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    I programmi elettorali dei partiti/ 4: Ucraina, Medio Oriente, Cina e pace. I nodi della politica estera dell’Ue

    Bruxelles – È da sempre uno dei temi più caldi sui tavoli delle istituzioni dell’Unione Europea, caldissimo dal febbraio 2022. La politica estera comune tra i Ventisette si ritaglia un ruolo da protagonista nella campagna elettorale in vista del voto del 6-9 giugno per il rinnovo del Parlamento Ue, come emerge da tutti i programmi delle famiglie politiche europee (fatta eccezione per Identità e Democrazia che ha scelto di non adottarne uno comune per i partiti aderenti). Dalla guerra russa in Ucraina, che ha stravolto la concezione di sicurezza e del ruolo dell’Ue nel mondo dopo la pandemia Covid-19, alla crisi nel Medio Oriente e il continuo assedio di Israele alla Striscia di Gaza, senza dimenticare il gigante cinese che non ha mai smesso di preoccupare l’Unione e i suoi Paesi membri. Con una parola che risuona in (quasi) tutti i programmi elettorali, seppur con declinazioni e implicazioni differenti: pace.Il Ppe tra sostegno all’Ucraina e un ministro degli Esteri UeIl Manifesto del Partito Popolare Europeo (Ppe) per le elezioni europee del 2024 esordisce in modo paradigmatico sul fronte della politica estera: “La nostra Europa è al fianco dell’Ucraina“. Rimane centrale la prosecuzione e l’amplificazione del sostegno “politico, economico, umanitario e militare, per tutto il tempo necessario”, nell’ottica che Kiev “deve vincere la guerra”. Dal momento in cui la guerra in Ucraina “è direttamente collegata alla sicurezza europea”, per i popolari europei Kiev dovrebbe di conseguenza “diventare membro dell’Ue e della Nato non appena soddisfa tutti i criteri”. Parallelamente dovrà essere “ulteriormente” rafforzata la portata del regime di sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin e contro l’elusione delle stesse sanzioni, “dove e quando necessario”. A questo proposito, sul piano globale il Ppe chiede di “abbandonare il principio dell’unanimità nel campo delle sanzioni dell’Ue contro i regimi totalitari nel mondo”.La presidente della Commissione Europea in carica, Ursula von der Leyen, nominata Spitzenkandidatin del Partito Popolare Europeo al Congresso di Bucarest il 7 marzo 2024 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)Ma la proposta più significativa è quella di “sostituire l’alto rappresentante con un ministro degli Esteri dell’Ue, in qualità di vicepresidente della Commissione Europea“, che collaborerebbe “strettamente” con gli omologhi nazionali e con un “Consiglio di sicurezza europeo composto dai leader degli Stati membri dell’Ue e di altri Paesi europei, tra cui “almeno Regno Unito, Norvegia e Islanda”. Breve il passaggio sul conflitto in Medio Oriente – senza alcun riferimento a Israele o alle possibili soluzioni alla crisi – che rimanda solo alle “enormi sfide sulla scena mondiale” e alla “recente instabilità causata dal regime iraniano”. Tra Cina e Taiwan, Russia e Bielorussia, Africa, America Latina, regione mediterranea e Medio Oriente è richiesta una “strategia a lungo termine” e la definizione degli “interessi dell’Europa per avere una politica estera coerente in cui tutti gli Stati membri devono essere considerati e i loro interessi tutelati”. Più corposo il paragrafo su Cipro e la necessità di “superare lo stallo e riprendere i negoziati per porre fine all’occupazione da parte della Turchia”, spingendo per una riunificazione dell’isola “sulla base di una federazione bizonale bicomunale, con parità politica”.Il Pes tra pace e cooperazione internazionale“L’Ue deve parlare con una sola voce nelle questioni di politica estera e passare a decisioni più maggioritarie in alcune questioni politiche“, esordisce così il capitolo sulla politica estera nel Manifesto del Partito del Socialismo Europeo (Pse) per le elezioni europee 2024, senza mettere esplicitamente nero su bianco l’urgenza di abbandonare l’unanimità in Consiglio su alcune questioni (come le sanzioni). Parallelamente al rafforzamento del “ruolo diplomatico e politico dell’Ue sulla scena globale”, i socialisti europei spingono per “risolvere i conflitti di lunga data in tutto il mondo e in Europa, compreso quello di Cipro”, ma sulla questione ucraina non ci sono margini di dubbio: “Manteniamo il nostro incrollabile sostegno all’Ucraina, fornendo assistenza politica, umanitaria, finanziaria e militare per tutto il tempo necessario”, con gli obiettivi finali del “ripristino della sua integrità territoriale” e il raggiungimento di una pace “giusta e sostenibile”.Il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit, nominato Spitzenkadidat del Partito del Socialismo Europeo al Congresso di Roma (2 marzo 2024)Per quanto riguarda l’ordine multilaterale e la pace, il Pes si sofferma sul lavoro necessario per “porre fine ai conflitti, all’instabilità e alle tragedie umanitarie in Medio Oriente”, in particolare attraverso una “conferenza di pace internazionale per raggiungere un’equa soluzione a due Stati tra israeliani e palestinesi che rispetti i diritti e i doveri dei due popoli”. Nel frattempo sono richieste iniziative per un cessate il fuoco “sostenibile”. Le relazioni con la Cina richiedono di essere “riequilibrate”, da una parte “promuovendo i nostri valori e proteggendo i nostri interessi” e dall’altra “collaborando ulteriormente per affrontare le questioni globali più urgenti”. L’attenzione è focalizzata anche sulla costruzione di “un nuovo partenariato tra pari” con il Sud globale, un partenariato euromediterraneo “rilanciato” e una “nuova agenda progressista Ue-America Latina”, tutti che includano “un forte sostegno all’Organizzazione internazionale del lavoro”.Renew Europe e l’Alleanza Globale delle DemocrazieDa sinistra, i tre candidati comuni per la campagna Renew Europe Now lanciata a Bruxelles (20 marzo 2024): Sandro Gozi (Pde), Marie-Agnes Strack-Zimmermann (Alde) e Valérie Hayer (Renaissance)In vista delle europee di giugno la politica estera trova spazio anche tra le 10 priorità di Renew Europe. “Oggi i regimi autocratici di tutto il mondo affermano con orgoglio di essere qui per restare, attaccano le democrazie e sono pronti ad affermarsi”, è l’avvertimento dei liberali europei a proposito delle speranze tradite del liberalismo, della democrazia e del libero mercato dopo la Guerra Fredda. Il contrattacco parte da un’unione delle democrazie “per difendere i loro obiettivi comuni al di là degli interessi geografici“. In altre parole – seppur senza maggiori dettagli a riguardo – Renew Europe intende costruire “un’Alleanza Globale delle Democrazie che rafforzi l’influenza globale dell’Ue al fine di promuovere i nostri valori”, sulla base di “partenariati con Paesi che la pensano allo stesso modo”.I Verdi e il contratto di pace per l’Europa“L’invasione russa su larga scala dell’Ucraina è stata un punto di svolta nella storia del nostro continente e del mondo, viola le regole del diritto internazionale, della pace e della sicurezza”, recita il Manifesto del Partito Verde Europeo per le europee 2024, in apertura del lungo capitolo sulla politica estera. Incrollabile la solidarietà verso Kiev – “la lotta del popolo ucraino per la libertà, la pace e l’adesione all’Unione Europea è la nostra lotta” – ma lo sguardo si allarga oltre, ai “dolorosi conflitti infuriano in Medio Oriente, nel Caucaso, nel Sahel e nell’Africa centrale”. L’esortazione all’Ue è di essere “un attore forte”, ma in linea con la sua natura di “progetto di pace”. In questo contesto si inserisce la proposta per il post-elezioni europee di un “contratto di pace” per l’Europa, in cui assume particolare risalto il “nesso clima-sicurezza”, per fare in modo che “la transizione verde dell’Europa sia uno strumento geopolitico e una responsabilità globale” e che gli interventi miliari siano “sempre e solo l’ultima risorsa”.Da sinistra, i due candidati comuni del Partito Verde Europeo nominati al Congresso di Lione (3 febbraio 2024): Terry Reintke e Bas Eickhout (credits: Olivier Chassignole / Afp)Ampio spazio al conflitto in Medio Oriente, per cui i Verdi europei spingono l’Ue verso un “rilancio dei negoziati politici per una soluzione a due Stati, basata su confini sicuri e concordati”, dal momento in cui una pace “duratura” nella regione richiede “risultati negoziali che rispettino il diritto di Israele e della Palestina di esistere come Stati democratici e sovrani e del popolo palestinese di avere una propria casa“. La politica estera nel programma elettorale dei Verdi europei include una forte indicazione a non “compiacersi della dipendenza economica dai regimi autoritari” come la Russia di Putin: “Faremo in modo che l’Europa non commetta di nuovo lo stesso errore con altri regimi bellicosi nel mondo”. Non di poco conto il fatto che subito dopo venga citata la “minaccia rappresentata dalla Cina nei confronti di Taiwan, che mette a repentaglio la pace e la sicurezza internazionale“. In risposta viene richiesta “una politica europea attiva, chiara e comune”, ma senza negare che “l’interdipendenza è un fattore chiave per un sistema internazionale pacifico e per una giusta transizione globale”.Ecr per una politica estera “sfumata”Le parole-chiave per la politica estera del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) è “sicurezza”, ma anche “sfumata”. Così recita il capitolo apposito del Manifesto in vista delle elezioni europee di giugno, su uno dei temi più delicati per l’Unione Europea: “Nel gestire le relazioni con la Cina, Ecr assume una posizione sfumata“. Da un parte viene riconosciuta la “necessità di un impegno” anche per “affrontare le violazioni dei diritti umani”, ma dall’altra si vuole “sostenere legami più forti con Taiwan e altri partner affini nella regione del Pacifico”. Nessun riferimento alla guerra russa in Ucraina, trattata nell’ambito della difesa europea, mentre una politica “più assertiva” viene invocata nei confronti dell’Iran, “concentrandoci sui suoi programmi nucleari e sul terrorismo sponsorizzato dallo Stato”. Oltre a una cooperazione più stretta “tra l’Ue, l’Occidente globale e il Regno Unito”, i conservatori europei si distinguono per la “priorità” della “protezione dei cristiani perseguitati in tutto il mondo” e della “difesa della libertà religiosa”, nonostante anche in questo caso rimanga un velo di ambiguità: “Il nostro approccio alla promozione dei nostri interessi comuni è ricco di sfumature”.La Sinistra tra rifiuto della guerra e sanzioni a Russia-Stati Uniti“Pace” è il principio-cardine su cui si basa tutto il capitolo sulla politica estera del Manifesto del Partito della Sinistra Europea verso le europee di giugno. Non di poco conto è la condanna netta all’aggressione militare russa contro l’Ucraina, “che è un crimine secondo il diritto umanitario internazionale”, e la definizione dei “passi immediati” per mettere fine alla guerra: “Il ritorno al tavolo dei negoziati, un cessate il fuoco e il ritiro di tutte le truppe russe dall’Ucraina“. Il sostegno alle sanzioni contro “il complesso militare-industriale russo” offrono un ponte tra il tema della guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente: “Chiediamo sanzioni contro il complesso militare-industriale statunitense per aver sostenuto l’aggressione del governo dello Stato di Israele“, oltre a misure restrittive verso Israele. “Un cessate il fuoco immediato, la fornitura di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza e il ritiro immediato di Israele da tutti i territori che occupa” sono le richieste della Sinistra europea, che non perde di vista le “altre 22 guerre” in corso nel mondo: “Stiamo vivendo una ‘guerra mondiale a rate’, che potrebbe rapidamente degenerare in un disastro nucleare mondiale”.Lo Spitzenkadidat del Partito della Sinistra Europea nominato al Congresso di Lubiana (24 febbraio 2024), Walter BaierTra le proposte per evitare che l’Europa diventi “l’arena di una nuova guerra fredda e di una corsa agli armamenti” c’è l’inserimento del rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali tra i principi fondamentali dell’Ue, “niente nuove armi nucleari” sul continente e l’assunzione della “responsabilità della propria sicurezza in modo autonomo e indipendente dagli Stati Uniti”. Da segnalare anche il sostegno alle “aspirazioni del popolo irlandese a riunire la propria nazione divisa dal colonialismo britannico” e “la fine dell’occupazione turca di Cipro e la riunificazione del Paese”. La politica estera della Sinistra prende in considerazione anche la “cancellazione del contratto sul gas tra l’Ue e l’Azerbaigian“, un’azione contro l’embargo “economico, finanziario e commerciale” ai danni di Cuba, la fine dell’aggressione turca ai danni del popolo curdo e la condanna dell’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco. Ampio spazio viene riservato infine alle questioni del “co-sviluppo e non dominazione” nelle relazioni con il resto del mondo: “Chiediamo all’Ue di rompere con il suo stile di dominio neocoloniale e di rilanciare su nuove basi le sue relazioni commerciali e finanziarie con il Sud globale”, basate sulla “cancellazione degli accordi di libero scambio” (a livello Ue) e del “debito Covid” (a livello di Stati membri) e sulla “creazione di un Fondo europeo per il co-sviluppo ecologico e sociale, finanziato dalla Bce”.

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    “Moscagate”, un altro scandalo fa tremare l’Eurocamera a due mesi dalle elezioni europee

    Bruxelles – Da qualche giorno tra i banchi del Parlamento europeo si è ricominciato a a guardarsi intorno con sospetto e a bisbigliare nomi, come in un déjà vu di quel che successe a dicembre 2022 con lo scoppio del Qatargate. È già stato ribattezzato Moscagate: una rete di influenze indebite del Cremlino, che avrebbe pagato alcuni eurodeputati per promuovere la sua propaganda.La notizia l’ha portata a galla il primo ministro belga, Alexander De Croo, che ha parlato di “una stretta collaborazione” tra i servizi segreti belgi e quelli della Repubblica ceca per smascherare la vera natura della testata Voice of Europe, strumento di propaganda finanziato e manovrato dall’oligarca ucraino filo-russo Viktor Medvedchuk, attraverso il quale Mosca avrebbe intervistato alcuni eurodeputati a pagamento, con lo scopo di screditare alcune politiche di Bruxelles. Secondo quanto trapelato finora, la testata online serviva a diffondere articoli critici in primo luogo sul supporto a Kiev, ma anche su Green deal e immigrazione, ma anche per mettere a libro paga esponenti politici europei – e assicurarsi così la loro lealtà – attraverso interviste a pagamento.Sul banco degli imputati sono finite immediatamente le formazioni politiche della galassia euroscettica e sovranista. Secondo le indiscrezioni pubblicate dal quotidiano olandese Nrc, sarebbero implicati esponenti del Rassemblement National di Marine Le Pen, dell’ultradestra fiamminga del Vlaams Belang e di quella tedesca di Alternative fuer Deutschland. Le scoperte degli inquirenti belgi e cechi avrebbero già fatto scattare indagini in sette Paesi membri: Germania, Francia, Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Ungheria e Repubblica Ceca.L’Eurocamera è in attesa che i servizi belgi consegnino l’elenco con nomi e cognomi degli eurodeputati che si presumono coinvolti, come confermato da fonti del Parlamento europeo. A quel punto lo scenario è più probabile è quello già visto a fine gennaio per l’eurodeputata lettone Tatjana Ždanoka, accusata di lavorare da anni come agente dei servizi di intelligence russi. La responsabilità di eventuali sanzioni sulla condotta degli eurodeputati fa capo alla presidente: sarà Roberta Metsola, una volta ottenuti i nomi, a dare via libera al Comitato consultivo dell’Eurocamera per indagare sull’accaduto ed eventualmente proporre misure contro i colpevoli.Nonostante non sia necessaria una votazione dell’Aula per sanzionare i colleghi, il gruppo dei Socialisti e Democratici ha immediatamente richiesto un dibattito urgente nella mini-sessione plenaria del Parlamento europeo che si terrà a Bruxelles il 10-11 aprile. Dopo essere stato vessati per mesi sul coinvolgimento di diversi eurodeputati del gruppo nel Qatargate, i socialdemocratici hanno preso la palla al balzo. “Siamo determinati a proteggere le nostre democrazie da chi cerca di diffondere bugie e di dividerci”, ha commentato la capogruppo, Iratxe Garcia Perez.

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    Interferenze russe sulla vita dei cittadini Ue: il Consiglio Europeo si prepara alla difesa dalle minacce. “Ma non c’è rischio di guerra”

    Bruxelles – La guerra russa in Ucraina non ha i successi sperati, e sempre più da Mosca partono minacce, ed azioni reali, contro la vita quotidiana dei cittadini europei. E’ un ripiego, un modo per creare il massimo disturbo possibile ai Paesi che stanno sostenendo Kiev contro l’invasione. Non si tratta di minacce strettamente militari, ma gli effetti di attacchi informatici o il lancio di una forte campagna di disinformazione possono essere dirompenti nella vita quotidiana degli europei. Non c’è insomma la necessità di prepararsi a una guerra, che non è alle viste per l’Unione, assicura l’alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell.Al punto 18 della bozza di Conclusioni del Consiglio europeo che si svolgerà oggi e domani a Bruxelles è scritto che si “sottolinea la necessità imperativa di una preparazione militare e civile rafforzata e coordinata e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce”.  Dunque il capi di Stato e di governo invitano i ministri competenti “a portare avanti i lavori e la Commissione, insieme all’Alto Rappresentante, a proporre azioni per rafforzare la preparazione e la risposta alle crisi a livello dell’Ue in un approccio a tutti i rischi e a tutta la società. che tenga conto delle responsabilità e delle competenze degli Stati membri, in vista di una futura strategia di preparazione”.Il fraseggio è complesso, può essere interpretato con significati anche che esulano dalla volontà del Consiglio europeo. In sostanza, ci spiega un esperto di questi dossier, i capi di Stato e di governo “considerano interferenze ibride tipo attacchi cyber e disinformazione”.  Quando si scrive “Whole of society” (le parole del testo originale delle bozze, in inglese) cioè “tutta la società” si intende, ad esempio “un attacco al sistema sanitario può portare alla morte di pazienti che dipendono da macchinari. Un attacco alla filiera alimentare – continua l’esperto – può causare proteste e caos sociale”. Inoltre sono possibili attacchi cibernetici “a sistemi bancari, amministrativi e servizi pubblici e privati”.Non bisogna poi dimenticare che mancano meno di tre mesi alle elezioni europee e dunque “c’è un forte rischio di una campagna di disinformazione mirata ad inquinare il voto”, conclude l’esperto.Borrell risponde, entrando al Consiglio europeo, a tutti quelli che hanno parlato di minaccia di guerra nell’Unione europea, cercando di abbassare i toni. Nella bozza di dichiarazione, spiega Borrell c’è “l’invito agli europei a essere consapevoli delle sfide che stanno affrontando”, il che  “è positivo”, ma, sottolinea lo spagnolo, “non dobbiamo nemmeno esagerare. La guerra non è imminente. Ho sentito alcune voci che dicevano che la guerra è imminente. Ebbene, grazie a Dio non lo è”.Borrell sostiene che “viviamo in pace, sosteniamo l’Ucraina, non siamo parte di questa guerra e dobbiamo prepararci per il futuro, aumentando la nostra capacità di difesa, ma non spaventate inutilmente le persone, la guerra non è imminente. Ciò che è imminente è la necessità che gli ucraini siano sostenuti”Ecco il testo in inglese del paragrafo 18 delle bozze:“In addition, the European Council underlines the imperative need for enhanced and coordinated military and civilian preparedness and strategic crisis management in the context of the evolving threat landscape. It invites the Council to take work forward and the Commission together with the High Representative to propose actions to strengthen preparedness and crisis response at EU level in an all-hazards and whole-of-society approach, taking into account Member States’ responsibilities and competences, with a view to a future preparedness strategy”.

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    Contro le ingerenze straniere: la Commissione Ue presenta il pacchetto ‘Difesa della democrazia’

    Bruxelles – In vista dell’appuntamento elettorale di giugno 2024, la Commissione europea cerca riparo dalle ingerenze straniere indebite. Oggi (12 dicembre) la vicepresidente Vera Jourová ha presentato all’Eurocamera di Strasburgo una proposta legislativa per mettere sotto i riflettori dell’opinione pubblica le attività di lobbying per conto di Paesi terzi.“È giunto il momento di portare alla luce l’influenza straniera nascosta”, ha dichiarato Jourová in aula. Perché, complici l’eco mediatica dello scandalo di presunta corruzione denominato Qatargate e una situazione geopolitica sempre più polarizzata, oltre l’80 per cento dei cittadini europei ritiene che l’ingerenza straniera nei nostri sistemi democratici sia un problema serio che deve essere affrontato.Le norme proposte dalla Commissione mirano a dare al pubblico, ai media e alla società civile un migliore accesso alle informazioni per capire chi sta cercando di influenzare ciò che vedono o leggono. Attraverso una serie di obblighi per organizzazioni non governative e agenzie che svolgono attività di rappresentanza: l’iscrizione ad un registro per la trasparenza, la conservazione di registri delle informazioni e del materiale relativo alle attività di lobbying per un periodo di quattro anni dopo la fine di tale attività, l’obbligo di rendere accessibili al pubblico gli elementi chiave del proprio lavoro di rappresentanza. Ad esempio, gli importi annuali ricevuti e i Paesi terzi interessati.Uno strumento che “in poche parole propone regole armonizzate per la trasparenza dei servizi di rappresentanza di interessi finanziati da Paesi terzi con lo scopo di influenzare le nostre politiche e i nostri processi decisionali e, in breve, il nostro spazio democratico”, ha spiegato la vicepresidente della Commissione europea. La minaccia ha almeno un nome e un cognome: “Non dobbiamo permettere a Vladimir Putin o a qualsiasi altro autocrate di interferire segretamente nel nostro processo democratico, non possiamo permettere che si nascondano”, ha aggiunto.Nonostante la proposta preveda alcune garanzie per evitare conflitti con diritti fondamentali come la libertà di espressione o di associazione – come la possibilità di derogare alla pubblicazione delle informazioni in casi “debitamente giustificati”-, all’emiciclo di Strasburgo non sono mancate alcune critiche. Per l’eurodeputata olandese Sophie in ‘t Veld, dei liberali di Renew, il pacchetto della Commissione “etichetta le ong come potenziali agenti stranieri“, senza peraltro affrontare gli attacchi alla democrazia che arrivano dal territorio comunitario.Il riferimento al braccio di ferro tra l’Ue e l’Ungheria di Viktor Orban sul conflitto in Ucraina si fa più esplicito nell’intervento del pentastellato Fabio Massimo Castaldo, che ha avvertito la Commissione di “guardarsi da tutti i rischi, perché spesso i più pericolosi arrivano dall’interno”, da “ambigui leader nazionali che continuano a mistificare la realtà strizzando l’occhio a presidenti autoritari”.

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    La crisi in Medio Oriente ridisegna l’agenda del Vertice Ue. Michel richiama i Ventisette all’unità

    Bruxelles – Garantire “con urgenza” la fornitura di aiuti umanitari e l’accesso ai bisogni più elementari, “impegnarci, in un fronte unito e coerente” con i partner per evitare una pericolosa escalation regionale del conflitto e “rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati”. Tre le linee di azione che domani e venerdì  (26 e 27 ottobre) orienteranno le discussioni tra i capi di stato e governo  al Vertice Ue sul conflitto in Medio Oriente tra Hamas e Israele.Un dibattito che, senza alcun dubbio, prenderà le mosse dalle tensioni in Medio Oriente e dal conflitto tra Hamas e Israele, che ha restituito ancora una volta l’immagine di un’Unione europea poco unita di fronte alla politica estera e di sicurezza. “Il nostro incontro avviene in un momento di grande instabilità e insicurezza globale, esacerbata più recentemente dagli sviluppi in Medio Oriente”, ammette il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella tradizionale lettera di invito ai capi di stato e governo dell’Ue pubblicata questa mattina.Non è difficile immaginare che i leader dell’Ue passeranno ore a discutere cosa includere e cosa no nel testo finale delle conclusioni, se chiedere una “pausa umanitaria” (come si legge nell’ultima bozza di conclusioni) per garantire un accesso “umanitario continuo, rapido e senza ostacoli o inserire qualcosa di più incisivo.  Se da un lato la crisi mediorientale sarà di certo centrale nel dibattito tra i leader, Michel si impegna a non “distrarci dal nostro continuo sostegno all’Ucraina. La nostra responsabilità è restare uniti e coerenti e agire in linea con i nostri valori sanciti dai trattati”, si legge nella lettera che anticipa i temi che saranno trattati. Quanto all’Ucraina, i capi di stato e governo affronteranno in particolare il problema di come accelerare la fornitura di sostegno militare, i progressi nei piani sull’uso delle risorse immobilizzate della Russia e l’intensificazione del contatto diplomatico per garantire il più ampio sostegno internazionale per un una pace globale, giusta e duratura. Alla riunione spazio anche per un aggiornamento sulla revisione del quadro finanziario pluriennale (Qfp), nell’ottica di raggiungere rapidamente un accordo e sulla competitività dell’industria europea. “Il capo del Consiglio europeo non cita la Cina, ma il riferimento è quello. “La competitività dell’UE si è sempre basata sulla sua economia di mercato aperta, con al centro il mercato unico. Ora dobbiamo posizionarci collettivamente in un mondo in cui altri attori e partner internazionali sovvenzionano pesantemente la loro industria e le loro aziende”, si legge nella lettera d’intenti. Bruxelles ha da poco avviato un’indagine anti sussidi sulle batterie per i veicoli elettrici prodotti in Cina.La seconda giornata di venerdì sarà dedicata principalmente al Vertice dell’area euro, a cui “si uniranno a noi i presidenti della Banca centrale europea e dell’Eurogruppo”, ricorda Michel, “per discutere della situazione economica e finanziaria e del continuo stretto coordinamento e governance delle nostre politiche macroeconomiche. I leader dei Ventisette insieme a Christine Lagarde e Paschal Donohoe valuteranno inoltre i progressi compiuti nell’Unione dei mercati dei capitali e nell’Unione bancaria, nonché i lavori avviati sull’euro digitale.
    Garantire “con urgenza” la fornitura di aiuti umanitari e l’accesso ai bisogni più elementari, “impegnarci, in un fronte unito e coerente” con i partner per evitare una pericolosa escalation regionale del conflitto e “rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati”. La tradizionale lettera di invito del presidente del Consiglio europeo prima del Vertice Ue che si terrà domani e venerdì a Bruxelles

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    A Granada i leader Ue hanno iniziato a discutere dell’agenda strategica per l’allargamento e le riforme interne

    Bruxelles – È un punto di partenza, almeno per i leader dei 27 Paesi membri Ue. Tra i corposi contorni della crisi energetica, della politica di migrazione e asilo e della competitività economica, il piatto forte del Consiglio Europeo informale andato in scena oggi (6 ottobre) a Granada è stato il confronto sul futuro allargamento Ue e sulle riforme interne all’Unione per preparsi ad accogliere nuovi membri (fino a 10, quanti sono i Paesi che almeno hanno fatto richiesta di aderire). “Quello di oggi è il punto di inizio di un’agenda strategica basata su tre punti“, ha rivendicato con orgoglio il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Le nostre priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo per le iniziative”.I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue e i leader delle istituzioni comunitarie al Consiglio Europeo informale di Granada (6 ottobre 2023)In altre parole, dopo aver salutato i partner arrivati a Granada ieri (5 ottobre) per il terzo vertice della Comunità Politica Europea, i Ventisette si sono ritrovati da soli a discutere in modo coerente “per la prima volta a così alto livello” di cosa sarà l’Unione Europea del futuro: prospettive dell’allargamento Ue, graduale abbandono dell’unanimità in Consiglio e distribuzione dei fondi del budget comunitario nello scenario di un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia). “Allargamento significa che i candidati hanno riforme da fare e dal nostro lato che dobbiamo prepararci”, ha puntualizzato Michel. Come si legge nella dichiarazione di Granada, l’allargamento Ue “è un motore per migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini europei, ridurre le disparità tra i Paesi e promuovere i valori su cui si fonda l’Unione” e, in vista di una nuova fase, “gli aspiranti membri devono intensificare i loro sforzi di riforma, in particolare nel settore dello Stato di diritto”, e “parallelamente l’Unione deve porre le basi e le riforme interne necessarie“.Rieccheggia nella Dichiarazione di Granada l’eco della recente proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento, che costituisce al momento la base di partenza più dettagliata e approfondita per le discussioni tra i leader. Il viaggio è cominciato oggi in Spagna e come tappa decisiva per un aggiornamento si può già segnare in calendario l’estate 2024, quando “sotto presidenza belga” del Consiglio dell’Ue (prima del primo luglio, dunque) saranno presentati “degli orientamenti” per “identificare e convergere” su obiettivi e progressi di breve e medio termine, ha precisato ancora Michel. A proposito di date, nonostante lo scetticismo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il numero uno del Consiglio ha rivendicato l’utilità di fornire una scadenza per “essere pronti” all’allargamento Ue: “Il 2030 è condiviso da molti Stati membri perché è un incoraggiamento, abbiamo visto troppe procrastinazioni negli ultimi 20 anni”.A proposito di ciò che la Commissione Europea sta facendo a riguardo, la presidente von der Leyen ha messo in chiaro a Granada che “lavoreremo a diverse revisioni delle politiche in diversi campi all’interno dei Trattati“, sia per quanto riguarda “i compiti che devono fare i Paesi candidati, sia quelli che dobbiamo fare noi come Unione “Europea”. È centrale il fatto che “l’esperienza dell’allargamento Ue è stata sempre estremamente vantaggiosa per entrambe le parti”, fermo restando che “coloro che vogliono aderire devono essere pronti per entrare nel Mercato unico”. Anche dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, è arrivato un appello a “non lasciare indietro nessuno”, ovvero che “una volta soddisfatte tutte le condizioni con report positivi, dovremmo essere in grado di avviare i negoziati di adesione“. In attesa del Pacchetto Allargamento Ue 2023 – che sarà pubblicato l’8 novembre dalla Commissione – anche l’Unione stessa deve “avviare un dialogo per chiederci cosa dobbiamo fare per riformarci”, ha esortato Metsola: “Ciò che funziona attualmente per i Ventisette, non funzionerà per i 32, 33 o 35” futuri Paesi membri. Sulla stessa linea il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che ha puntato il dito soprattutto contro il processo decisionale interno: “Abbiamo cercato di chiarire che in politica estera o in politica fiscale non può sempre esserci unanimità, dobbiamo anche essere in grado di prendere decisioni a maggioranza qualificata”.Il vertice di Granada oltre l’allargamento UeIn un vertice in cui Polonia e Ungheria hanno posto il veto sull’inserire nel testo congiunto il capitolo sulla migrazione – pubblicato separatamente come una striminzita ‘dichiarazione del presidente del Consiglio Europeo’, esattamente come successo al vertice di giugno – i 27 leader hanno dato il via libera a un documento molto generico, a partire dalla questione Ucraina: “Abbiamo confermato che il futuro dei nostri aspiranti membri e dei loro cittadini è all’interno dell’Unione Europea“, anche se il premier ungherese, Viktor Orbán, ha sollevato alcuni dubbi (“non è mai successo un allargamento con un Paese in guerra, non sappiamo quali sono i confini veri”). Allo stesso modo i Ventisette promettono che “rafforzeremo la nostra preparazione alla difesa e investiremo nelle capacità sviluppando la nostra base tecnologica e industriale” a partire da “mobilità militare, resilienza nello spazio e contrasto alle minacce cibernetiche e ibride e alla manipolazione delle informazioni straniere”.Da sinistra: il primo ministro spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Pedro Sánchez, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (6 ottobre 2023)Non più incisivo il capitolo sulla competitività. “Lavoreremo sulla nostra resilienza e sulla nostra competitività globale a lungo termine, assicurandoci che l’Ue abbia tutti gli strumenti necessari per garantire una crescita sostenibile e inclusiva e una leadership globale in questo decennio cruciale“, si legge nel testo, che parla di “affrontare le vulnerabilità e rafforzare la nostra preparazione alle crisi” in particolare “nel contesto dei crescenti rischi climatici e ambientali e delle tensioni geopolitiche”. Con l’obiettivo di “garantire la sostenibilità del nostro modello economico, senza lasciare indietro nessuno“, il lavoro si concentrerà su “efficienza energetica e delle risorse, circolarità, decarbonizzazione, resilienza alle catastrofi naturali e adattamento ai cambiamenti climatici”. La questione riguarda anche il tema dell’energia: “Garantiremo l’accesso a prezzi accessibili, aumenteremo la nostra sovranità e ridurremo le dipendenze esterne in altri settori chiave” in cui l’Unione “deve costruire un livello sufficiente di capacità per garantire il suo benessere economico e sociale”. Si tratta di “tecnologie digitali e a zero emissioni, farmaci, materie prime essenziali e agricoltura sostenibile“, specifica la dichiarazione, che ribadisce la necessità di “rafforzare la nostra posizione di potenza industriale, tecnologica e commerciale”.
    Al vertice informale i capi di Stato e di governo si sono confrontati su “priorità future, come decideremo insieme e come pagheremo”, ha spiegato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In arrivo nell’estate 2024 “orientamenti” su obiettivi e progressi di breve/medio termine

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    Da Strasburgo il presidente ceco incalza i governi sull’allargamento: “Il successo dei Paesi candidati sarà anche nostro”

    Bruxelles – “L’anno prossimo segnerà il ventesimo anniversario dell’adesione all’Ue di dieci Stati membri, tra cui la Repubblica ceca. In un certo senso, abbiamo recentemente raggiunto la maggiore età come membri della famiglia europea. Non siamo né nuovi né inesperti”, ha ricordato il presidente della Repubblica Ceca Petr Pavel, durante la seduta plenaria del Parlamento europeo di oggi (4ottobre) a Strasburgo.
    Potrebbe essere di questi giorni, secondo Politico, la decisione della Commissione di iniziare i colloqui di adesione dell’Ucraina all’Unione europea a fine anno, a conferma del fatto che il tema dell’allargamento è molto discusso in questo periodo. Proprio il progetto dell’Unione europea di allargarsi ad altri Paesi europei è stato uno dei temi chiave del discorso di Pavel all’Eurocamera: “L’allargamento dovrebbe essere visto come un’opportunità per ricalibrare l’idea europea. Dovrebbe essere vista come un’opportunità per realizzare un’Unione più unificata ed efficiente. Un’Unione che resta ambiziosa e competitiva. Un’Unione più flessibile e proattiva. Un’Unione in grado di reagire rapidamente quando necessario. Un’Unione di cui siamo tutti orgogliosi”.
    Ed è proprio l’Ucraina a fornire al presidente ceco l’esempio per dimostrare l’importanza dell’allargamento, ricordando come aprire le porte dell’Ue alle zone a est può significare anche più sicurezza per i cittadini comunitari, come sta dimostrando l’invasione russa: “Ora è più evidente che mai che la garanzia della pace non può limitarsi solo ai nostri confini. Sono infatti convinto che tutti i paesi dei Balcani occidentali e del Trio associato debbano perseguire una piena prospettiva europea. Non è solo un nostro dovere morale. Nel lungo termine, si tratta di un investimento nella sicurezza e nella resilienza dell’Europa e dei suoi cittadini. Abbiamo già perso troppo tempo. È nel nostro interesse che i paesi candidati abbiano successo. Il loro successo sarà il nostro stesso successo“, ha aggiunto. L’allargamento è il processo che consente agli Stati di aderire all’Unione europea, dopo che questi hanno soddisfatto una serie di condizioni politiche ed economiche. Qualsiasi Stato europeo che rispetti i valori democratici dell’Unione e si impegni a promuoverli può presentare domanda di adesione all’Ue. Nel 2004 si è compiuta la più grande fase di allargamento della storia dell’Unione europea, che ha visto l’adesione di dieci Paesi: Polonia, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Cipro e Malta.

    A vent’anni dall’ingresso della Repubbblica Ceca nell’Unione europea, Petr Pavel ha ricordato di fronte all’Eurocamera che allargare i confini ad altri Stati è “un’opportunità”

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    Tutto ciò che c’è da sapere sulla proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento

    Bruxelles – Un lavoro iniziato otto mesi fa sotto gli auspici del presidente francese, Emmanuel Macron, e del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per coniugare due dei temi più caldi per il futuro dell’Unione Europea: l’allargamento Ue e la riforma dei Trattati fondanti della stessa Unione. “Per ragioni geopolitiche, l’allargamento Ue è in cima all’agenda politica, ma l’Unione non è ancora pronta ad accogliere nuovi membri, né dal punto di vista istituzionale né da quello politico“, è quanto mette nero su bianco il Gruppo dei Dodici nel suo rapporto su cui si fonda la proposta franco-tedesca per il rinnovamento dell’Unione Europea e che oggi (19 settembre) è stato presentato a Bruxelles ai ministri degli Affari europei.
    Un report di 58 pagine particolarmente denso, in cui vengono trattate nel dettaglio le priorità imprescindibili dell’Unione – a partire dallo Stato di diritto – le aree di riforma con le rispettive esigenze di modifica dei Trattati – dal processo decisionale in Consiglio al numero di seggi al Parlamento Ue e di membri del Collegio dei commissari – le implicazioni per il bilancio comunitario, la possibile creazione di un’integrazione europea basata su quattro livelli e i principi-guida per il processo di allargamento Ue. “Riconoscendo la complessità di allineare le diverse visioni degli Stati membri sull’Unione Europea, il rapporto raccomanda un processo di riforma e di allargamento Ue flessibile”, si legge nel testo redatto da 12 esperti indipendenti, che mettono in guardia sul fatto che “le istituzioni e i meccanismi decisionali non sono stati concepiti per un gruppo di 37 Paesi“. Ovvero gli attuali 27 membri più i 10 partner che si sono avviati sulla strada dell’adesione: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina.
    La riforma delle istituzioni
    Il punto di partenza è la protezione dello Stato di diritto. In primis rendendo il meccanismo di condizionalità uno strumento contro le violazioni da poter estendere anche a fondi futuri. E come seconda soluzione perfezionare la procedura secondo l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (quella che sospende il diritto di voto in Consiglio), introducendo una maggioranza di quattro quinti del Consiglio per farla scattare (al posto di unanimità meno uno) e includendo limiti di tempo per costringere i capi di Stato e di governo a prendere una decisione.
    Tutte le istituzioni comunitarie sono interessate dalla riforma dell’Unione. Il Parlamento manterrebbe il limite di 751 “o meno” eurodeputati (quindi meno rappresentanti per Stato membro), con l’adozione di un nuovo sistema di assegnazione dei seggi, basato su una formula che bilancia il diritto di ogni membro a essere rappresentato e la necessità di ridurre le distorsioni demografiche. Anche per la Commissione si considerano le dimensioni del Collegio, con due opzioni: o una riduzione del numero di commissari (non più uno per Stato membro) o una differenziazione tra “commissari guida” e “commissari”, in cui solo i primi hanno il diritto di voto. Il Consiglio dell’Ue dovrebbe invece essere riorganizzato da un formato a tre a un quintetto di presidenza che copra metà di un ciclo istituzionale (sei mesi per membro). Il Consiglio è l’istituzione più delicata da riformare, con l’idea fondante di “generalizzare il voto a maggioranza qualificata” a tutte le decisioni “politiche”, con salvaguardie come una “rete di sicurezza per la sovranità”, il calcolo delle quote di voto riequilibrato da 65/55 a 60/60 e opt-out per i settori politici interessati.
    Democrazia, poteri e bilancio
    Per salvaguardare la democrazia europea dovranno essere armonizzate le leggi elettorali, “almeno entro il 2029” (per il rinnovo dell’Eurocamera), ma serve una decisione “prima delle prossime elezioni” del 2024 anche sulla nomina del presidente della Commissione: o come accordo inter-istituzionale o come accordo politico. I cittadini dovranno essere coinvolti più da vicino con strumenti partecipativi legati al processo decisionale e a quello di allargamento Ue, mentre un nuovo Ufficio indipendente per la trasparenza e la probità dovrebbe monitorare le attività di tutti gli attori che lavorano nelle – o per le – istituzioni comunitarie. Va a braccetto la questione della definizione delle competenze, con la necessità di “rafforzare le disposizioni su come affrontare gli sviluppi imprevisti”, includendo meglio il Parlamento e creando una Camera congiunta delle più alte giurisdizioni dell’Ue come dialogo non vincolante tra le giurisdizioni europee e quelle degli Stati membri.
    Ma in questo capitolo l’attenzione è tutta rivolta al bilancio comunitario, di fronte a un potenziale aumento dei membri e delle politiche da finanziare collettivamente. Nel prossimo periodo di bilancio (2028-2034) dovrà essere aumentato il budget “sia in termini nominali sia in relazione al Pil”. Serviranno nuove risorse proprie per limitare l’ottimizzazione fiscale, l’elusione e la concorrenza, mentre le decisioni di bilancio dovranno essere prese per maggioranza qualificata (o in alternativa con una cooperazione più intensa tra gruppi più piccoli di Stati membri per finanziare insieme le politiche). Dovrà poi essere condotta una revisione per ridurre o aumentare le dimensioni di determinate aree di spesa e viene sancito il principio secondo cui l’Ue dovrebbe poter emettere debito comune in futuro. Dal 2034 – quando le due scadenze si allineeranno – il ciclo istituzionale avrà il compito di stabilire un nuovo quadro finanziario pluriennale della durata di 5 anni (e non più 7).
    Integrazione differenziata e processo di allargamento Ue
    L’ultima parte del rapporto del Gruppo dei Dodici è legato all’allargamento Ue vero e proprio, ma anche alle forme di integrazione che l’Unione dovrebbe assumere su diversi livelli. Prima di tutto viene considerato come modificare i Trattati, con sei opzioni sul tavolo: attivazione dell’articolo 48 del Tue (procedura di revisione ordinaria), una procedura di revisione semplificata, l’attivazione dell’articolo 49 del Tue (trattati di adesione di nuovi membri che modificano quelli istitutivi), “trattato quadro di allargamento e riforma” redatto dagli Stati membri, coinvolgimento di una Convenzione e – “in caso di stallo” – trattato di riforma supplementare tra gli Stati membri disposti a farlo.
    Alla riforma dei Trattati si accompagna la definizione dei 5 principi di integrazione differenziata all’interno dell’Ue: rispetto dell’acquis comunitario e dell’integrità delle politiche e delle azioni Ue, uso delle istituzioni comunitarie, apertura a tutti i membri, condivisione dei poteri decisionali, dei costi e dei benefici, e avanzamento da parte dei “volenterosi” che vogliano spingere oltre l’integrazione. Mentre agli Stati non cooperativi o non disposti a collaborare vengono offerti opt-out (opzioni di non partecipazione) nel nuovo Trattato – fatto salvo l’acquis comunitario e i valori fondanti – il futuro dell’integrazione europea viene immaginato su quattro livelli distinti: una cerchia interna di membri Schengen, dell’Eurozona e di altre “coalizioni di volenterosi”, l’Unione Europea con membri vecchi e nuovi, i membri associati al Mercato unico (come Norvegia e Svizzera) e – fuori dal perimetro dello Stato di diritto – la Comunità Politica Europea 2.0 che abbia al centro la convergenza geopolitica e strutturata su accordi bilaterali con l’Ue.
    In tutto questo deve rimanere chiaro l’obiettivo di essere pronti per l’allargamento Ue entro il 2030, così come anticipato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel – mentre parallelamente i Paesi candidati dovranno lavorare per soddisfare tutti i criteri di adesione entro la stessa data (e già si sono detti disponibili a farlo). Nel rapporto viene stimolata la nuova leadership politica dopo le elezioni del 2024 a impegnarsi per questo obiettivo e concordare sulla preparazione per l’allargamento Ue entro la fine del decennio. Il discorso riguarda però da vicino anche lo stesso processo di allargamento Ue, a partire dalla suddivisione dei cicli di adesione in gruppi più piccoli di Paesi (ciascuno di questi definito ‘regata’). Nove principi dovrebbero guidare poi le future strategie di allargamento Ue: ‘prima le basi’, geopolitico, risoluzione dei conflitti, supporto tecnico e finanziario aggiuntivo, legittimità democratica, eguaglianza, ‘sistematizzazione’, reversibilità e voto a maggioranza qualificata.

    Riforma delle istituzioni, risorse comuni, integrazione differenziata e nuovo processo di adesione dei candidati. I governi hanno iniziato a discutere sulle proposte del Gruppo dei Dodici per mettere l’Unione nelle condizioni di non farsi trovare impreparata all’appuntamento del 2030