More stories

  • in

    Costa invita Starmer al vertice dei leader Ue di febbraio, prove generali di riavvicinamento tra Londra e Bruxelles

    Bruxelles – A Londra e Bruxelles si lavora per rinforzare la collaborazione tra Ue e Regno Unito nell’era post-Brexit, dopo lo storico cambio della guardia al governo britannico tra Conservatori e Laburisti. A dominare l’agenda del confronto è soprattutto il tema della sicurezza, visto il deterioramento del contesto internazionale. E, almeno a giudicare da un recente sondaggio, sia i cittadini britannici sia quelli europei sono d’accordo sulla necessità di ricucire i rapporti.Nel primo pomeriggio di oggi (12 dicembre) il presidente del Consiglio europeo, António Costa, ha incontrato a Downing Street il primo ministro di Sua Maestà, Keir Starmer, per delineare insieme alcune priorità intorno a cui imperniare la cooperazione tra le due sponde della Manica. Stando al resoconto ufficiale della riunione, i due hanno concordato “sull’importanza vitale di una più stretta collaborazione tra partner che condividono la stessa mentalità in un momento di crescente instabilità per il mondo”.Tradotto: con la guerra in Ucraina che si è ormai incancrenita, l’escalation in Medio Oriente che non accenna a placarsi e le crescenti tensioni nello spazio post-sovietico – il tutto a poco più di un mese dall’insediamento ufficiale di Donald Trump come 47esimo presidente degli Stati Uniti, in calendario per il prossimo 20 gennaio – le cancellerie europee e quella britannica non dormono sonni tranquilli.Come importante segnale di apertura da parte europea, Costa ha invitato sir Starmer a partecipare al vertice informale dei leader dei Ventisette che si terrà il 3 febbraio a Bruxelles. Il primo ministro britannico “è stato lieto di accettare l’invito e si è detto impaziente di discutere di una maggiore cooperazione strategica”, si legge nel comunicato, “in particolare in materia di difesa”. In aggiunta a quella riunione, già lo scorso ottobre i vertici comunitari e britannici avevano stabilito di convocare un primo summit Ue-Regno Unito per l’inizio del 2025, che dovrà essere il primo di una serie di appuntamenti di alto livello da tenersi a cadenza regolare.Great first meeting at Downing Street with PM @Keir_Starmer. Discussed ways to strengthen the relationship between the United Kingdom and the European Union. Very glad that the PM accepted my invitation to join us in a session of the informal meeting of EU leaders on 3 February. pic.twitter.com/A6QsjX48Iz— António Costa (@eucopresident) December 12, 2024Per quanto riguarda il delicato contesto geopolitico, i due hanno ribadito “il loro incrollabile impegno a fornire un continuo sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico all’Ucraina e al suo popolo per tutto il tempo necessario e con l’intensità richiesta” e, con specifico riferimento agli ultimi drammatici sviluppi in Siria, sono convenuti “sull’importanza di garantire una transizione pacifica verso una stabilità politica a lungo termine dopo la caduta del brutale regime” di Bashar al-Assad.Costa e Starmer hanno inoltre ribadito l’impegno di entrambe le parti “per la piena e fedele attuazione” degli accordi faticosamente stipulati all’indomani della Brexit e che regolano i rapporti bilaterali tra Bruxelles e Londra, complessivamente noti sotto il titolo di Accordo di recesso (Withdrawal agreement in inglese) e di cui fanno parte il cosiddetto Quadro di Windsor (cioè il protocollo sull’Irlanda del Nord) e l’Accordo commerciale e di cooperazione.Il riavvicinamento tra le due sponde della Manica sembra del resto andare incontro alle mutate sensibilità dei cittadini di Sua Maestà, come evidenziato da un’indagine pubblicata oggi dallo European council on foreign relations, un think tank pan-europeo specializzato nella ricerca su temi di politica estera. Secondo la rilevazione, l’opinione pubblica britannica non è persuasa a seguire il neo-rieletto Trump su una serie di questioni chiave a livello internazionale, dall’Ucraina alla Cina passando per lo scacchiere mediorientale.Tanto nel Regno Unito quanto in Ue gli intervistati ritengono che le relazioni tra le due parti “dovrebbero diventare più strette”: un’affermazione valida, tra gli altri, per il 55 per cento dei britannici, il 45 per cento dei tedeschi e il 41 per cento degli italiani. In tutti i Paesi esaminati (Francia, Spagna e Polonia oltre a quelli menzionati), la percentuale di chi preferirebbe una relazione più blanda rispetto all’attuale non supera l’11 per cento.Screenshot dal sito di ECFRGli inglesi “guardano più all’Europa che all’America, non solo per il loro futuro economico e la migrazione, ma anche per la loro sicurezza”, mentre tra gli europei è diffusa l’opinione per cui “offrire al Regno Unito un migliore accesso al mercato unico sia un prezzo che vale la pena pagare per un partenariato più stretto in materia di sicurezza”.Lo studio evidenzia che Oltremanica esiste uno “spazio politico” più ampio di quanto si potrebbe pensare sia tra l’elettorato pro-Brexit sia tra i Remainers, e che per l’esecutivo laburista di Starmer c’è “la chiara opportunità di riconquistare gli elettori pro-europei senza alienare” il cosiddetto “muro rosso” rappresentato dalle fasce operaie della popolazione.Quanto ai temi specifici della cooperazione tra Londra e Bruxelles, la maggioranza assoluta degli intervistati britannici ritiene che una cooperazione più stretta tra Regno Unito e Unione Europea possa avvantaggiare il primo in termini di gestione dei flussi migratori (58 per cento) e di rafforzamento della sicurezza nazionale (53 per cento).

  • in

    Ue firma accordi di cooperazione per la sicurezza con Albania e Macedonia

    Bruxelles – L’Unione europea firmato due nuovi partenariati per la sicurezza e la difesa con l’Albania e con la Macedonia del Nord. Il progetto di collaborazione è in entrambi casi destinato a rafforzare le capacità nazionali e a migliorare la cooperazione regionale per la sicurezza informatica, la gestione delle crisi, la lotta contro le minacce ibride e il terrorismo, nonché la formazione dei funzionari.Il partenariato prevede la partecipazione alle riunioni organizzate dall’Ue nel campo della sicurezza e della difesa e lo sviluppo di una cooperazione rafforzata per sostenere l’Ucraina nella guerra contro l’aggressione russa. Le parti si impegnano inoltre a contribuire congiuntamente al rafforzamento della stabilità regionale nei Balcani occidentali.Questi accordi fanno parte dell’allineamento dell’Albania e della Macedonia alla Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, conditio sine qua non per l’adesione.

  • in

    Oltre 118 miliardi, l’Ue ha già speso quasi il bilancio di un anno per l’Ucraina

    Bruxelles – L’Unione europea ha già speso quasi l’equivalente di un bilancio annuale comune in sostegno all’Ucraina. Tra aiuti comunitari e contributi dei singoli Stati membri, “l‘assistenza complessiva dell’Ue all’Ucraina e al suo popolo ammonta finora a oltre 118 miliardi di euro“, scandisce l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, nella risposta a un’interrogazione parlamentare in materia. Una cifra impressionante, se si considera che il bilancio comune per il solo 2023 è stato pari a 186,6 miliardi di euro. Aiutare il presidente ucraino Volodymir Zelensky nella sua risposta all’aggressione militare russa inizia a raggiungere proporzioni importanti, e senza precedenti. L’assistenza finanziaria da oltre 118 miliardi di euro, specifica Borrell, “include circa 43,5 miliardi di euro di sostegno militare, di cui 6,1 miliardi dal Meccanismo per la pace“. Praticamente quasi un terzo dello sforzo economico dei Ventisette a oggi è servito ad alimentare la macchina bellica ucraina, per permettere difesa e contro-attacco. Qui, precisa ancora l’Alto rappresentante, “il sostegno dell’Ue fa la differenza, ad esempio, sulla difesa aerea“.Cifre e numeri comunque parziali, e destinate ad essere aggiornate ancora. “L’Ue continuerà a sostenere l’Ucraina di fronte alla guerra di aggressione della Russia”, assicura Borrell. Una rassicurazione frutto anche dell’evoluzione di un conflitto non solo più tra Mosca e Kiev. “La Russia ha anche iniziato a utilizzare missili della Repubblica Popolare Democratica di Corea e forse presto anche quelli iraniani”, denuncia l’Alto rappresentante. Un’escalation del conflitto che non consente ripensamenti.  Quindi l’avvertimento politico ai partner di tutta l’Unione europea. Quali che siano, in prospettiva, mosse e decisioni del nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump,  l’Ue dovrà tenere il punto:“Qualsiasi soluzione che ignori l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina comporterebbe la ricompensa dell’aggressore e la legittimazione dei tentativi di ridisegnare i confini con la forza, non solo in Europa”.

  • in

    Ue e Paesi del golfo persico, a Bruxelles le prove politiche di nuova collaborazione

    Bruxelles – Commercio, energia, contrasto ai cambiamenti climatici, e poi sicurezza, soprattutto marittima, e coinvolgimento in materia di sicurezza regionale. Unione europea e Paesi del golfo arabico (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) cercano una nuova stagione di relazioni bilaterali con il primo summit di alto livello politico, che a Bruxelles viene salutato come il momento più alto di sempre. Un punto di arrivo di un lavoro condotto meticolosamente da Luigi di Maio nella sua veste di inviato speciale dell’Ue nel golfo Persico, il primo di sempre.Un’opportunità salutata nella capitale dell’Unione europea con soddisfazione, che mostra la disponibilità del mondo arabo di mettersi in gioco, provare a dialogare su temi comunque spinosi, tutt’altro che agevoli, e su cui orientamenti e punti di vista sono tutt’altro che convergenti, a cominciare dalla questione del conflitto russo-ucraino.Tutti i Paesi della regione hanno sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite che condanna l’aggressione russa, ma a differenza degli europei non hanno varato pacchetti di sanzioni. Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi “hanno relazioni con la Russia, che chiaramente cambia posizionamenti”, riconoscono fonti Ue. Questo complica anche il lavorio tecnico per la stesura di conclusioni di fine summit, che l’Ue vorrebbe ma su cui si riconoscono difficoltà e lo scenario di una fine seduta senza dichiarazioni non viene escluso.“E’ chiaro che ci sono rischi che dobbiamo correre”, ragionano le stesse fonti comunitarie. Ma si sottolinea con enfasi come “il fatto che i leader dei Paesi del golfo vengano a Bruxelles è già un elemento importante, un segno”. Certo, nel momento di discutere le conclusioni le conclusioni “verranno a galla delle problematiche”, non ci si fanno illusioni, “ma lavoriamo per trovare una soluzione”.Non si nascondono poi le difficoltà per ciò che riguarda le relazioni commerciali, che si vorrebbero rilanciare ma su cui pesano almeno due grandi ostacoli: differenza di regole per l’accesso nel settore degli appalti pubblici e idrocarburi. L’Unione europea è impegnata nella transizione verde e lo spostamento dai combustibili fossili a fonti rinnovabili, mentre i Paesi del golfo arabico dispongono di petrolio in abbondanza (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait sono membri dell’Opec, l‘Organizzazione dei Paesi Esportatori del Petrolio) e a prezzi ridotti rispetto a quelli pagati dagli europei, il che rende poco attraente e meno competitivo optare per la transizione sostenibile su cui punta l’Ue.Ciò nonostante a Bruxelles andranno in scena prove politiche per una nuova stagione di cooperazione bilaterale. Tre gli obiettivi principali: rendere più strategiche le relazioni con questi paesi da un punto di vista geopolitico, rispondere insieme alle sfide globali (clima, energia), e rafforzare relazioni bilaterali (commercio, regime di visti). Si inizia dal summit di Bruxelles, per provare a gettare nuove basi. E avere di più al fianco degli europei Paesi ancora troppo sbilanciati verso la Russia. Un messaggio per il ‘signore di Russia’, Vladimir Putin.

  • in

    Stretta della Repubblica ceca sulla sua chiesa ortodossa, si temono i legami con la Russia

    Bruxelles – Il dubbio che la Chiesa ortodossa possa lavorare per la Russia e il suo ‘signore’, Vladimir Putin. In Repubblica ceca si fa strada una preoccupazione che porta una parte della politica a chiedere le verifiche del caso, con tanto di indagine approfondita. E’ Pavel Fischer, presidente della commissione di Sicurezza del Senato a invitare il governo di Praga ad accendere i riflettori sulle chiese ortodosse presenti nel Paese. Queste sarebbero sempre più legate al patriarcato di Mosca, e rispondono a Kirill, capo ortodosso che la stessa Ue voleva sanzionare per i suoi legami con Putin e il ruolo svolto nel sostegno alla guerra in Ucraina.Nessuna messa al bando della chiesa ortodossa, né restrizioni religiose. La linea suggerita al governo di è di verificare che in Repubblica ceca non vi siano emissari di Putin nascosti tra le pieghe del cristianesimo, e solo in quel caso procedere all’eventuale chiusura del luogo di culto e il ritiro di permessi e concessioni. Si inizia a fare le pulci per timore che si possa esercitare influenza filo-russa.La decisione trova una spiegazione anche alla luce dei ‘precedenti’. Sempre in Repubblica ceca ha trovato spazio un quotidiano on-line, Voice of Europe, che diffondeva propaganda russa e disseminava disinformazione, costringendo le autorità nazionali a spegnere il sito. Non a caso Il parlamento della repubblica ha chiesto ai servizi segreti di controllare tutte le chiese ortodosse presenti nel Pase per verificare se siano coinvolte in operazioni volte a diffondere la narrativa filo-russa. In tal senso il Senato ceco Senato ragiona sulla possibilità di definire e proporre un disegno di legge che consentirebbe di monitorare le attività di tutte le chiese ortodosse.Ecco che in nome della sicurezza si interviene sulla libertà religiosa. Ma, sottolinea Fischer, “la libertà di religione e di associazione non deve essere sfruttata per consentire a stati stranieri ostili di esercitare un’influenza illegittima”. La presa di posizione della autorità ceche seguono la stretta operata dall’Ucraina, dove è stata appena approvata una legge storica che prevede il divieto delle attività di un ramo della chiesa ortodossa legato alla Russia. Una messa al bando che sancisce una volta di più la rottura tra Russia e Ucraina, divise non solo dalla guerra in atto ma pura da un punto di vista confessionale. La Chiesa ortodossa ucraina si è resa indipendente dal patriarcato di Mosca, dando vita ad una Chiesa autonoma riconosciuta come tale nel 2019, e fonte di attriti e tensioni con la Federazione russa.

  • in

    L’Ue avanza a est, aiuti per le forze armate dell’Armenia in chiave anti-russa

    Bruxelles – Cooperazione militare Ue-Armenia, gli europei ci provano e forzano la mano sullo scacchiere internazionale mettendo un piede nell’area dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto), l’alleanza militare che racchiude Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e proprio l’Armenia. Il Consiglio dell’Ue ha deciso di staccare un assegno da 10 milioni di euro a sostegno delle forze armate armene attraverso lo strumento per la pace. L’obiettivo di questa misura, la prima di sempre a favore delle autorità di Yerevan, “accelerare l’interoperabilità delle sue forze armate in caso di possibile futura partecipazione del paese alle missioni e alle operazioni militari internazionali, comprese quelle schierate dall’Ue”.Nella pratica tutto questo si traduce con la fornitura di un vero e proprio campo tendato dispiegabile per un’unità delle dimensioni di un battaglione (unità militare terrestre, generalmente composta da un numero di uomini compreso tra i 500 e i 1.000, ndr). Una mossa che perà è geopolitica, e che rischia di accrescere ulteriormente le tensioni con la Federazione russa e il suo presidente, Vladimir Putin, da sempre, anche da prima dello scoppio della guerra in Ucraina, contrario all’avanzata dell’Europa a est e all’ampliamento di quello che a Mosca viene considerata una politica di accerchiamento.Con la volontà dichiarata di includere l’Armenia nelle missioni militari europee l’Ue compie un nuovo passo verso est, nell’intento di attrarre verso di sé un Paese all’interno di un’area di interesse economico e strategico per la Russia, e che porterebbe l’Europa in Asia occidentale, nel Caucaso.L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tira dritto. “Abbiamo un interesse reciproco per aumentare ulteriormente il nostro dialogo sulla politica estera e di sicurezza, esaminando anche la futura partecipazione dell’Armenia alle missioni e alle operazioni condotte dall’Ue”.Ufficialmente la decisione si spiega nell’ambito del partenariato bilaterale. Ma c’è anche da dover correre ai ripari dopo gli scontri tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karaback, territorio conteso riconosciuto internazionalmente come azero ma controllato dall’Armenia dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. Gli scontri, duri, che hanno visto il Parlamento europeo accusare Baku di pulizia etnica, hanno rilanciato certamente la necessità di rafforzare la sicurezza e la capacità di risposta delle forze armate azere. E con la Georgia che compie passi indietro sul percorso che dovrebbe portare ad un’adesione rimessa in discussione, mettere un altro piede nel Caucaso diventa ancor più prioritario per un’Unione europea desiderosa di espandersi a est e sfidare ancora una volta Vladimir Putin.

  • in

    Da progetto di pace a promotrice di guerra, l’Ue assiste anche l’esercito di Albania e Benin

    Bruxelles – C’era una volta l’Unione europea progetto di pace, che proprio per questo venne insignita del premio Nobel appositamente dedicato. Storia di tempi non lontani, eppur remoti. La bella Ue di una volta non c’è più, smarrita e cambiata sotto i colpi di un presente incerto, molto diverso, tanto diverso anche per quel progetto di pace di cui cambia toni, narrativa e retorica. Per garantire la pace servono le armi, e mentre l’Europa rilancia l’industria bellica definita industria della difesa, arma il resto del mondo. Questo indicano i finanziamenti a Benin e Albania approvati dal Consiglio dell’Ue.Due decisioni separate e distinte, ma uguali nella natura. Con un assegno da 5 milioni di euro a favore del Benin, lo strumento per la pace dell’Ue, “le forze armate del Benin saranno dotate di un aereo militare multiuso“, fa sapere il Consiglio. Mentre con l’aiuto economico da 13 milioni di euro per l’Albania “le forze terrestri albanesi riceveranno veicoli corazzati leggeri multiuso“. In entrambi i casi si offre anche disponibilità per addestramento e formazione tecnica. Prepararsi al peggio, insomma, nel non immediato parallelismo con uno degli slogan e imperativi del mondo orwelliano: “la guerra è pace”. Analogie non immediate anche perché la versione a dodici stelle è che si vogliono sicurezza e difesa, non guerra, ma le sfumature lessicali solo in parte nascondono un’Europa sempre più in versione 1984 che 2024.Ma nell’anno in corso sempre più venti di guerra soffiano sul vecchio continente, deciso ad arginare con fermezza quelle crisi su cui l’Europa proprio esente da colpe non è. I leader dell’Ue non hanno saputo (o voluto) ascoltare gli avvertimenti che arrivavano dalla Russia, e non hanno saputo (o voluto) risolvere per davvero, in modo credibile e concreto, al netto di parole e dichiarazioni di circostanza, una questione senza fine come quella arabo-israeliana. Nel mondo improvvisamente cambiato il progetto di pace non serve più, o più semplicemente non basta più. Avanti con fornitura di armi, munizioni e nuovi comandanti per le forze armate in giro per il mondo.Oltre ai nuovi finanziamenti per Benin e Albania, gli ultimi della serie, operazioni militari Ue con tanto di contributo economico, risultano attive in Mozambico, Repubblica centrafricana, Somalia, Togo, Ghana e Costa d’avorio, Bosnia-Erzegovina e Ucraina (gestita in Belgio). E’ la nuova Unione europea, quella del nuovo corso. L’Ue raccontata fino a poco tempo fa non c’è più. C’era una volta. Adesso è un’altra storia.

  • in

    L’Ue ripristina obbligo di visti per Vanuatu: troppe cittadinanze ‘facili’ con cui entrare in Europa

    Bruxelles – Flussi di immigrati irregolari provenienti dall’altro angolo del mondo grazie a politiche ‘generose’ in termini di concessione della cittadinanza, con documenti che agevolano l’ingresso nello spazio Schengen a russi, cinesi e iraniani. L’Unione europea vede in Vanuatu un Paese terzo che inizia a presentare “serie e carenze e falle di sicurezza” per gli interessi dell’Ue, secondo i servizi della Commissione europea, che decide di sospendere l’accordo bilaterale che abolisce l’obbligo di visto per i cittadini dell’arcipelago dell’Oceania per entrare su suolo comunitario.La decisione dell’esecutivo comunitario può sembrare ‘curiosa’. Si si dà un sguardo al mappamondo si vede che Vanuatu è assai distante dall’Europa. Situato a est dell’Australia, a sud delle isole Salomone, nel versante orientale del mar dei Coralli, Vanuatu è davvero una destinazione remota. Ma ciò non impedisce al Paese di rappresentare una minaccia in termini di immigrazione regolare e sicurezza.Quello che ravvisano a Bruxelles è una politica di concessione delle cittadinanza di Vanuatu a cittadini di altri Paesi terzi. L’acquisizione della cittadinanza implica la possibilità di poter entrare e soggiornare liberamente nell’Ue per effetto dell’accordo che non richiede il visto. Dal 2015, denuncia la Commissione, le autorità vanuatiane hanno avviato “programmi di cittadinanza per investitori che consentono ai cittadini di paesi terzi soggetti all’obbligo del visto di ottenere facilmente la cittadinanza e il passaporto di Vanuatu, consentendo loro così di ottenere l’accesso senza visto all’UE, aggirando la procedura del visto Schengen”.Una pratica che sembra studiata a tavolino, visto che questi speciali programmi non prevedono requisiti specifici minimi di residenza su almeno una delle 65 isole abitate dell’arcipelago della Melanesia. Addirittura emerge che il processo di richiesta di cittadinanza è gestito da agenzie specializzate situate fuori Vanuatu, con la Commissione che cita esplicitamente Dubai (Emirati arabi), Thailandia e Malesia. In questo gioco di ‘documenti facili’ si teme anche per le ricadute in termini di sicurezza. Nello specifico preoccupa “la legislazione permissiva sui cambi di nome, poiché il richiedente che ha ottenuto la cittadinanza per investimento può anche richiedere un cambio di identità”.A usufruire dei passaporti di Vanuatu soprattutto richiedenti cinesi, russi, iraniani, nigeriani, siriani, iracheni. L’Ue teme che il remoto Stato dell’Oceania possa operare come ‘cavallo di troia’ per potenziali spie e estremisti islamici. “Ci avvaliamo del meccanismo di sospensione dei visti per rispondere in modo efficace alle minacce alla sicurezza”, taglia corto Ylva Johannson, commissaria per gli Affari interni. Vanuatu figura già nella lista nera dell’Ue dei Paesi non collaborativi in materia di lotta all’evasione fiscale. Adesso si aggiunge il capitolo ‘passaporti facili’.