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    Kiev e l’Ue tentano di capire cosa succederà all’Ucraina con la rielezione di Trump

    Bruxelles – Ora che Donald Trump è stato rieletto alla Casa Bianca, l’Europa cerca di prevedere quali saranno le sue mosse su uno dei fronti internazionali più caldi, quello della guerra in Ucraina. Mentre a Bruxelles si teme che il sostegno militare e finanziario a stelle e strisce possa diminuire drasticamente o addirittura interrompersi, a preoccupare Kiev c’è soprattutto la promessa del presidente (ri)eletto di mettere fine al conflitto “in 24 ore”. Il capo dello Stato ucraino, Volodymyr Zelensky, sta lanciando messaggi decisamente eloquenti al suo omologo statunitense, per impedire che imponga all’ex repubblica sovietica un processo di pace accelerato che rischia di tramutarsi in una “sconfitta”.Zelensky a BudapestDopo essersi congratulato con Trump per la sua vittoria nelle urne, il presidente ucraino è tornato sulla questione del sostegno di Washington agli sforzi bellici di Kiev ieri (7 novembre) in occasione del quinto incontro della Comunità politica europea, ospitato a Budapest dal premier ungherese Viktor Orbán. Lì, parlando ai giornalisti, ha ammesso che “il presidente Trump vuole davvero una decisione rapida” su come giungere alla fine delle ostilità con la Russia, ma ha aggiunto che “ciò non significa che andrà in questo modo”. Perché, ha insistito, “tutti vogliamo che questa guerra finisca, ma con una fine giusta”: se il processo di pace “è troppo veloce, sarà una sconfitta per l’Ucraina”, ha detto chiaro e tondo.Anche il padrone di casa è apparso fiducioso sulle prospettive per una risoluzione diplomatica del conflitto aperte dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. “Quelli che vogliono la pace sono sempre più numerosi”, ha dichiarato Orbán, rinnovando il suo appello per un cessate il fuoco immediato. “La precondizione per la pace è la comunicazione”, ha spiegato il leader magiaro, e “la condizione per la comunicazione è un cessate il fuoco”, il quale “può fornire margine e tempo alle parti in conflitto” per “cominciare a negoziare la pace”.Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán (foto: European Council)Appello immediatamente bollato come “pericoloso” e “irresponsabile” da Zelensky, secondo cui una tregua in questo momento – cioè con circa un quinto del territorio ucraino in mano alle forze di Mosca, che stanno peraltro avanzando anche sul fronte del Donbass – equivarrebbe a “distruggere la nostra indipendenza e la nostra sovranità”. “Abbiamo già provato” a raggiungere un cessate il fuoco nel 2014, ha ricordato il presidente ucraino, “e abbiamo perso la Crimea, e poi abbiamo avuto l’invasione su larga scala nel 2022”. Come a dire: non è possibile fidarsi di Vladimir Putin, perché non è realmente interessato alla pace.Qual è l’idea di pace secondo Trump?Cercare di capire l’idea di “pace” che avrebbe in mente Trump è dunque, comprensibilmente, la questione centrale che arrovella l’intera leadership ucraina. Per ora, il presidente eletto non ha fatto trapelare pubblicamente alcun dettaglio su come intende risolvere la crisi che da dieci anni tormenta l’ex repubblica sovietica, ma alcune indiscrezioni giornalistiche parlano di diverse opzioni sul tavolo del leader repubblicano.E tutte, allontanandosi dall’approccio seguito dall’amministrazione Biden (cioè quello di lasciar decidere a Kiev quando avviare le trattative), prevedono che l’Ucraina rinunci ad una parte del suo territorio riconosciuto internazionalmente, cioè quello disegnato dai confini del 1991. In alcune versioni si tratterebbe delle regioni occupate militarmente da Mosca, in altre di una sorta di zona cuscinetto demilitarizzata (sul modello delle due Coree) i cui contorni andrebbero negoziati a tavolino e che andrebbe pattugliata da truppe internazionali. Le quali, beninteso, dovranno essere europee e non statunitensi: “Non manderemo uomini e donne americani a difendere la pace in Ucraina”, ha dichiarato un membro dell’entourage di Trump, suggerendo di farlo fare “ai polacchi, ai tedeschi, agli inglesi e ai francesi”.Un altro elemento ricorrente sarebbe l’imposizione di una qualche forma di neutralità a Kiev, quella che veniva ironicamente chiamata “finlandizzazione” dell’ex repubblica sovietica prima che Helsinki decidesse di entrare nella Nato poco dopo l’avvio dell’invasione russa. Sempre secondo questi ipotetici piani, l’ingresso nell’Alleanza nordatlantica verrebbe congelato almeno temporaneamente per l’Ucraina, che in cambio continuerebbe a ricevere sistemi d’arma occidentali come deterrente contro un’eventuale nuova aggressione.L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, celebra la rielezione il 6 novembre 2024 (foto: Jim Watson/Afp)Un’ulteriore opzione, ancora più radicale, proposta da alcuni collaboratori della prima amministrazione Trump per costringere Kiev a sedersi al tavolo delle trattative sarebbe invece quella di interrompere le forniture di armi alla resistenza ucraina. Si tratta dell’ipotesi peggiore per Zelensky e i suoi: non solo entrerebbero nei negoziati da una posizione di estrema debolezza, ma non riuscirebbero nemmeno a contenere ulteriori attacchi russi se Putin decidesse che, prima di trattare, vuole annettere alla Federazione qualche altro pezzo dell’ex repubblica sovietica. Si tratterebbe, in altre parole, di lasciare carta bianca al Cremlino.Visione strategicaPer Kiev, l’imperativo è far capire a Trump che sostenere l’Ucraina è nello stesso interesse di Washington. Da un lato, perché qualunque soluzione temporanea al conflitto che sia troppo vantaggiosa per la Russia rischia di trasmettere a Mosca il messaggio che, alla fine, l’ha avuta vinta e che quindi può ritentarci quando vuole. Che poi è quello che è successo quando, dieci anni fa, non ci sono state grosse conseguenze per l’annessione unilaterale della Crimea e lo stazionamento di truppe in Donbass, due violazioni della sovranità ucraina che hanno posto le basi per la guerra su larga scala del 2022.Dall’altro perché, se parti dell’Ucraina cadranno definitivamente in mano alla Russia, l’Europa e gli Stati Uniti perderanno l’accesso alle risorse naturali del Paese aggredito, nonché agli asset militari che Kiev ha sviluppato in due anni e mezzo di guerra e che potrebbero essere utilizzati per la sicurezza del Vecchio continente in sinergia con le forze Nato.È questo, in fin dei conti, il senso del “piano per la vittoria” che Zelensky ha presentato ai leader dei Ventisette il mese scorso: al netto della richiesta di far entrare l’Ucraina nell’Alleanza, il presidente ha messo nero su bianco quello che il suo Paese può offrire in cambio dell’aiuto internazionale. Per far passare il messaggio che l’investimento occidentale è strategico, a lungo termine, e che cedere a Putin ora significherebbe compromettere la sicurezza dell’Europa intera.Nel frattempo, l’Ue cerca di correre ai ripari come può. Proprio oggi (8 novembre) il Consiglio ha esteso di altri due anni – fino al novembre 2026 – il mandato della sua missione di assistenza militare all’Ucraina (Eumam Ukraine), dotandola di un budget da circa 409 milioni di euro. Un messaggio simbolico di sostegno a Kiev, ma poco più che noccioline se si considera l’entità delle spese che deve sostenere la resistenza. Allo stato attuale, difficilmente i Ventisette sarebbero in grado di mantenere a galla l’Ucraina da soli nel caso in cui dovessero realmente venire meno gli aiuti dall’altro lato dell’Atlantico.

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    Ue e Corea del Sud siglano un accordo sulla difesa. E Borrell chiede a Seoul di intensificare il supporto all’Ucraina

    Bruxelles – Dopo l’uscita allo scoperto della Corea del Nord sul supporto a Mosca, Bruxelles chiede a Seoul un salto di qualità nel supporto all’Ucraina. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, si è recato nella penisola e ha inaugurato il primo dialogo strategico Ue-Corea del Sud. Facendo leva sulle tensioni storiche – e in crescita – tra Pyongyang e Seoul, Borrell ha incoraggiato il partner sud-est asiatico a “intensificare” il proprio sostegno alla resistenza di Kiev.Insieme al ministro degli Esteri della Corea del Sud, Cho Tae-yul, Borrell ha annunciato il Partenariato per la sicurezza e la difesa tra l’Ue e la Repubblica di Corea, una sorta di quadro politico che individua le coordinate per una cooperazione rafforzata tra Bruxelles e Seoul in settori chiave quali la sicurezza marittima e la difesa spaziale, le questioni informatiche, il contrasto alle minacce ibride, alla manipolazione dell’informazione e all’interferenza straniera, la lotta al terrorismo, la formazione e l’istruzione, la non proliferazione nucleare e il disarmo.Josep Borrell Fontelles e Cho Tae-Yul a Seoul, 4/11/24Le tempistiche scelte per siglare il partenariato non sono una mera coincidenza: in una dichiarazione congiunta, Borrell e l’omologo coreano hanno condannato “con la massima fermezza i continui trasferimenti illegali di armi” dalla Corea del Nord alla Russia e “il dispiegamento di forze speciali in Russia, a sostegno della guerra di aggressione illegale in Ucraina”. La cooperazione tra Kim Jong-un e Vladimir Putin “non solo è una flagrante violazione di molteplici risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, ma “minaccia la sicurezza del mondo, compresa quella della Repubblica di Corea e dell’Europa”, sottolineano Borrell e Cho Tae-yul.Proprio oggi (4 novembre) il Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell’Ucraina ha riferito dei primi scontri a fuoco tra le forze di Kiev e le truppe nordcoreane nella regione russa di Kursk. Dal punto di vista di Seoul, i dieci mila soldati di Pyongyang al fronte a fianco dei russi significano soprattutto qualcosa in cambio da parte di Mosca: “Stiamo monitorando attentamente ciò che la Russia fornisce alla Rpdc in cambio della fornitura di armi e personale militare, compresa la possibile fornitura di materiali e tecnologie a sostegno degli obiettivi militari di Pyongyang“, prosegue la dichiarazione congiunta. “Profonda preoccupazione” in particolare per  “l’eventualità di un trasferimento di tecnologia nucleare o legata ai missili balistici”. Il do ut des tra i due autocrati non fa altro che alimentare l’aggressività del regime di Kim Jong-un, come dimostrato dal test missilistico balistico della scorsa settimana, il più potente mai condotto dal Paese. Nelle parole del leader coreano, “un’azione militare appropriata che soddisfa pienamente lo scopo di informare i rivali della nostra capacità di contrattaccare”. Un notiziario sudcoreano dà la notizia del lancio di un missile balistico da parte di Pyongyang (Photo by JUNG YEON-JE / AFP)In un bilaterale con il ministro della Difesa della Corea del Sud, Kim Yong Hyun, Borrell ha paragonato la “minaccia esistenziale” russa contro l’Ucraina al rapporto tra le due Coree: “La Repubblica di Corea è nella posizione migliore per capirlo”, ha dichiarato il capo della diplomazia Ue. Già la scorsa settimana, durante la visita del presidente polacco Andrzej Duda a Seoul, il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol si era impegnato a rispondere al coinvolgimento della Corea del Nord in Ucraina, anche fornendo potenzialmente armi a Kiev.“Se la Corea del Nord invia forze speciali nella guerra in Ucraina come parte della cooperazione tra Russia e Corea del Nord, noi sosterremo l’Ucraina per gradi e rivedremo e implementeremo le misure necessarie per la sicurezza nella penisola coreana”, aveva dichiarato. Finora, la Corea del Sud ha fornito a Kiev aiuti umanitari, e contribuito solo indirettamente all’assistenza militare, attraverso la fornitura di armi a diversi Paesi membri dell’Ue e della Nato.

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    La pro europea Maia Sandu ha vinto al secondo turno le presidenziali in Moldova

    Bruxelles – L’esito finale delle presidenziali moldave regala un sospiro di sollievo alle cancellerie occidentali, con la conferma del capo dello Stato uscente, l’europeista Maia Sandu, per altri quattro anni. Dopo il primo turno dello scorso 20 ottobre, gli elettori hanno premiato nel ballottaggio la presidente della Repubblica in carica, che vuole blindare il percorso di Chisinau verso l’Ue. Secondo le autorità, il voto è stato inquinato per l’ennesima volta dalle interferenze di Mosca. Di sicuro, per l’ennesima volta, c’è che Sandu è stata “salvata” dalla diaspora, mentre in patria avrebbe vinto lo sfidante filorusso.I numeri della sfidaA scrutinio quasi completato (99,86 per cento dei seggi) il quadro che emerge dalle presidenziali moldave di ieri (3 novembre) è chiaro: la presidente uscente Maia Sandu ha vinto il secondo turno con il 55,41 per cento dei consensi, staccando di oltre dieci punti l’ex procuratore generale filorusso Alexandr Stoianoglo, fermo al 44,59 per cento. Il capo dello Stato ha commentato così il responso delle urne: “Moldova, oggi sei vincitrice. Insieme, abbiamo dimostrato la forza della nostra unità, democrazia e impegno per un futuro dignitoso”.Moldova, today you are victorious. Together, we’ve shown the strength of our unity, democracy, and commitment to a dignified future.Thank you, dear Moldovans, at home and abroad. Walk with pride—you are freedom, hope, and resilience. I am proud to serve you all. pic.twitter.com/yGGlrjAMEC— Maia Sandu (@sandumaiamd) November 3, 2024I dati aggregati non restituiscono pienamente la dinamica del voto. Per farsi un’idea più completa occorre considerare la provenienza geografica dei consensi espressi. Nei 1988 collegi in cui è divisa la Moldova, Stoianoglo ha sorpassato Sandu di oltre due punti (51,19 a 48,81 per cento), mentre la presidente in carica ha stravinto il voto dall’estero: con 228 su 231 collegi scrutinati, Sandu si è portata a casa l’82,77 per cento delle preferenze degli expat moldavi, mentre Stoianoglo è rimasto inchiodato al 17,23 per cento. Nella capitale Chisinau, il vantaggio di Sandu sullo sfidante è di una quindicina di punti: 57,38 contro 42,62 per cento.Gioco sporco?Fino alla chiusura delle urne, il ballottaggio si annunciava particolarmente combattuto e il suo esito difficile da prevedere. Sandu, un’ex economista della Banca mondiale candidatasi come indipendente di area del Partito di azione e solidarietà (Pas), la forza di governo liberale ed europeista, aveva ottenuto il 42,5 per cento al primo turno, mentre Stoianoglo si era attestato al 26,5 per cento. Ma quest’ultimo, appoggiato dal Partito dei socialisti (Psrm), filo-russo, aveva ricevuto l’endorsement di diversi altri candidati sconfitti il 20 ottobre.Un altro ostacolo alla riconferma di Sandu, almeno stando alle dichiarazioni delle autorità moldave e della stessa presidente, è stata poi l’ennesima campagna di interferenza orchestrata dalla Russia di Vladimir Putin, che avrebbe preso di mira il processo democratico del Paese balcanico tramite fake news, disinformazione, propaganda e varie forme di coercizione degli elettori, inclusa la minaccia di attacchi ai seggi all’estero. Il segretario di Stato per la sicurezza, Stanislav Secrieru, ha denunciato il trasporto coatto di centinaia di elettori moldavi da parte russa, mentre il premier Dorin Recean ha affermato che diversi cittadini hanno ricevuto “minacce di morte anonime tramite chiamate telefoniche”.Sandu ha parlato di “attacchi senza precedenti” mossi da “forze ostili fuori dal Paese”, e ha accusato lo sfidante (che lei stessa aveva destituito dall’incarico di procuratore generale l’anno scorso) di essere un “cavallo di Troia” putiniano. Stoianoglo ha contrattaccato dipingendosi come l’uomo del dialogo sia con l’Occidente che con la Russia e imputando al capo dello Stato una retorica “divisiva” in un Paese in cui, affianco alla maggioranza romena, abita una nutrita comunità russofona.La partita geopoliticaL’esito del voto è fondamentale per la collocazione internazionale della Moldova e potrebbe anticipare le dinamiche che caratterizzeranno le prossime elezioni legislative, che si terranno entro la prima metà del 2025. Con la riconferma della presidente in carica per un altro mandato di quattro anni, il piccolo Paese balcanico parrebbe essersi ancorato più saldamente nel campo occidentale, ma non è ancora detto che il Pas (al potere dal 2021) riesca a mantenere il controllo del governo il prossimo anno.La stessa Sandu ha dichiarato che l’ingresso nel club europeo sarà l’imperativo strategico più importante della politica estera di Chisinau e che si augura di centrare l’obiettivo entro la fine del decennio. “Entrare nell’Unione europea è il piano Marshall della Moldova”, ha dichiarato, riferendosi al piano di investimenti monstre con cui gli Stati Uniti hanno sostenuto la ricostruzione dell’Europa occidentale nel secondo dopoguerra. Bruxelles ha recentemente adottato un pacchetto di finanziamenti da quasi 2 miliardi di euro per assistere Chisinau nel suo percorso verso l’Ue.L’alternativa, per la piccola repubblica balcanica, è il ritorno nell’orbita del Cremlino. La Moldova è uno degli Stati che costituiscono il cosiddetto spazio post-sovietico: una “cintura” di Paesi che secondo molti analisti Putin vorrebbe mantenere sottoposti alla Federazione Russa al fine di creare una zona cuscinetto in funzione anti-Nato, e che cerca di trattenere tramite interventi più o meno diretti, militari e ibridi. Oltre alle interferenze nei processi elettorali moldavi, Mosca mantiene da decenni delle truppe nella regione separatista della Transnistria, un lembo di terra moldava al confine con l’Ucraina.Bruxelles festeggia SanduEcco perché a Bruxelles la vittoria di Sandu è stata salutata con particolare sollievo. “Ci congratuliamo con le autorità moldave per il successo delle elezioni, nonostante le interferenze senza precedenti della Russia, anche con schemi di compravendita di voti e disinformazione”, si è complimentato l’Alto rappresentante per la politica estera comunitaria Josep Borrell, che ha denunciato i “tentativi ibridi” del Cremlino “di minare le istituzioni democratiche del Paese e il suo percorso nell’Ue”.Lo stesso giorno in cui si è tenuto il primo turno delle presidenziali, i moldavi avevano anche votato in un referendum che li interrogava sull’eventualità di introdurre in Costituzione l’obiettivo di aderire all’Ue. Sandu aveva convocato la consultazione popolare sperando in un plebiscito a favore del “sì”, ma alla fine il fronte europeista ha vinto sul filo del rasoio, sempre grazie al voto della diaspora e della capitale. Anche in quell’occasione erano state denunciate forti ingerenze di Mosca, facilitate da schemi di frodi elettorali ricondotti dagli inquirenti all’oligarca filorusso Ilan Shor.La domanda di adesione moldava risale al marzo 2022 e lo status di candidato è arrivato lo scorso dicembre. A giugno di quest’anno si è tenuta la prima conferenza intergovernativa Ue-Moldova, con cui sono stati formalmente avviati i negoziati per l’ingresso in Ue.

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    Allargamento Ue 3/ Quando Mosca è troppo vicina: gli ostacoli all’adesione di Georgia, Serbia e Turchia

    Bruxelles – Tra i Paesi candidati ad entrare in Unione europea, tre sembrano al momento piuttosto lontani. Si tratta di Georgia, Serbia e Turchia. Ognuno di loro presenta varie criticità su diversi livelli, ma un elemento che accomuna Tbilisi, Belgrado e Ankara è lo scollamento da Bruxelles su un punto fondamentale: la politica estera e di sicurezza. Che, a partire dall’aggressione dell’Ucraina di due anni e mezzo fa, comprende l’imperativo di non allinearsi alla Russia di Vladimir Putin.La Serbia, tallone d’Achille dei BalcaniTra i sei Paesi candidati della regione balcanica, la Serbia (che ha avanzato la sua domanda di adesione nel 2012) è decisamente la più problematica dal punto di vista del disallineamento rispetto alle priorità strategiche della politica estera comunitaria. Nella sua relazione annuale sul progresso del processo di adesione (chiamata anche “pacchetto sull’allargamento“), presentata mercoledì (30 ottobre) dall’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell e dal commissario all’Allargamento e al vicinato Olivér Várhelyi, si legge che “il ritmo dei negoziati” per l’ingresso di Belgrado nel club europeo “continuerà a dipendere dalle riforme sullo Stato di diritto e dalla normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo”.Per quanto riguarda il primo punto, le riforme su cui il Paese balcanico deve concentrare i propri sforzi hanno a che fare soprattutto con la libertà della società civile e dei media e la lotta contro la disinformazione e le interferenze dall’estero. Tradotto: va ridotta l’esposizione alle campagne ibride del Cremlino, che fanno presa in questo Stato più che negli altri della regione.Ma è soprattutto sul difficile rapporto con il Kosovo che si stanno giocando le prospettive europee della Serbia. Belgrado non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina (proclamata unilateralmente nel 2008 e riconosciuta da oltre metà degli Stati membri dell’Onu), e il dialogo tra le due nazioni – facilitato dall’Ue – non sta compiendo progressi significativi. Il che è un eufemismo, considerati i momenti di crisi acuta negli ultimi tempi (ad esempio la disputa sulle targhe albanesi sfociata poi nell’episodio di sangue presso il monastero di Banjska nel settembre 2023). Del resto, il governo serbo guidato da Miloš Vučević ha ribadito che intende continuare sulla linea del non-riconoscimento di quella che considera una parte del territorio nazionale.A preoccupare Bruxelles è parallelamente anche la vicinanza di Belgrado a Mosca, un altro problema dell’esecutivo di Vučević (ma anche di quelli precedenti), di cui fanno parte due politici sanzionati dagli Stati Uniti per il loro legame alla Russia di Vladimir Putin: l’ex capo dell’intelligence Aleksandar Vulin e l’imprenditore Nenand Popović. L’esecutivo comunitario sottolinea che la Serbia “non è ancora allineata alle misure restrittive” adottate dall’Ue “contro la Federazione Russa” e altri Paesi come Bielorussia, Corea del Nord e Iran e “non si è allineata alla maggior parte delle dichiarazioni dell’Alto rappresentante” rivolte al Cremlino. Oltre a ciò, continua il rapporto, Belgrado “ha mantenuto relazioni di alto livello” con Mosca e “intensificato” quelle con Pechino, “sollevando dubbi circa la direzione strategica della Serbia”.La Georgia, un Paese in bilicoUn altro Stato candidato che sta pericolosamente pendendo verso Mosca è la Georgia. Nonostante la sua popolazione sia fortemente filo-occidentale, il governo – dal 2012 saldamente nelle mani di Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – ha assunto nel corso dell’ultimo anno posizioni sempre più marcatamente filorusse, forzando peraltro l’approvazione parlamentare di due provvedimenti liberticidi (una legge sugli “agenti stranieri” e una sulla famiglia che discrimina i membri della comunità Lgbtq+) modellati sull’esempio di analoghe norme russe, che sono costati a Tbilisi il congelamento del percorso di avvicinamento all’Ue (avviato nel 2022) e la sospensione dell’erogazione dei fondi comunitari.La situazione non è affatto migliorata con l’ultima tornata elettorale dello scorso sabato (26 ottobre), durante la quale gli osservatori locali e internazionali hanno denunciato una lunga serie di irregolarità e violazioni e che le opposizioni si sono impegnate a non riconoscere, rifiutandosi di insediarsi nel nuovo Parlamento. Secondo la presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, le elezioni sono state “rubate” ai georgiani da “un’operazione dei servizi segreti russi” e anche a Bruxelles si teme che l’esito del voto possa spingere il piccolo Stato caucasico verso l’orbita di Mosca in maniera irrimediabile.Secondo l’analisi della Commissione europea, “il tasso di allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’Ue rimane considerevolmente basso”, anche se Tbilisi ha “cooperato con l’Ue per prevenire la circonvenzione delle sanzioni” comminate alla Federazione Russa. Una cooperazione che potrebbe venir meno nell’immediato futuro.Il limbo eterno della TurchiaRimangono decisamente esigue anche le speranze della Turchia di entrare in Ue: il Paese anatolico ha fatto domanda di adesione nel lontano 1999 ma, per una lunga serie di motivi, non ha mai avuto una prospettiva concreta di far parte del club a dodici stelle e ora la sua pratica è bloccata dal 2018. Tra i maggiori ostacoli ci sono la questione cipriota, le dispute con la Grecia per il controllo di alcuni tratti di mare (e dei sottostanti giacimenti di idrocarburi) nel Mediterraneo orientale, il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali (inclusi quelli delle minoranze e delle donne) e, pure in questo caso, il disallineamento in politica estera tra Ankara e Bruxelles.Sotto la presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia si è mossa con relativa disinvoltura (i critici direbbero con spregiudicatezza) sulla scena internazionale, instaurando un rapporto ambivalente con la Russia di Putin. Su alcuni fronti di crisi, come quello siriano, i due leader si sono trovati su posizioni opposte, ma i due Paesi sono in realtà strettamente legati da una crescente relazione che investe il piano politico (Ankara starebbe ambendo ad entrare nei Brics, che l’uomo forte di Mosca definisce l’alternativa globale all’Occidente), strategico (dall’Africa all’Ucraina passando per il Caucaso), economico (con uno scambio commerciale in continuo aumento) ed energetico (la Turchia sembra puntare a diventare l’hub per far entrare il gas russo in Europa nell’epoca in cui le sanzioni impediscono agli Stati Ue di rifornirsi direttamente dalla Federazione).L’esecutivo comunitario ribadisce che Ankara “si è rifiutata di allinearsi alle misure restrittive dell’Ue contro la Russia riguardo all’aggressione russa dell’Ucraina”, e suggerisce che la Turchia dovrebbe impegnarsi maggiormente per ridurre la circonvenzione delle sanzioni dei beni diretti verso la Federazione impedendo il “falso transito” di articoli particolarmente sensibili attraverso il proprio territorio. La repubblica anatolica dovrebbe inoltre “cooperare più attivamente con le autorità inquirenti dell’Ue sui casi di falsificazione dell’origine dei beni sanzionati provenienti dalla Russia che entrano illegalmente nel mercato unico” dei Ventisette. Nelle parole di Borrell, l’allineamento tra la politica estera comunitaria e quella turca è “particolarmente basso e in diminuzione”.

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    La Russia e l’Ucraina starebbero trattando per sospendere gli attacchi reciproci sulle infrastrutture energetiche

    Bruxelles – Per ora sono solo indiscrezioni giornalistiche, ma pare che i negoziatori russi e ucraini stiano avviando dei colloqui, mediati dal Qatar, per giungere ad un accordo che metta le rispettive infrastrutture energetiche al riparo dagli attacchi militari.La notizia è stata data stamattina dal Financial Times e rimbalzata da diversi altri organi d’informazione, e cita fonti anonime (alcune delle quali qualificate come “alti funzionari ucraini”). Secondo il FT, Kiev starebbe tentando di riprendere i negoziati sulla protezione delle infrastrutture energetiche già avviati negli scorsi mesi sotto la mediazione del Qatar. Tali colloqui erano sembrati sul punto di portare ad un accordo con Mosca, poi sfumato in agosto quando l’esercito ucraino ha lanciato la sua incursione a sorpresa oltre il confine russo nell’oblast’ di Kursk.Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha rifiutato di confermare ufficialmente la notizia, sostenendo che ci sono in circolazione molte fake news che “non hanno nulla a che fare con la realtà”, persino sui media tradizionalmente più affidabili. D’altro canto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha segnalato che l’esito dei colloqui sulla protezione delle infrastrutture critiche segnalerà la reale disponibilità del suo omologo Vladimir Putin di sedersi al tavolo negoziale per trattare i termini di una cessazione del conflitto (o perlomeno di una tregua). Che tale discussione, se mai occorrerà, possa partire dal “piano per la vittoria” presentato dal leader ucraino all’ultimo Consiglio europeo rimane tuttavia dubbio.Dopo due anni e mezzo di guerra, la maggior parte della rete energetica ucraina è gravemente danneggiata, distrutta o sotto occupazione dell’esercito invasore, e nelle scorse settimane sono ripresi i pesanti bombardamenti di Mosca contro le infrastrutture del Paese aggredito. Per far fronte alle crescenti difficoltà di Kiev di produrre energia per mantenere in piedi la propria economia e riscaldare i propri abitanti, il mese scorso Bruxelles ha annunciato un pacchetto finanziario del valore di 160 milioni di euro per riparare la rete energetica ucraina (ricostruendo circa 2,5 Gw di capacità elettrica), connetterla a quella dell’Ue (esportando altri 2 Gw di energia) e stabilizzare il flusso di energia che circola attraverso il Paese.Pur se con mezzi e risultati molto diversi, anche l’Ucraina ha cercato di colpire le infrastrutture energetiche del nemico. Gli attacchi, portati avanti principalmente con droni, razzi e missili (anziché con i bombardieri, come fa invece Mosca), hanno danneggiato diversi impianti, centrali, depositi e strutture russe (anche nella Crimea occupata), ma non sono arrivati a mettere in seria difficoltà l’approvvigionamento energetico della Federazione.I punti più critici delle infrastrutture energetiche di entrambi i belligeranti sono gli impianti nucleari. La centrale di Zaporizhzhia, la più grande non solo dell’Ucraina ma dell’intero continente, è caduta nelle mani dei russi nel marzo 2022 e da allora i due eserciti non hanno mai smesso di addossarsi a vicenda la responsabilità degli attacchi che ne mettono a repentaglio le strutture e, con esse, la sicurezza dell’intera regione. Da quando, lo scorso agosto, è partita l’operazione di Kiev nella regione di Kursk, i timori sono cresciuti anche per la centrale russa di Kurchatov.

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    Caos Georgia: dopo le elezioni, con forti dubbi di brogli, il Paese è sull’orlo della crisi

    Bruxelles – Dopo le controverse elezioni di tre giorni fa, che il partito di governo filorusso Sogno georgiano dice di aver vinto ma che gli osservatori hanno criticato come irregolari, la Georgia è entrata in un limbo di profonda incertezza che potrebbe sfociare in una grave crisi politico-istituzionale e, nel caso peggiore, in una nuova stagione di tensioni e violenze, con ripercussioni importanti per la collocazione internazionale del Paese caucasico e per la stabilità dell’intera regione. Nella serata di lunedì (28 ottobre), le opposizioni pro-Ue hanno presentato le loro richieste durante una manifestazione pacifica da loro convocata nella capitale Tbilisi, ma non è chiaro cosa succederà da qui in avanti.I georgiani in piazzaC’erano diverse migliaia di georgiani per le strade di Tbilisi ieri sera a manifestare contro il “furto” delle elezioni che imputano a Sogno georgiano, il partito-macchina dell’oligarca filorusso Bidzina Ivanishvili al potere dal 2012, che secondo la commissione elettorale nazionale avrebbe vinto il voto di sabato scorso con quasi il 54 per cento dei consensi. L’uso del condizionale è d’obbligo, perché le opposizioni europeiste (che secondo i dati ufficiali avrebbero raccolto complessivamente poco meno del 38 per cento), unite dietro la figura del capo dello Stato, Salomé Zourabichvili, hanno contestato i risultati delle urne denunciando brogli sistematici e irregolarità diffuse in tutto il Paese.Così, circa 20mila cittadini hanno risposto al loro appello e si sono riversati pacificamente davanti all’edificio sovietico sul viale Rustaveli dove ha sede il Parlamento georgiano (sul quale sono state proiettate coi laser scritte come “in vendita”), sventolando le bandiere nazionali con le cinque croci, quelle con le dodici stelle dell’Ue e quelle gialle e azzurre dell’Ucraina. A intervallare i cori dei manifestanti si alternavano l’inno nazionale e l’Inno alla gioia, cioè quello dell’Unione europea. Il messaggio che hanno rivolto al partito di governo (e al suo capo-padrone Ivanishvili) è chiaro: la Georgia si sente europea e non vuole sottostare all’influenza del Cremlino.La popolazione del piccolo Paese caucasico – incastonato tra la Russia, l’Azerbaigian, l’Armenia e la Turchia e bagnato dal Mar Nero – è una delle più filo-occidentali tra gli Stati emersi dalle macerie dell’Urss, con circa l’80 per cento dei cittadini che favorisce l’allineamento euro-atlantico di Tbilisi. Contemporaneamente, la maggior parte dei georgiani guarda a Mosca con sospetto dopo che nel 2008 l’ingombrante vicino ha invaso il Paese per sostenere le autoproclamate repubbliche dell’Abcasia e dell’Ossezia del sud che volevano l’indipendenza, e nelle quali mantiene ancora le proprie truppe (una situazione simile a quella della Transnistria moldava).Il piano (fumoso) delle opposizioniAlla folla ha parlato la presidente Zourabichvili, che domenica scorsa aveva convocato la manifestazione di piazza insieme ai leader dei partiti dell’opposizione parlamentare. “Pacificamente, come stiamo facendo oggi, difenderemo ciò che è nostro, il vostro diritto costituzionale di far rispettare il vostro voto”, ha dichiarato il capo dello Stato di fronte alla folla, assicurando che sarà al fianco dei cittadini “fino alla fine di questo viaggio in Europa, finché non arriveremo alla sua porta”.Per le opposizioni l’adesione all’Ue è la prima priorità strategica per la Georgia, ed è proprio quella che il partito di governo sta mettendo a repentaglio con una serie di provvedimenti liberticidi che hanno portato Bruxelles a congelare lo status di candidato del Paese. “Non è il momento del pessimismo, della rinuncia o della resa”, ha continuato Zourabichvili dal palco, ma quello di “raggiungere la verità insieme”. Per arrivare alla “verità”, le opposizioni hanno elaborato un piano che prevede quattro fasi, anche se non sono ancora noti tutti i dettagli operativi di come andrebbe realizzato concretamente.Il punto di partenza è un’indagine indipendente e approfondita sui brogli elettorali avvenuti nella giornata di sabato, che hanno portato la stessa presidente a parlare di “un’operazione dei servizi segreti russi”. Questo dovrebbe permettere di dichiarare ufficialmente illegittime le elezioni, e quindi permettere alle forze dell’opposizione – le quali sembrano ora aver trovato una qualche unità dopo essersi presentate separate alle urne – di rifiutare l’ingresso dei propri eletti nel nuovo Parlamento.Strada in salitaSecondo la Costituzione georgiana (che disciplina la materia all’articolo 38), la nuova assemblea ha tempo dieci giorni dalla proclamazione dei risultati delle urne per insediarsi e prendere pienamente le proprie funzioni. Perché i suoi lavori possano cominciare, è necessario che sia presente alla sessione inaugurale la maggioranza dei membri del Parlamento (dunque 76 su 150), mentre per “acquisire pieni poteri” serve che due terzi dei deputati (100 su 150) riconoscano come avvenuto l’insediamento.Ora, i soli parlamentari di Sogno georgiano (che, tra i voti ottenuti dalla componente proporzionale e quelli dei collegi uninominali, avrebbe ottenuto 89 seggi) non arriverebbero a questa soglia, ma non è chiaro cosa succederebbe se le opposizioni portassero fino in fondo il boicottaggio. Se il legislativo monocamerale non riuscisse a far partire i propri lavori, la presidente Zourabichvili avrebbe la facoltà di scioglierlo e convocare nuove elezioni che, nelle speranze delle opposizioni e dei manifestanti, andrebbero condotte sotto una regia internazionale che ne garantisca l’integrità. Sarebbe questo il quarto (e più importante) punto del piano delle forze filo-occidentali.A complicare ulteriormente le cose, tuttavia, c’è anche l’imminente scadenza del mandato dell’attuale presidente, che è alla guida dello Stato da oltre cinque anni (la durata della carica prevista dalla legge) – e dovrebbe essere proprio il nuovo Parlamento a nominare il suo successore. Insomma, il passaggio è stretto e resta da vedere quali soluzioni istituzionali verranno adottate dai vari attori per uscire dall’impasse. Mentre il ricorso alla violenza, soprattutto da parte dell’esecutivo che comanda le forze dell’ordine e potrebbe decidere di usarle per reprimere il dissenso, non può essere escluso a prescindere.Debole sostegno internazionaleAl di là della relativa indeterminatezza del piano presentato ieri sera alla piazza, c’è da registrare un sostegno poco più che tiepido da parte degli alleati internazionali di Tbilisi, almeno in questa fase. In queste ore, un numero crescente di Paesi occidentali sta condannando le irregolarità nel processo elettorale (di cui stanno emergendo sempre più documentazioni), ma nessuno ha ancora detto chiaro e tondo che il voto è da considerarsi nullo e che Sogno georgiano non rappresenta il governo del Paese. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno già comminato delle sanzioni ad alcuni membri del partito dell’oligarca Ivanishvili, ma dall’esito delle presidenziali della prossima settimana (l’appuntamento è fissato al 5 novembre) dipenderà la risposta di Washington nei mesi a venire.Sull’altra sponda dell’Atlantico, tredici ministri di altrettanti Stati membri dell’Ue (Cechia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Svezia) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta con la quale condannano le “violazioni dell’integrità elettorale” – definite “incompatibili con gli standard che ci si aspetta da un candidato” all’ingresso nel club europeo – e sostengono che “hanno tradito” le legittime aspirazioni europee del popolo georgiano. In controtendenza, come al solito, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che si è affrettato a recarsi a Tbilisi per congratularsi di persona con il suo omologo Irakli Kobakhidze – una mossa per la quale è stato prontamente criticato da Bruxelles e dalle altre cancellerie.Che succede ora?Le elezioni di sabato potrebbero rappresentare uno spartiacque. Molti analisti parlano di un bivio per Tbilisi, che dovrà ora scegliere la propria collocazione internazionale. Da un lato il fermo ancoraggio nell’area euro-atlantica, da suggellare con l’adesione all’Ue e, in un futuro più lontano, magari anche l’ingresso nella Nato. Dall’altro il ritorno della Georgia nell’orbita di Mosca, per finire come uno Stato satellite (sul modello della Bielorussia di Alexander Lukashenko) dopo la parentesi di indipendenza in seguito alla dissoluzione dell’Urss, comunque ridimensionata dalla Russia con l’invasione del 2008.Naturalmente, la scelta tra queste due alternative avrà pesanti ricadute sulla stabilità non solo del Paese ma dell’intera regione caucasica, di strategica importanza come “ponte” tra l’Europa e la Federazione Russa (soprattutto con la guerra in Ucraina ancora in corso). Secondo Tefta Kelmendi, ricercatrice del think tank European council on foreign relations (Ecfr), se il partito di governo rimarrà al potere “la Georgia rischia di scivolare ancora di più nella sfera russa”, il che produrrebbe conseguenze difficilmente prevedibili anche “per gli sforzi della vicina Armenia per disaccoppiarsi dalla Russia e manderebbe segnali preoccupanti alla Moldova e all’Ucraina riguardo alle loro prospettive di integrazione in Ue, nonché alla lealtà e alla resilienza della stessa Ue”.

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    La Georgia si gioca nelle urne il suo futuro europeo

    Bruxelles – Ha tutto il sapore di un appuntamento con la Storia, quella con la S maiuscola, il voto che si terrà domani (26 ottobre) in Georgia per il rinnovo del Parlamento. I cittadini si recheranno alle urne in un clima di esasperata tensione politica e di crescente repressione del dissenso da parte delle autorità di Tbilisi, che stanno cercando di mantenere il Paese caucasico nella sfera d’influenza di Mosca contro il desiderio della maggioranza della popolazione di avvicinarsi all’Unione europea. Il partito al potere, Sogno georgiano, farà di tutto per mantenere la presa sullo Stato, che tiene ormai in mano da oltre un decennio.Le forze in campoAll’appuntamento elettorale di domani si presentano due campi contrapposti. Da un lato, il partito di governo, Sogno georgiano, che esprime l’attuale primo ministro Irakli Kobakhidze. È stato fondato nel 2012 dall’oligarca Bidzina Ivanishvili in opposizione al Movimento nazionale unito (Enm), allora al governo: dalle elezioni di quell’anno, il partito di Ivanishvili è rimasto saldamente al potere e ha infiltrato progressivamente le strutture statali (come avvenuto, in Ue, nell’Ungheria di Viktor Orbán).Il partito, nel frattempo, si è trasformato sempre più in una macchina per il mantenimento del potere personale dell’oligarca (tra i più ricchi del mondo), che di fatto tiene in pugno il Paese da due decenni nel corso dei quali si è gradualmente spostato su posizioni sempre più filorusse, soprattutto a partire dall’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022. Alle precedenti elezioni politiche, Sogno georgiano ha conquistato 90 dei 150 seggi del Parlamento monocamerale nazionale, dove la maggioranza è fissata a 76.Dall’altro lato, le forze dell’opposizione (la più grande delle quali rimane l’Enm) non sono state in grado di dare vita ad una larga coalizione elettorale, creando invece diverse alleanze dal perimetro più circoscritto nella speranza di intercettare più efficacemente il discontento delle differenti fasce della popolazione. La presidente della Repubblica, l’europeista Salomé Zourabichvili, aveva lanciato lo scorso maggio un appello alle forze democratiche pro-Ue per la sottoscrizione di una “Carta georgiana” nella quale mettere nero su bianco il proprio impegno a rimettere il Paese sulla strada verso Bruxelles.Il clima pre-elettoraleLa campagna elettorale è stata estremamente polarizzata. Il partito di governo ha messo in campo una strategia di comunicazione particolarmente aggressiva, in cui ha affiancato alcune fotografie delle devastazioni provocate dalla guerra in corso in Ucraina e immagini della vita “pacifica” in Georgia, alludendo al fatto che una vittoria delle forze europeiste rischierebbe di trascinare il Paese in un conflitto militare con Mosca.Lo slogan di Sogno georgiano, che nei suoi poster elettorali affianca alla bandiera nazionale quella con le dodici stelle dell’Ue, è “Sì all’Unione europea, ma con dignità”. Ma per tutti gli osservatori, in caso di vittoria l’adesione al club europeo (un obiettivo inserito nella Costituzione nel 2018) verrà portato avanti solo nominalmente, e con ogni probabilità finirà definitivamente in naftalina.La tensione politica nel frattempo è aumentata a dismisura. Le proteste oceaniche dei cittadini (la cui ampia maggioranza è favorevole ad entrare nell’Unione) lambiscono la capitale Tbilisi da almeno due anni, con il picco della violenza raggiunto la scorsa estate dopo l’approvazione definitiva della controversa “legge sugli agenti stranieri”, che costringe tutte le organizzazioni che ricevano almeno un quinto dei propri finanziamenti dall’estero a registrarsi come “agenti di una potenza straniera”. Tra le altre cose, Sogno georgiano ha promesso di bandire tutti i partiti d’opposizione se vincerà nuovamente le elezioni.Si sono moltiplicati anche gli episodi di aggressioni e intimidazioni ai rappresentanti delle opposizioni e agli attivisti anti-governativi, ma anche di arresti arbitrari e raid nelle abitazioni private di giornalisti, ricercatori e altre voci indipendenti del Paese in un giro di vite contro il dissenso imposto dal governo e portato avanti dalle forze dell’ordine e dagli apparati di sicurezza. Crescono così i timori per l’integrità del processo elettorale, a monitoraggio del quale la Commissione europea ha tuttavia annunciato di non aver inviato osservatori, accontentandosi di quelli già presenti in loco e delle delegazioni diplomatiche dell’Unione e degli Stati membri.Un esito incertoNon è facile prevedere con precisione l’esito del voto di domani: i sondaggi variano sensibilmente a seconda che a emetterli siano entità vicine all’area governativa o all’opposizione. La maggior parte degli osservatori internazionali sembrano concordare sul fatto che il partito-macchina attualmente al potere uscirà nuovamente vincitore dalle urne, ma la vera domanda è con quanto vantaggio rispetto agli avversari: la forchetta va dal 30 al 60 per cento dei consensi, in base alle diverse proiezioni.Probabilmente Sogno georgiano non avrà i numeri sufficienti a governare da solo (tantomeno con la supermaggioranza richiesta per modificare la Costituzione): in quel caso, potrebbe cercare l’appoggio di altre formazioni minori per mantenere comunque il potere, da aggiungere ai seggi che otterrà dalla ridistribuzione dei voti delle liste che non supereranno la soglia di sbarramento del cinque per cento. Ma tutti gli altri partiti si sono impegnati, almeno teoricamente, a non entrare in alleanze post-elettorali con il partito di Ivanishvili: se manterranno la promessa potrebbe dunque essere a loro portata un governo di coalizione.Tal coalizione sarebbe però talmente ampia da risultare probabilmente instabile. Non sono pochi infatti i dubbi sulla coesione di un’eventuale alleanza delle opposizioni che, come detto, non si presenteranno alle urne in un fronte unitario, anche se hanno concordato di lasciare alla presidente Zourabichvili la facoltà di nominare, se del caso, un candidato per la guida del governo. Il capo dello Stato, da parte sua, ha ventilato la possibilità di aprire i negoziati di adesione all’Ue già la prossima estate nel caso in cui le opposizioni andassero governo.Ad ogni modo, uno dei rischi maggiori potrebbe essere quello per cui la parte sconfitta – qualunque essa sia – rifiuti di concedere la vittoria agli avversari. Per Sogno georgiano, non mantenere il governo significherebbe perdere il controllo sulle istituzioni statali e andare incontro a una stagione di epurazioni, come accaduto in Polonia dopo il cambio della guardia tra il PiS e la coalizione guidata da Donald Tusk. Per evitare un esito simile, non si può escludere che il partito di Ivanishvili tenti un colpo di mano, con tutte le imprevedibili conseguenze del caso. Viceversa, anche una sconfitta delle opposizioni acuirebbe le tensioni sociali, gettando il Paese in un caos ancora peggiore di quello visto finora.La battaglia tra Russia e OccidenteUna Georgia divisa, del resto, è esattamente quello che fa comodo al presidente russo Vladimir Putin, che sulla frammentazione del cosiddetto spazio post-sovietico – e l’allontanamento dei Paesi che ne fanno parte (soprattutto Armenia, Azerbaigian, Moldova e Ucraina) dall’Occidente, cioè dall’Ue e dalla Nato – ha incentrato la sua strategia di politica estera. Le truppe di Mosca sono presenti in Abcasia e Ossezia del sud, due repubbliche autoproclamatesi indipendenti da Tbilisi in seguito alla dissoluzione dell’Urss, e dopo l’invasione del 2008 non se ne sono mai andate.Dall’altra parte, la Georgia ha fatto domanda per entrare in Ue nel marzo 2022 e ha ricevuto lo status di Paese candidato lo scorso dicembre. Ma da allora il suo cammino è stato de facto congelato. A Bruxelles non sono andate giù le leggi approvate dal Parlamento georgiano nell’ultimo anno e mezzo – proprio quelle che hanno innescato le proteste popolari più partecipate degli ultimi trent’anni – e il progressivo deterioramento dello Stato di diritto, tanto che sono stati sospesi i finanziamenti comunitari a Tbilisi.Il questo clima e con questo contesto l’Europa teme le ingerenze della Russia e i suoi tentativi di influenzare il voto e il suo esito. A Bruxelles si teme che la promessa di ingresso in Europa a Tblisi non sia più così attraente rispetto a quello che potrebbe mettere sul piatto, o promettere, Mosca, che sul Paese ha interessi non solo economici.

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    Truppe nord-coreane in Russia, l’Ue “profondamente allarmata”. E Putin non nega le immagini satellitari

    Bruxelles – L’hanno rivelato gli Stati Uniti attraverso delle immagini satellitari, lo confermano da giorni da Kiev. E nemmeno Vladimir Putin lo nega: in Russia ci sarebbero circa tre mila soldati dispiegati dalla Corea del Nord (Rpdc), pronti a un intervento in Ucraina. “Profondamente allarmata” l’Unione europea, che lo definisce “un atto ostile unilaterale da parte della Rpdc” e una “grave violazione del diritto internazionale”.In una nota a nome dei 27 Paesi membri, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha esortato per l’ennesima volta il leader autoritario Kim Jong-un a “cessare di sostenere gli sforzi bellici illegali della Russia” e ha “condannato fermamente” l’intensificarsi della cooperazione militare tra Pyongyang e Mosca. Con il dispiegamento di truppe sul suolo russo – come rivelato dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin -, si arriva a un punto di non ritorno.Secondo Washington i soldati nordcoreani sarebbero sbarcati via nave nella prima metà di ottobre dalla regione nordcoreana di Wonsan alla città russa di Vladivostok, prima di essere portati in tre siti di addestramento militare nella Russia orientale. “Se si schierano per combattere contro l’Ucraina, sono bersagli giusti e le forze armate ucraine si difenderanno dai soldati nordcoreani nello stesso modo in cui si difendono dai soldati russi”, ha avvertito il portavoce della Casa Bianca, John Kirby. Secondo l’intelligence ucraina, “il 23 ottobre è stata registrata la loro presenza nella regione di Kursk“, territorio russo dove le forze ucraine sono penetrate quest’estate. In un post sul suo account X, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che – secondo le informazioni in possesso di Kiev – “i primi soldati nordcoreani dovrebbero essere schierati dalla Russia nelle zone di combattimento già dal 27-28 ottobre“.Zelensky ha lanciato un appello per “una risposta forte e di principio da parte dei leader mondiali”. Per i 27 Ue, “l’intensificarsi della cooperazione militare della Russia con la Rpdc invia un chiaro messaggio: nonostante la dichiarata disponibilità a negoziare, la Russia non è sinceramente interessata a una pace giusta, globale e duratura“. Al contrario, prosegue la nota di Bruxelles, il Cremlino starebbe “intensificando e cercando disperatamente qualsiasi aiuto per la sua guerra”.Il vertice dei Brics a Kazan, in Russia (Photo by MAXIM SHIPENKOV / POOL / AFP)Per uscire dall’isolamento diplomatico, Vladimir Putin ha riunito per tre giorni a Kazan, in Russia, i leader dei Brics. Al vertice hanno partecipato 36 Paesi, risultato che ha permesso a Mosca di definirlo “il più grande evento di politica estera mai organizzato” dalla Russia. In una conferenza stampa a margine del summit, Putin ha accusato l’Occidente di aver inasprito la guerra in Ucraina e – come riportato dal The Guardian – alla domanda di un giornalista sulle immagini satellitari che apparentemente mostrano i movimenti delle truppe nordcoreane, Putin ha risposto: “Le immagini sono una cosa seria. Se ci sono immagini, allora riflettono qualcosa”. Il presidente russo ha poi contrattaccato, accusando gli ufficiali e istruttori della Nato direttamente coinvolti nell’addestramento delle truppe in Ucraina.La lettura dell’Unione europea è che, in cambio del supporto sempre maggiore al suo sforzo bellico, la Russia abbia cambiato posizione sulla denuclearizzazione della Corea del Nord. “In questo modo, la Russia compromette le sue responsabilità come membro permanente del Consiglio di Sicurezza e come Stato membro delle Nazioni Unite”, sottolinea Borrell, che annuncia che Bruxelles “si coordinerà con i partner internazionali per quanto riguarda le risposte”.