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    La NATO ora accelera sulla difesa anti-droni. Rutte: “Avanti con nuove misure”

    Bruxelles  – La NATO andrà avanti con sistemi di difesa anti-droni, e in questo “non ci saranno duplicazioni” né sovrapposizioni con l’Unione europea. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, ostenta sicurezza e determinazione. Al termine della riunione dei ministri della Difesa parla alla stampa, ma è alla Russia che in realtà si rivolge. Tutto il lavorio dell’Organizzazione ruota attorno a Mosca e al suo operato, nel rispetto di una missione e di una vocazione mai perse, neppure dopo caduta della cortina di ferro.Non entra nel merito di un piano di fatto messo a punto, non vuole offrire vantaggi al nemico, ma Rutte chiarisce senza girarci troppo attorno che la NATO “metterà in atto una serie di ulteriori misure anti-droni che rafforzeranno, estenderanno e accelereranno la nostra capacità di contrastare questa minaccia”. Non si perde tempo, visto che “sistemi di test” risultano in funzione mentre lo stesso Rutte parla ai giornalisti. “Innovazione e adattamento fanno parte del DNA della NATO”, ricorda il segretario generale dell’Organizzazione, che assicura come “continueremo a imparare dalla cooperazione con l’Ucraina, ad accelerare la nostra innovazione e a rafforzare la collaborazione con il settore privato”.Il segretario generale della NATO, Mark Rutte [Bruxelles, 15 ottobre 2025]La strategia concordata con gli alleati prevede sviluppo di nuovi sistemi attraverso “cicli rigorosi e ripetuti di test, prove ed esercitazioni”, a cui si aggiungeranno meccanismi di approvvigionamento comuni per facilitare un rapido accesso alle tecnologie più efficaci. Nella perenne e oggi rinnovata sfida a Mosca, Rutte ringrazia e punzecchia il presidente russo Putin. Le violazioni dello spazio aereo europee da parte di velivoli senza pilota “hanno messo in evidenza l’efficacia della nostra postura di deterrenza e difesa, fornendo al contempo un ulteriore impulso a migliorarla”.Difesa armata e presenza non espansionisticaNelle logiche proprie del confronto e dello scontro la narrativa viene rimodulata e rimodellata in automatico, e il segretario generale della NATO fa prova di grande capacità retorica nella scelta di un linguaggio certamente di propaganda – o contro-propaganda – ma comunque ben scelto. Intanto cerca di rassicurare spiegando che “la NATO è un’alleanza di difesa e rimarrà un’alleanza di difesa“, salvo poi dire che però ci si armerà. I ministri della Difesa dei 32 alleati “hanno ribadito che stanno aumentando gli investimenti nella difesa, potenziando la produzione nel settore della difesa e intensificando” il sostegno all’Ucraina. Avanti con la difesa armata e potenziata, dunque.C’è poi la questione della presenza sull’intero scacchiere internazionale. Rutte ha già avuto modo di dire che la NATO non ha intenzione di espandersi nel quadrante di sud-est ma di avere lì degli amici, e tanto basta per mettere in chiaro che si presidierà, pronti a intervenire. “Atlantico e Indo-Pacifico non dobbiamo vederli come versanti isolati“, quanto interconnessi. E’ convinzione di Rutte che “se la Cina volesse attaccare Taiwan la Russia sarebbe obbligata ad attaccare su un altro fronte“. Parole che dimostrano come la NATO viva sul ‘chi va là’, in stato di allerta perenne, e per questo si vuole essere pronti.Ucraina, gli europei acquistino USAInfine il capito Ucraina. I ministri della Difesa della NATO ribadiscono la volontà di continuare a sostenere Kiev, ma questo sostegno passa inevitabilmente per Casa Bianca, Pentagono e industria a stelle e striscei. “Molti sistemi di difesa aerea sono già stati forniti all’Ucraina, ora ci sono delle tecnologie che solo gli Stati Uniti possono fornire, come ad esempio gli intercettori per i sistemi Patriot”, taglia corto Rutte. Questo implica che gli europei devono comprarli per darli all’Ucraina, e che i membri UE della NATO devono dirottare e distogliere acquisti dalle proprie industria in barba alla voglia di stimolare il comparto pesante europeo.Gli Stati Uniti hanno ripreso a fornire supporto militare essenziale, letale e non letale all’Ucraina, finanziato dagli Alleati, con già due miliardi di dollari impegnati. Ad oggi, sottollinea Rutte, “più della metà dei Paesi membri della Nato ha aderito” alla Purl Initiative, lo speciale programma che per l’appunto consente agli alleati di finanziare la fornitura di equipaggiamenti militari statunitensi essenziali per la difesa dell’Ucraina. Una buona notizia per Kiev, certamente, e per il suo presidente Volodymir Zelenski, che venerdì incontrerà il presidente USA Donald Trump per cercare di definire il futuro scenario del conflitto russo-ucraina e, auspicabilmente, post-conflitto e condizioni di pace.

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    Il Parlamento europeo chiede a gran voce una “risposta unitaria” contro le interferenze russe

    Dall’inviato a Strasburgo – Il Parlamento europeo, sulle interferenze russe, non ha dubbi. L’Aula di Strasburgo. in seduta plenaria, adotta con 469 voti favorevoli, 97 contrari e 38 astensioni una risoluzione “per una risposta unitaria contro le violazioni russe”. Risultato che mostra la compattezza dell’emiciclo quando si parla di difesa comune.Tra le file della minoranza, gli unici titubanti sono ai margini del Parlamento, con The Left, Europa delle Nazioni Sovrane (ESN) e un manipolo dei Patrioti – la delegazione della Lega – a votare contro il testo.Il voto dell’aula sulla risoluzioneL’abbattimento di minacce aereeIl contenuto della risoluzione è piuttosto preciso. L’impegno è per “un’azione coordinata, unitaria e proporzionata contro tutte le violazioni del loro spazio aereo, compreso l’abbattimento di minacce aeree”, aprendo la strada a nuovi pacchetti di sanzioni contro la Russia. Il Parlamento, inoltre, considera le incursioni “atti di sabotaggio contro l’UE equivalenti a terrorismo di Stato”, invitando la Commissione Europea a riconoscere lo Stato più grande del mondo “come paese terzo ad alto rischio di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo”. Il processo che l’Eurocamera vuole stimolare “dovrebbe riguardare non solo la gestione delle crisi, ma anche la difesa collettiva, includendo tutte le capacità necessarie previste a livello nazionale e internazionale”.Gli attacchi hanno colpito la sensibilità di molti parlamentari e una risoluzione con un consenso così compatto mostra la risposta decisa che l’Europa vuole dare. In prima fila ci si mette Lucia Annunziata, eurodeputata italiana del Partito Democratico: “Serve un’Europa capace di difendersi al suo esterno, ed è possibile con una nuova difesa che sta a noi definire. Una difesa che non sia strumento di offesa alla libertà dei popoli – articolo 11 della Costituzione italiana – ma che sia in grado di esercitare deterrenza, a difesa della pace e della sicurezza dei cittadini”.L’europarlamentare Lucia Annunziata, durante un intervento a Strasburgo. Credit: Multimedia Centre of European ParliamentI patrioti italiani sono contrariNonostante un ampio consenso, l’approccio non convince 97 parlamentari, 13 dei quali italiani. Tra le file degli oppositori c’è Danilo Della Valle, eurodeputato del Movimento 5 Stelle, parte del gruppo europeo The Left: “Questo approccio riafferma la subordinazione dell’UE alla NATO e all’agenda USA, escludendo ogni spazio per la diplomazia che possa mettere fine al conflitto”. L’opposizione degli esponenti di The Left non sorprende e raccoglie il consenso di otto eurodeputati italiani: Giuseppe Antoci, Mario Furore, Mimmo Lucano, Carolina Morace, Valentina Palmisano, Gaetano Pedullà, Dario Tamburrano e appunto Della Valle. All’interno del gruppo si astiene invece Ilaria Salis, in controtendenza con i colleghi.Più marcata la rottura interna tra gli scranni dei patrioti. Gli italiani (Paolo Borchia, Roberto Vannacci, Silvia Sardone, Isabella Tovaglieri e Raffaele Stancanelli) votano contro la risoluzione, accodandosi all’ultradestra di ESN. Ieri, 8 ottobre, l’eurodeputato del PfE  Pierre-Romain Thionnet e del Rassemblement National aveva affermato in aula: “Sparare a ogni cosa che entra è controproducente, alimenta la propaganda russa di vittima dell’Occidente”. Ma al momento del voto, però quasi tutti i patrioti votano per l’accettazione della risoluzione. Trainati proprio dal sì della delegazione francese, composta da 29 parlamentari, e dal capogruppo, Jordan Bardella.

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    Come l’UE vuole utilizzare 175 miliardi di asset russi congelati per finanziare l’Ucraina

    Bruxelles – La questione di cosa fare degli asset statali russi congelati sul territorio europeo tiene banco da tempo a Bruxelles. È un tema decisamente politico, ma con forti implicazioni legali ed economiche. Ora però, di fronte alle ingenti necessità dell’Ucraina – si parla di 52 miliardi di euro in sostegno al bilancio e 80 miliardi di assistenza militare fino al 2027 – e al progressivo disimpegno statunitense, la Commissione europea ha deciso di rompere gli indugi.Al vertice informale di Copenaghen, ha ricevuto un primo endorsement di massima dai capi di stato e di governo dei 27 per lavorare su una proposta legislativa. L’obiettivo è utilizzare i 175 miliardi di euro di proprietà della Banca Centrale Russa, ma custoditi per la maggior parte da Euroclear a Bruxelles, senza che dal punto di vista legale si configuri alcuna confisca. Il terreno è spinoso, ma – sostiene un alto funzionario della Commissione europea – “crediamo di aver trovato il modo per farlo senza violare il diritto internazionale”.Alla base del ragionamento, Bruxelles pone le conclusioni del Consiglio europeo di un anno fa, che scrivono nero su bianco che “i beni della Russia dovrebbero rimanere bloccati fino a quando la Russia non avrà cessato la sua guerra di aggressione nei confronti dell’Ucraina e non l’avrà risarcita per i danni causati da tale guerra”. Questo principio è in sostanza la garanzia di sicurezza su cui poggia il complesso escamotage in cantiere. Insieme al fatto che – spiega un alto funzionario – l’Ue non toccherebbe il credito che Mosca detiene sulla società belga di servizi finanziari, ma il corrispettivo contante accumulatosi negli ultimi tre anni e mezzo. “Il contante appartiene a Euroclear”, sostiene Bruxelles.Ursula von der Leyen al vertice informale di Copenaghen, 1/10/2025L’idea è allora far sì che Euroclear investa tale contante in un contratto di debito dedicato all’Unione, e che quest’ultima possa prestarlo all’Ucraina a tasso zero e in diverse tranche “a seconda delle necessità”. Kiev rimborserebbe il prestito solo una volta che la guerra sarà finita e che la Russia avrà pagato le riparazioni. A quel punto, Bruxelles rimborserebbe a sua volta Euroclear. Un “prestito per le riparazioni”, come l’aveva definito Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione, lo scorso 10 dicembre.Affinché la costruzione regga, “avremo bisogno di garanzie da parte degli Stati membri”, illustra ancora un alto funzionario. Garanzie emesse bilateralmente, fino all’intero ammontare dei fondi, con una struttura simile a quella implementata con il fondo SURE da 100 miliardi attivato nel 2020 durante la pandemia di Covid-19. Secondo la Commissione il rischio di tali garanzie rimarrebbe “limitato” e “sotto il controllo degli Stati membri”. Ovvero, si materializzerebbe solo nel caso in cui i 27 decidessero di revocare le sanzioni all Russia – e dunque scongelarne gli asset statali – senza che Mosca abbia risarcito l’Ucraina.Ecco perché, insieme alla proposta per l’utilizzo degli asset, “è importante modificare il regime di sanzioni per evitarne il rilascio accidentale”. Qui sta forse il passaggio più delicato. In sostanza, per ridurre al minimo i rischi per gli Stati membri, la Commissione europea sta pensando di eliminare il voto all’unanimità per la proroga delle sanzioni che si tiene ogni sei mesi. “Non lo proporremmo se non pensassimo che sia possibile”, garantisce la fonte. La possibilità è ammessa dall’articolo 31 del Trattato sull’Unione europea, che al punto 2 prevede che il Consiglio dell’Unione europea possa deliberare a maggioranza qualificata in politica estera e dunque anche in materia di sanzioni. La valutazione dell’esecutivo Ue è che lo stesso regime di sanzioni può essere modificato aggirando l’unanimità.Tra i 27, che a Copenaghen hanno dato un timido supporto di principio alla Commissione, il scetticismo non manca. Il primo a frenare è il premier belga, Bart de Wever, preoccupato per via della parte consistente delle risorse russe ferme nel suo Paese. Anche la Francia invita alla calma. “L’Europa deve restare un posto attrattivo e affidabile”, le preoccupazioni del presidente Emmanuel Macron, che proprio al vertice informale ha sottolineato l’importanza di fare le cose per bene. “Se ci sono regole, vanno rispettate“. Danimarca e Lettonia hanno ricordato il nodo giuridico della questione, ma espresso fiducia sul fatto che la Commissione possa trovare la quadra, e attendono la proposta dall’esecutivo comunitario.Di rischi, ne esistono altri: Putin ha già firmato un decreto che gli permetterebbe di confiscare beni stranieri in Russia, e non è da sottovalutare inoltre un problema di credibilità finanziaria e di fiducia nei mercati e nell’euro. Per ora, la Commissione europea ha intenzione di procedere. I capi di stato e di governo riapriranno la questione già al prossimo Consiglio europeo, il 23-24 ottobre. Se effettivamente daranno un mandato all’esecutivo per presentare una proposta legislativa, l’obiettivo di Bruxelles è procedere spediti per azionare il prestito “all’inizio del secondo trimestre del prossimo anno“. Intorno al quarto anniversario dell’aggressione della Russia in Ucraina.

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    La Moldova al voto sulla lama del rasoio tra Ue e Russia

    Bruxelles – Le imminenti elezioni in Moldova sono descritte da diversi osservatori come le più cruciali nella storia recente della giovane democrazia balcanica. Domenica, gli elettori si giocheranno nelle urne il futuro del proprio Paese. Nel rinnovare il Parlamento di Chișinău, gli elettori dovranno scegliere se rimanere sul sentiero europeista tracciato dalla presidente della Repubblica Maia Sandu o ascoltare le sirene delle opposizioni virando verso l’orbita di Mosca.Al momento attuale, nessun partito o coalizione sembrerebbe in grado di ottenere la maggioranza assoluta nell’assemblea di 101 membri, fissata a quota 51 seggi. Virtualmente tutti i sondaggi dipingono un quadro generale di profonda incertezza ed elevata frammentazione. Un’eventuale stallo complicherebbe i negoziati per formare un esecutivo, rischiando di paralizzare il piccolo ma strategico Paese balcanico lasciandolo particolarmente esposto alle forti tensioni geopolitiche regionali, e mettendo potenzialmente in naftalina anche l’avvicinamento all’Ue.Le proiezioni della vigiliaDa un lato, il Partito di azione e solidarietà (Pas) di Sandu – il cui candidato di punta è il presidente della Camera Igor Grosu – è in caduta libera. Dopo il folgorante successo alle ultime parlamentari del 2021, quando ha ottenuto il 52,8 per cento dei consensi e 63 seggi, la principale forza europeista nazionale è data oggi in una forchetta tra il 34 e il 48 per cento.Il presidente del Parlamento moldavo Igor Grosu (foto: Antoine Tardy via Imagoeconomica)Gli elettori sono scettici delle promesse non mantenute dai liberal-conservatori, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei pesanti impatti economici causati dalla guerra in Ucraina e la mancata realizzazione dell’agenda riformatrice. L’unica cosa certa, se tali stime verranno confermate, è che il Pas perderà la maggioranza assoluta che ha detenuto nella legislatura uscente e dovrà dar vita ad una coalizione per governare.D’altro canto, a insidiare da vicino il Pas c’è il Blocco patriottico (Bep), un cartello elettorale composto dai socialisti del Psrm, i comunisti del Pcrm, il Cuore della Moldova (Prim) e il Futuro della Moldova (Pvm). Complessivamente, questa variegata alleanza di forze della sinistra – raccoltasi dietro il leader socialista Igor Dodon, predecessore di Sandu alla presidenza della Repubblica – potrebbe attestarsi tra il 21 e il 36 per cento delle preferenze, contendendosi il primo posto col Pas. Il Bep spinge per un approccio geopolitico più “equilibrato”: un riavvicinamento a Mosca, pur senza strappare con Bruxelles, e la neutralità strategica di Chișinău (che rimarrebbe dunque fuori dalla Nato).Altri partiti tendenzialmente filorussi sono il Nostro partito (Pn), guidato da Renato Usatîi e accreditato con un tesoretto tra l’8 e il 12 per cento dei voti, e il Blocco alternativo (BeA), altra coalizione di centro-sinistra sedicente europeista ma legata indirettamente al Bep, che viaggia attualmente sul 7-8 per cento. Anche se finissero in vantaggio le sfaccettate forze della sinistra filorussa, ad ogni modo, la strada per la formazione di un governo non sarebbe necessariamente in discesa. Dodon potrebbe doversi fare da parte, lasciando a una figura terza (magari un tecnico) l’incarico di primo ministro e guidando dalle retrovie l’azione dell’esecutivo.Il leader del Psrm, Igor Dodon (foto: Daniel Mihailescu/Afp)In realtà, l’accuratezza dei sondaggi è limitata anche dal fatto che, nella gran parte dei casi, non prendono in considerazione i moldavi della diaspora. Come già accaduto nelle tornate elettorali dello scorso autunno, sono stati proprio i voti dall’estero (circa l’8 per cento del totale) a ribaltare risultati che parevano solidi, facendo pendere la bilancia dalla parte di Sandu e del Pas sia nei due turni delle presidenziali sia nel referendum costituzionale sull’adesione all’Ue.La dimensione geopoliticaLa posta in gioco in queste elezioni, più che la guida del governo, sembra dunque essere la stessa traiettoria geopolitica della Moldova. Secondo gli analisti, si tratterà del voto più importante dall’indipendenza del 1991: su un piatto c’è il cammino di Chișinău verso l’ingresso nel club a dodici stelle, sull’altro il ritorno della nazione balcanica nell’orbita del Cremlino, abbandonata dopo la dominazione sovietica.Il Paese è ufficialmente candidato dal giugno 2022, il via libera politico all’avvio dei negoziati di adesione risale al dicembre 2023 e la prima conferenza intergovernativa coi Ventisette è stata convocata nel giugno 2024, in parallelo a quella dell’Ucraina. Al momento, si registrano progressi sostanziali soprattutto in ambito di giustizia, anticorruzione e smantellamento delle strutture oligarchiche ereditate dall’Urss. Tuttavia, dato l’accoppiamento informale con quella di Kiev (sulla quale permane il veto di Budapest), anche la pratica di Chișinău rimane bloccata nonostante l’esecutivo comunitario ritenga entrambe le nazioni “pronte” per aprire il cluster dei Fondamentali.Il Paese balcanico è del resto cruciale anche da un punto di vista geostrategico per il sostegno occidentale a Kiev. Dall’avvio dell’aggressione russa nel 2022, ha ospitato oltre un milione e mezzo di rifugiati ucraini e fornisce attualmente protezione a oltre 100mila profughi. Soprattutto, la Moldova rappresenta una base fondamentale per il trasferimento dei rifornimenti militari al Paese invaso, e allo stesso modo costituisce uno snodo chiave per il trasporto di prodotti cerealicoli da e per l’Ucraina. A questo si aggiungano i rischi connessi alla presenza militare russa in Transnistria, la regione separatista pro-Cremlino.Le interferenze di MoscaDa diversi mesi, e con insistenza sempre maggiore nelle ultime settimane, Sandu e i suoi alleati europei stanno suonando l’allarme circa le massicce campagne di interferenza elettorale orchestrate dalla Federazione per sabotare il voto di domenica. Seguendo il copione già visto nell’ultimo anno non solo nella stessa Moldova (si stima che 130mila voti siano stati comprati dalla Russia lo scorso autunno) ma anche in Romania e in Georgia, Mosca starebbe facendo ricorso a tattiche ibride online e offline, già ampiamente note a Bruxelles.Oltre alla tradizionale compravendita di voti, le autorità moldave hanno segnalato una serie di campagne di disinformazione che hanno come bersaglio sia Bruxelles sia il Pas, anche tramite contenuti generati con l’intelligenza artificiale per discreditare personalmente i politici pro-Ue più in vista. Siti web fasulli imitano ad arte le testate giornalistiche reali per diffondere in rete la propaganda filorussa e addirittura falsi proclami governativi, e parrebbe essersi mobilitata addirittura la Chiesa ortodossa russa.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)A inizio mese, Sandu ha invocato di fronte all’Eurocamera il sostegno dell’Ue in difesa della fragile democrazia moldava. A fine agosto, un trio di pesi massimi del calibro di Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Donald Tusk si erano recati a Chișinău per mostrare simbolicamente la vicinanza dei Ventisette. Giusto ieri (24 settembre), il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ammonito l’Assemblea generale dell’Onu sui pericoli della manipolazione elettorale russa.Per la capogruppo dei liberali di Renew a Strasburgo, Valérie Hayer, “il futuro della Moldova risiede in un’Ue forte e unita”. “Siamo al fianco di tutti i moldavi che difendono la loro democrazia”, ha dichiarato, aggiungendo che “i tentativi della Russia di interferire nella democrazia moldava sono riprovevoli e devono avere delle conseguenze“. Secondo il suo vice Dan Barna, “l’Ue deve rafforzare la resilienza della Moldova e garantire l’integrità del voto“.La portavoce del Berlaymont per gli Affari esteri, Anitta Hipper, ha dichiarato stamattina che Bruxelles ripone “piena fiducia nelle autorità moldave” e garantisce “supporto completo” a Chișinău, incluso tramite un nuovo “hub europeo di monitoraggio dei media digitali” nonché i 1,9 miliardi di euro erogati nel quadro del Piano di crescita per la Moldova approntato dall’Unione nell’autunno 2024. “L’Ue sta addestrando, consigliando e offrendo equipaggiamento tecnico” al Paese, ha aggiunto Hipper.

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    Ue, Norvegia e Islanda mettono fine alla cooperazione con la Russia nella ‘Dimensione settentrionale’

    Bruxelles – Tramonta definitivamente l’esperienza della ‘Dimensione settentrionale’, il programma congiunto che dal 1999 teneva legate l’Unione europea, la Norvegia, l’Islanda e la Russia nell’area del Mar Baltico e delle regioni artiche. Sospesa all’indomani dell’aggressione della Russia in Ucraina, ora la cooperazione transfrontaliera cesserà del tutto.In un comunicato congiunto, Bruxelles, Oslo e Reykjavik hanno sottolineato che “la situazione geopolitica è cambiata” e che da oggi i documenti fondamentali che istituirono la Northern Dimension “devono essere considerati risolti”. In venticinque anni, ha promosso relazioni di buon vicinato e sostenuto iniziative in settori di interesse comune, dall’energia all’ambiente, alla sanità, alle questioni sociali e alla cultura. La dimensione settentrionale ha inoltre il merito di aver dato l’impulso per la formazione di una concreta policy artica da parte dell’Unione.Quando l’allora presidenza finlandese del Consiglio dell’Unione europea, nel 1999, lanciò quel nuovo formato di cooperazione regionale nell’Europa settentrionale, la Russia partecipò fin dall’inizio. Nel corso degli anni, fu proprio il territorio della Russia nordoccidentale, il più vasto coperto dal programma, a convogliare l’interesse maggiore per le opportunità specifiche per l’intera regione.“L’Unione europea, l’Islanda e la Norvegia rimangono impegnate a proseguire la cooperazione su questioni di interesse comune nelle regioni settentrionali dell’Europa in altri quadri internazionali pertinenti”, si legge nel comunicato.

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    Incursioni di droni negli aeroporti di Copenaghen e Oslo. L’UE: “La Russia sta testando i nostri confini”

    Bruxelles – Ancora droni, ufficialmente non si sa se russi, dentro lo spazio aereo europeo. Questa volta ad essere colpiti sono stati gli aeroporti di Copenaghen e Oslo (quest’ultimo non fa parte dell’UE ma collabora in materia di difesa). Nella notte i due scali hanno chiuso il loro spazio aereo e lasciato a terra più di 50 aerei. Due droni hanno sorvolato l’aeroporto danese di Kastrup, che è rimasto chiuso dalle 20.30 all’1. In Norvegia, a Oslo, lo scalo ha sospeso le attività per poche ore a partire dalle 00.30 della notte scorsa, per una minaccia analoga.La mano dietro a queste incursioni non è ancora chiara. Le parole della portavoce della Commissione europea, Anitta Hipper, non lasciano però dubbi su cosa si pensa a Bruxelles: “La Russia sta testando i nostri confini”, anche se poi ha smorzato i toni aggiungendo che “le indagini sono in corso”.L’Unione, per far fronte a questa crescete insidia, cerca di compattarsi intorno alla proposta di un muro di droni. Se ne parlerà nell’incontro di venerdì tra la Commissione europea, otto Paesi membri (Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Danimarica, Polonia, Romania, Bulgaria) e l’Ucraina.Footage published earlier tonight by Norwegian state media, claiming to show one of the large, unidentified drones that shutdown Copenhagen Airport in Denmark for several hours on Monday. pic.twitter.com/IeosEuRd7n— OSINTdefender (@sentdefender) September 23, 2025Certo, non paiono casuali le numerose incursioni nello spazio aereo dell’Unione delle ultime settimane. Quelle avvenute ieri, secondo le prime ricostruzioni, potrebbero essere partite dal mare lanciate da delle imbarcazioni. Il sospetto è questo, visto che i velivoli sembrano non aver sorvolato il Baltico prima dell’arrivo all’aeroporto danese. I due droni, poi, non sono stati abbattuti, ma sono scomparsi autonomamente dopo aver minacciato l’aeroporto. La polizia, in virtù di queste prime ricostruzioni, ha descritto gli ignoti artefici come persone “competenti”.La prima a essere colpita da incursioni di questo tipo è stata la Polonia: l’ingresso di una ventina di velivoli guidati, nel cielo polacco aveva dato inizio all’escalation. A esprimere la contrarietà di Varsavia nei confronti di Mosca ci ha pensato il ministro degli Esteri, Radosław Sikorski, durante l’Assemblea delle Nazioni Unite.“Sappiamo perfettamente che non vi importa nulla del diritto internazionale – ha sentenziato il ministro – e che siete fondamentalmente incapaci di convivere pacificamente con i vostri vicini. L’epoca degli imperi è finita e il vostro non tornerà mai! Ogni colpo inferto a voi dai soldati ucraini — che Dio li benedica — avvicina quel giorno”. Il primo ministro polacco, Donald Tusk, aveva già avvertito: “Abbatteremo velivoli sospetti se entreranno nel nostro spazio aereo”. Toni da guerra già iniziata.‼️ “We know perfectly well that you don’t give a damn about international law and are fundamentally incapable of peaceful coexistence with your neighbors. Your radical nationalism is an uncontrollable thirst for domination — the most terrible form of chauvinism. This will not… pic.twitter.com/B7OsTo5fdN— Visioner (@visionergeo) September 22, 2025Il sospetto è ormai quello che la serie di crisi che si stanno avendo in giro per l’Europa abbia una matrice comune. A metterle in fila ci ha pensato la premier danese, Mette Frederiksen: “Non posso escludere che si tratti della Russia. Abbiamo visto droni sopra la Polonia, attività in Romania, violazioni dello spazio aereo estone, attacchi hacker contro aeroporti europei”. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, non ha tardato a farsi sentire, definendo i sospetti danesi come “infondati”.Dalle parti di Bruxelles, per contrastare la minaccia, si pensa a un muro di droni. La Commissione, con ogni probabilità, si impegnerà a finanziare l’iniziativa dando denaro ai paesi confinanti con la Russia. Di questo si parlerà nel briefing di venerdì tra sette Paesi UE più l’Ucraina e Ursula von der Leyen. Resta però da comprendere quanto rapido sarà l’intervento dell’Unione. Ad ascoltare il portavoce della Commissione europea, Thomas Regnier, “le riflessioni sono ancora in corso”, anche se la speranza è quella di “agire velocemente, rapidamente”. Quando però gli è stato chiesto come sarà effettivamente strutturato il progetto, la determinazione è venuta meno: “Non è una conferenza tecnica”.

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    Pronto il 19esimo pacchetto di sanzioni Ue alla Russia. Von der Leyen: “Le minacce aumentano, aumentiamo la pressione”

    Bruxelles – Energia, banche e criptovalute. Nel 19esimo pacchetto di sanzioni europee alla Russia c’è tutto quello che Ursula von der Leyen aveva anticipato pochi giorni fa al presidente statunitense Donald Trump, a partire dal cambio di marcia verso l’abbandono del gas naturale liquefatto russo. “Negli ultimi mesi la Russia ha dimostrato tutto il suo disprezzo per la diplomazia e il diritto internazionale”, ha affermato la leader Ue. Oltre ai pesanti raid su abitazioni civili e edifici governativi in Ucraina, il presunto disturbo al Gps dell’aereo della presidente della Commissione europea e le violazioni dello spazio aereo polacco e rumeno.Se “le minacce alla nostra Unione aumentano, noi rispondiamo aumentando la pressione”, ha proseguito von der Leyen. Alla fine, la stretta sugli import energetici dalla Russia arriva: “È ora di chiudere il rubinetto. Siamo pronti a farlo. Abbiamo risparmiato energia, diversificato le forniture e investito in fonti a basse emissioni di carbonio come mai prima d’ora”, ha assicurato la leader rivelando il divieto di importazione di GNL russo a partire dal primo gennaio 2027. Un anno prima dunque, rispetto al calendario previsto da REPowerEU.In più, von der Leyen ha annunciato l’abbassamento al tetto sul prezzo del petrolio russo a 47,6 dollari al barile. L’Unione stringe le maglie sulle principali compagnie energetiche del Cremlino: Rosneft e Gazprom Neft saranno “soggette al divieto totale di transazioni“, mentre saranno congelati i beni sul territorio europeo a “raffinerie, commercianti di petrolio e società petrolchimiche nei Paesi terzi, compresa la Cina”. Nella lista nera dell’Ue finiscono altre 118 navi della flotta fantasma con cui il Cremlino aggira le sanzioni sul greggio. In totale, Bruxelles ha individuato e sanzionato oltre 560 imbarcazioni.La seconda traccia seguita dalla Commissione europea sono le “scappatoie finanziarie utilizzate da Mosca per eludere le sanzioni”. E dunque, divieti di transazioni per altre banche in Russia e in Paesi terzi e “per la prima volta le nostre misure restrittive colpiranno le piattaforme per le criptovalute“. Infine, come sottolineato dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, “dobbiamo interrompere le forniture all’industria militare russa, in modo che non possa alimentare la sua macchina da guerra”. Il 19esimo pacchetto aggiunge ulteriori prodotti chimici, componenti metallici, minerali ai divieti di esportazione. “Stiamo rafforzando i controlli sulle esportazioni verso entità russe, cinesi e indiane“, ha spiegato Kallas: nell’elenco delle misure restrittive finiscono 45 nuove società in Russia e in Paesi terzi. “Il nostro messaggio è chiaro: chi sostiene la guerra della Russia e cerca di eludere le nostre sanzioni ne subirà le conseguenze”, ha proseguito il capo della diplomazia europea.Parallelamente, von der Leyen ha annunciato che “presto” la Commissione europea presenterà una proposta per l’utilizzo dei profitti generati dagli asset russi congelati in Ue per finanziare la spesa militare dell’Ucraina. La presidente della Commissione europea si è rivolta alle capitali: “Conto ora su di voi per un’adozione rapida del pacchetto”.

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    Caucaso, la commissaria Marta Kos visita Azerbaigian e Armenia

    Bruxelles – L’Ue cerca di tenersi stretto il Caucaso meridionale, provando a puntellare la sua presenza in quell’angolo di mondo, da sempre considerato dalla Russia come propria zona di interesse e oggi più strategico che mai. La commissaria all’Allargamento Marta Kos ha cominciato oggi (17 settembre) un viaggio di quattro giorni che la porterà a visitare Azerbaigian e Armenia, nel tentativo di rinsaldare i legami coi due Paesi mentre sembra avvicinarsi la firma di uno storico accordo di pace tra Baku e Yerevan.Kos arriverà stasera nella capitale azera, dove domani incontrerà il capo di Stato Ilham Aliyev ed alcuni membri di punta dell’esecutivo. I colloqui si incentreranno soprattutto sugli interessi economici comuni, con buona pace delle preoccupazioni per le sistematiche violazioni dei diritti umani nel Paese, governato in maniera autoritaria dal presidente 63enne.Ma gli affari sono affari, soprattutto in tempi di dazi. Così si parlerà in primis delle forniture energetiche verso il Vecchio continente (Baku è grande produttrice di petrolio e gas naturale, lo stesso che arriva in Puglia attraverso il Tap), ma anche dei grandi progetti infrastrutturali in questo crocevia strategico tra Europa, Medio Oriente ed Asia Centrale, come da copione in base alla nuova strategia Ue per il Mar Nero.La commissaria si recherà poi presso la cittadina di Aghdam, dove sono ancora in corso le attività di sminamento iniziate dopo la conclusione del decennale conflitto nel Nagorno-Karabakh, scoppiato nel 1992 e terminato nel settembre 2023 con la resa dei separatisti armeni. Venerdì (19 settembre) partirà dunque alla volta dell’Armenia, dove vedrà il presidente Vahagn Khachaturyan, il premier Nikol Pashinyan e alcuni ministri. Anche qui ribadirà la volontà dell’esecutivo comunitario di approfondire la cooperazione bilaterale, mettendo al centro gli scambi commerciali e la connettività regionale.Il tour caucasico di Kos non arriva in un momento qualunque. Coincide al contrario con una fase cruciale del processo di normalizzazione tra Armenia e Azerbaigian, avviato ormai da tempo ma accelerato vistosamente nell’ultimo anno. Dopo oltre 30 anni di guerra, le due repubbliche hanno deciso di mettere mano all’arsenale diplomatico e stanno lentamente progredendo verso la stipula di un accordo che, se concluso, potrebbe finalmente portare stabilità all’intera regione.Da sinistra: il presidente azero Ilham Aliyev, quello statunitense Donald Trump e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan (foto: Andrew Caballero-Reynolds/Afp)La mediazione statunitense ha impresso una svolta potenzialmente decisiva alla vicenda. Lo scorso 8 agosto Donald Trump ha ospitato Aliyev e Pashinyan alla Casa Bianca: dal trilaterale è emersa una dichiarazione congiunta in sette punti che ha costituito la base su cui, qualche giorno dopo, Baku e Yerevan hanno tratteggiato una bozza di trattato di pace in 27 articoli, modellata sul testo concordato lo scorso marzo.Il documento tocca le principali questioni al centro della decennale contesa tra i due Paesi. A partire dal corridoio di Zangezur, un passaggio terrestre voluto dall’Azerbaigian per collegarsi alla propria exclave del Nachichevan, incastonata tra Armenia, Iran e Turchia. Il tracciato dell’opera, che verrà realizzata con la partecipazione delle imprese a stelle e strisce (alle quali spetteranno i diritti di sviluppo esclusivi per 99 anni), correrà lungo il confine armeno-iraniano ed è stata ribattezzata Trump Route for International Peace and Prosperity, cioè letteralmente “Strada di Trump per la pace e la prosperità internazionali”, acronimo Tripp.Nell’agenda pesa la gestione del post-conflitto nell’ex enclave armena. Baku non intende firmare il trattato finché Yerevan non rimuoverà dalla propria Costituzione alcuni riferimenti alla riunificazione del Nagorno-Karabakh col territorio nazionale. L’Armenia sta riscrivendo la sua Carta fondamentale, ma le modifiche andranno approvate da un referendum popolare, che potrebbe venir convocato solo nel 2027 (il prossimo giugno si terranno le elezioni politiche). Rimane poi la doppia questione dei prigionieri armeni nelle carceri azere e degli sfollati del Nagorno-Karabakh.Oltre che sul piano economico, tuttavia, il progresso nelle trattative bilaterali è estremamente rilevante dal punto di vista geopolitico e strategico. Da un lato, l’accordo (per quanto provvisorio) certifica la perdita di centralità della Federazione, ora che la guerra in Ucraina le impedisce di intervenire in un’area che ha tradizionalmente considerato la sua diretta sfera d’influenza.Da sinistra: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente del Consiglio europeo António Costa (foto: Consiglio europeo)Seppur per ragioni diverse, tanto Baku quando Yerevan si stanno progressivamente allontanando da Mosca per diversificare la propria politica estera e le rispettive reti di alleanze. Se l’Azerbaigian mira a stringere ancora di più il rapporto con la Turchia, l’Armenia sta muovendo i primi passi verso una lenta integrazione con l’Ue.A marzo il Parlamento armeno ha impegnato il governo a richiedere formalmente lo status di Paese candidato. Bruxelles, che ha sempre incoraggiato gli sforzi di riconciliazione con Baku, collabora già con Yerevan in diversi ambiti – dall’assistenza finanziaria alla missione civile Euma (che potrebbe venire smantellata proprio in virtù del futuro trattato, dove si proibisce la presenza di truppe straniere lungo il confine) – e i vertici comunitari si sono recentemente complimentati per i progressi compiuti in tal senso dal piccolo Stato caucasico.Nel suo peregrinare per la regione, la commissaria Kos si terrà invece alla larga dalla Georgia, l’unico Paese dell’area ufficialmente candidato all’ingresso nel club a dodici stelle. In realtà, qui il percorso di adesione è congelato da tempo a causa dell’autoritarismo crescente del governo – che conculca le libertà dei cittadini e reprime brutalmente il dissenso – e allo scivolamento di Tbilisi verso l’orbita del Cremlino.