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    Gaza, l’Ue studia come riprendere la gestione del varco di Rafah. Cos’è la missione europea sospesa dal 2007

    Bruxelles – Sono in corso colloqui a vari livelli per approfondire le possibilità che l’Unione Europea riprenda in mano la gestione del passaggio di merci e persone dal varco di Rafah, come già aveva fatto con EUBAM Rafah dal 2005 al 2007. Ne stanno parlando gli operatori della missione Ue ancora sul posto con Egitto e Israele, ne stanno studiando la fattibilità Bruxelles e Washington. E, come confermato da un alto funzionario Ue, ne discuteranno i ministri dei 27 al prossimo Consiglio Affari Esteri, previsto lunedì 27 maggio.“Siamo ancora in una fase molto preliminare”, placa gli entusiasmi la fonte. Ma è vero che nelle ultime settimane l’Ue “ha ricevuto richieste da diverse parti, compreso Israele, per studiare le opportunità di riaprire” la missione avviata nel novembre del 2005, dopo il disimpegno di Israele da Gaza, al fine di assicurare una presenza come parte terza al valico di Rafah tra la striscia di Gaza e l’Egitto e creare un clima di fiducia tra il governo di Israele e l’Autorità palestinese.Personale Ue e palestinese al Rafah Crossing Point nel novembre 2005 (Photo by PEDRO UGARTE / AFP)Una missione che dal 25 novembre 2005 fino all’ultimo giorno di monitoraggio Ue, il 9 giugno 2007, secondo i dati registrati da EUBAM, favorì l’attraversamento di un totale di 443.975 persone, 229.429 da Gaza in territorio egiziano, 214.117 per il percorso inverso. Il personale europeo fece in fretta e furia le valigie il 13 giugno 2007, poche ore prima che Hamas prendesse il controllo della città di Rafah e inaugurasse così il suo governo nella Striscia di Gaza.Da quel giorno, la missione EUBAM Rafah è sospesa, ma ha attuato – attraverso il lavoro di 10 membri dello staff internazionale e 8 locali – un progetto di preparazione a lungo termine con le sue controparti palestinesi, vale a dire “attività di rafforzamento delle capacità per migliorare la loro capacità di ridispiegarsi presso il varco di Rafah quando le condizioni lo consentiranno“. Nel giugno 2023, il Consiglio dell’Ue ha deciso di prorogare la missione di un anno, fino al 30 giugno 2024, con possibilità di proroga per un ulteriore anno. E con un budget di 2,36 milioni di euro per il periodo dal primo luglio 2023 al 30 giugno 2024.Ecco perché, con l’aggravarsi della situazione nel sud della Striscia a causa dell’avvio delle operazioni militari israeliane a Rafah e la conseguente chiusura delle frontiere ai convogli umanitari, gli attori regionali e internazionali hanno intravisto la possibilità di chiamare nuovamente in causa l’Ue. Secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense Politico, funzionari dell’amministrazione Biden stanno lavorando da settimane dietro le quinte, mediando i colloqui tra Israele ed Egitto, per trovare un accordo che metta la missione europea a capo del varco di Rafah e migliori in modo significativo il flusso di aiuti nell’enclave.Un alto funzionario a stelle e strisce avrebbe dichiarato alla testata americana che – se le trattative in corso tra Israele e Egitto sulla riapertura della frontiera andassero a buon fine e se l’Unione europea sottoscrivesse l’idea – il varco di Rafah “potrebbe essere aperto nelle prossime settimane“.A Bruxelles sono più cauti, la fase è appunto ancora “preliminare”, ma a quanto si apprende l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, già il prossimo lunedì potrebbe chiedere ai ministri dei 27 di conferirgli un mandato per studiare a fondo la possibilità di rilanciare la missione.L’urgenza di trovare una soluzione è evidente. Ed è stata sottolineata una volta di più dalla Corte di Giustizia Internazionale, che nel pomeriggio si è pronunciata per la terza volta sul possibile genocidio a Gaza e ha imposto nuove misure provvisorie a Israele. Tra cui “interrompere immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possano infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica, totale o parziale” e “mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari”.

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    Israele rompe gli indugi e muove l’esercito su Rafah. Borrell: “Ci saranno molte vittime civili, non esistono zone sicure a Gaza”

    Bruxelles – Nella notte tra il 6 e il 7 maggio, Israele ha mosso le prime pedine della temuta – e osteggiata dalla comunità internazionale – operazione militare a Rafah, città nel sud della Striscia di Gaza dove si sono rifugiati più di un milione di sfollati palestinesi. Proprio mentre Hamas aveva accettato l’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione di una parte degli ostaggi, ritenuto però da Tel Aviv “ben lontano da soddisfare le richieste di Israele”.A seguito dell’uccisione di quattro soldati israeliani in un attacco di gruppi armati palestinesi, le forze di difesa israeliane avrebbero chiuso in modo congiunto i due varchi al confine con l’Egitto, Rafah e Kerem Shalom, e – secondo quanto denunciato dall’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) – starebbero momentaneamente bloccando l’ingresso degli aiuti alla popolazione civile. Mentre l’Associated Press ha riportato che almeno 23 palestinesi, tra cui almeno sei donne e cinque bambini, sarebbero morti nella raffica di attacchi e bombardamenti a Rafah effettuata dall’esercito israeliano durante la notte.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, a Bruxelles il 7/5/24“L’ultima triste notizia è che non esiste un accordo per un cessate il fuoco. Hamas ha accettato, Israele ha rifiutato e l’offensiva terrestre contro Rafah è ricominciata, nonostante tutte le richieste della comunità internazionale”, ha commentato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, in un punto stampa a Bruxelles. Nonostante Israele abbia ordinato l’evacuazione della parte orientale di Rafah verso una cosiddetta “area umanitaria allargata” ad Al Mawassi, cittadina sulla costa meridionale della Striscia, Borrell teme che “ciò causerà nuovamente molte vittime, vittime civili, qualunque cosa si dica”. Perché – come già sottolineato dalle Nazioni Unite – “non esistono zone sicure a Gaza“.Oltretutto, Ocha spiega che l’area da evacuare comprende nove siti che ospitano sfollati, tre cliniche e sei magazzini per la distribuzione di aiuti umanitari. “Con gli ordini di evacuazione odierni, 277 chilometri quadrati o circa il 76 per cento della Striscia di Gaza sono stati posti sotto ordine di evacuazione”, sottolinea l’ufficio dell’Onu. A Rafah, dal 7 ottobre a oggi, si sono man mano rifugiati circa 1,4 milioni di sfollati. Ultimo grande centro abitato non ancora raso al suolo dai bombardamenti israeliani, da settimane è al centro di un braccio di ferro tra Tel Aviv e la comunità internazionale, con le Nazioni Unite e l’Unione europea in testa a chiedere con fermezza a Netanyahu di rinunciare all’invasione.Un giovane palestinese tra le rovine di un palazzo distrutto dai bombardamenti israeliani su Rafah, 7/5/24 (Photo by AFP)Ma secondo Israele la vittoria su Hamas è impossibile senza prendere anche la roccaforte dove si nasconderebbero migliaia di combattenti e dove sarebbero custoditi gli oltre cento ostaggi ancora in mano al gruppo terroristico palestinese. L’invasione di Rafah sarebbe “intollerabile” per le sue “devastanti conseguenze umanitarie e l’impatto destabilizzante nella regione“, ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a cui ha fatto eco anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič: “Un’offensiva di terra su Rafah è totalmente inaccettabile. Aggiungerebbe una catastrofe alla catastrofe”.La scorsa settimana, nel corso di un dibattito a Maastricht, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva definito “totalmente inaccettabile” un eventuale attacco a Rafah, affermando che la Commissione avrebbe preso misure concrete nel caso di un’invasione israeliana. Ora che Netanyahu sembra aver definitivamente forzato la mano, “rifletteremo con i Paesi membri sulla risposta più appropriata“, ha dichiarato il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Peter Stano. Alla prossima riunione dei ministri degli Esteri dei 27, il prossimo 27 maggio.

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    Borrell avverte Netanyahu: “No ad azioni militari a Rafah”

    Bruxelles – Nessun intervento militare a Rafah. L’Unione europea prova a mettere pressione sul primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, intimando a non eccedere oltre nella risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre. E’ l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Josep Borrell, a chiedere allo Stato ebraico di fermarsi. “ L’UE invita il governo israeliano a non intraprendere un’azione militare a Rafah che peggiorerebbe una situazione umanitaria già catastrofica“.La presa di posizione di Borrell non è incompatibile con le ragioni israeliane, tanto è vero che lo stesso Alto rappresentante dell’UE non nega “il diritto di Israele a difendersi”, che anzi l’Unione europea “riconosce”, ma deve essere “in linea con il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario”.La risposta militare di Israele a un’organizzazione che l’UE riconosce come terroristica non deve andare oltre Gaza, insiste Borrell. “L’Unione europea è molto preoccupata per i piani del governo israeliano per una possibile operazione di terra a Rafah, dove oltre un milione di palestinesi si stanno attualmente rifugiando dai combattimenti”. Proprio per questo si vedono rischi di ulteriori emergenze umanitarie, e vittime civili di cui l’Alto rappresentante dell’UE non fa esplicita menzione.Il tema sarà comunque oggetto della riunione dei ministri degli Esteri in programma il 19 febbraio, dove comunque la situazione in Medio Oriente era già stata inserita all’ordine del giorno della riunione dei Ventisette. Da programma, spiega una alto funzionario europeo, i ministri degli Esteri dovrebbero concentrarsi sulla questione umanitaria e “gli sforzi per evitare un’estensione del conflitto”. Le intenzioni del governo israeliane di intervenire a Rafah vanno nel senso opposto, rendendo la situazione sul terreno ancora più complicata e scombinando l’agenda a dodici stelle.Ne va anche dell’unità di un’Unione europea che di fronte al nuovo capitolo del conflitto arabo-israeliano sta iniziando a cambiare idea, e il sostegno allo Stato ebraico si sta sfilacciando. Irlanda e Spagna hanno chiesto una verifica urgente degli accordi di associazione UE-Israele proprio perché non convinti della condotta israeliana in linea con il diritto internazionale. In senso al Consiglio si è consapevoli che l’appoggio politico non è più lo stesso. “La domanda è se il comportamento di Israele significhi una violazione degli impegni sui diritti umani”, ammettono a Bruxelles..