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    Truppe nord-coreane in Russia, l’Ue “profondamente allarmata”. E Putin non nega le immagini satellitari

    Bruxelles – L’hanno rivelato gli Stati Uniti attraverso delle immagini satellitari, lo confermano da giorni da Kiev. E nemmeno Vladimir Putin lo nega: in Russia ci sarebbero circa tre mila soldati dispiegati dalla Corea del Nord (Rpdc), pronti a un intervento in Ucraina. “Profondamente allarmata” l’Unione europea, che lo definisce “un atto ostile unilaterale da parte della Rpdc” e una “grave violazione del diritto internazionale”.In una nota a nome dei 27 Paesi membri, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha esortato per l’ennesima volta il leader autoritario Kim Jong-un a “cessare di sostenere gli sforzi bellici illegali della Russia” e ha “condannato fermamente” l’intensificarsi della cooperazione militare tra Pyongyang e Mosca. Con il dispiegamento di truppe sul suolo russo – come rivelato dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin -, si arriva a un punto di non ritorno.Secondo Washington i soldati nordcoreani sarebbero sbarcati via nave nella prima metà di ottobre dalla regione nordcoreana di Wonsan alla città russa di Vladivostok, prima di essere portati in tre siti di addestramento militare nella Russia orientale. “Se si schierano per combattere contro l’Ucraina, sono bersagli giusti e le forze armate ucraine si difenderanno dai soldati nordcoreani nello stesso modo in cui si difendono dai soldati russi”, ha avvertito il portavoce della Casa Bianca, John Kirby. Secondo l’intelligence ucraina, “il 23 ottobre è stata registrata la loro presenza nella regione di Kursk“, territorio russo dove le forze ucraine sono penetrate quest’estate. In un post sul suo account X, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che – secondo le informazioni in possesso di Kiev – “i primi soldati nordcoreani dovrebbero essere schierati dalla Russia nelle zone di combattimento già dal 27-28 ottobre“.Zelensky ha lanciato un appello per “una risposta forte e di principio da parte dei leader mondiali”. Per i 27 Ue, “l’intensificarsi della cooperazione militare della Russia con la Rpdc invia un chiaro messaggio: nonostante la dichiarata disponibilità a negoziare, la Russia non è sinceramente interessata a una pace giusta, globale e duratura“. Al contrario, prosegue la nota di Bruxelles, il Cremlino starebbe “intensificando e cercando disperatamente qualsiasi aiuto per la sua guerra”.Il vertice dei Brics a Kazan, in Russia (Photo by MAXIM SHIPENKOV / POOL / AFP)Per uscire dall’isolamento diplomatico, Vladimir Putin ha riunito per tre giorni a Kazan, in Russia, i leader dei Brics. Al vertice hanno partecipato 36 Paesi, risultato che ha permesso a Mosca di definirlo “il più grande evento di politica estera mai organizzato” dalla Russia. In una conferenza stampa a margine del summit, Putin ha accusato l’Occidente di aver inasprito la guerra in Ucraina e – come riportato dal The Guardian – alla domanda di un giornalista sulle immagini satellitari che apparentemente mostrano i movimenti delle truppe nordcoreane, Putin ha risposto: “Le immagini sono una cosa seria. Se ci sono immagini, allora riflettono qualcosa”. Il presidente russo ha poi contrattaccato, accusando gli ufficiali e istruttori della Nato direttamente coinvolti nell’addestramento delle truppe in Ucraina.La lettura dell’Unione europea è che, in cambio del supporto sempre maggiore al suo sforzo bellico, la Russia abbia cambiato posizione sulla denuclearizzazione della Corea del Nord. “In questo modo, la Russia compromette le sue responsabilità come membro permanente del Consiglio di Sicurezza e come Stato membro delle Nazioni Unite”, sottolinea Borrell, che annuncia che Bruxelles “si coordinerà con i partner internazionali per quanto riguarda le risposte”.

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    Il doppio voto in Moldova avvicina Chisinau all’Europa

    Bruxelles – Per il rotto della cuffia i cittadini moldavi hanno deciso che il futuro del loro Paese è quello di entrare nell’Unione europea. Il “sì” al referendum popolare sull’adesione è passato in testa lunedì mattina (21 ottobre), il giorno dopo la chiusura delle urne, e pare che la volata sia stata tirata dai residenti all’estero. Ma domenica si è votato anche per le presidenziali: la presidente uscente Maia Sandu, un’europeista che ha ripetutamente denunciato ingerenze russe nel processo democratico nazionale, è in vantaggio, ma dovrà andare al ballottaggio tra due settimane.Chisinau verso BruxellesSembrava fosse già l’ora di intonare il de profundis delle ambizioni europee della Moldova, con il fronte contrario all’ingresso nell’Ue del piccolo Paese esteuropeo sembrava in netto vantaggio fino alle prime ore di lunedì. Ma all’ultimo miglio dello scrutinio si è registrato il sorpasso, spinto dal voto della diaspora che è stato conteggiato solo alla fine e a quello della Capitale Chisinau, arrivato all’alba di oggi. Per tutta la notte tra domenica e lunedì era rimasto saldamente in testa (con una percentuale che oscillava tra il 55 e il 57) il “no” al referendum, ma poi la situazione si è ribaltata – almeno stando ai dati preliminari forniti dalla commissione elettorale centrale.Il distacco tra i due schieramenti corre sulla lama di un rasoio, ma sarebbe sufficiente a far vincere il fronte europeista: 50,39 contro 49,61 per cento con oltre il 99 per cento dei voti scrutinati. Lo scarto sarebbe di poche migliaia di voti, poco più di 11mila su una popolazione totale da 2 milioni e mezzo di abitanti. L’affluenza è stata ampiamente superiore alla soglia necessaria ai fini della validità del referendum (33,3 per cento), con oltre la metà degli aventi diritto (51,68 per cento) che si sono recati alle urne.Nel quesito referendario si chiedeva ai cittadini se inserire nella carta fondamentale l’impegno dell’ex repubblica sovietica verso l’integrazione nel club europeo. Nello specifico, il preambolo della Costituzione dovrebbe ora venire arricchito da due nuovi paragrafi per “riconfermare l’identità europea del popolo della Repubblica di Moldova e l’irreversibilità del percorso europeo” e per “dichiarare l’integrazione nell’Unione Europea un obiettivo strategico della Repubblica di Moldova”.Ombre russeSecondo molti osservatori, il successo del fronte anti-Ue sarebbe dovuto anche ad una pesante campagna di interferenza orchestrata da Mosca, che ha tutto l’interesse a tenere la Moldova lontana da Bruxelles. Quando il “no” al referendum era ancora in vantaggio, Sandu ha accusato “gruppi criminali” legati al Cremlino di aver interferito con il voto, per impedire all’ex repubblica sovietica di abbandonare l’orbita russa. “Abbiamo prove chiare che questi gruppi criminali hanno tentato di comprare 300mila voti”, ha dichiarato, con l’obiettivo “di minare un processo democratico” e di “diffondere paura e panico nella società”.Da Bruxelles le ha fatto eco il portavoce per gli Affari esteri dell’esecutivo comunitario, Peter Stano: “Abbiamo notato che questa votazione si è svolta sotto un’interferenza e un’intimidazione senza precedenti da parte della Russia” e di altri attori riconducibili alla Federazione, ha dichiarato durante una conferenza stampa, “con l’obiettivo di destabilizzare i processi democratici nella Repubblica di Moldova”. Del resto, non si tratta certo di un fulmine a ciel sereno. “Questa interferenza straniera e manipolazione delle informazioni” da parte del Cremlino “ha molti volti, e sta accadendo in molte forme non solo pochi giorni prima del voto”, ha aggiunto Stano, parlando di “uno sforzo a lungo termine” che è finito nel mirino della Commissione “molto tempo fa”.Le autorità moldave avevano già smantellato un massiccio schema di compravendita di voti a inizio mese, che avevano ricondotto alle ingerenze dell’oligarca Ilan Shor, vicino a Mosca e attualmente residente in Russia. La settimana scorsa, hanno sventato un altro complotto in cui erano coinvolti oltre un centinaio di giovani che avrebbero ricevuto un addestramento da parte di gruppi militari privati russi su come creare disordini in occasione del doppio voto di domenica scorsa.Le aspirazioni europee della leadership in caricaUn’ex repubblica sovietica, la Moldova è guidata dal 2021 da un governo filo-occidentale e dalla presidente pro-Ue Maia Sandu eletta l’anno precedente.Esecutivo e capo dello Stato stanno cercando di sganciare la nazione balcanica da quella che il presidente russo Vladimir Putin continua a considerare la “sfera d’influenza” della Federazione. Da decenni Chisinau è alle prese con i separatisti della Transnistria, un lembo di terra al confine con l’Ucraina che si è autoproclamata indipendente nel 1990 e continua a sfidare la sovranità e l’integrità territoriale moldave grazie all’appoggio della Russia.Nel marzo 2022 la Moldova ha fatto domanda per entrare in Ue insieme all’Ucraina ed ha ottenuto lo status di Paese candidato nel giugno di quello stesso anno, sempre in tandem con Kiev. Lo scorso dicembre, il Consiglio europeo ha dato il via libera per avviare formalmente i negoziati di adesione, una decisione concretizzatasi a giugno di quest’anno con la prima conferenza intergovernativa.Ballottaggio presidenzialeMa l’appuntamento elettorale di domenica era doppio. Oltre ad esprimersi sul futuro europeo di Chisinau, i moldavi erano anche chiamati a scegliere il nuovo capo dello Stato, che si dovrà insediare alla scadenza del mandato della presidente uscente, la 52enne Sandu (il prossimo dicembre).L’attuale presidente (la prima donna a ricoprire tale incarico, già prima ministra per qualche mese nel 2019) ha ottenuto il 42,31 per cento dei consensi a scrutinio quasi completo, che la posizionano saldamente in testa ma non le hanno permesso di centrare il bis al primo turno. Ora dovrà sfidare il candidato filorusso Alexandr Stoianoglo (che ha preso il 26,09 per cento) al ballottaggio in calendario per il 3 novembre.

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    Legami con la Russia e rivendicata dalla Moldova, il rebus geopolitico della Transnistria che riguarda anche l’Ue

    Bruxelles – E’ uno dei conflitti congelati dell’era post-sovietica, con uno status di territorio non riconosciuto internazionalmente, rivendicato, e contraddistinto da un mosaico ‘etnico’ che rende il tutto ancor più complicato. La Transnistria è oggi più che mai un rebus, e il referendum di domenica (20 ottobre) sulle ambizioni Ue della Moldova lo riaccende come non mai.Geograficamente la Transnistria si trova in Europa orientale, incastonata tra la repubblica di Moldova, che la reclama come propria, e l’Ucraina. Il 2 settembre 1990 si proclama indipendente dalla repubblica socialista sovietica di Moldova, e il 25 agosto 1991 giunge anche l’auto-proclamazione di indipendenza dall’Unione sovietica. In quel momento la Transnistria, con Tiraspol capitale, diventa un’entità a sé, però mai riconosciuta come tale dalla comunità internazionale. I Paesi dell’Onu la riconoscono come appartenente alla repubblica di Moldova.Il territorio si è organizzato come vero e proprio Stato indipendente e sovrano. Ci sono un governo, una costituzione, passaporti, una banca centrale che stampa la valuta nazionale, il rublo transnistriano. Già solo questo elemento è indice dei legami con la Russia. Sulle banconote in circolazione sono stampate le effigi di Caterina II (zarina di Russia dal 1762 alla morte), Pëtr Aleksandrovič Rumjancev-Zadunajskij (feldmaresciallo dell’esercito imperiale russo), e Aleksandr Vasil’evič Suvorov (generale russo, tra i comandanti della guerra russo-turca del 1768-1774 a seguito della quale Ucraina meridionale, Caucaso settentrionale e Crimea vennero portati definitivamente sotto il dominio dell’Impero russo).La Transnistria [foto: Wikimedia Commons]I legami con la Russia sono ancora molto forti, e nel Paese i vecchi simboli dell’era sovietica sono ancora ben visibili. Non solo: accanto alla bandiera nazionale a strisce orizzontali rosso-verde-rosso, si aggiunge una riproduzione del tricolore russo, identico per policromia (strisce orizzontali bianco-blu-rosso) ma diversa per dimensioni. Un modo per mostrare il desiderio di restare vicina alla Federazione russa e marcare le distanze dalla repubblica di Moldova.Il mancato riconoscimento di status di Paese indipendente e sovrano pone però una questione giuridica: la maggior parte dei cittadini transnistriani possiede anche una cittadinanza moldava, russa o ucraina. Anche in ragione di questi cittadini moldavi il governo di Chisinau insiste per ricongiungere la Transnistria alla Moldova.Da un punto di vista sociale, la principale comunità presente sul territorio è quella russa (34 per cento), seguita da quella moldava (33 per cento) e da quella ucraina (26,7 per cento). A questi gruppi si aggiunge la minoranza bulgara (2,8 per cento).La guerra russa in Ucraina ha ridisegnato la situazione. Kiev non riconosce la Transnistria, ma in virtù dei tanti ucraini presenti sul territorio ha tessuto relazioni economico-commerciali. Non senza tensioni. Kiev ha posto come condizione per lo scambio di merci che tutto ciò che viene venduto in Ucraina debba avere certificazioni moldave, irritando il Cremlino che vede nelle mosse dell’Ucraina un modo per accrescere pressioni e spingere la Transnistria verso un modello troppo europeo.Dopo l’avvio delle operazioni militari di Mosca le autorità ucraina hanno cambiato radicalmente atteggiamento nei confronti della Transnistria, vista come ‘amica dei nemici’ e come tale trattata. A marzo 2022 l’Ucraina ha abbattuto un ponte ferroviario con l’accusa di averlo utilizzato per favorire la movimentazione delle truppe russe in chiave anti-ucraina. Ecco che la Transnistria si ritrova al centro della guerra russo-ucraina.Il territorio rischia di rimanere schiacciato tra le voglie unioniste moldave e i rancori ucraini, con la Russia difficilmente disposta a rinunciare al suo ‘protettorato’ in una parte di mondo che sembra sfuggire ai propri interessi e influenza.Il controllo del territorio è motivo di attriti tra la Russia e la Nato, con quest’ultima che, tramite risoluzione, già nel 2008 ha intimato a Mosca di ritirare le truppe. Ma per Putin diventa sempre più strategica per mantenere una zona di presenza e influenza. Il referendum della Moldova per l’adesione all’Ue trascina con sé la questione della Transnistria. In prospettiva la Moldova può portare nell’Ue la questione territoriale e politica, zone contese e frontiere tutt’altro che definite.

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    Moldova al bivio, ecco il referendum che può portarla nell’Ue o lanciarla nell’orbita di Putin

    Bruxelles – La Moldova al bivio. Scegliere se restare nel limbo di un Paese sospeso tra Unione europea e interessi russi, o seguire la via che porta all’adesione al club a dodici stelle. Le elezioni di domenica (20 ottobre) non sono solo un momento per capire chi guiderà il Paese, se la presidente uscente a caccia di un nuovo mandato, Maia Sandu, dichiaratamente pro-Ue, o altri leader con diverse visioni. Si deve anche decidere se emendare la costituzione nazionale prevedendo l’accesso all’Unione europea come obiettivo. La consultazione referendaria assume nuove valenza geopolitiche alla luce del rinnovato scontro tra Russia e blocco euro-occidentale.“Sostieni la modifica della costituzione in vista dell’adesione della Repubblica di Moldavia all’Unione Europea?” è il quesito che sarà posto agli elettori. Un eventuale ‘sì’ renderà il tutto vincolante, segnando un momento storico nella vita della repubblica. Non sembra impossibile, dati i quorum previsti nel Paese. Per modificare la costituzione è necessario un risultato positivo, con la partecipazione di almeno un terzo degli elettori. Gli ultimi sondaggi disponibili, a cui da Bruxelles si guarda con grande attenzione, suggeriscono che il 69 per cento degli aventi diritto intendono partecipare al voto, e che il 63 per cento di loro intenda esprimersi per l’adesione all’Ue. Le premesse pre-voto inviano già un messaggio chiaro.Più nello specifico il preambolo della Carta nazionale sarebbe completato con due nuovi paragrafi per “riconfermare l’identità europea del popolo della Repubblica di Moldova e l’irreversibilità del percorso europeo” e per “dichiarare l’integrazione nell’Unione Europea un obiettivo strategico della Repubblica di Moldova”.L’Unione europea teme l’attività russa, in particolare i tentativi di influenzare il voto attraverso interferenze, contro-informazione e anche corruzione. Un’operazione mirata sarebbe stata messa in piedi appositamente per creare reti di supporto alla campagna del ‘no’ in cambio di denaro, con oltre 15 milioni di dollari inviati dalla Russia a più di 130mila cittadini moldavi per votare contro la prospettiva a dodici stelle. L’operazione sarebbe stata guidata da Ilan Shor, imprenditore in esilio in Russia. “La Russia ha aumentato la propria attività per intervenire direttamente nel voto”, denuncia Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell: “Spetta al popolo moldavo decidere dove andare, se verso di noi o se abbracciare la Russia che vuole imporre il suo imperialismo per soggiogare il Paese”.Ufficialmente l’esecutivo comunitario non entra nel merito del segreto delle urne, ma offre indicazioni di voto chiaro, dalle non scontate conseguenze. Perché la Moldova è un Paese i cui confini non sono chiari. La Transnistria ha auto-proclamato la propria indipendenza dalla Moldova nel 1990. La comunità internazionale non riconosce quello che è un territorio indipendente sotto tutela e controllo russi. Qui Mosca schiera ancora un contingente di 1.500 soldati. A loro e al ministero delle Difesa russo le autorità di Tiraspol hanno chiesto più protezione dai vicini moldavi.Incide inoltra la decisione della commissione elettorale di non iscrivere Pobeda, formazione vicina a Ilan Shor e con posizioni filo-russe. Una mossa che acuisce ancora di più le tensioni per un voto che diventa anche un referendum su Putin. La Moldova per un momento sarà al centro del mondo. Qualunque cosa accada domenica la storia in movimento proporrà nuovi scenari, nuovi assetti e nuovi motivi di tensione e contrapposizione.

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    Zelensky a Bruxelles coi leader Ue: “L’Ucraina nella Nato è un passo preventivo”

    Bruxelles – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha preso parte di persona al Consiglio europeo in corso nella capitale Ue, per chiedere direttamente ai leader dei Ventisette di continuare a supportare il suo Paese. E per presentare ai capi di Stato e di governo il suo “piano per la vittoria”, dopo averlo illustrato ieri al Parlamento di Kiev. Tra i punti più significativi del documento, la richiesta alla Nato di invitare l’ex repubblica sovietica come 33esimo membro.Il maxi-prestito G7“La vostra unione è un’arma che garantisce sicurezza a tutti noi”, ha dichiarato Zelensky prendendo la parola alla sessione mattutina del vertice che si è aperto giovedì (17 ottobre). Per ora, stando alle conclusioni adottate dai leader Ue sul tema del supporto all’Ucraina, l’unione tra le cancellerie sta resistendo. Soprattutto per quanto riguarda il prestito monstre deciso la scorsa estate in ambito G7: 45 miliardi di euro in tutto, di cui fino a 35 dovranno essere messi dall’Ue, da destinare alle casse di Kiev e da finanziare con gli extraprofitti generati dagli asset russi congelati in Occidente.Su questo punto, ormai da mesi, i governi nazionali e l’esecutivo comunitario stanno cercando di disinnescare l’opposizione del primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha ripetutamente minacciato di far saltare il banco se non verranno garantite a Budapest una serie di deroghe per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico degli idrocarburi di Mosca.Al summit odierno, dunque, si è deciso di non decidere: il documento condiviso dai capi di Stato e di governo cita semplicemente “l’importanza di mantenere gli impegni presi” al vertice dei 7 in Puglia per far arrivare a Kiev gli aiuti di cui ha bisogno “entro la fine dell’anno”. Ma la decisione vera e propria arriverà più in là, e richiederà probabilmente l’ennesima opera di persuasione (o di compromesso) con il premier magiaro per sbloccare l’esborso da parte dei Ventisette.Il “piano per la vittoria”Zelensky ha inoltre presentato ai capi di Stato e di governo Ue il suo “piano per la vittoria” in cinque punti, che aveva esposto ieri alla Verchovna Rada e di cui ha già anticipato i punti più delicati – quelli riguardanti i dettagli strategici, che sono secretati – con alcuni partner internazionali (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti). Un piano la cui attuazione, ha ripetuto il presidente ucraino arrivando al palazzo Europa a Bruxelles, “non dipende dalla volontà russa” ma “dalla volontà dei nostri partner”.Parlando ai giornalisti al termine del proprio intervento con gli omologhi europei, Zelensky ha ribadito che il piano “rafforza l’Ucraina non solo sul campo di battaglia ma anche a livello geopolitico”, cristallizzando di fatto il posizionamento dell’ex repubblica sovietica nel campo occidentale. In questo senso, ha spiegato, va intesa la prima priorità della roadmap in questione, cioè la richiesta di un invito formale ad aderire alla Nato: anche se, con ogni evidenza, l’ingresso vero e proprio nell’Alleanza potrà avvenire solo in futuro, a conflitto concluso, l’invito a Kiev costituirebbe un importante messaggio politico da parte dei 32 Stati membri.Kiev nella Nato?“L’invito è un passo preventivo”, ha spiegato Zelensky, per dimostrare che il presidente russo Vladimir Putin non può manipolare l’ordine internazionale a proprio piacimento. “Questo invito rappresenta un simbolo che va ben al di là della Nato”, ha detto, poiché indica “che sarà inevitabile anche l’adesione all’Ue e confermerà il percorso democratico e rinforza la nostra posizione diplomatica”.Come esempio dell’inaffidabilità di Putin, Zelensky ha richiamato il memorandum di Budapest del 1994: con quel trattato, Kiev aveva trasferito alla Russia tutte le proprie testate nucleari, in cambio della garanzia da parte di Mosca, Washington e Londra che la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina non sarebbero state violate. Data la malafede del Cremlino, ha incalzato il leader ucraino, l’alternativa per il suo Paese è netta: “O torniamo alle armi nucleari, o dobbiamo diventare parte di un’alleanza (militare, ndr) efficiente, e la Nato è l’unica che funziona” e i cui membri hanno evitato guerre di aggressione da quando vi sono entrati. “Noi non stiamo scegliendo le armi nucleari, stiamo scegliendo la Nato”, ha scandito.Sul punto, Zelensky ha già parlato con il presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, e con i due candidati alle elezioni del prossimo 5 novembre, la democratica (e attuale vicepresidente) Kamala Harris e l’ex presidente repubblicano Donald Trump. E ha lasciato intendere, pur senza scendere nei dettagli, che tutti e tre sono favorevoli in linea di principio.L’accoglienza europea del pianoQuanto ai leader europei, “la maggior parte” avrebbe espresso “pieno supporto per il piano”, ha dichiarato il presidente ucraino. Per quanto riguarda le proposte economiche (che prevedono investimenti congiunti da parte delle aziende occidentali per sfruttare le risorse naturali del Paese aggredito), Zelensky ha sottolineato che si tratta di uno “strumento di sicurezza economica”, per evitare che le materie prime critiche cadano nelle mani dei russi, come già accaduto dieci anni fa coi giacimenti di carbone del Donbass.Alcuni capi di Stato e di governo dei Ventisette sono ancora reticenti a concedere a Kiev di usare le proprie armi a lungo raggio per colpire obiettivi militari in territorio russo, e anche a dare il via libera all’adesione dell’Ucraina alla Nato. Tra questi, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ancora non ha fornito all’esercito ucraino armi a lunga gittata, e che sull’allargamento dell’Alleanza “non ha mai detto no e non ha mai detto sì”, nelle parole dello stesso Zelensky.Nel frattempo, ha fatto sapere il leader ucraino, continuano gli sforzi per avvicinare quanto più velocemente possibile la fine della guerra: “L’Ucraina è pronta per imboccare la via diplomatica”, ha assicurato, “ma per farlo dobbiamo essere forti”. “A novembre – ha aggiunto – presenteremo un documento completo” in dieci punti come base di partenza per le trattative di pace, “che vogliamo condividere con tutti e anche con la controparte russa”. Alla fine, il piano per la vittoria di cui si è parlato è una risposta alla domanda su “come costringere la Russia alla diplomazia, ad arrivare ad una pace giusta”. E se gli alleati occidentali di Kiev continuano a sostenere l’Ucraina e ad aiutarla nella realizzazione di tutti i punti del piano, ha stimato Zelensky, le ostilità potrebbero cessare entro la fine dell’anno prossimo.

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    Ecco il “piano per la vittoria” che Zelensky presenterà al vertice dei leader Ue

    Bruxelles – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dovrebbe partecipare in presenza al Consiglio europeo che partirà domani (17 ottobre) a Bruxelles, durante il quale presenterà ai leader dei Ventisette il suo “piano per la vittoria”, che aveva già anticipato nelle scorse settimane e di cui ha svelato oggi gli elementi principali al Parlamento di Kiev. Si tratta di un elenco di priorità strategiche che dovrebbero permettere al Paese aggredito di sedersi al tavolo delle trattative da una posizione che non sia di netta inferiorità – o almeno queste sono le intenzioni. Ma la strada appare tutt’altro che in discesa.Sono cinque i punti principali di questo piano: l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, l’aumento delle sue capacità di difesa, la deterrenza verso nuove aggressioni da parte della Russia, la crescita economica e l’architettura di sicurezza una volta terminata la guerra in corso. Il documento include anche tre elementi secretati, che Zelensky ha già anticipato agli alleati internazionali nelle ultime settimane – il presidente Usa Joe Biden e i due candidati alle elezioni del mese prossimo, il primo ministro britannico Keir Starmer, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron e la premier italiana Giorgia Meloni.“Se il piano viene sostenuto” dai partner occidentali, ha dichiarato Zelensky di fronte ai deputati della Verchovna Rada (il legislativo monocamerale ucraino), “possiamo mettere fine alla guerra non più tardi del prossimo anno”. Si tratta, nelle parole del presidente, di “un piano per rafforzare il nostro Stato e la nostra posizione”, per permettere al Paese “di essere abbastanza forte per porre fine alla guerra, per assicurarci che l’Ucraina abbia tutti i suoi muscoli”. E ha chiarito che l’implementazione del piano “dipende dai nostri partner”, e “non dipende sicuramente dalla Russia”.L’Ucraina nella Nato?Ma è precisamente la priorità che Zelensky ha deciso di mettere in cima alla lista che potrebbe essere la più difficile da realizzare. L’ingresso dell’Ucraina nella Nato è stata ripetutamente indicata, negli ultimi tre anni, come una linea rossa invalicabile dal presidente russo Vladimir Putin, che ha motivato l’invasione su larga scala del febbraio 2022 (avvenuta dopo l’occupazione della Crimea e le infiltrazioni nel Donbass del 2014) proprio con la necessità di impedire che Kiev entrasse nel blocco militare occidentale.I rapporti dell’Ucraina con la Nato sono lunghi e complessi e risalgono ai tempi della dissoluzione dell’Urss nel 1991, ma Kiev ha formalmente avanzato la richiesta di entrare nell’Alleanza solo nel settembre 2022, dopo che Mosca proclamò l’annessione unilaterale dei territori occupati nell’ex repubblica sovietica. “Ci rendiamo conto che l’adesione alla Nato è una questione del futuro, non del presente”, ha concesso Zelensky nel suo discorso, ma ha aggiunto che se l’Alleanza invitasse l’Ucraina come 33esimo membro manderebbe un forte segnale del fatto che “i calcoli geopolitici” di Putin erano profondamente sbagliati.Tuttavia, anche se al summit di Washington dello scorso luglio la Nato ha ribadito che il percorso di Kiev verso l’adesione è “irreversibile”, è piuttosto improbabile che questa avvenga nel breve periodo. La decisione è politica, e va presa all’unanimità dai 32 Stati membri. Includere l’Ucraina, secondo diversi leader, sarebbe come uno schiaffo in faccia a Putin. Ma c’è anche un altro ostacolo: la Nato non può accettare al suo interno un Paese in guerra, poiché questo comporterebbe un’attivazione immediata dell’articolo 5 della Carta atlantica (il trattato fondamentale dell’organizzazione), che prevede il supporto di tutti gli alleati nel caso di aggressione ad uno di loro.Difesa dalla RussiaIl secondo punto del piano prevede la rimozione delle restrizioni sulle armi occidentali consegnate all’Ucraina, per consentire a quest’ultima di colpire in profondità oltre il confine con la Russia. Portare la guerra direttamente sul territorio della Federazione impedirebbe la creazione di “zone cuscinetto” sul suolo ucraino, un obiettivo cui mirava l’incursione dello scorso agosto nell’oblast’ di Kursk. La stessa Commissione europea aveva detto chiaro e tondo, all’epoca, che Kiev aveva il diritto di difendersi “anche in territorio nemico”.Oltre all’eliminazione delle restrizioni sui sistemi d’arma a lungo raggio, Zelensky continua a chiedere agli alleati occidentali ulteriori forniture di materiale bellico (a cominciare dalle munizioni) e maggiore supporto diretto al rafforzamento delle capacità militari dell’ex repubblica sovietica (dalle truppe terrestri alla contraerea, passando per l’assistenza a livello di intelligence), nonché una maggiore partecipazione nell’abbattimento di droni e missili russi nello spazio aereo ucraino.La terza parte del documento fa riferimento alla deterrenza contro future aggressioni da parte dell’ingombrante vicino. Per quanto questo punto rimanga secretato, si sa che vi è menzionata una deterrenza esplicitamente non-nucleare – giova ricordare a tal proposito che Kiev ha ceduto tutte le sue testate atomiche a Mosca in base al memorandum di Budapest del 1994, in cambio della garanzia che la Russia avrebbe rispettato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. L’idea è di mettere in piedi “un pacchetto globale di deterrenza strategica non-nucleare” sul territorio del Paese aggredito, che verosimilmente includerebbe asset convenzionali dei partner della Nato.Il rapporto coi partner occidentaliAl quarto punto, Kiev offre all’Ue e agli Stati Uniti un “accordo speciale” relativo a investimenti congiunti per lo sfruttamento delle risorse naturali presenti nel suo sottosuolo (tra cui uranio, titanio, grafite e litio). Un accordo sulle materie prime critiche è già in piedi con Bruxelles dal 2021, mentre recentemente anche a Washington sembrano essersi accorti che l’Ucraina è “una miniera d’oro” di minerali del valore di circa 11mila miliardi di dollari, che l’Occidente non può permettersi di lasciar cadere in mani russe.Infine, il quinto elemento del piano riguarda l’architettura della sicurezza ucraina nel dopoguerra, che prevederebbe secondo Zelensky un grado avanzato d’integrazione tra le forze militari del suo Paese e quelle della Nato. “Se i nostri partner sono d’accordo, dopo la guerra pensiamo di sostituire alcuni dei contingenti militari statunitensi stazionati in Europa con unità ucraine”, ha dichiarato alla Rada. Il piano per la vittoria dev’essere realizzato, ha concluso, per “costringere la Russia” a “terminare la guerra”.Nel suo discorso, il presidente ucraino ha pubblicamente ammesso per la prima volta che gli alleati occidentali stanno aumentando le pressioni diplomatiche su Kiev per avviare al più presto delle trattative di pace con Mosca. E che la parola “negoziati” si sta sostituendo sempre di più a “giustizia”: un segnale eloquente della crescente stanchezza internazionale nei confronti della guerra. Così, il piano per la vittoria rappresenta nelle speranze di Zelensky un modo per sedersi al tavolo con il capo del Cremlino da una posizione che, se non di superiorità, almeno non sia di netta debolezza. L’Ucraina non vuole scambiare “territori o sovranità” in cambio dello stop all’aggressione, ha scandito di fronte all’emiciclo.Ma non tutto il Parlamento di Kiev ha accolto con favore la comunicazione del presidente. Alcuni membri dell’opposizione hanno criticato il piano di Zelensky come “irrealistico”, una “lista di desideri” priva di dettagli concreti su come vanno realizzati. E richiamarsi alla “vittoria” dell’Ucraina nel momento in cui il fronte orientale nel Donetsk sta cedendo davanti all’avanzata nemica e oltre metà delle infrastrutture energetiche sono fuori uso a causa dei bombardamenti, hanno rimarcato, è “contraddittorio”.I prossimi passi a BruxellesStando alla bozza di conclusioni del Consiglio europeo circolata nelle ultime ore, i leader dei Ventisette dovrebbero discutere, oltre che del piano di Zelensky, anche di altri aspetti del sostegno dell’Ue all’Ucraina. Uno dei piatti principali sul tavolo dei capi di Stato e di governo sarà il maxi-prestito a Kiev – da finanziare con gli extraprofitti generati dai fondi russi congelati in Occidente – che potrebbe arrivare a toccare i 35 miliardi di euro.E sul quale, per l’ennesima volta, aleggia il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán, che minaccia di bloccare la decisione con cui Bruxelles vorrebbe modificare l’orizzonte temporale per il congelamento degli asset russi da sei a 36 mesi (decisione dalla quale potrebbe dipendere la partecipazione di Washington al prestito G7, che dovrebbe valere 45 miliardi di euro in tutto). Budapest ha chiesto, come condizione per non opporre il proprio veto, che non venga toccata la deroga che attualmente consente al Paese con la presidenza di turno dell’Ue di continuare ad acquistare petrolio dalla Russia, proprio nelle stesse ore in cui ha annunciato un aumento delle importazioni di gas da Mosca per il 2025.

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    L’Ue ai Paesi del Golfo: “Più fermezza contro Putin”. Il mondo arabo: “Riconoscete la Palestina”

    Bruxelles – Da una parte l’invito a più fermezza nella risposta alle manovre militari russe in Ucraina, dall’altra parte l’invito a fare di più per la Palestina e la causa palestinese. Unione europea e Paesi del golfo arabico provano a rafforzare le proprie relazioni, ma sul piano politico il primo approccio è di quelli che mostrano distanze e difficoltà a capirsi e intendersi. Un dialogo da costruire, certo, che inizia però all’insegna di richieste fugate. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, esorta i partner extra-europei a considerare un cambio di rotta nei confronti di Mosca. “L’aggressione della Russia qui in Europa è molto sentita, e so quanto anche per voi il concetto di sovranità sia importante”, premette ai rappresentanti dei Paesi arabi: “I conflitti attorno a noi richiedono una risposta tempestiva“.Von der Leyen tocca un tema per l’Ue cruciale, quello di un sostegno incondizionato all’Ucraina e la necessità di mettere il presidente russo Vladimir Putin all’angolo. Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite che condanna l’aggressione russa, ma il fare affari con Mosca è qualcosa che genera malumori al blocco dei Ventisette, che ricevono un impegno di circostanza e una risposta molto evasiva.“Noi riconosciamo la carta Onu, e siamo quindi per la difesa dell’integrità territoriale”, scandisce l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani. “Il consiglio dei Paesi del golfo sostiene chiunque cerca una soluzione pacifica del conflitto“, aggiunge, senza però specificare quali dovrebbero essere le condizioni di una pace tra Russia e Ucraina. Dichiarazioni evasive a cui si aggiunge la richiesta politica del blocco del golfo persico per l’Ue: riconoscere la Palestina.“Ringrazio tutti quelli che riconoscono la Palestina come Stato, e chiedo altri di fare altrettanto“, scandisce il leader qatariota. Parole che servono a ricordare all’Europa degli Stati come al netto degli impegni e dei proclami del Vecchio continente, l’ipocrisia di fondo percepita nel golfo persico si annida nella contraddizione tra chi dice di volere una soluzione a due Stati e chi ancora – più della metà dei 27 – non ha riconosciuto la Palestina come Stato.Non un dialogo tra sordi, tutt’altro. Due mondi distanti che cercano un riavvicinamento, non semplice, fatto di priorità e sensibilità diverse per cultura, storia, geografia. Non sarà semplice, e a Bruxelles, dove si ospita il primo summit di questo tipo, lo sanno bene. Von der Leyen è consapevole della portata del primo vertice Ue-Paesi del golfo. “La vostra presenza è storica”, segno che oggi “ci vediamo l’un l’altro come partner strategici”. Però, aggiunge, “per essere partner strategici bisogna ascoltarsi, impegnarsi per un altro futuro, fidarsi”. La fiducia è tutta da trovare e da costruire. La vera sfida è questa, e le premesse, però, non sembrano delle più incoraggianti.L’Europa insiste su Putin, i Paesi arabi del golfo rispondono con la questione israelo-palestinese e l’implicita richiesta di ricalibrare il peso politico più sulla parte araba e meno su quella israeliana. Per il segretario generale del Consiglio di cooperazione dei Paesi arabi del golfo, Jasem Mohamed Albudaiwi, “il futuro della nostra cooperazione è promettente”. L’esordio sembra però suggerire, se non l’esatto contrario, un percorso piuttosto tortuoso.

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    Ue e Paesi del golfo persico, a Bruxelles le prove politiche di nuova collaborazione

    Bruxelles – Commercio, energia, contrasto ai cambiamenti climatici, e poi sicurezza, soprattutto marittima, e coinvolgimento in materia di sicurezza regionale. Unione europea e Paesi del golfo arabico (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) cercano una nuova stagione di relazioni bilaterali con il primo summit di alto livello politico, che a Bruxelles viene salutato come il momento più alto di sempre. Un punto di arrivo di un lavoro condotto meticolosamente da Luigi di Maio nella sua veste di inviato speciale dell’Ue nel golfo Persico, il primo di sempre.Un’opportunità salutata nella capitale dell’Unione europea con soddisfazione, che mostra la disponibilità del mondo arabo di mettersi in gioco, provare a dialogare su temi comunque spinosi, tutt’altro che agevoli, e su cui orientamenti e punti di vista sono tutt’altro che convergenti, a cominciare dalla questione del conflitto russo-ucraino.Tutti i Paesi della regione hanno sostenuto la risoluzione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite che condanna l’aggressione russa, ma a differenza degli europei non hanno varato pacchetti di sanzioni. Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi “hanno relazioni con la Russia, che chiaramente cambia posizionamenti”, riconoscono fonti Ue. Questo complica anche il lavorio tecnico per la stesura di conclusioni di fine summit, che l’Ue vorrebbe ma su cui si riconoscono difficoltà e lo scenario di una fine seduta senza dichiarazioni non viene escluso.“E’ chiaro che ci sono rischi che dobbiamo correre”, ragionano le stesse fonti comunitarie. Ma si sottolinea con enfasi come “il fatto che i leader dei Paesi del golfo vengano a Bruxelles è già un elemento importante, un segno”. Certo, nel momento di discutere le conclusioni le conclusioni “verranno a galla delle problematiche”, non ci si fanno illusioni, “ma lavoriamo per trovare una soluzione”.Non si nascondono poi le difficoltà per ciò che riguarda le relazioni commerciali, che si vorrebbero rilanciare ma su cui pesano almeno due grandi ostacoli: differenza di regole per l’accesso nel settore degli appalti pubblici e idrocarburi. L’Unione europea è impegnata nella transizione verde e lo spostamento dai combustibili fossili a fonti rinnovabili, mentre i Paesi del golfo arabico dispongono di petrolio in abbondanza (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait sono membri dell’Opec, l‘Organizzazione dei Paesi Esportatori del Petrolio) e a prezzi ridotti rispetto a quelli pagati dagli europei, il che rende poco attraente e meno competitivo optare per la transizione sostenibile su cui punta l’Ue.Ciò nonostante a Bruxelles andranno in scena prove politiche per una nuova stagione di cooperazione bilaterale. Tre gli obiettivi principali: rendere più strategiche le relazioni con questi paesi da un punto di vista geopolitico, rispondere insieme alle sfide globali (clima, energia), e rafforzare relazioni bilaterali (commercio, regime di visti). Si inizia dal summit di Bruxelles, per provare a gettare nuove basi. E avere di più al fianco degli europei Paesi ancora troppo sbilanciati verso la Russia. Un messaggio per il ‘signore di Russia’, Vladimir Putin.