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    Marion Maréchal, capolista alle europee per Reconquête, è stata espulsa dal partito

    Bruxelles – Prima il Partito repubblicano e ora Reconquête, la destra francese è in subbuglio: la ricerca di nuove alleanze in vista delle prossime elezioni legislative (30 giugno e 7 luglio), ha causato la defenestrazione di diversi esponenti chiave. Dopo la contestata espulsione dal suo stesso partito di Éric Ciotti, presidente dei repubblicani, è toccato a Marion Maréchal, esclusa da Reconquête dopo aver corso come capolista alle elezioni europee. La mela della discordia, in tutti e due i casi è la ricerca di un alleanza con il Rassemblement national (Rn) di Jordan Bardella.Durante un’intervista alla televisione francese BFMTV, il leader e fondatore della formazione d’estrema destra Reconquête, Éric Zemmour ha annunciato l’espulsione di Marion Maréchal e dalle persone a lei vicine nel partito. Alle elezioni europee il partito d’estrema destra (che correva con il nome La France Fière) è riuscito ad ottenere il 5,5 per cento dei consensi, eleggendo 5 eurodeputati, che sono andati ad accrescere il gruppo dei conservatori e riformisti (Ecr).Zemmour si è sempre speso per unificare la destra francese e farla correre con un’unica lista e, vedendo l’approssimarsi delle elezioni, aveva dato il compito a Marion Maréchal di negoziare con il Rassemblement National. La neo-eurodeputata però non è riuscita a trovare un intesa, accusando Zemmour di avere troppe pretese e annunciando di voler sostenere i candidati unitari del Rassemblement national e del Partito repubblicano. La dichiarazione di Maréchal ha scatenato l’ira di Zemmour che si è detto “ferito e disgustato” decidendo per espellerla dal partito.Una questione di famigliaMarion Maréchal sosterrà quindi il Rassemblement national alle prossime elezioni legislative. Un ritorno all’ovile per lei che è nipote, attraverso la madre, di Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front national (Fn) e padre di Marie. Marion Maréchal. Era iscritta a Fn (nome del Rassemblement national fino al 2018) con cui nel 2012 era stata eletta al parlamento, diventando a soli 22 anni la più giovane rappresentante della storia della Francia repubblicana. Progressivamente però si è allontana dalla politica, fino a uscirne completamente nel 2017. Due anni dopo assieme a Éric Zemmour lancia la creazione di un soggetto politico con lo scopo di avvicinare e unire la destra gollista al Front national. Inizialmente Maréchal dice di non volersi impegnare nuovamente in politica, salvo poi diventare vicepresidente di Reconquête nel 2022.“È il record del mondo del tradimento” così Zemmour ha commentato la scelta di Maréchal, aggiungendo “Sono stato io a designarla come capolista alle europee, lei ha ricevuto molte donazioni dai militanti di Reconquête che con la sua scelta ha tradito”. Dal canto suo la nuova eurodeputata ha dichiarato di non aderire a Fn ma di aver espresso il suo sostegno alla lista unica della destra, inoltre Maréchal ha espresso la sua volontà di non candidarsi alle legislative ma di voler portare le ragioni dei cittadini francesi che l’hanno eletta a Strasburgo.Il “ritorno all’ovile”, com’è stato definito da Zemmour, di Maréchal  rischia di complicare la campagna elettorale di Reconquête. Il partito per riuscire ad eleggere i propri candidati all’Assemblea nazionale deve vincere nei collegi uninominali, ottenendo o la maggioranza assoluta al primo turno o quella relativa al secondo. Una missione difficile, dato che nel 2022 alle ultime legislative Reconquête aveva ottenuto il 4 per cento al primo turno e, oltre a non aver eletto nessun deputato non era riuscito nemmeno a partecipare alla seconda votazione. L’abbandono di Maréchal dunque, rischia di togliere dei voti che potrebbero risultare decisivi in un sistema maggioritario dove chi prende un voto in più elegge il proprio candidato e chi perde rimane a bocca asciutta.“C’est le record du monde de la trahison”: la réaction d’Éric Zemmour après l’appel de Marion Maréchal à une “union des droites” pic.twitter.com/k3Iws2H5DP— BFMTV (@BFMTV) June 12, 2024

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    Anche la Grecia potrebbe aprire un caso di immunità parlamentare complicato dopo le elezioni europee

    Bruxelles – I casi sono diversi, così come sono diversi i luoghi di detenzione e le motivazioni che hanno spinto le scelte di candidatura. Ma queste elezioni europee 2024 passeranno alla storia anche per le decisioni di due partiti in Italia e in Grecia di includere nelle rispettive liste elettorali ciascuno una persona detenuta in un Paese terzo, aprendo un potenziale scenario inedito a Bruxelles sull’immunità parlamentare.Il sindaco eletto di Himarë (Albania), Fredi Beleri, candidato alle elezioni europee con Nuova Democrazia del primo ministro greco, Kyriakos MitsotakisOltre a Ilaria Salis, cittadina italiana detenuta in Ungheria per più di un anno in condizioni inaccettabili per un Paese membro Ue (solo dal 15 maggio le sono stati concessi gli arresti domiciliari) e candidata capolista nella circoscrizione Nord-ovest con Alleanza Verdi-Sinistra, il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, potrebbe aprire un caso diplomatico post-elezioni tra Bruxelles e Tirana per la decisione di candidare nelle liste del partito al potere Nuova Democrazia una delle figure politiche più controverse per i rapporti tra i due Paesi confinanti: il sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë, Fredi Beleri, condannato a marzo in primo grado a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023.Il caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisIn Grecia il sistema di voto prevede le preferenze e, con la nomina di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento. I sondaggi danno Nuova Democrazia al 33 per cento e non sembra improbabile che, grazie al sistema delle preferenze, Beleri possa essere tra gli otto eurodeputati eletti, facendo scattare a Bruxelles l’iter per l’immunità parlamentare.

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    I programmi elettorali dei partiti/ 6: Le promesse dell’allargamento Ue e il destino incrociato dei Trattati

    Bruxelles – Potrebbero essere le ultime elezioni europee a 27, quelle che precedono un nuovo allargamento Ue, dopo il trauma politico del primo addio – per opera del Regno Unito – nel corso della legislatura agli sgoccioli. E anche se non sarà il primissimo tema nelle agende politiche in vista del voto del 6-9 giugno per il rinnovo del Parlamento Europeo, il modo in cui l’allargamento dell’Unione a nuovi potenziali membri si è legato alla riforma interna del funzionamento delle istituzioni Ue ha senz’ombra di dubbio garantito uno spazio non indifferente nei programmi delle famiglie politiche europee (fatta eccezione per Identità e Democrazia che ha scelto di non adottarne uno comune per i partiti aderenti). Nessuno è più contrario a un incremento nel numero dei Paesi membri, perché ciascuna capitale e ciascun partito europeo hanno propri interessi e fini, ma possono differire sensibilmente le tappe e le modalità di gestione di un processo molto politico oltre che tecnico.Il Ppe e le “misure intermedie”“Ogni Paese candidato deve essere pronto per l’adesione, nel frattempo dovremmo adottare misure intermedie e una più stretta cooperazione per mettere i candidati nella migliore posizione per l’adesione”, è questo il cuore della posizione del Partito Popolare Europeo (Ppe) per quanto riguarda il “mantenere le promesse di adesione dell’Ue e una strategia di allargamento lungimirante” per i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), Ucraina, Moldova e Georgia. Come emerge dal Manifesto per le elezioni europee del 2024, il Ppe non fa sconti sul fatto che “tutti i Paesi candidati debbano sottostare alle stesse regole nel percorso verso la piena adesione” e, nonostante “non vogliamo un processo infinito”, i criteri di Copenaghen che sanciscono le basi fondanti per l’ingresso nell’Unione “devono essere chiaramente soddisfatti” per qualsiasi processo di allargamento Ue.La presidente della Commissione Europea in carica, Ursula von der Leyen, nominata Spitzenkandidatin del Partito Popolare Europeo al Congresso di Bucarest il 7 marzo 2024 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)Non trovano spazio nel programma dei popolari europei la riforma dei Trattati e il suo legame con il futuro allargamento Ue, ma il riferimento al “rispetto delle relazioni di buon vicinato con tutti gli Stati membri dell’Ue” mostra tra le righe quanto il Ppe sia particolarmente sensibili ad alcune istanze dei partiti nazionali che aderiscono alla famiglia politica europea di centro-destra (come nel caso dei greci di Nuova Democrazia con l’Albania e con la Macedonia del Nord e dei bulgari di Gerb di nuovo con i vicini macedoni). “Qualsiasi decisione deve basarsi su risultati concreti forniti dai Paesi candidati”, dopo valutazioni di “prerequisiti minimi per ogni Stato che aspira ad entrare nell’Ue“, tra cui anche rispetto dello Stato di diritto, delle istituzioni democratiche e dei diritti umani. Per quanto riguarda il delicato capitolo sulla Turchia – i cui negoziati sono congelati dal 2018 – il Ppe per il momento “esclude la possibilità di un’adesione” di Ankara all’Unione, ma spinge per un “miglioramento dell’unione doganale esistente e la facilitazione dei visti” per “aprire la strada alla sua vocazione europea”.Il Pes tra allargamento “efficace” e architettura UeIl Manifesto del Partito del Socialismo Europeo (Pes) per le elezioni europee 2024 evidenzia come l’allargamento Ue sia stato nella storia recente dell’Europa “un successo, che ha portato democrazia, prosperità e sicurezza” sul continente. Per questo motivo viene visto “con favore” l’avvio dei negoziati di adesione con Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina “e sosteniamo le aspirazioni europee della Georgia” (nonostante le recenti sfide poste dal suo stesso governo). Nessuno sconto invece per la Turchia, a differenza dei popolari europei: “In assenza di un drastico cambiamento di rotta, il processo di adesione non può essere ripreso nelle attuali circostanze”.Il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit, nominato Spitzenkadidat del Partito del Socialismo Europeo al Congresso di Roma (2 marzo 2024)I socialisti europei parlano dell’attuazione di una politica di allargamento Ue “efficace”, con il punto di partenza nei Balcani Occidentali”, ma pur sempre “insistendo affinché tutti i Paesi candidati soddisfino tutti i criteri di adesione”. È qui però che si innesta la questione parallela all’allargamento Ue della “seria valutazione delle riforme dell’architettura dell’Ue” considerate “necessarie” per un’Europa “più efficiente e democratica, più trasparente e più vicina ai cittadini”. È con questo obiettivo che il Pes promette di “utilizzare la prossima legislatura per rafforzare la capacità dell’Ue di agire in un’Unione allargata, con modifiche mirate del Trattato“. In questo quadro – anche se la proposta rimane piuttosto vaga – l’idea è di dotare Parlamento e Commissione Ue di “strumenti per salvaguardare la nostra democrazia, rafforzare la nostra economia, proteggere il nostro ambiente e il nostro modello sociale”.Renew Europe per “riaprire i Trattati”È nelle 10 priorità di Renew Europe che si legge la più stretta interconnessione tra allargamento Ue e riforma dei Trattati fondanti dell’Unione. “Più siamo e più siamo forti, ma la governance di un intero continente non è una questione banale, è tempo di riaprire i Trattati“, è l’esortazione in vista delle europee di giugno, accompagnata da un avvertimento preciso: “Senza riforme profonde, l’allargamento rischia di trasformarsi in un fallimento per tutti“. A proposito dell’ingresso di nuovi membri, i liberali europei si concentrano soprattutto sull’Ucraina – che “deve aderire e aderirà” – e sul fatto che tutti coloro che soddisfano i criteri di Copenaghen “dovrebbero aderire all’area di libera circolazione di Schengen senza ulteriori ritardi”. Ma i Ventisette devono “essere in grado di accoglierla, come gli altri candidati” sulla base di un intenso lavoro interno.Da sinistra, i tre candidati comuni per la campagna Renew Europe Now lanciata a Bruxelles (20 marzo 2024): Sandro Gozi (Pde), Marie-Agnes Strack-Zimmermann (Alde) e Valérie Hayer (Renaissance)L’obiettivo dichiarato è che la riforma dei Trattati Ue “deve avvenire e deve avvenire ora”, attraverso una serie di proposte per una maggiore integrazione europea. In primis un aumento di “efficienza, trasparenza e responsabilità” delle istituzioni dell’Unione – “le riunioni in cui si riuniscono i ministri nazionali sono troppo opache” – ma anche la trasformazione della Commissione “in un vero e proprio governo democratico, con un solo presidente alla guida dell’esecutivo dell’Ue“, il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo “affinché la voce dei cittadini risuoni ancora più forte di oggi”, e soprattutto “vogliamo eliminare i veti” che tengono in ostaggio le decisioni comuni a Bruxelles.I Verdi e il rispetto delle promesse“Il prossimo passo necessario, un’Europa unita pronta per l’allargamento”, è il titolo del capitolo del Manifesto del Partito Verde Europeo per le europee 2024 a proposito dell’Unione presente e futura, che non lascia spazio a dubbi sulla necessità di “riformare i suoi Trattati e procedere verso un’Europa federale in grado di agire e di accogliere nuovi membri“. Il punto di partenza è la Conferenza sul futuro dell’Europa del 2019, in cui i cittadini dei 27 Paesi membri “hanno lanciato un chiaro messaggio di sostegno a nuovi Trattati che conferiscano maggiori competenze all’Ue”, ma anche il desiderio di “molte persone nel vicinato europeo di diventare cittadini” di un progetto politico che è “una promessa di pace, giustizia, valori condivisi e prosperità”. Da qui dovrebbe scaturire “una nuova spinta” all’allargamento Ue, “attesa da tempo” e con implicazioni geopolitiche”, in primis sul fatto che continua a rendere “meno importanti le frontiere” ed è perciò “la migliore prospettiva per una pace e una sicurezza durature in Europa”.Da sinistra, i due candidati comuni del Partito Verde Europeo nominati al Congresso di Lione (3 febbraio 2024): Terry Reintke e Bas Eickhout (credits: Olivier Chassignole / Afp)Con questa visione di breve e lungo periodo “tutti i Paesi europei che aspirano a far parte o a rientrare nell’Ue” – un chiaro messaggio di apertura ai cittadini del Regno Unito – “e che condividono i nostri valori devono essere accolti”, ricevendo da Bruxelles “tutto il sostegno necessario per soddisfare i criteri”. Perché per i Verdi europei si tratta di “mantenere le promesse” fatte ai Paesi candidati (ma non viene citata la Turchia), con un accento particolare posto sul “sostegno agli sforzi del Kosovo per diventare un candidato all’adesione” e sul fatto che “ogni Paese candidato dovrebbe essere in grado di seguire il proprio percorso verso l’Ue indipendentemente dai progressi degli altri Paesi candidati” (a proposito di Albania e Macedonia del Nord, e di Kosovo e Serbia). Inoltre viene rimarcato che il “futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea” e i Verdi europei si impegnano a “sostenere le autorità ucraine nell’introduzione delle riforme necessarie”. Per fare tutto questo, le istituzioni Ue dovrebbero “collaborare più strettamente con la società civile”, ma soprattutto “superare l’unanimità in Consiglio che attualmente ostacola l’adesione“. Perché, in definitiva, “l’accoglienza di nuovi membri deve servire come spinta vitale per le riforme interne”, facendo sì che gli Stati membri possano prendere decisioni “in modo efficiente ed efficace”.Ecr contro l’allargamento Ue come aumento dell’integrazioneBreve ma incisivo il paragrafo sull’allargamento Ue nel Manifesto del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) in vista delle elezioni europee di giugno: “È fondamentale che l’Ue non sfrutti questa opportunità per espandere i propri poteri”. Nonostante i conservatori europei si dicano disposti a “prendere in considerazione un ulteriore allargamento Ue a Paesi strategicamente importanti” (sulla base di merito e sul rispetto dei criteri di Copenaghen), mettono in chiaro che “rifiuteremo categoricamente qualsiasi approfondimento automatico dell’integrazione politica dell’Ue come risultato diretto” del processo di allargamento. Porta chiusa a una riforma dei Trattati Ue, senza eccezioni.La Sinistra e le salvaguardie democraticheLo Spitzenkadidat del Partito della Sinistra Europea nominato al Congresso di Lubiana (24 febbraio 2024), Walter BaierAnche il Manifesto del Partito della Sinistra Europea si concentra sulle priorità dell’allargamento Ue – senza citare alcuna riforma dei Trattati o maggiore integrazione europea – mettendo però al centro i “criteri chiari che non devono essere indeboliti” in questa sfera: “Gli Stati possono diventare membri dell’Ue solo se rispettano i diritti umani, lo Stato di diritto e i diritti sociali e politici delle loro popolazioni, comprese le minoranze”. In questo senso la politica di allargamento Ue “non deve essere uno strumento per approfondire le fratture all’interno dell’Europa e aumentare le tensioni militari”, né tantomeno dovrebbe “assegnare ai Paesi aderenti il ruolo di fornitori di materie prime, prodotti agricoli e manodopera a basso costo, come sta già facendo”. L’esortazione della Sinistra è quella di “concentrarsi sulla salvaguardia della democrazia e dello Stato di diritto” e parallelamente sul “rafforzamento della coesione sociale nei Paesi candidati e negli Stati membri”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    I Paesi europei tornano a discutere sull’introduzione della leva militare obbligatoria. In nove c’è ancora

    Bruxelles – Rintrodurre la leva militare per rinforzare gli eserciti europei? Questa è la domanda che si stanno ponendo diversi Stati nell’Unione europea, a partire da Germania e Italia. L’invasione russa dell’Ucraina ha rimesso al centro della discussione in Europa lo stato e le prospettive future delle forze armate. Una delle soluzioni che emerge da varie parti nell’Ue per rimpolpare gli eserciti è l’introduzione della leva obbligatoria. In alcuni Paesi la naja, con sfaccettature diverse, è già in vigore: Cipro, Grecia, Austria, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Svezia e Danimarca.Storicamente l’introduzione della leva militare risale all’epoca napoleonica, quando gli Stati nazionali decisero di arruolare in massa i cittadini. Contadini, commercianti e artigiani, che non avevano mai impugnato un moschetto, si trovavano così sui campi di battaglia, sia perché i Paesi avevano un bisogno maggiore di truppe sia per togliere il compito della formazione degli eserciti ai nobili. Nella seconda metà del novecento però la fine dei timori di colpi di stato militari, che si tenevano a bada anche con un esercito composto da cittadini comuni, lo sviluppo tecnologico e le dimensioni ridotte dei conflitti che hanno coinvolto i Paesi occidentali hanno spinto gli Stati a propendere per la creazione di eserciti formati da professionisti.Come funziona la leva militare in giro per l’EuropaLa Lettonia è l’ultimo Paese europeo, in ordine cronologico, ad aver introdotto la coscrizione obbligatoria nel aprile del 2023 dopo averla abolita soltanto nel 2007. Il servizio militare deciso da Riga è obbligatorio per tutti i maschi di età compresa tra 18 e 27 anni e dura 11 mesi, rimane su base volontaria invece per le donne. Ad aver spinto la Lettonia a rintrodurre la leva obbligatoria è la presenza ingombrante della Russia con cui condivide 217 kilometri di confine. I continui sconfinamenti dei caccia russi nello spazio aereo dei Paesi baltici, e quindi della Nato (Riga è entrata nel patto Atlantico nel 2004), hanno accelerato la decisione della Lettonia di rinforzare le proprie difese nel caso di un confronto diretto con Mosca.In Austria il servizio militare è obbligatorio per tutti i cittadini di sesso maschile per un periodo di circa otto mesi, in alternativa per gli obbiettori di coscienza sono previsti 13 mesi di servizio civile. Nel 2013 in un referendum i cittadini austriaci si espressero, con il 59,7 per cento dei voti a favore del mantenimento della leva. Anche in Danimarca la naja è obbligatoria: i diciottenni devono effettuare dai 4 ai 12 mesi di servizio, con l’alternativa del servizio civile. La leva è rimandabile sino ai 25 anni di età nel caso di proseguimento degli studi dopo le scuole superiori.In Finlandia sono previsti tre diversi tipi di reclutamento, ma a partire dai 18 anni tutti i cittadini di sesso maschile sono chiamati a prestare servizio nelle Forze armate. L’addestramento non supera l’anno di durata, dopodiché si diventa automaticamente riservisti e lo si rimane fino ai 50 anni. La Svezia invece è l’unico Paese all’interno dell’Ue a prevedere la leva militare sia per gli uomini che per le donne.Per i cittadini della Grecia la naja è obbligatoria tra i 19 e i 45 anni. La durata cambia a seconda della forza in cui si presta servizio e varia dai 9 mesi per chi è arruolato nell’esercito ai 12 per chi è arruolato nella Marina. In alternativa, si possono prestare 15 mesi di servizio civile.Discussioni sulla reintroduzione del servizio militare obbligatorioIn Italia, nel 2004, il governo Berlusconi decise di sospendere la leva militare obbligatoria preferendo il servizio su base volontaria. L’invasione dell’Ucraina ha però riportato in auge la discussione su una possibile reintroduzione della naja. A spingere è soprattutto il Vicepremier Matteo Salvini, che in più occasioni si è detto favorevole, sostenendo che il servizio militare obbligatorio aiuti il processo di crescita dei giovani. Diverso invece il parere del ministro della Difesa Guido Crosetto secondo cui: “Le forze armate hanno bisogno di professionalità, non è un luogo dove insegnare o educare i giovani”.Anche la Germania sta discutendo sulla riapertura del servizio di leva. Il ministro della difesa Boris Pistorius, ha sottolineato la carenza di personale, sia arruolato nell’esercito sia tra la riserva. I piani dell’esercito tedesco puntano ad arrivare alle 203 mila unità entro il 2030, a fronte delle attuali 180 mila. Per raggiungere questi obiettivi, secondo i vertici dell’esercito federale, la reintroduzione del servizio militare obbligatorio rappresenterebbe una soluzione. La reintroduzione della leva obbligatoria inoltre darebbe ai cittadini delle nozioni e un minimo di conoscenza sugli armamenti e sulle tattiche di difesa, così d’avere una base in caso di un confronto militare diretto.

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    I programmi elettorali dei partiti/ 4: Ucraina, Medio Oriente, Cina e pace. I nodi della politica estera dell’Ue

    Bruxelles – È da sempre uno dei temi più caldi sui tavoli delle istituzioni dell’Unione Europea, caldissimo dal febbraio 2022. La politica estera comune tra i Ventisette si ritaglia un ruolo da protagonista nella campagna elettorale in vista del voto del 6-9 giugno per il rinnovo del Parlamento Ue, come emerge da tutti i programmi delle famiglie politiche europee (fatta eccezione per Identità e Democrazia che ha scelto di non adottarne uno comune per i partiti aderenti). Dalla guerra russa in Ucraina, che ha stravolto la concezione di sicurezza e del ruolo dell’Ue nel mondo dopo la pandemia Covid-19, alla crisi nel Medio Oriente e il continuo assedio di Israele alla Striscia di Gaza, senza dimenticare il gigante cinese che non ha mai smesso di preoccupare l’Unione e i suoi Paesi membri. Con una parola che risuona in (quasi) tutti i programmi elettorali, seppur con declinazioni e implicazioni differenti: pace.Il Ppe tra sostegno all’Ucraina e un ministro degli Esteri UeIl Manifesto del Partito Popolare Europeo (Ppe) per le elezioni europee del 2024 esordisce in modo paradigmatico sul fronte della politica estera: “La nostra Europa è al fianco dell’Ucraina“. Rimane centrale la prosecuzione e l’amplificazione del sostegno “politico, economico, umanitario e militare, per tutto il tempo necessario”, nell’ottica che Kiev “deve vincere la guerra”. Dal momento in cui la guerra in Ucraina “è direttamente collegata alla sicurezza europea”, per i popolari europei Kiev dovrebbe di conseguenza “diventare membro dell’Ue e della Nato non appena soddisfa tutti i criteri”. Parallelamente dovrà essere “ulteriormente” rafforzata la portata del regime di sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin e contro l’elusione delle stesse sanzioni, “dove e quando necessario”. A questo proposito, sul piano globale il Ppe chiede di “abbandonare il principio dell’unanimità nel campo delle sanzioni dell’Ue contro i regimi totalitari nel mondo”.La presidente della Commissione Europea in carica, Ursula von der Leyen, nominata Spitzenkandidatin del Partito Popolare Europeo al Congresso di Bucarest il 7 marzo 2024 (credits: Daniel Mihailescu / Afp)Ma la proposta più significativa è quella di “sostituire l’alto rappresentante con un ministro degli Esteri dell’Ue, in qualità di vicepresidente della Commissione Europea“, che collaborerebbe “strettamente” con gli omologhi nazionali e con un “Consiglio di sicurezza europeo composto dai leader degli Stati membri dell’Ue e di altri Paesi europei, tra cui “almeno Regno Unito, Norvegia e Islanda”. Breve il passaggio sul conflitto in Medio Oriente – senza alcun riferimento a Israele o alle possibili soluzioni alla crisi – che rimanda solo alle “enormi sfide sulla scena mondiale” e alla “recente instabilità causata dal regime iraniano”. Tra Cina e Taiwan, Russia e Bielorussia, Africa, America Latina, regione mediterranea e Medio Oriente è richiesta una “strategia a lungo termine” e la definizione degli “interessi dell’Europa per avere una politica estera coerente in cui tutti gli Stati membri devono essere considerati e i loro interessi tutelati”. Più corposo il paragrafo su Cipro e la necessità di “superare lo stallo e riprendere i negoziati per porre fine all’occupazione da parte della Turchia”, spingendo per una riunificazione dell’isola “sulla base di una federazione bizonale bicomunale, con parità politica”.Il Pes tra pace e cooperazione internazionale“L’Ue deve parlare con una sola voce nelle questioni di politica estera e passare a decisioni più maggioritarie in alcune questioni politiche“, esordisce così il capitolo sulla politica estera nel Manifesto del Partito del Socialismo Europeo (Pse) per le elezioni europee 2024, senza mettere esplicitamente nero su bianco l’urgenza di abbandonare l’unanimità in Consiglio su alcune questioni (come le sanzioni). Parallelamente al rafforzamento del “ruolo diplomatico e politico dell’Ue sulla scena globale”, i socialisti europei spingono per “risolvere i conflitti di lunga data in tutto il mondo e in Europa, compreso quello di Cipro”, ma sulla questione ucraina non ci sono margini di dubbio: “Manteniamo il nostro incrollabile sostegno all’Ucraina, fornendo assistenza politica, umanitaria, finanziaria e militare per tutto il tempo necessario”, con gli obiettivi finali del “ripristino della sua integrità territoriale” e il raggiungimento di una pace “giusta e sostenibile”.Il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit, nominato Spitzenkadidat del Partito del Socialismo Europeo al Congresso di Roma (2 marzo 2024)Per quanto riguarda l’ordine multilaterale e la pace, il Pes si sofferma sul lavoro necessario per “porre fine ai conflitti, all’instabilità e alle tragedie umanitarie in Medio Oriente”, in particolare attraverso una “conferenza di pace internazionale per raggiungere un’equa soluzione a due Stati tra israeliani e palestinesi che rispetti i diritti e i doveri dei due popoli”. Nel frattempo sono richieste iniziative per un cessate il fuoco “sostenibile”. Le relazioni con la Cina richiedono di essere “riequilibrate”, da una parte “promuovendo i nostri valori e proteggendo i nostri interessi” e dall’altra “collaborando ulteriormente per affrontare le questioni globali più urgenti”. L’attenzione è focalizzata anche sulla costruzione di “un nuovo partenariato tra pari” con il Sud globale, un partenariato euromediterraneo “rilanciato” e una “nuova agenda progressista Ue-America Latina”, tutti che includano “un forte sostegno all’Organizzazione internazionale del lavoro”.Renew Europe e l’Alleanza Globale delle DemocrazieDa sinistra, i tre candidati comuni per la campagna Renew Europe Now lanciata a Bruxelles (20 marzo 2024): Sandro Gozi (Pde), Marie-Agnes Strack-Zimmermann (Alde) e Valérie Hayer (Renaissance)In vista delle europee di giugno la politica estera trova spazio anche tra le 10 priorità di Renew Europe. “Oggi i regimi autocratici di tutto il mondo affermano con orgoglio di essere qui per restare, attaccano le democrazie e sono pronti ad affermarsi”, è l’avvertimento dei liberali europei a proposito delle speranze tradite del liberalismo, della democrazia e del libero mercato dopo la Guerra Fredda. Il contrattacco parte da un’unione delle democrazie “per difendere i loro obiettivi comuni al di là degli interessi geografici“. In altre parole – seppur senza maggiori dettagli a riguardo – Renew Europe intende costruire “un’Alleanza Globale delle Democrazie che rafforzi l’influenza globale dell’Ue al fine di promuovere i nostri valori”, sulla base di “partenariati con Paesi che la pensano allo stesso modo”.I Verdi e il contratto di pace per l’Europa“L’invasione russa su larga scala dell’Ucraina è stata un punto di svolta nella storia del nostro continente e del mondo, viola le regole del diritto internazionale, della pace e della sicurezza”, recita il Manifesto del Partito Verde Europeo per le europee 2024, in apertura del lungo capitolo sulla politica estera. Incrollabile la solidarietà verso Kiev – “la lotta del popolo ucraino per la libertà, la pace e l’adesione all’Unione Europea è la nostra lotta” – ma lo sguardo si allarga oltre, ai “dolorosi conflitti infuriano in Medio Oriente, nel Caucaso, nel Sahel e nell’Africa centrale”. L’esortazione all’Ue è di essere “un attore forte”, ma in linea con la sua natura di “progetto di pace”. In questo contesto si inserisce la proposta per il post-elezioni europee di un “contratto di pace” per l’Europa, in cui assume particolare risalto il “nesso clima-sicurezza”, per fare in modo che “la transizione verde dell’Europa sia uno strumento geopolitico e una responsabilità globale” e che gli interventi miliari siano “sempre e solo l’ultima risorsa”.Da sinistra, i due candidati comuni del Partito Verde Europeo nominati al Congresso di Lione (3 febbraio 2024): Terry Reintke e Bas Eickhout (credits: Olivier Chassignole / Afp)Ampio spazio al conflitto in Medio Oriente, per cui i Verdi europei spingono l’Ue verso un “rilancio dei negoziati politici per una soluzione a due Stati, basata su confini sicuri e concordati”, dal momento in cui una pace “duratura” nella regione richiede “risultati negoziali che rispettino il diritto di Israele e della Palestina di esistere come Stati democratici e sovrani e del popolo palestinese di avere una propria casa“. La politica estera nel programma elettorale dei Verdi europei include una forte indicazione a non “compiacersi della dipendenza economica dai regimi autoritari” come la Russia di Putin: “Faremo in modo che l’Europa non commetta di nuovo lo stesso errore con altri regimi bellicosi nel mondo”. Non di poco conto il fatto che subito dopo venga citata la “minaccia rappresentata dalla Cina nei confronti di Taiwan, che mette a repentaglio la pace e la sicurezza internazionale“. In risposta viene richiesta “una politica europea attiva, chiara e comune”, ma senza negare che “l’interdipendenza è un fattore chiave per un sistema internazionale pacifico e per una giusta transizione globale”.Ecr per una politica estera “sfumata”Le parole-chiave per la politica estera del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) è “sicurezza”, ma anche “sfumata”. Così recita il capitolo apposito del Manifesto in vista delle elezioni europee di giugno, su uno dei temi più delicati per l’Unione Europea: “Nel gestire le relazioni con la Cina, Ecr assume una posizione sfumata“. Da un parte viene riconosciuta la “necessità di un impegno” anche per “affrontare le violazioni dei diritti umani”, ma dall’altra si vuole “sostenere legami più forti con Taiwan e altri partner affini nella regione del Pacifico”. Nessun riferimento alla guerra russa in Ucraina, trattata nell’ambito della difesa europea, mentre una politica “più assertiva” viene invocata nei confronti dell’Iran, “concentrandoci sui suoi programmi nucleari e sul terrorismo sponsorizzato dallo Stato”. Oltre a una cooperazione più stretta “tra l’Ue, l’Occidente globale e il Regno Unito”, i conservatori europei si distinguono per la “priorità” della “protezione dei cristiani perseguitati in tutto il mondo” e della “difesa della libertà religiosa”, nonostante anche in questo caso rimanga un velo di ambiguità: “Il nostro approccio alla promozione dei nostri interessi comuni è ricco di sfumature”.La Sinistra tra rifiuto della guerra e sanzioni a Russia-Stati Uniti“Pace” è il principio-cardine su cui si basa tutto il capitolo sulla politica estera del Manifesto del Partito della Sinistra Europea verso le europee di giugno. Non di poco conto è la condanna netta all’aggressione militare russa contro l’Ucraina, “che è un crimine secondo il diritto umanitario internazionale”, e la definizione dei “passi immediati” per mettere fine alla guerra: “Il ritorno al tavolo dei negoziati, un cessate il fuoco e il ritiro di tutte le truppe russe dall’Ucraina“. Il sostegno alle sanzioni contro “il complesso militare-industriale russo” offrono un ponte tra il tema della guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente: “Chiediamo sanzioni contro il complesso militare-industriale statunitense per aver sostenuto l’aggressione del governo dello Stato di Israele“, oltre a misure restrittive verso Israele. “Un cessate il fuoco immediato, la fornitura di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza e il ritiro immediato di Israele da tutti i territori che occupa” sono le richieste della Sinistra europea, che non perde di vista le “altre 22 guerre” in corso nel mondo: “Stiamo vivendo una ‘guerra mondiale a rate’, che potrebbe rapidamente degenerare in un disastro nucleare mondiale”.Lo Spitzenkadidat del Partito della Sinistra Europea nominato al Congresso di Lubiana (24 febbraio 2024), Walter BaierTra le proposte per evitare che l’Europa diventi “l’arena di una nuova guerra fredda e di una corsa agli armamenti” c’è l’inserimento del rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali tra i principi fondamentali dell’Ue, “niente nuove armi nucleari” sul continente e l’assunzione della “responsabilità della propria sicurezza in modo autonomo e indipendente dagli Stati Uniti”. Da segnalare anche il sostegno alle “aspirazioni del popolo irlandese a riunire la propria nazione divisa dal colonialismo britannico” e “la fine dell’occupazione turca di Cipro e la riunificazione del Paese”. La politica estera della Sinistra prende in considerazione anche la “cancellazione del contratto sul gas tra l’Ue e l’Azerbaigian“, un’azione contro l’embargo “economico, finanziario e commerciale” ai danni di Cuba, la fine dell’aggressione turca ai danni del popolo curdo e la condanna dell’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco. Ampio spazio viene riservato infine alle questioni del “co-sviluppo e non dominazione” nelle relazioni con il resto del mondo: “Chiediamo all’Ue di rompere con il suo stile di dominio neocoloniale e di rilanciare su nuove basi le sue relazioni commerciali e finanziarie con il Sud globale”, basate sulla “cancellazione degli accordi di libero scambio” (a livello Ue) e del “debito Covid” (a livello di Stati membri) e sulla “creazione di un Fondo europeo per il co-sviluppo ecologico e sociale, finanziato dalla Bce”.

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    “Moscagate”, un altro scandalo fa tremare l’Eurocamera a due mesi dalle elezioni europee

    Bruxelles – Da qualche giorno tra i banchi del Parlamento europeo si è ricominciato a a guardarsi intorno con sospetto e a bisbigliare nomi, come in un déjà vu di quel che successe a dicembre 2022 con lo scoppio del Qatargate. È già stato ribattezzato Moscagate: una rete di influenze indebite del Cremlino, che avrebbe pagato alcuni eurodeputati per promuovere la sua propaganda.La notizia l’ha portata a galla il primo ministro belga, Alexander De Croo, che ha parlato di “una stretta collaborazione” tra i servizi segreti belgi e quelli della Repubblica ceca per smascherare la vera natura della testata Voice of Europe, strumento di propaganda finanziato e manovrato dall’oligarca ucraino filo-russo Viktor Medvedchuk, attraverso il quale Mosca avrebbe intervistato alcuni eurodeputati a pagamento, con lo scopo di screditare alcune politiche di Bruxelles. Secondo quanto trapelato finora, la testata online serviva a diffondere articoli critici in primo luogo sul supporto a Kiev, ma anche su Green deal e immigrazione, ma anche per mettere a libro paga esponenti politici europei – e assicurarsi così la loro lealtà – attraverso interviste a pagamento.Sul banco degli imputati sono finite immediatamente le formazioni politiche della galassia euroscettica e sovranista. Secondo le indiscrezioni pubblicate dal quotidiano olandese Nrc, sarebbero implicati esponenti del Rassemblement National di Marine Le Pen, dell’ultradestra fiamminga del Vlaams Belang e di quella tedesca di Alternative fuer Deutschland. Le scoperte degli inquirenti belgi e cechi avrebbero già fatto scattare indagini in sette Paesi membri: Germania, Francia, Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Ungheria e Repubblica Ceca.L’Eurocamera è in attesa che i servizi belgi consegnino l’elenco con nomi e cognomi degli eurodeputati che si presumono coinvolti, come confermato da fonti del Parlamento europeo. A quel punto lo scenario è più probabile è quello già visto a fine gennaio per l’eurodeputata lettone Tatjana Ždanoka, accusata di lavorare da anni come agente dei servizi di intelligence russi. La responsabilità di eventuali sanzioni sulla condotta degli eurodeputati fa capo alla presidente: sarà Roberta Metsola, una volta ottenuti i nomi, a dare via libera al Comitato consultivo dell’Eurocamera per indagare sull’accaduto ed eventualmente proporre misure contro i colpevoli.Nonostante non sia necessaria una votazione dell’Aula per sanzionare i colleghi, il gruppo dei Socialisti e Democratici ha immediatamente richiesto un dibattito urgente nella mini-sessione plenaria del Parlamento europeo che si terrà a Bruxelles il 10-11 aprile. Dopo essere stato vessati per mesi sul coinvolgimento di diversi eurodeputati del gruppo nel Qatargate, i socialdemocratici hanno preso la palla al balzo. “Siamo determinati a proteggere le nostre democrazie da chi cerca di diffondere bugie e di dividerci”, ha commentato la capogruppo, Iratxe Garcia Perez.

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    Interferenze russe sulla vita dei cittadini Ue: il Consiglio Europeo si prepara alla difesa dalle minacce. “Ma non c’è rischio di guerra”

    Bruxelles – La guerra russa in Ucraina non ha i successi sperati, e sempre più da Mosca partono minacce, ed azioni reali, contro la vita quotidiana dei cittadini europei. E’ un ripiego, un modo per creare il massimo disturbo possibile ai Paesi che stanno sostenendo Kiev contro l’invasione. Non si tratta di minacce strettamente militari, ma gli effetti di attacchi informatici o il lancio di una forte campagna di disinformazione possono essere dirompenti nella vita quotidiana degli europei. Non c’è insomma la necessità di prepararsi a una guerra, che non è alle viste per l’Unione, assicura l’alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell.Al punto 18 della bozza di Conclusioni del Consiglio europeo che si svolgerà oggi e domani a Bruxelles è scritto che si “sottolinea la necessità imperativa di una preparazione militare e civile rafforzata e coordinata e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce”.  Dunque il capi di Stato e di governo invitano i ministri competenti “a portare avanti i lavori e la Commissione, insieme all’Alto Rappresentante, a proporre azioni per rafforzare la preparazione e la risposta alle crisi a livello dell’Ue in un approccio a tutti i rischi e a tutta la società. che tenga conto delle responsabilità e delle competenze degli Stati membri, in vista di una futura strategia di preparazione”.Il fraseggio è complesso, può essere interpretato con significati anche che esulano dalla volontà del Consiglio europeo. In sostanza, ci spiega un esperto di questi dossier, i capi di Stato e di governo “considerano interferenze ibride tipo attacchi cyber e disinformazione”.  Quando si scrive “Whole of society” (le parole del testo originale delle bozze, in inglese) cioè “tutta la società” si intende, ad esempio “un attacco al sistema sanitario può portare alla morte di pazienti che dipendono da macchinari. Un attacco alla filiera alimentare – continua l’esperto – può causare proteste e caos sociale”. Inoltre sono possibili attacchi cibernetici “a sistemi bancari, amministrativi e servizi pubblici e privati”.Non bisogna poi dimenticare che mancano meno di tre mesi alle elezioni europee e dunque “c’è un forte rischio di una campagna di disinformazione mirata ad inquinare il voto”, conclude l’esperto.Borrell risponde, entrando al Consiglio europeo, a tutti quelli che hanno parlato di minaccia di guerra nell’Unione europea, cercando di abbassare i toni. Nella bozza di dichiarazione, spiega Borrell c’è “l’invito agli europei a essere consapevoli delle sfide che stanno affrontando”, il che  “è positivo”, ma, sottolinea lo spagnolo, “non dobbiamo nemmeno esagerare. La guerra non è imminente. Ho sentito alcune voci che dicevano che la guerra è imminente. Ebbene, grazie a Dio non lo è”.Borrell sostiene che “viviamo in pace, sosteniamo l’Ucraina, non siamo parte di questa guerra e dobbiamo prepararci per il futuro, aumentando la nostra capacità di difesa, ma non spaventate inutilmente le persone, la guerra non è imminente. Ciò che è imminente è la necessità che gli ucraini siano sostenuti”Ecco il testo in inglese del paragrafo 18 delle bozze:“In addition, the European Council underlines the imperative need for enhanced and coordinated military and civilian preparedness and strategic crisis management in the context of the evolving threat landscape. It invites the Council to take work forward and the Commission together with the High Representative to propose actions to strengthen preparedness and crisis response at EU level in an all-hazards and whole-of-society approach, taking into account Member States’ responsibilities and competences, with a view to a future preparedness strategy”.

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    Contro le ingerenze straniere: la Commissione Ue presenta il pacchetto ‘Difesa della democrazia’

    Bruxelles – In vista dell’appuntamento elettorale di giugno 2024, la Commissione europea cerca riparo dalle ingerenze straniere indebite. Oggi (12 dicembre) la vicepresidente Vera Jourová ha presentato all’Eurocamera di Strasburgo una proposta legislativa per mettere sotto i riflettori dell’opinione pubblica le attività di lobbying per conto di Paesi terzi.“È giunto il momento di portare alla luce l’influenza straniera nascosta”, ha dichiarato Jourová in aula. Perché, complici l’eco mediatica dello scandalo di presunta corruzione denominato Qatargate e una situazione geopolitica sempre più polarizzata, oltre l’80 per cento dei cittadini europei ritiene che l’ingerenza straniera nei nostri sistemi democratici sia un problema serio che deve essere affrontato.Le norme proposte dalla Commissione mirano a dare al pubblico, ai media e alla società civile un migliore accesso alle informazioni per capire chi sta cercando di influenzare ciò che vedono o leggono. Attraverso una serie di obblighi per organizzazioni non governative e agenzie che svolgono attività di rappresentanza: l’iscrizione ad un registro per la trasparenza, la conservazione di registri delle informazioni e del materiale relativo alle attività di lobbying per un periodo di quattro anni dopo la fine di tale attività, l’obbligo di rendere accessibili al pubblico gli elementi chiave del proprio lavoro di rappresentanza. Ad esempio, gli importi annuali ricevuti e i Paesi terzi interessati.Uno strumento che “in poche parole propone regole armonizzate per la trasparenza dei servizi di rappresentanza di interessi finanziati da Paesi terzi con lo scopo di influenzare le nostre politiche e i nostri processi decisionali e, in breve, il nostro spazio democratico”, ha spiegato la vicepresidente della Commissione europea. La minaccia ha almeno un nome e un cognome: “Non dobbiamo permettere a Vladimir Putin o a qualsiasi altro autocrate di interferire segretamente nel nostro processo democratico, non possiamo permettere che si nascondano”, ha aggiunto.Nonostante la proposta preveda alcune garanzie per evitare conflitti con diritti fondamentali come la libertà di espressione o di associazione – come la possibilità di derogare alla pubblicazione delle informazioni in casi “debitamente giustificati”-, all’emiciclo di Strasburgo non sono mancate alcune critiche. Per l’eurodeputata olandese Sophie in ‘t Veld, dei liberali di Renew, il pacchetto della Commissione “etichetta le ong come potenziali agenti stranieri“, senza peraltro affrontare gli attacchi alla democrazia che arrivano dal territorio comunitario.Il riferimento al braccio di ferro tra l’Ue e l’Ungheria di Viktor Orban sul conflitto in Ucraina si fa più esplicito nell’intervento del pentastellato Fabio Massimo Castaldo, che ha avvertito la Commissione di “guardarsi da tutti i rischi, perché spesso i più pericolosi arrivano dall’interno”, da “ambigui leader nazionali che continuano a mistificare la realtà strizzando l’occhio a presidenti autoritari”.