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    Dialogo Serbia-Kosovo, ennesima fumata nera. Ora per l’UE diventa difficile gestire le tensioni tra Vučić e Kurti

    Bruxelles – Così non va. Dopo un anno dalla ripresa del dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’UE, è difficile continuare a illudersi alla vigilia di ogni incontro che possa essere arrivato il momento dello sblocco delle trattative e ritrovarsi l’indomani a tracciare l’ennesimo bilancio negativo. Parlare di “approcci molto diversi delle due parti“, come ha fatto il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, al termine della riunione ad alto vertice di ieri (lunedì 19 luglio), la quinta dal 12 luglio del 2020, sembra ormai un eufemismo.
    Il confronto tra Pristina e Belgrado, che si era interrotto per nove mesi tra settembre 2020 e giugno 2021, sembrava essere pronto per approdare in un porto sicuro, sotto le pressioni dell’Unione di risolvere le questioni regionali come prerequisito per l’adesione UE. E invece a Bruxelles si sta arenando nelle secche delle accuse reciproche e della mancanza di volontà di cercare un compromesso. Le grandi speranze dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ogni volta vengono spente dagli scontri tra i rappresentanti serbi e kosovari. Era successo al vertice di giugno, è riaccaduto ieri: “Abbiamo ottenuto pochissimi progressi“, ha confessato Lajčák in conferenza stampa.
    Il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák
    Il confronto tra Serbia e Kosovo facilitato dall’UE inizia ad assumere i tratti di un processo autoreferenziale: l’importante è che non si fermi, nella speranza che prima o poi qualcosa si sblocchi. “L’unico risultato che posso riferire è che il dialogo continuerà“, ha rivendicato il rappresentante speciale, tentando di far passare per promettente un risultato che non può essere all’altezza delle ambizioni che si è fissata la Commissione Europea. In particolare, continuano a pesare le parole di Borrell dell’ottobre dello scorso anno, quando prometteva che un accordo “è questione di mesi, non di anni”.
    Di mensile c’è invece solo la continuazione delle riunioni tecniche dei negoziatori, con la prospettiva di un sesto incontro di alto livello a settembre. Sarà il terzo per il premier kosovaro, Albin Kurti, ma con le premesse dell’incontro di ieri si fatica a capire come in soli due mesi si potranno ricucire i rapporti lacerati con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić.
    Fuoco incrociato
    All’apertura del quinto incontro del dialogo Serbia-Kosovo l’alto rappresentante Borrell aveva richiamato le parti a un “approccio costruttivo e pragmatico”, per “chiudere una volta per tutte i capitoli del loro doloroso passato con un accordo definitivo e giuridicamente vincolante”. Auspici che sono stati vanificati dall’atteggiamento di Kurti e Vučić nei confronti della rispettiva controparte.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Il presidente serbo ha definito l’incontro “molto negativo in tutti i sensi” e si è scagliato contro la delegazione kosovara per aver respinto una proposta in tre punti avanzata dai mediatori europei. Oltre agli incontri mensili tra i capi-delegazione, la proposta UE “si riferiva all’intensificazione degli sforzi comuni per l’identificazione dei resti delle persone scomparse e all’impegno ad astenersi da azioni destabilizzanti”. Stando alle parole di Vučic, Kurti avrebbe risposto solo accusando Belgrado di essere responsabile di tre genocidi: nel 1878 dopo l’indipendenza ottenuta al congresso di Berlino, durante le guerre balcaniche e la prima guerra mondiale, e infine durante la guerra in Kosovo nel 1998-1999. “Non hanno fatto altro che chiedere alla Serbia di rispondere del suo passato“.
    Il presidente serbo ha detto di aver insistito sul “rispetto degli accordi raggiunti nell’aprile 2013 a Bruxelles”, a partire dalla creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo. Un tema su cui Pristina sembra essere sorda. “Non ci sarà molto da aspettarsi” da un nuovo round di negoziati tecnici a fine agosto, si è sbilanciato Vučic. A suo avviso, la parte kosovara “non ha alcun interesse a negoziare”, perché il suo unico obiettivo sarebbe “ottenere il sì della Serbia all’indipendenza del Kosovo e imporci di riconoscere presunti crimini e genocidi ai danni del popolo kosovaro albanese”.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti
    Dal canto suo, il premier Kurti ha denunciato che la proposta di un accordo di pace in sei punti presentata dalla sua delegazione “è stata respinta senza essere neanche letta” dal presidente serbo. Questo dimostrerebbe “la loro riluttanza a raggiungere un’intesa”. Il primo ministro kosovaro non ha negato di aver insistito sul passato tra Pristina e Belgrado: “Non capisco perché dovremmo avere paura di affrontarlo, quando sappiamo di avere problemi”. Secondo lui la Serbia “non vuole riconoscere il suo passato criminale, né l’indipendenza del Kosovo“, due fattori del dialogo “strettamente collegati l’uno all’altro”.
    Da quando Kurti è stato nominato nuovo premier del Kosovo, i rapporti con Belgrado sono diventati sempre più tesi, alimentando una spirale di nazionalismo nei rispettivi territori. Con un atto palesemente provocatorio Kurti ieri ha regalato a Borrell e soprattutto a Vučić tre libri sui crimini serbi in Kosovo: una confessione di donne violentate durante la guerra, il lavoro dell’attivista serba per i diritti umani, Nataša Kandić, sull’uccisione di 1.133 bambini e la scomparsa di altri 109 nel conflitto del 1998-1999, e un’opera sullo sterminio degli albanesi fra il 1878 e il 1884 nel Sangiaccato di Niš. “La Serbia è arrivata in Kosovo con un genocidio ed è andata via con un altro genocidio“, ha attaccato il premier kosovaro. Le premesse in vista dell’incontro di settembre, tutt’altro che incoraggianti, sono tutte qui.

    Nessun progresso dal quinto vertice di alto livello a Bruxelles, che evidenzia l’incapacità di cercare un compromesso tra Pristina e Belgrado. Le parti si accusano reciprocamente di voler affossare il confronto, con la ripresa programmata a settembre

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    Allargamento UE, la Serbia e quella pericolosa alleanza con Orbán: “Belgrado può contare sul sostegno dell’Ungheria”

    Bruxelles – Viktor Orbán non sta godendo di un momento di grande popolarità nell’Unione Europea, per usare un eufemismo. La legge anti-LGBT+ del premier ultra-conservatore ungherese è da settimane al centro di una bufera tra le istituzioni europee che coinvolge direttamente il rispetto dello Stato di diritto nel Paese. Ma, proprio nel giorno in cui è entrata in vigore quella legge “vergognosa” – come l’ha definita la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen – c’è un Paese che ha deciso di riceverlo con tutti gli onori del caso: la Serbia. In maniera quasi beffarda, proprio quella Serbia che sta negoziando con Bruxelles l’adesione all’Unione Europea e che è al centro della politica di allargamento dell’Unione nei Balcani occidentali.
    Questa mattina (giovedì 8 luglio) Orbán è arrivato a Belgrado con il ministro degli Esteri, Peter Szijjarto (che ha ricevuto l’Ordine della bandiera serba, un’onorificenza statale), e a altri componenti del governo ungherese. Dopo essere stato accolto all’aeroporto della capitale da Nikola Selaković, ministro degli Esteri serbo, il premier magiaro si è incontrato con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. I due leader politici sono legati da stima reciproca e da un rapporto che ormai si è trasformato in amicizia e non sono rare le visite nei rispettivi Paesi. In particolare Vučić non ha mai nascosto la sua ammirazione per Orbán, preso a modello come uomo forte all’interno dell’UE: “È un veterano della politica europea”.
    Allo stesso tempo, il primo ministro ungherese guarda con interesse all’allargamento dell’Unione nei Balcani occidentali, come potenziale bacino di influenza e di possibili partner futuri a Bruxelles. Vanno in questa direzione le parole di supporto all’adesione della Serbia, pronunciate nel corso della conferenza stampa congiunta post-vertice: “La Serbia è un Paese chiave per la stabilità della regione balcanica, allo stesso modo della Polonia nell’Europa centrale“. Il riferimento all’Est Europa non è casuale. Polonia e Ungheria fanno entrambe parte del Gruppo di Visegrád (con Repubblica Ceca e Slovacchia) e stanno dando grossi grattacapi a Bruxelles: dalla minaccia prolungata di veto per il vincolo sullo Stato di diritto sull’approvazione del bilancio pluriennale UE 2021-2027 e del Recovery Fund, alla violazione dell’indipendenza del sistema giudiziario, fino alla questione del mancato rispetto dei diritti LGBT+.
    “Fino a quando non sarà integrata la Serbia nell’Unione Europea, i Balcani occidentali non lo saranno“, ha sottolineato con forza Orbán, che poi ha utilizzato i suoi consueti toni aggressivi nei confronti delle istituzioni europee: “La Serbia è un Paese chiave e questo l’UE lo deve capire“. Tanto che, secondo lui, “è più nel suo interesse avere con sé la Serbia, piuttosto che di Belgrado entrare nell’Unione”. Per questo motivo “Belgrado può contare sul nostro sostegno, come Budapest conta su di voi“, ha concluso a effetto l’ospite ungherese.

    Мађарска влада и премијер Виктор Орбан су прави пријатељи Србије. Мађарска ће увек моћи да рачуна на српско пријатељство.https://t.co/JuMfYiRKnP pic.twitter.com/oxPljPQBkl
    — Александар Вучић (@avucic) July 8, 2021

    Lusinghe che non hanno lasciato indifferente il presidente serbo: “Molti dicono di appoggiare il percorso della Serbia verso l’integrazione nell’Unione, ma sono pochi quelli che lo fanno apertamente e con coraggio, disposti anche a incassare critiche, come lo fate voi”. È così che si rinsalda “l’amicizia” tra ungheresi e serbi, almeno di alto vertice. Senza dimenticare l’aspetto commerciale, con l’Ungheria al quinto posto tra i partner commerciali della Serbia, delle infrastrutture (è in cantiere un progetto di linea ferroviaria veloce tra le due capitali) e la comunione di visioni: “Le nostre minoranze godono di pieni diritti senza alcun problema di convivenza interetnica”, ha rivendicato Vučić.
    Curiosamente, è passato invece sotto silenzio il tema dei diritti LGBT+. In Serbia si attende ancora l’approvazione della legge sull’istituto del partenariato, vale a dire il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. Non è equiparabile al matrimonio – riservato solo alle coppie eterosessuali – ma garantirà diritti sul fronte dell’eredità, delle assicurazioni e dell’acquisto di immobili. Come in Italia, invece, non permetterà le adozioni. Mentre in Ungheria ieri è stata punita con una multa di 700 euro la pubblicazione di un libro di fiabe della Rainbow Families Foundation che raffigurava al suo interno anche alcune famiglie arcobaleno. Sarebbe interessante conoscere l’opinione della premier serba, Ana Brnabić, omosessuale dichiarata che ogni anno sfila al Pride di Belgrado, sull’amicizia tra Serbia e Ungheria e sui rischi che il Paese corre nel seguire questo alleato sulla strada del mancato rispetto dei diritti dei cittadini.

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    Proprio nel giorno dell’entrata in vigore della legge anti-LGBT+ al centro delle polemiche a Bruxelles, il premier ungherese è stato ospitato dal presidente Vučić: “Sono pochi quelli che ci appoggiano come fate voi”

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    Allargamento UE, Sassoli riceve presidenti dei Parlamenti balcanici: “Istituzioni siano motore di pace e democrazia”

    Bruxelles – Se la politica di allargamento dell’UE rispecchiasse fedelmente le espressioni di intenti, l’Unione sarebbe già da tempo ben avviata sulla strada dei trentatré Paesi membri. I progressi dei sei Stati dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Eerzegovina, Macedonia del nord, Montenegro, Kosovo, Serbia), in materia di riforme e cooperazione regionale sono stati evidenziati a più riprese a Bruxelles ma, per motivazioni che variano da caso a caso, l’orizzonte dell’adesione è ancora lontano. Rimane però una certezza: se le promesse non saranno seguite da fatti concreti, l’entusiasmo cederà il passo alla disillusione e i Balcani guarderanno con sempre più interesse ad altre potenze, come Russia e Cina.
    Di tutto questo si è parlato nel corso del secondo vertice del Parlamento Europeo e dei presidenti dei Parlamenti dei Balcani Occidentali (lunedì 28 giugno), a distanza di un anno e cinque mesi dal primo incontro di questo tipo a Bruxelles. Un’occasione per ribadire il ruolo centrale delle istituzioni democratiche nel processo di allargamento UE nella regione, con l’impegno a rafforzarne la dimensione parlamentare.
    Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, firma la dichiarazione congiunta durante il secondo vertice con i presidenti dei Parlamenti dei Balcani Occidentali (28 giugno 2021)
    Tutto ciò è emerso non solo dallo scambio di vedute durante la riunione, ma anche da quanto messo nero su bianco nella dichiarazione congiunta del presidente del Parlamento UE, David Sassoli, degli omologhi dei Parlamenti portoghese e sloveno (rispettivamente Igor Zorčič ed Eduardo Ferro Rodrigues), in rappresentanza delle presidenze attuali e future del Consiglio dell’UE, e di quelli balcanici: Gramoz Ruçi (Albania), Bakir Izetbegović (Bosnia ed Erzegovina), Glauk Konjufca (Kosovo), Talat Xhaferi (Macedonia del Nord), Aleksa Bečić (Montenegro) e Ivica Dačić (Serbia).
    Anche in vista del summit UE-Balcani Occidentali che dovrebbe tenersi a Lubiana durante il semestre di presidenza slovena, la prospettiva dei Parlamenti nazionali dovrà essere sempre più quella di uno “spazio inclusivo di dialogo”, con l’obiettivo di “favorire la riconciliazione” e di “fornire un contributo diretto alla pace, alla stabilità, alla prosperità e al rafforzamento della democrazia” in tutta la regione. Il focus su cui lavorare rimane l’attuazione delle riforme richieste da Bruxelles, dallo Stato di diritto all’indipendenza della magistratura, dal pluralismo all’indipendenza del media e della magistratura, fino alla parità di genere e alla lotta contro i cambiamenti climatici.
    Ma se le istituzioni balcaniche dovranno dimostrare un vero impegno su questi punti, altrettanto fondamentale sarà quello che l’Unione Europea dovrà mettere in campo. Non solo attraverso il dialogo interparlamentare con l’Eurocamera e il coinvolgimento della società civile dei Balcani durante la Conferenza sul futuro dell’Europa, ma soprattutto “tenendo fede alle promesse” del Consiglio dell’UE. L’invito è ad accelerare il processo di allagamento, “un interesse politico, economico e di sicurezza della stessa Unione”, conclude la dichiarazione congiunta.

    Very positive 2nd summit with the speakers from the #WesternBalkans!
    Enlargement means hope, for all sides! We call on the Council to keep its promises and speed up the enlargement process.
    This is a geostrategic investment, for a strong, united Europe. https://t.co/znHkqeU1NH pic.twitter.com/ounhDFgGXS
    — David Sassoli (@EP_President) June 28, 2021

    L’esortazione ai governi dei Ventisette nel rispettare le promesse fatte ai Paesi balcanici è stata ribadita con forza anche dal presidente del Parlamento UE, che dopo l’incontro ha parlato di “speranza per tutte le parti” se si procederà sulla strada dell’allargamento dell’Unione. Il processo di adesione dei Balcani occidentali “basato sul merito” rappresenta un “investimento geostrategico, per un’Europa forte e unita“, ha commentato su Twitter.
    Secondo Sassoli, questa consapevolezza scaturisce dalle conseguenze della pandemia COVID-19, che “ha ulteriormente evidenziato quanto dipendiamo gli uni dagli altri per affrontare le sfide attuali e future”. In questo senso, gli atti di solidarietà e cooperazione a livello finanziario e umanitario confermano gli sforzi dell’UE per “contribuire allo sviluppo sostenibile e alla ripresa socio-economica a lungo termine” della regione.
    Ma il vero “motore di pace e democrazia” sono proprio i Parlamenti nazionali, che “possono favorire la comprensione reciproca e la riconciliazione nei Balcani occidentali”. Con questo obiettivo, l’Eurocamera “rimarrà un partner impegnato verso un futuro europeo comune” e offrirà sostegno in diversi modi: sia nell’area della “mediazione e dialogo”, sia nel “rafforzamento delle capacità parlamentari”, ma anche attraverso “l’osservazione elettorale e le azioni per i diritti umani”, è stata la promessa del presidente del Parlamento Europeo al termine del vertice.
    Da sinistra, i presidenti: Igor Zorčič (Assemblea nazionale slovena), Talat Xhaferi (Assemblea della Macedonia del Nord), Aleksa Bečić (Assemblea del Montenegro), Bakir Izetbegović (Camera dei Popoli della Bosnia ed Erzegovina), David Sassoli (Parlamento Europeo), Gramoz Ruçi (Assemblea di Albania), Ivica Dačić (Assemblea nazionale della Serbia) e Glauk Konjufca (Assemblea del Kosovo)

    Nella dichiarazione congiunta firmata durante il secondo vertice interparlamentare è stato ribadito l’impegno a collaborare per “favorire la riconciliazione nella regione”. Dal presidente dell’Eurocamera l’invito al Consiglio dell’UE a “rispettare le promesse” per l’adesione dei sei Paesi

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    Allargamento UE, al via prime conferenze intergovernative con Serbia e Montenegro. Ma è ancora stallo in Consiglio su Albania e Macedonia

    Bruxelles – Prende sempre più slancio la prospettiva europea di Serbia e Montenegro. Dopo l’adozione della nuova metodologia per i negoziati di adesione dei due Paesi dei Balcani occidentali, ieri sera (martedì 22 giugno) sono state avviate le prime conferenze intergovernative con i rappresentanti politici di Belgrado e Podgorica. A presiederle, il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e la segretaria di Stato portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Ana Paula Zacarias.
    “Sono lieto che il Montenegro e la Serbia abbiano accettato la metodologia rivista, aprendo la porta alle prime conferenze intergovernative politiche”, ha sottolineato il commissario Várhelyi, dopo aver accolto prima il team montenegrino guidato dal primo ministro, Zdravko Krivokapić, e successivamente quello serbo della premier, Ana Brnabić. “Come abbiamo visto stasera, su questa base rilanceremo il processo di adesione rendendolo più prevedibile, più credibile, più dinamico e soggetto a un orientamento politico più forte”.
    Sul fronte di Podgorica, “questo incontro invia un forte segnale politico dell’impegno dell’Unione Europea“, aprendo la porta a un confronto politico “aperto” sulle riforme chiave. Il Montenegro ha già aperto tutti i capitoli negoziali, ma Várhelyi ha precisato che ora sono necessarie “discussioni sullo Stato di diritto, che determineranno il ritmo dei nostri negoziati“. La priorità “assoluta” su cui è stato trovato un accordo è “soddisfare i parametri intermedi stabiliti nei capitoli sullo Stato di diritto”, vale a dire il 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e il 24 (giustizia e affari interni). “Mi ha fatto piacere sentire l’impegno e il piano molto dettagliato del primo ministro per affrontare le questioni in sospeso”, ha sottolineato il commissario, che ha assicurato anche il sostegno di Bruxelles per la ricostruzione dell’economia montenegrina dopo la crisi COVID-19.

    At 1st political Intergovernmental Conference w #Montenegro under revised methodology tonight: Strong political signal & political dialogue on key reforms. 🇲🇪 already opened all chapters & needs to focus on rule of law to fulfil opening benchmarks in chapters 23&24. pic.twitter.com/dSkPbHMfG0
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) June 22, 2021

    A stretto giro, si è tenuta anche la prima conferenza intergovernativa con i rappresentanti serbi. “Abbiamo avuto una discussione sostanziale su ciò che dovrà essere fatto e abbiamo anche fatto il punto sui progressi”, è stato il commento del commissario Várhelyi. Per quanto riguarda i progressi, è stato aperto il primo cluster (gruppo tematico di capitoli negoziali) sullo Stato di diritto. Di conseguenza, “possiamo passare a dinamizzare il processo di adesione per la Serbia durante la presidenza slovena”, a partire dal primo luglio e per tutto il prossimo semestre.
    I passi in avanti anche sul terzo cluster (competitività e crescita inclusiva) e il quarto (Agenda verde e connettività sostenibile) danno la speranza che si crei un “nuovo slancio per tutti noi”, ha aggiunto Várhelyi. Ma “serve che la Serbia sia all’altezza“: un messaggio politico che la premier Brnabić “ha sentito da tutti noi”. Anche in relazione alle questioni in sospeso a livello regionale, dialogo Belgrado-Pristina su tutte.

    At 1st political Intergovernmental Conference w #Serbia under revised methodology tonight. We had a substantial discussion on what needs to be done&took stock of progress. 🇷🇸 has done significant work in last months&accelerated reforms, be it on the rule of law or clusters 3&4. pic.twitter.com/YqhAm6sOGC
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) June 22, 2021

    Ma il commissario europeo si è trovato costretto a commentare anche i (non) risultati del Consiglio Affari Generali di ieri sul tema dell’allargamento dell’UE nei Balcani occidentali. Perché se “la presidenza portoghese ha compiuto enormi sforzi in tutti i fascicoli-chiave” – dall’accordo politico con il Parlamento UE sullo strumento IPA III di finanziamento del Piano economico e degli investimenti, alla nuova metodologia negoziale per Serbia e Montenegro – è anche vero che il quadro negoziale per l’avvio del processo di adesione di Albania e Macedonia del Nord è ancora in stallo.
    “Negli ultimi mesi abbiamo percorso molto terreno”, ma “non siamo stati in grado di concludere questo lavoro durante il semestre portoghese”. Durante la presidenza slovena, “che è pronta a portarlo avanti”, è necessario un “vero impegno per aprire le prime conferenze intergovernative con entrambi i Paesi“, ha concluso Várhelyi. “Nonostante l’impegno profuso, non è stato possibile arrivare a un’intesa tra i ministri”, ha confermato in conferenza stampa la segretaria di Stato portoghese Zacarias. “Abbiamo preso nota degli ultimi sviluppi e sottolineato l’importanza strategica del processo di allargamento dell’Unione”.
    A bloccare l’avvio delle conferenze intergovernative con Tirana e Skopje, come sei mesi fa, è stato il veto della Bulgaria sul quadro negoziale per l’adesione della Macedonia del Nord. La conferma è arrivata dallo stesso viceministro degli Esteri bulgaro, Rumen Alexandrov, a margine del vertice dei ministri UE di ieri: “Il nostro approccio è costruttivo e in buona fede, ma ci aspettiamo che Skopje inizi a mettere in pratica gli impegni assunti ad alto livello“, compresa “l’esplicita rinuncia alle rivendicazioni territoriali, etniche e storiche nei confronti della Bulgaria e all’istigazione all’odio verso i bulgari”. Tutte motivazioni, più o meno di facciata, che da mesi giustificano la posizione assunta dal governo di Sofia in seno al Consiglio.

    Rilanciato il processo di adesione dei due Paesi dei Balcani occidentali con “forti segnali politici da parte dell’Unione”, ha rivendicato il commissario Várhelyi. Il veto della Bulgaria su Skopje blocca ancora l’avvio degli altri due negoziati

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    COVID: l’UE riapre ai viaggi non essenziali dagli Stati Uniti, anche ai turisti non vaccinati

    Bruxelles – Gli Stati Uniti entrano nella lista dei Paesi extra UE per i quali le restrizioni ai viaggi in Unione Europea dovrebbero essere revocate. Oggi (18 giugno) il Consiglio dell’UE ha aggiornato l’elenco – che viene rivisto ogni 14 giorni – sulla base dell’accordo degli ambasciatori dei 27, trovato durante la riunione del Coreper di mercoledì 16 giugno.
    I viaggi non essenziali sono stati vietati nell’UE dopo lo scoppio della pandemia di Coronavirus per evitare ulteriori contagi. Tuttavia, la situazione migliora e i viaggiatori provenienti dagli Stati Uniti possono essere ammessi nell’UE, anche per ragioni non essenziali e se non vaccinati grazie alla migliorata situazione epidemiologica interna. Per essere nella lista un paese deve registrare meno di 75 casi di Covid-19 al giorno ogni 100 mila abitanti registrati negli ultimi 14 giorni.
    Insieme agli USA, nella lista sono stati aggiunti anche Albania, Libano, Nord Macedonia, Serbia, Taiwan, Hong Kong e Macao, che si vanno ad aggiungere a quelli già inclusi (Giappone, Australia, Israele, Nuova Zelanda, Ruanda, Singapore, Corea del sud e Thailandia e Cina, che è l’unico Paesi extra UE con asterisco perché è richiesta una condizione di reciprocità). Gli Stati Ue devono consentire l’accesso dentro i confini europei, ma possono continuare ad applicare e richiedere a chi entra in UE ulteriori restrizioni per entrare come tamponi, quarantene o isolamento.

    Le condizioni epidemiologiche migliorano e il Consiglio aggiorna lista Paesi terzi per i quali togliere gradualmente le restrizioni a viaggi, anche per viaggi non essenziali e per chi non è ancora vaccinato. Insieme agli USA aggiunti anche Albania, Libano, Nord Macedonia, Serbia, Taiwan, Hong Kong e Macao

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    Dialogo Serbia-Kosovo: l’UE prende tempo, ma tra Vucic e Kurti è scontro aperto. Tutto rimandato al vertice di luglio

    Bruxelles – Non sono servite nemmeno sei ore per spegnere ogni entusiasmo europeo sul nuovo round di alto livello del dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’UE, svoltosi questa mattina (martedì 15 giugno) a Bruxelles. Se erano grandi le speranze dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e del rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sui risultati da “iniziare a produrre” nel corso del quarto confronto dal 12 luglio dello scorso anno, ci hanno pensato proprio i leader dei due Paesi balcanici a mettere tutto in soffitta. Se ne riparlerà “entro la fine di luglio, quando il processo proseguirà“, ha dichiarato Lajčák al termine dell’incontro.
    Il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák
    La Commissione Europea prende tempo: il rappresentante speciale UE parla di un “nuovo capitolo”, uno “scambio molto aperto e franco su ciò che ciascuno desidera” e che “entrambi i leader hanno confermato che non c’è altra via da seguire se non quella di normalizzare le relazioni tra Kosovo e Serbia”. Ma così non basta più, di sicuro non dopo la promessa di Borrell (che risale ormai al 12 ottobre 2020) che “l’accordo è una questione di mesi, non anni”.
    Anche perché tra le due parti – se già non correva buon sangue prima – ora è scontro aperto. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si è detto “deluso” dall’incontro con il premier kosovaro, Albin Kurti, e che “l’unica cosa positiva della riunione è stata l’intesa a proseguire i negoziati entro fine luglio”. Il leader serbo ha parlato di posizioni “irresponsabili e fuori dalla realtà” da parte di Kurti, dal momento in cui “si rifiuta di parlare della creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo”, ma allo stesso tempo “vuole sapere quando riconosceremo l’indipendenza di Pristina”. A questa “provocazione”, Vučić ha precisato ai giornalisti con una punta di orgoglio che non lo farà “mai”.
    Piovono critiche su Belgrado, invece, dal fronte kosovaro: “Da parte nostra l’incontro è stato costruttivo”, ha spiegato il premier Kurti alla stampa, ma “dall’altra parte si riproponevano vecchie idee”. Parlando dei quattro punti proposti durante l’incontro, Kurti ha accusato Vučić di averne respinti tre e di non aver dato “nemmeno una risposta sul quarto”, ovvero la revisione dell’Accordo centro-europeo di libero scambio (CEFTA). Stando a quanto riportato dal governo di Pristina, Belgrado ha rispedito al mittente i progetti di firma di un accordo di pace tra le due parti, di istituzione in Kosovo di un Consiglio nazionale per la minoranza serba (sul modello di quello già esistente in Serbia per le minoranze albanesi e bosniache) e la rimozione del capo della Commissione serba per le persone scomparse durante il conflitto, Veljko Odalović.
    Non proprio la descrizione di un incontro soddisfacente – o “non facile”, come lo ha definito Lajčák. Ma se c’è una sola cosa incoraggiante da portare a casa in vista del nuovo vertice a Bruxelles del prossimo luglio è che entrambi i leader sembrano ormai guardare alle istituzioni europee e statunitensi come un solo attore geopolitico, una duplice garanzia sul presente e sul futuro per la stabilizzazione della regione. Il presidente serbo ha confessato di essere “fiducioso” sul fatto che l’alto rappresentante UE Borrell riferirà “in modo preciso e minuzioso” l’esito dell’incontro di oggi al presidente USA, Joe Biden. Il premier kosovaro ha invece affermato che “l’accordo con Belgrado andrà raggiunto entro la fine dei mandati di Borrell e Biden“.
    Considerando la fine naturale dei rispettivi mandati, si parla della fine del 2024 (per l’alto rappresentante UE) e dell’inizio del 2025 (per il presidente statunitense). Per allora, la dichiarazione di indipendenza del Kosovo avrà compiuto quasi 17 anni e l’inizio del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’UE quasi 14 anni. Ma intanto c’è da pensare al breve termine, al quinto vertice dalla ripresa del 12 luglio dello scorso anno (il confronto si era precedentemente fermato nel novembre 2018). Se arriverà davvero entro fine luglio, cadrà allo scadere del primo anniversario. E già si inizia a parlare di anni, non mesi.

    Tradisce le aspettative delle istituzioni europee il vertice a Bruxelles tra il presidente serbo Vucic e il premier kosovaro Kurti. Entrambi i leader guardano a UE e Stati Uniti come unico attore geopolitico nella regione

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    Dialogo Serbia-Kosovo, dopo 9 mesi di stallo riprende a Bruxelles il confronto politico. Grandi speranze dall’UE

    Bruxelles – Si riparte, là da dove si era fermato tutto. A Bruxelles è ricominciato oggi (martedì 15 giugno) il dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’Unione Europea, a nove mesi dall’ultimo confronto politico tra i rappresentanti di Belgrado e Pristina. Era il 7 settembre 2020: l’amministrazione statunitense di Donald Trump stava mettendo seriamente a rischio il processo decennale dell’UE, il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, aveva appena comunicato che avrebbe trasferito l’ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme come segno di intesa con The Donald e l’ex-premier del Kosovo, Avdullah Hoti, ancora non era stato travolto dallo scandalo politico che ha fatto crollare il suo governo a gennaio 2021.
    Da sinistra, il premier del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE, Josep Borrell (15 giugno 2021)
    Un vero e proprio parto politico – sia per le tempistiche, sia per le complicazioni lungo il cammino – è quello che ha portato al quarto incontro dei leader dei due Paesi dei Balcani occidentali, dopo la ripresa del 12 luglio dello scorso anno (il confronto si era precedentemente fermato nel novembre 2018). Nel frattempo, se tutto sembra rimasto immutato in Serbia, il Kosovo ha vissuto uno dei periodi di più grande fermento sociale e istituzionale: il neo-premier, Albin Kurti, e la nuova presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, hanno promesso una svolta radicale nel Paese, ma anche nelle relazioni con il vicino che non vuole riconoscere l’indipendenza di Pristina, dichiarata il 17 febbraio 2008.
    Con tutte queste premesse, l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina e le altre questioni regionali dei Balcani occidentali, Miroslav Lajčák, hanno dato questa mattina il benvenuto al presidente serbo Vučić e al premier kosovaro Kurti. In un’atmosfera che, per descriverla in modo incisivo, “non è facile“. Parola dell’alto rappresentante UE.
    Da sinistra, l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (15 giugno 2021)
    “Questo processo e questo sincero impegno da entrambe le parti è necessario per il bene del popolo del Kosovo e della Serbia”, ha esortato Borrell prima dell’inizio del nuovo incontro con i due leader balcanici. Un invito che ricalca le parole utilizzate nel corso delle rispettive visite bilaterali del presidente serbo e del primo ministro kosovaro a Bruxelles alla fine di aprile: “Allora ho incoraggiato a proseguire senza indugio il dialogo, con l’obiettivo di produrre risultati, nonostante tutte le difficoltà esistenti”.
    Ma l’alto rappresentante Borrell ha voluto mettere in luce che “c’è un nuovo slancio e dobbiamo usarlo“. Prima di tutto il cambio di atteggiamento della nuova amministrazione statunitense di Joe Biden (non a caso Borrell ha sottolineato che l’appuntamento coincide con il vertice UE-Stati Uniti di oggi), che ha portato a un maggiore allineamento tra Bruxelles e Washington sulle modalità e le prospettive di stabilizzazione della penisola balcanica. Ma soprattutto per la nuova ondata di confronti dentro e fuori le istituzioni europee sul presente e il futuro dei Balcani occidentali nell’UE: “È un’importante opportunità per il progresso dell’intera regione“, ma “senza un accordo tra Kosovo e Serbia, sarà a rischio”, ha avvertito l’alto rappresentante.
    Ecco perché l’Unione Europea si aspetta un incontro “importante e proficuo”, che porti a “rapidi progressi per lasciarci finalmente alle spalle il passato” e “raggiungere un accordo completo e giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”. Sono molti oggi i fattori di novità rispetto a quel 7 settembre 2020: la speranza a Bruxelles è che nel frattempo non sia cambiato tutto, perché tutto rimanesse come prima.

    I am hosting a new meeting of the High Level Belgrade-Pristina Dialogue today with President @predsednikrs and Prime Minister @albinkurti.
    The Dialogue and its outcome is the path to the European future of both sides. Meanwhile, it brought important results for their citizens. pic.twitter.com/oZ3lOgxZTl
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 15, 2021

    Il presidente serbo, Aleksandar Vucic, e il premier kosovaro, Albin Kurti, accolti dall’alto rappresentante Borrell per la nuova sessione di colloqui ad alto livello: “Sarà difficile, ma dobbiamo iniziare a produrre risultati”

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    Allargamento UE, intesa tra Parlamento e Consiglio su fondi a sostegno dell’adesione di Balcani occidentali e Turchia

    Bruxelles – Era stato chiesto con urgenza durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo di maggio dallo stesso commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e dopo due settimane l’accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III è stato raggiunto dai negoziatori di Consiglio e Parlamento UE.
    Un’intesa politica sulle priorità, gli obiettivi e la governance di questo strumento modernizzato, che andrà a disciplinare i finanziamenti 2021-2027 e metterà in campo 14,2 miliardi di euro a sostegno dell’attuazione delle riforme nei sette Paesi candidati all’adesione all’UE: i sei dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia) e la Turchia.
    Attraverso l’accordo raggiunto ieri sera (mercoledì 2 giugno) – che dovrà essere ora convertito in Regolamento e approvato da Parlamento e Consiglio, verosimilmente entro l’inizio del prossimo autunno – i co-legislatori hanno deciso di rafforzare le condizionalità relative alla democrazia, ai diritti umani e allo Stato di diritto. L’assistenza prevista dallo strumento IPA III sarà sospesa in caso di “regresso democratico”, vale a dire di passi indietro dei rispettivi governi su questi settori-chiave nell’ambito delle riforme strutturali per l’accesso all’Unione.
    Il nuovo aggiornamento dello strumento di assistenza pre-adesione (istituito per la prima volta nel 2007 e seguito poi da IPA II nel 2014) si pone anche gli obiettivi di intensificare la lotta alla disinformazione e contribuire alla protezione dell’ambiente, dei diritti umani e della parità di genere, con un maggiore coordinamento con le organizzazioni della società civile e le autorità locali. Rafforzato anche il ruolo del Parlamento Europeo, che attraverso un dialogo geopolitico con la Commissione, sarà in grado di definire i principali orientamenti strategici e di controllare le decisioni prese nell’ambito dello strumento.
    È stato proprio il commissario Várhelyi ad accogliere con ottimismo l’intesa tra Consiglio e Parlamento: “È un segnale benvenuto, positivo e forte per i Balcani occidentali e la Turchia“. Il commissario ha definito l’aggiornamento dello strumento come “un solido investimento nel futuro della regione e dell’allargamento dell’Unione”, il cui punto di forza è proprio sostenere “l’attuazione delle principali riforme politiche, istituzionali, sociali ed economiche” per conformarsi agli standard comunitari. Non solo: “La sua programmazione si basa su priorità tematiche piuttosto che su dotazioni nazionali“, caratteristica fondamentale per “premiare le prestazioni e i progressi” e “dare maggiore flessibilità” alle esigenze in evoluzione.
    In ultima battuta, il commissario per l’Allargamento ha anche sottolineato che lo strumento IPA III “fornirà finanziamenti per il Piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali“, presentato il 6 ottobre dello scorso anno dalla Commissione per sostenere la ripresa economica di questa “regione prioritaria” nell’ottica geo-strategica dell’Unione Europea.

    Il nuovo strumento di assistenza pre-adesione IPA III che regola i finanziamenti 2021-2027 avrà un valore di 14,2 miliardi di euro. Agevolerà l’attuazione delle riforme nei sette Paesi candidati, ma sarà sospeso in caso di “regresso democratico”