarus. pic.twitter.com/RbnefQzX0q
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) September 6, 2021

    Una delle tre leader dell’opposizione a Lukashenko, condannata a 11 anni di prigione nel 2021, è ricoverata in ospedale in gravi condizioni. Da Bruxelles arriva l’ennesima denuncia al regime di Minsk: “Deve garantirle cure mediche urgenti e adeguate e rilasciare tutti i prigionieri politici”

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    La denuncia della leader delle forze democratiche bielorusse Tsikhanouskaya: “Stanziamento permanente truppe russe”

    Bruxelles – L’attacco è diretto e durissimo, perché ormai “l’esistenza stessa della Bielorussia è in gioco”. Nel suo intervento davanti agli eurodeputati della commissione Affari esteri (Afet) di questa mattina (giovedì 13 ottobre), la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya, non usa giri di parole per denunciare quello che l’autoproclamato presidente, Alexander Lukashenko, sta facendo del Paese: “Sta cercando di legalizzare lo stanziamento permanente di truppe russe sul nostro territorio nazionale, ma questa noi la chiamiamo occupazione”.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche bielorusse, Sviatlana Tsikhanouskaya, con il presidente della commissione Affari esteri del Parlamento Ue, David McAllister (13 ottobre 2022)
    La situazione interna nel Paese è particolarmente preoccupante, con il numero di prigionieri “in condizioni di detenzione disumane” che “aumenta ogni giorno ed è arrivato oggi a 1350 cittadini”, oltre a “più di 50 mila persone arrestate e torturate dal Kgb e centinaia di migliaia scappati prima verso l’Ucraina e poi dalla guerra russa” contro Kiev. La leader delle forze democratiche in Bielorussia ha ricordato che “negli ultimi due anni la tragedia nazionale è rimasta davanti ai nostri occhi, avvelenando la regione fino a una guerra sanguinosa” in Ucraina, la cui responsabilità è “tutta dell’imperialismo russo”. Oggi l’Europa e la Bielorussia pagano “il prezzo della nostra miopia” – come aveva già avvertito nell’intervento alla sessione plenaria dell’Eurocamera nel novembre dello scorso anno – perché nel frattempo “con gli accordi con Putin, Lukashenko ha venduto la nostra sovranità e distrutto la società civile e ogni collegamento con l’Unione Europea“. In altre parole, “ha svenduto l’anima della nostra nazione”, ha attaccato in mezzo agli applausi di sostegno degli eurodeputati in aula.
    Dopo l’annuncio del dispiegamento congiunto di parte dell’esercito bielorusso con le forze russe lungo il confine meridionale con l’Ucraina, l’autocrate bielorusso “vuole trasformare il Paese in una piattaforma per terrorizzare la Polonia e l’est Europa e minacciare la Nato“, ed è stata definita una “vergogna” il via libera al lancio dei missili sull’Ucraina e i colloqui Minsk-Mosca per “stanziare armamenti nucleari in Bielorussia” (a partire dalla decisione di abbandonare lo status di Paese non-nucleare sancito dalla Costituzione nazionale a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina). Tsikhanouskaya ha messo in chiaro che sono tre le azioni che devono essere prese “immediatamente”: l’uscita di Minsk dal conflitto nella regione, la cacciata di “ogni soldato russo” dalla Bielorussia e l’imputazione di “tutti coloro che sono coinvolti negli attacchi all’Ucraina”, bielorussi compresi.
    A proposito di quest’ultimo punto, la leader bielorussa ha esortato le istituzioni comunitarie ad agire contro il regime Lukashenko, “anche lui un criminale di guerra”, e privarlo “di ogni scappatoia per evadere le sanzioni” internazionali, che hanno colpito anche Minsk: “Dobbiamo rimanere fermi e uniti, perché i dittatori cercano di dividerci”, ha messo in guardia Tsikhanouskaya. Chiamando Lukashenko “il fantoccio di Putin”, un altro avvertimento è quello di “non seguire il suo gioco di scambiare oppositori politici in cambio di un alleggerimento delle sanzioni, perché poi si terrebbe i soldi e ne metterebbe altri in prigione”. Un passaggio particolarmente delicato per la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue, considerato il fatto che nei centri di detenzione del regime bielorusso c’è anche il marito Siarhei Tsikhanouski, condannato nel dicembre dello scorso anno a 18 anni di detenzione.
    L’ultimo appello di Tsikhanouskaya agli eurodeputati ha riguardato la ricostruzione di una Bielorussia “libera e democratica”. Per farlo, “chiedo al Parlamento Europeo di seguire l’esempio del Consiglio d’Europa, che per la prima volta ha deciso di non lavorare con il governo bielorusso ma con il nostro movimento democratico”. Ricordando l’invito al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, a costruire un’alleanza tra Kiev e il movimento democratico a livello politico e diplomatico – “perché il destino delle nostre nazioni è intrecciato” – Tsikhanouskaya ha incalzato i membri della commissione Afet sul fatto che “una Bielorussia libera sarà lo strumento migliore contro Putin, un confine di mille chilometri sicuro e non più una minaccia per l’Europa”.

    I addressed President Zelenskyy today & proposed to build an alliance between Ukraine & democratic Belarus. To establish political & diplomatic relations. Because the fates of our nations are intertwined. We are ready for cooperation & we #StandWithUkraine🇺🇦 pic.twitter.com/LVjX2VK0Uo
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) October 11, 2022

    La presidente legittima riconosciuta dall’Ue si è rivolta agli eurodeputati della commissione Affari esteri per chiedere di “rimanere fermi sulle sanzioni” contro Alexander Lukashenko, “il fantoccio di Putin” che sta “vendendo l’anima del Paese consentendo al Cremlino attacchi all’Ucraina”

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    Lukashenko schiera l’esercito al confine con l’Ucraina. L’Ue: “La Bielorussia si astenga da escalation del conflitto”

    Bruxelles – L’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina sfonda il fronte settentrionale e rischia di coinvolgere direttamente un nuovo attore: la Bielorussia dell’autoproclamato presidente Alexander Lukashenko. Dopo i sette mesi e mezzo di supporto indiretto e logistico all’esercito russo nell’aggressione armata dell’Ucraina, Minsk è a un passo dall’entrare nella guerra anche sul piano militare, dopo l’annuncio dello stesso Lukashenko della volontà di schierare l’esercito lungo il confine con il Paese invaso dalle forze del Cremlino.
    Da sinistra: gli autocrati bielorusso, Alexander Lukashenko, e russo, Vladimir Putin
    Le giustificazioni per un possibile cambio di rotta sono del tutto pretestuose, con accuse infondate a Kiev e alla Nato di essere pronti a preparare un attacco su larga scala al territorio bielorusso: “Gli attacchi sono già pianificati dall’Ucraina”, riporta l’agenzia di stampa russa Tass, citando le parole dell’autocrate bielorusso, che addirittura ventila l’uso di “armi nucleari” da parte dell’Alleanza Atlantica. “Ci stiamo preparando da decenni, se necessario risponderemo”, ha minacciato Lukashenko, specificando di averne discusso con Putin a San Pietroburgo e di aver accordato il dispiegamento congiunto delle truppe “nella regione”.
    L’esercito della Bielorussia conta approssimativamente 60 mila soldati (oltre a 300 mila riservisti), di cui circa 4.500 sono schierati da fine febbraio in battaglioni-tattici nelle zone di confine, soprattutto con l’Ucraina. Dall’inizio dell’invasione russa, Minsk ha fornito punti di appoggio all’esercito del Cremlino sul fronte ucraino nord-orientale e ha concesso il dispiegamento di armamenti russi sul territorio nazionale. Dopo l’abbattimento parziale del ponte tra Russia e Crimea nella notte tra venerdì 7 e sabato 8 ottobre, il teatro di guerra in Ucraina si è infiammato, con un nuovo coinvolgimento della Bielorussia di Lukashenko. Secondo le accuse dell’esercito ucraino e del presidente Volodymyr Zelensky, la Russia avrebbe lanciato l’attacco di ieri mattina (lunedì 10 ottobre) su Kiev e altri grandi centri urbani utilizzando non solo missili dalla Crimea ma anche droni iraniani dal territorio bielorusso. Una dimostrazione che Lukashenko, con le sue dichiarazioni contro Kiev e la Nato, sta cercando di ribaltare di 360 gradi causa ed effetto dell’aggressione.
    “Abbiamo preso nota delle false accuse del regime di Lukashenko, sono accuse infondate, ridicole, inaccettabili”, ha messo in chiaro il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano: “L’Ucraina è la vittima, il regime bielorusso deve astenersi da qualsiasi coinvolgimento dall’escalation” nel conflitto tra Mosca e Kiev. Anche la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha denunciato che “l’Ucraina non rappresenta una minaccia per la Bielorussia, è una bugia di Lukashenko per giustificare la sua complicità nel terrore” contro Kiev. In un appello sui canali social Tsikhanouskaya ha invitato i militari bielorussi a “non eseguiee gli ordini criminali, rifiutatevi di partecipare alla guerra di Putin contro i nostri vicini”, perché Lukashenko sta anche violando “la nostra sicurezza nazionale”.

    Lukashenka & Putin are dragging Belarus into a full-scale war against Ukraine. Let Lukashenka know that he will face the strongest sanctions & complete political isolation. Both dictators are war criminals & must appear before the tribunal. pic.twitter.com/7xrcxTWh0P
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) October 10, 2022

    È di oggi la notizia che Tsikhanouskaya avrà a sua disposizione un ufficio offertole dal governo fiammingo (la Regione federale del Nord del Belgio), vicino alle istituzioni europee e al quartier generale della Nato, come annunciato dal ministro-presidente delle Fiandre, Jan Jambon. La presidente ad interim della Bielorussia e il suo team si trasferiranno nell’ufficio domani (mercoledì 12 ottobre), quando Jambon (esponente di N-VA, partito autonomista delle Fiandre) le consegnerà ufficialmente la chiave. In questo modo, il governo locale vuole dimostrare che “le Fiandre sostengono il movimento di opposizione pacifica contro il regime dittatoriale in Bielorussia“.

    L’autoproclamato presidente bielorusso ha annunciato di aver ordinato a parte delle forze armate di schierarsi lungo la frontiera meridionale con le forze russe, in riposta alla “minaccia nucleare della Nato”. Il governo delle Fiandre offre un ufficio alla presidente riconosciuta dall’Ue Sviatlana Tsikhanouskaya

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    Il “vergognoso traguardo” dei mille prigionieri politici in Bielorussia: “Riflesso della continua repressione del regime”

    Bruxelles – A distanza di un anno e mezzo dalle elezioni-farsa in Bielorussia e l’inizio del movimento di protesta contro l’ultimo dittatore d’Europa, Alexander Lukashenko, c’è un dato che spiega in tutta la sua drammaticità la situazione interna nel Paese: il numero di prigionieri politici detenuti nelle carceri bielorusse ha raggiunto quota mille “e continua a crescere”.
    A denunciarlo è il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), che in un nota firmata dal portavoce Peter Stano: “Questo vergognoso traguardo riflette la continua repressione del regime di Lukashenko contro la sua stessa popolazione”. Ai prigionieri politici bisogna poi aggiungere le migliaia di oppositori che sono fuggiti dalla Bielorussia per evitare le persecuzioni, tra cui la presidente e guida ad interim riconosciuta dall’Unione, Sviatlana Tsikhanouskaya, che oggi vive in Lituania.
    Tra i prigionieri politici detenuti in Bielorussia ci sono Maria Kolesnikova e Maksim Znak, membri del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione condannati rispettivamente a 11 e 10 anni di carcere, il marito della leader Tsikhanouskaya, Siarhei Tsikhanouski, imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali e condannato a 18 anni, e Ales Bialiatski, uno dei vincitori del Premio Sakharov 2020 dell’UE e fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna. L’accusa di Bruxelles è senza giri di parole: “Il regime di Lukashenko continua a detenere e imprigionare persone in condizioni spaventose“, esponendole a “maltrattamenti e torture” e condannandole a “lunghe pene detentive in processi politici condotti a porte chiuse”.
    “In Bielorussia lo spazio per l’opposizione politica democratica e le attività dei media liberi e indipendenti è stato drasticamente chiuso”, ha ricordato Stano. Da febbraio dello scorso anno anche la stampa è finita nel mirino del regime Lukashenko, quando le giornaliste Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova sono state condannate a due anni di carcere con l’unica colpa di aver effettuato riprese della manifestazione in memoria dell’attivista Raman Bandarenka. A maggio era stato chiuso il sito di notizie indipendente TUT.BY e per arrestare il giornalista e oppositore politico Roman Protasevich era stato dirottato il volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk.
    Anche difendere legalmente i prigionieri politici è diventato pericoloso in Bielorussia, dal momento in cui “a più di 40 avvocati è stata revocata la licenza” dopo essersi schierati al fianco dei loro diritti. Per tutti questi motivi è stato ribadito con forza sia l’imperativo di “rispettare gli impegni e gli obblighi internazionali”, sia la richiesta di “rilascio immediato e incondizionato” di tutti i prigionieri politici.

    Belarus: shameful milestone 👉number of political prisoners reached 1000 & crackdown by Lukashenko against his own people continues. 🇧🇾 must adhere to intl commitments in 🇺🇳 & @OSCE. 🇪🇺 calls for immediate & unconditional release of all political prisoners https://t.co/DtPfMI4ibN
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) January 27, 2022

    Duro affondo dell’UE contro il regime guidato da Alexander Lukashenko: “Detiene e imprigiona persone in condizioni spaventose, esponendole a maltrattamenti e torture e facendole condannare a lunghe pene”

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    Un report dell’ONU conferma che l’allarme bomba sul volo Ryanair dirottato in Bielorussia era “deliberatamente falso”

    Bruxelles – Dopo un’inchiesta approfondita, durata quasi sette mesi, è arrivato il responso dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO): “l’allarme bomba” lanciato da Minsk il 23 maggio dello scorso anno per dirottare il volo Ryanair Atene-Vilnius in Bielorussia è stato “deliberatamente falso”. Lo ha messo nero su bianco l’agenzia delle Nazioni Unite in un report su cui si baseranno le decisioni del Consiglio dell’ICAO nella riunione del 31 gennaio prossimo sulle possibili violazioni del diritto internazionale dell’aviazione da parte della Bielorussia di Alexander Lukashenko.
    Il giornalista e oppositore politico bielorusso Roman Protasevich, arrestato dopo il dirottamento del volo Ryanair su Minsk
    “Durante i controlli prima della partenza ad Atene e dopo varie perquisizioni dell’aereo in Bielorussia e Lituania, non è stata trovata né una bomba né prove della sua esistenza“, è la spiegazione dell’agenzia ONU, che smonta la giustificazione di Minsk di interferire nelle operazioni del velivolo FR4978 del vettore Ryanair. A seguito del dirottamento era stato arrestato il giornalista e oppositore politico bielorusso Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega, che stavano viaggiando in direzione della capitale lituana. A seguito di questi eventi l’Unione Europea aveva imposto la chiusura dello spazio aereo alla compagnia di bandiera bielorussa Belavia e il lancio di sanzioni economiche contro il Paese.
    Secondo la ricostruzione dell’ICAO, l’allarme bomba risulterebbe “deliberatamente falso” anche per una  questione di tempistiche. Nel giro di tre minuti – tra le 11:25 e le 11:28, fuso orario italiano – cinque e-mail erano state inviate agli aeroporti di Vilnius, Atene, Sofia, Bucarest e Minsk (a quello Kiev invece alle 11:34, cinque minuti dopo che il velivolo aveva lasciato lo spazio aereo ucraino). Il testo, uguale per tutte le mail, era attribuito a “soldati di Hamas” che chiedevano il cessate il fuoco da parte di Israele nella Striscia di Gaza e la fine del sostegno da parte dell’UE a Tel Aviv: se non fossero state soddisfatte le richieste “la bomba che abbiamo piazzato sul volo FR4978 esploderà il 23 maggio sopra Vilnius”, causando la morte dei partecipanti del Delphi Economic Forum di ritorno da Atene. L’organizzazione palestinese Hamas ha sempre negato ogni coinvolgimento nella vicenda.
    Non appena il velivolo Ryanair aveva lasciato l’Ucraina, il controllore dello spazio aereo della Bielorussia si era messo in contatto con il comandante del volo, avvertendolo del pericolo e sostenendo che l’informazione era stata ricevuta da “diversi aeroporti”. Il problema è che nel caso di Atene e di Kiev le mail non siano mai state ricevute, mentre tutti gli altri Paesi hanno confermato che le autorità aeroportuali competenti avevano visualizzato il testo solo minuti o ore più tardi. “Non è stato possibile stabilire come il controllore sapesse che le e-mail erano state condivise con diversi aeroporti“, si legge nel rapporto, anche per il fatto che lo stesso responsabile per lo spazio aereo bielorusso “non era disponibile per essere intervistato durante l’indagine conoscitiva” dell’ICAO.
    Il velivolo FR4978 di Ryanair dirottato su Minsk (23 maggio 2021)
    Nonostante la mancanza di spiegazioni, informazioni e supporto da parte della Bielorussia alle indagini sul dirottamento del volo Ryanair con materiale utile (come le registrazioni delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto di Minsk, o i tabulati telefonici tra le autorità aeroportuali e il controllore dello spazio aereo bielorusso), gli investigatori dell’agenzia ONU non sono riusciti ad attribuire la commissione dell’atto di interferenza illegale “a nessuno Stato”. Sulla base di questo rapporto preparato dal segretario generale dell’Organizzazione, Fang Liu, il Consiglio ICAO presieduto da Salvatore Sciacchitano dovrà ora decidere se e come procedere nei confronti di queste violazioni del diritto internazionale dell’aviazione, in particolare sulla “comunicazione consapevole di informazioni false che mettono in pericolo la sicurezza di un aereo in volo”.
    La leader dell’opposizione a Lukashenko e presidente ad interim della Bielorussia riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha sottolineato in un tweet che il rapporto ICAO “mostra che il regime ha cercato di nascondere i fatti sull’incidente”. Dal momento in cui il documento “conferma anche che la verità è dalla parte dei bielorussi, non del dittatore” Lukashenko, l’agenzia ONU “dovrebbe adottare una linea dura per impedire agli autocrati di ripetere tali incidenti” e “la questione deve essere sollevata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.

    The @icao report shows that the regime tried to hide facts about the @Ryanair incident. It also confirms – the truth is on the side of Belarusians, not the dictator. ICAO should take a hard line to prevent autocrats to repeat such incidents. The issue must be raised by the #UNSC. pic.twitter.com/4EliMZhAZd
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 19, 2022

    L’indagine dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile conferma che “non c’erano prove” che giustificassero l’azione del 23 maggio 2021. Mancano spiegazioni, ma “non è stata riscontrata interferenza illegale da parte di nessuno Stato”