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    Nella notte l’accordo tra Israele e Hamas per una pausa delle ostilità e la liberazione degli ostaggi. Von der Leyen: “Fare il possibile per azione umanitaria a Gaza”

    Bruxelles – Dopo 45 giorni di bombardamenti incessanti, nella notte è arrivato il primo accordo tra Israele e Hamas per una tregua nelle ostilità. La pausa durerà quattro o cinque giorni, il tempo necessario per il rilascio di 50 donne e bambini rapiti da Hamas lo scorso 7 ottobre e la contemporanea liberazione di 150 prigionieri politici palestinesi dalle carceri israeliani. Una finestra cruciale per l’accesso e la distribuzione degli aiuti umanitari per la popolazione della Striscia di Gaza.All’annuncio dell’accordo, mediato da Egitto e Qatar, hanno gioito anche a Bruxelles. La liberazione degli ostaggi e l’istituzione di pause umanitarie sono da oltre un mese gli unici punti fermi della posizione dell’Unione europea sul conflitto. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha ringraziato il Cairo e Doha per gli sforzi diplomatici e ha ribadito che “Hamas deve liberare tutti gli ostaggi”, indicando al contempo la necessità di utilizzare questi giorni per “consentire che il massimo degli aiuti umanitari” raggiunga coloro che ne hanno bisogno.“Accolgo con tutto il cuore l’accordo raggiunto”, ha dichiarato in mattinata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Che ha subito indicato l’urgenza di sfruttare al meglio l’opportunità: “La Commissione europea farà tutto il possibile per sfruttare questa pausa per un’azione umanitaria a Gaza. Ho chiesto al Commissario Janez Lenarčič di aumentare ulteriormente le spedizioni a Gaza il più rapidamente possibile per alleviare la crisi umanitaria”.Il commissario sloveno, responsabile per la Gestione delle crisi, ha informato sull’azione Ue dal Parlamento europeo di Strasburgo: finora 15 aerei carichi di cibo, medicine e materiale da campo hanno già raggiunto l’Egitto e “altri sono in allestimento”. L’accordo di questa notte potrà facilitare l’accesso umanitario, che dall’inizio del conflitto è stato “estremamente complicato” e “inadeguato”. Dal varco di Rafah, al confine con l’Egitto, sono entrati nella Striscia meno di 50 camion al giorno, e la scorsa settimana “per diversi giorni neanche uno”.Nell’enclave palestinese mancano non solo cibo e acqua, ma anche medicine, anestetici, e soprattutto carburante. Secondo le stime delle Nazioni Unite, l’assistenza alimentare distribuita finora copre solo il 10 per cento del fabbisogno quotidiano di ciascun individuo, e i 120 mila litri di carburante che Israele si è detta disposta a lasciar entrare a Gaza non bastano: “Coprono solo un terzo del bisogno giornaliero – ha commentato Lenarčič -, il carburante è vitale per far funzionare gli ospedali e per l’acqua potabile”.L’Alto rappresentante Ue Borrell: a Gaza “un disastro causato dall’uomo”All’emiciclo di Strasburgo è intervenuto anche l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che ha garantito che l’Ue “farà la sua parte” nel garantire “quanto più aiuto necessario ai civili palestinesi” durante queste 96 ore di tregua. Il capo della diplomazia europea ha voluto sottolineare che quel che sta accadendo a Gaza non è un “disastro naturale, ma un disastro causato dall’uomo e da un embargo che non permette l’accesso di aiuti umanitari“.Borrell, che la settimana scorsa si è recato a Tel Aviv e a Ramallah, ha ammesso la difficoltà di rappresentare i 27 Stati membri in questa vicenda, “perché in diverse occasioni non si sono allineati”. La prova lampante è stata la risoluzione dell’Onu del 27 ottobre scorso, che chiedeva una tregua umanitaria nel conflitto, in cui i Paesi Ue si sono spaccati. Per l’Alto rappresentante “dovrebbe essere possibile riconoscere il diritto di autodifesa di Israele e essere indignati per quello che sta accadendo alla popolazione di Gaza e della Cisgiordania, dovrebbe essere possibile difendere i diritti dei palestinesi senza che questo comporti essere definiti antisemiti, dovrebbe essere possibile criticare le politiche del governo israeliano senza che questo porti all’accusa di odio verso gli ebrei”.
    Egitto e Qatar mediano l’accordo che prevede il rilascio di 50 donne e bambini rapiti da Hamas il 7 ottobre, in cambio della liberazione di 150 prigionieri politici palestinesi. L’Ue pronta a sfruttare i quattro giorni di tregua per distribuire gli aiuti a Gaza

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    La revisione dei fondi Ue alla Palestina non ha riscontrato nessuna violazione. Ma 7 progetti non sono più realizzabili

    Bruxelles – Nessuna violazione dei criteri per l’esborso dei fondi Ue finora erogati alla Palestina. Si riassume così la revisione dell’assistenza finanziaria voluta dalla Commissione Europea lo scorso 9 ottobre, resasi necessaria per controllare che il budget comunitario previsto a sostegno del popolo palestinese dal 2021 non sia finito nelle mani di Hamas – organizzazione terrorista secondo la lista di Bruxelles – dopo l’attacco armato a Israele. Dopo 43 giorni dall’annuncio da parte dell’esecutivo comunitario, il gabinetto von der Leyen tira un sospiro di sollievo per la tenuta dei controlli e delle salvaguardie esistenti – “che sono state significativamente rafforzate negli ultimi anni” – come emerso da una valutazione che non ha rilevato prove “che il denaro sia stato deviato per scopi non voluti”.(credits: Said Khatib / Afp)Come spiegato da alti funzionari Ue, il budget comunitario era già prima sottoposto a “stretto controllo”, ma in ogni caso è stata condotta una revisione sui fondi stanziati nei primi due anni della Strategia comune europea 2021-2024 di fonte a uno scenario “estremamente polarizzato” e con “serie accuse” sullo stanziamento da parte di Bruxelles. La revisione pubblicata oggi (21 novembre) aveva due obiettivi: il primo legato proprio al fatto che nessun finanziamento sia finito a organizzazione terroristiche o che sia stato violato il principio di abuso dei fondi “in particolare sull’antisemitismo”, e il secondo per assicurarsi che i finanziamenti alla Palestina “non si blocchino”. È così che è stato scandagliato tutto il portafoglio non solo della Direzione generale Vicinato e negoziati di allargamento (Dg Near), ma anche di tutti i fondi “che abbiano partner palestinesi”.Gaza City, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Un totale di 119 contratti per un totale di circa 331 milioni di euro, che non hanno evidenziato alcuna violazione degli impegni presi nel 2021 e nel 2022 in Palestina. L’88 per cento dei fondi scrutinati (292 milioni) risulta completamente in linea, mentre per il restante 12 per cento (38,9 milioni) si attendono “ulteriori informazioni” dalle organizzazioni della società civile e dalle organizzazioni non governative destinatarie. Per queste ultime – precisano le stesse fonti Ue – sono state chieste delucidazioni “senza pregiudizi” sull’applicazione dei controlli: solo in due casi (per un totale di otto milioni di euro) ci sono “accuse specifiche” di incitamento all’odio e alla violenza dopo gli eventi del 7 ottobre, ma in questo caso i servizi della Commissione Ue stanno seguendo le “procedure regolari” per l’investigazione e la valutazione. C’è però da segnalare che tra i 292 milioni di euro totalmente in linea con le disposizioni, 75,6 milioni non sono più attuabili (il 23 per cento del totale), come per esempio i grandi progetti infrastrutturali a Gaza – sistema energetico, impianto di desalinizzazione e accesso ai servizi idrici – che dopo i bombardamenti israeliani dell’ultimo messe non sono più costruibili. Questi fondi “saranno riprogrammati a sostegno dei palestinesi secondo le nuove priorità da individuare sul campo”, specifica il gabinetto von der Leyen.La stessa Commissione Ue rende noto che la revisione ha seguito un approccio in due fasi. All’inizio è stato effettuato “uno screening operativo” per valutare la fattibilità dei progetti alla luce della “nuova situazione sul campo” (è qui che si inserisce la lista dei 7 progetti da 75,6 milioni di euro non più attuabili). Successivamente è stata condotta una valutazione del rischio con la richiesta a tutti i partner esecutivi di informazioni sui meccanismi di controllo in vigore: a partire da questi report il Berlaymont ha individuato misure aggiuntive applicabili, “come l’inserimento di clausole contrattuali anti-incitamento in tutti i nuovi contratti e il monitoraggio della loro rigorosa applicazione in ogni momento”. Tutto questo riguarda i primi due anni della Strategia per la Palestina 2021-2024 – “senza nessun ritardo sui pagamenti“, sottolineano i funzionari – mentre per quanto riguarda il budget 2023 gli impegni arriveranno entro fine anno. “Niente di strano”, come si evince anche osservando le date in cui sono arrivate le decisioni di implementazione per gli anni scorsi (nel mese di dicembre dell’anno corrente). Sul budget 2024 le fonti non si sbilanciano ancora.I fondi Ue alla Palestina tra il 2021 e il 2024Come emerge dalle tabelle della Strategia comune europea per la Palestina, nel periodo 2021-2024 sono previsti 1,17 miliardi di euro direttamente dal bilancio Ue (nel Quadro finanziario pluriennale che terminerà nel 2027, mentre devono ancora essere stabilite le assegnazioni per il secondo periodo 2025-2027) che dovrebbero servire come “ombrello strategico per i piani di programmazione e attuazione bilaterali” dei Paesi partecipanti. Vale a dire Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta, Repubblica Ceca, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera, oltre alla stessa Commissione Europea.I fondi servono a finanziare programmi in 13 aree operative, divise in 5 pilastri: democrazia, Stato di diritto e diritti umani, riforma della governance, consolidamento fiscale e politica, fornitura di servizi sostenibili, cambiamento climatico, accesso a servizi idrici ed energetici autosufficienti, e sviluppo economico sostenibile. Più nello specifico sono stati previsti da Bruxelles 25 milioni di euro per il primo pilastro (Stato di diritto), 222,5 per il secondo (governance), 248 per il terzo (servizi), 147 per il quarto (cambiamento climatico) e 133,5 per il quinto (sviluppo sostenibile), oltre a 353 milioni per i rifugiati e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa) e 48 milioni a Gerusalemme Est.I fondi del budget non sono aiuti umanitariIn questo quadro va tenuto però presente che fondi Ue per l’assistenza alla Palestina sono diversi dagli aiuti umanitari che l’Unione fornisce al popolo palestinese da decenni di crisi non risolta. È netta la distinzione tra sostegno umanitario e altre forme di supporto dal budget, dal momento in cui il primo non è mai veicolato da governi, ma solo da partner umanitari, agenzie Onu e Ong “sulla base dei principi di imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità”, precisa la Commissione Ue. Ecco perché gli aiuti umanitari – cibo, alloggi, acqua, assistenza medica – continueranno “fino a quando sarà necessario”, in altre parole fino a quando ci saranno partner sul campo che possono veicolarli alla popolazione palestinese.Per quanto riguarda l’importo in questo ambito, a sostegno di oltre 2,1 milioni di palestinesi in necessità nel 2023 erano inizialmente previsti 26,9 milioni di euro, ma dopo la crisi la cifra è salita a 103 milioni, riassume la pagina dedicata agli aiuti umanitari per la Palestina. A partire dal 7 ottobre sono stati immediatamente stanziati 28 milioni di euro in finanziamenti umanitari, seguiti da una nuova tranche da 50 milioni il 13 ottobre e altri 25 milioni il 6 novembre. Oltre l’80 per cento della popolazione della Striscia di Gaza dipende dagli aiuti “a causa delle restrizioni di accesso e delle ostilità, che ne hanno minato l’economia”. Complessivamente dal 2000 l’Ue ha fornito oltre 955 milioni di euro in assistenza umanitaria, di cui circa 26,5 milioni lo scorso anno (2,1 milioni come contributi esterni di Italia, Spagna, Finlandia e Francia).
    I servizi della Commissione Ue hanno ultimato l’analisi dei finanziamenti (già erogati) dalla Strategia comune europea per il periodo 2021-2024. Nessun ritardo sui pagamenti dovuti nei primi due anni, si prevede entro fine anno il via libera agli impegni per il budget 2023

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    Charles Michel è in Ucraina per i 10 anni da Euromaidan. In 3 settimane la decisione sui negoziati di adesione Ue

    Bruxelles – Sono passati 10 anni da quella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, da quella che è passata alla storia come Euromaidan, la prima vera scelta di campo del popolo ucraino ed espressione delle ambizioni europee del Paese ex-sovietico. Ma non si tratta solo di un anniversario. Perché oggi, 10 anni più tardi, le aspirazioni di Euromaidan si stanno concretizzando nel processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, con una tappa decisiva attesa fra poco più di tre settimane. È per questo che il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha deciso oggi (21 novembre) di recarsi nuovamente in visita a Kiev per ribadire il supporto di Bruxelles al cammino del Paese verso l’integrazione nell’Unione.A destra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Kiev (21 novembre 2023)“È bello essere di nuovo a Kiev, tra amici”, ha reso noto così il suo arrivo nella capitale ucraina. Parlando con la stampa al seguito, Michel ha messo in chiaro che lo scopo del suo viaggio è quello di riaffermare il “grande sostegno” dell’Ue all’Ucraina “in un giorno importante, 10 anni fa gli ucraini hanno scelto l’Europa e alcuni sono morti“. L’argomento centrale dei confronto a Kiev con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è proprio quello del percorso di avvicinamento all’Unione: “Incontrarsi di persona è molto importante per capire cosa è realistico e per far capire qual è la situazione da parte dell’Ue”. In altre parole, sostegno sì, ma bisogna anche gestire le aspettative sul Consiglio Europeo del 14-15 dicembre, quando i 27 capi di Stato e di governo dovranno decidere se seguire la raccomandazione della Commissione Ue di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina. “Il prossimo Consiglio Europeo sarà difficile, il rapporto della Commissione sull’allargamento non è bianco o nero, ha delle sfumature, e io stesso sono rimasto sorpreso per il rapporto ulteriore di marzo”, ha confessato Michel, parlando del seguito che l’esecutivo Ue ha promesso di fornire fra quattro mesi: “Lavoro per un Consiglio di successo, ma a volte il fallimento è parte del processo dell’Ue, non è un mistero che alcuni Paesi sono cauti sull’allargamento”La verità è che, dopo i relativamente pochi successi della controffensiva ucraina dall’inizio di quest’anno, la guerra ha raggiunto una situazione di stallo e i partner europei e statunitensi di Kiev sono preoccupati che l’esercito non sia in grado di portare a termine la riconquista di porzioni significative di territorio a sud e sud-est. Nel frattempo si è innestata anche la questione della guerra tra Israele e Hamas, che rischia di far deviare l’attenzione occidentale dall’invasione russa dell’Ucraina. “Sono molto attivo nel mantenere i rapporti con il Sud globale e questo è un lavoro molto utile anche per l’Ucraina”, ha assicurato Michel l’impegno di Bruxelles per non disperdere le forze con tutti i partner internazionali: “Dobbiamo confrontarci sulle sfide e le difficoltà del momento, per essere in sintonia“. Ecco perché nelle discussioni di oggi con Zelensky rientrano anche i temi “delle sanzioni, della situazione militare sul campo, del sostegno allo sforzo bellico e del possibile uso degli asset russi per la ricostruzione dell’Ucraina”, ha precisato il numero uno del Consiglio Ue.Dieci anni da EuromaidanLe proteste in piazza Maidan nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2023, Kiev (credits: Genya Savilov / Afp)Prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra Mosca e Kiev dieci anni fa è stata proprio la prospettiva europea dell’Ucraina. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 si verificarono nella capitale ucraina una serie di dure proteste a causa della decisione del governo di sospendere il processo di ratifica dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea. Quelle proteste – conosciute appunto come Euromaidan – portarono alla sollevazione popolare della stessa piazza l’anno seguente, con la messa in stato di accusa e la destituzione dell’allora presidente, Viktor Janukovyč (finito nell’agosto dello scorso anno nella lista Ue dei sanzionati per aver sostenuto i separatisti filo-russi nel minare la sovranità del Paese). A seguito di quegli eventi scoppiò la crisi in Crimea, con il primo intervento armato di Mosca su territorio ucraino a sostegno dei separatisti filo-russi. Era il febbraio 2014 e di lì a pochi mesi sarebbe scoppiata anche la guerra civile in Donbass che continua interrotta da allora. Ora è tutta l’Ucraina sotto l’attacco della potenza vicina, mentre la strada dell’adesione all’Ue sta continuando senza sosta.“Dieci anni di dignità, di orgoglio, di lotta per la libertà”, ricorda su X la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Le fredde notti invernali di Euromaidan hanno cambiato l’Europa per sempre” e oggi è “più chiaro che mai” che “il futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea, il futuro per cui Maidan ha lottato è finalmente iniziato“. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, assicura che “la rivoluzione di Maidan ha cambiato per sempre il futuro dell’Ucraina”. Dieci anni più tardi “in questo giorno di dignità e libertà, siamo orgogliosamente al fianco dell’Ucraina prossima ai negoziati di adesione all’Ue” e “per ogni missile lanciato dalla Russia, il nostro sostegno si rafforza”.Lo stravolgimento nel percorso dell’Ucraina verso l’Ue – pur sempre in salita – è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Nel pieno della guerra, il 28 febbraio 2022 il presidente Zelensky ha firmato la richiesta di adesione “immediata” all’Unione. Il 7 marzo gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere sulla domanda di adesione, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la numero uno della Commissione ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde alla concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, prima della decisione ufficiale arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione.Un anno e mezzo più tardi, secondo quanto emerge dal report specifico sull’Ucraina all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023, Kiev merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano fonti Ue). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report. Ora tutto dipende dall’esito delle discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo Ue, con la decisione ufficiale che arriverà fra poco più di tre settimane.
    Il ritorno del presidente del Consiglio Ue a Kiev coincide con l’anniversario della scelta di campo del popolo ucraino nel 2013. Che al prossimo vertice dei Ventisette di dicembre potrebbe arrivare a compimento con l’avvio delle discussioni formali per diventare Paese membro dell’Unione

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    “Un orrore non giustifica un altro orrore”. La visita in Israele e Palestina di Borrell per portare solidarietà e spingere la pace

    Bruxelles – Un viaggio in Israele e Palestina nel pieno della guerra tra Gerusalemme e Hamas nella Striscia di Gaza, per mettere in chiaro “le stesse cose” in entrambi i posti: “Un orrore non giustifica un altro orrore, l’attacco terroristico di Hamas ha cambiato il paradigma di una situazione fragile, ma ogni perdita di vita civile è deplorevole”. Si è presentato così l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nella sua doppia visita tra ieri e oggi (16-17 novembre) a Gerusalemme e Ramallah per spingere il messaggio dell’Ue di ricerca della pace quanto prima e di ricostruire la regione su basi nuove.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Stiamo assistendo a una tragedia, mi riferisco a ciò che sta succedendo a Gaza e in Israele”, ha messo in chiaro Borrell, aprendo oggi la conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh. Con oltre 11 mila vittime nella Striscia di Gaza per i bombardamenti israeliani e gli ospedali “al collasso”, secondo il capo della diplomazia Ue “Hamas ha attaccato anche la causa palestinese” il 7 ottobre. Se l’organizzazione definita terroristica dall’Unione “deve liberare immediatamente gli ostaggi” israeliani, allo stesso tempo “abbiamo anche sottolineato che il modo in cui Israele si difende è importante, perché deve rispettare le leggi umanitarie e il principio di proporzionalità“. Come spiegato ieri senza troppi giri di parole a Gerusalemme nel punto stampa con il presidente israeliano, Isaac Herzog, “gli amici di Israele sono quelli che vi chiedono di non commettere una tragedia”.Portando nella regione il messaggio condiviso dai Ventisette al Consiglio Affari Esteri di lunedì (13 novembre) di mettere in campo “pause umanitarie immediate, perché l’assistenza raggiunga i civili” della Striscia di Gaza, l’alto rappresentante Borrell a Gerusalemme si è detto “sconvolto dalla sofferenza umana del popolo israeliano, ma anche preoccupato per la sofferenza della popolazione di Gaza”. Nel “non farsi accecare dall’odio” per quanto accaduto il 7 ottobre nei kibbutz, la richiesta è quella di “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili”. Ma senza nascondere il mea culpa che coinvolge tutta la comunità internazionale: “È stato un fallimento politico e morale, e includo anche l’Unione Europea, perché non abbiamo preso abbastanza in considerazione la pace tra Palestina e Israele”. Ma come ricordato a Ramallah, “ora questi tragici eventi hanno portato la questione palestinese fuori dal limbo” ed è necessario uno sforzo da tutte le parti per raggiungere la pace e la stabilità futura.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente di Israele, Isaac Herzog, a Gerusalemme il 16 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Solo una soluzione politica può mettere fine a questo interminabile ciclo di violenza” che, nonostante stia passando sotto silenzio di fronte alla tragedia di Gaza, riguarda anche la Cisgiordania sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). L’alto rappresentante Borrell non ha taciuto “l’aumento del terrorismo dei coloni” israeliani post-attacco di Hamas: “Da inizio anno 421 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, ma dal 7 ottobre sono stati 202, cioè in un mese lo stesso numero dei dieci mesi precedenti”. Di fronte a una situazione di “occupazione illegale” del territorio palestinese, il capo della diplomazia Ue ha chiesto “a livello più alto possibile a Israele di affrontare la questione, per evitare il rischio di scoppio delle ostilità anche in Cisgiordania”.Il piano Ue per la Palestina post-guerraLo scopo della visita in Israele e Palestina – che continuerà nei prossimi giorni in Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania – è stata però anche l’occasione per iniziare a far sentire la presenza diplomatica europea, dopo un mese di polemiche e divisioni sul messaggio veicolato dai leader delle rispettive istituzioni (e anche all’interno delle stesse istituzioni). “La questione palestinese non può rimanere irrisolta“, ha messo in chiaro oggi Borrell di fronte al premier Shtayyeh, parlando della soluzione a due Stati “che è rimasta dimenticata per troppo tempo, è arrivato il momento per definire i passi concreti per implementarla”.La proposta di piano dell’Unione Europea – ancora in fase di definizione – portata nella regione è quella concordata a inizio settimana dai 27 ministri Ue degli Esteri. Si tratta di quello “schema mentale” presentato dall’alto rappresentante Borrell che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”. Per quanto riguarda i tre ‘no’, si parte dal fatto che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese“. E le stesse condizioni sono state ribadite anche a Gerusalemme.I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione per una pace strutturale e stabile. “A Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ma questa volta a Ramallah – a differenza di lunedì – Borrell ha fatto esplicitamente riferimento all’Autorità Nazionale Palestinese: “Avete la capacità di continuare questo lavoro, vi supporteremo”. La soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario e politico. E infine servirà “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“. Dopo la definizione delle sei condizioni del piano per il post-guerra, l’alto rappresentante Borrell ha incassato un primo successo, il “pieno sostegno” del governo palestinese. Tutto tace invece sul fronte israeliano.
    L’alto rappresentante Ue ha esortato Gerusalemme a “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili” a Gaza e a garantire “pause umanitarie immediate”. Presentato a Ramallah il piano dell’Unione per il post-guerra con “pieno supporto” dall’Autorità Nazionale Palestinese

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    Il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia è nelle mani dei Ventisette

    Bruxelles – Lista ‘nera’ aggiornata, inasprimento del tetto al prezzo del petrolio russo e nuovi divieti di import ed export. Il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina è nelle mani da ieri delle Capitali Ue, che nelle prossime ore cercheranno di raggiungere un accordo a Ventisette (come richiedono le questioni di politica estera e in particolare le misure restrittive).A confermarlo in una nota è l’alto Rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, spiegando di aver presentato ieri sera “insieme alla Commissione europea una proposta per il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina”. Pochi i dettagli sul contenuto del pacchetto, ma la nota del Seae (Servizio europeo per l’azione esterna) spiega che Borrell e Palazzo Berlaymont hanno proposto di sanzionare oltre 120 ulteriori persone ed entità per il loro ruolo nel indebolire la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina.Nel pacchetto viene proposto di adottare nuovi divieti di importazione ed esportazione (tra cui dovrebbero esserci anche i diamanti russi, dopo la concessione del Belgio), nonché azioni per inasprire il tetto del prezzo del petrolio e contrastare l’elusione delle sanzioni dell’Ue. Le proposte di inserimento nell’elenco includono attori del settore militare, della difesa e dell’IT russo, nonché altri importanti operatori economici. Le proposte mirano a rafforzare il quadro sanzionatorio nel suo complesso. Per il via libera al nuovo regime di sanzioni è necessaria l’unanimità in seno al Consiglio. Borrell aveva annunciato l’intenzione di presentare il pacchetto lo scorso lunedì, al termine del Consiglio Ue Affari Esteri.A inizio novembre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva annunciato che la proposta sarebbe stata avanzata già venerdì scorso agli ambasciatori dei 27 Stati membri dell’Ue. 
    Lista ‘nera’ aggiornata, inasprimento del tetto al prezzo del petrolio russo e nuovi divieti di import ed export. Il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina è nelle mani da ieri delle Capitali Ue, che nelle prossime ore cercheranno di raggiungere un accordo a Ventisette (come richiedono le questioni di politica estera e in particolare le misure restrittive)

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    Il Regno Unito torna in Horizon Europe e Copernicus. Arriva il via libera dagli Stati Ue

    Bruxelles – Il Regno Unito torna in Ue, almeno per quanto riguarda ricerca, innovazione e osservazione satellitare della Terra. Gli Stati membri Ue hanno dato oggi (15 novembre) il via libera alla partecipazione del Regno Unito ai programmi europei di ricerca ‘Horizon Europe’ e ‘Copernicus’, approvando l’accordo di principio raggiunto tra la Commissione e il governo britannico guidato da Rishi Sunak lo scorso 7 settembre.Dal primo gennaio, i ricercatori e le organizzazioni del Regno Unito potranno partecipare al programma di ricerca e innovazione dell’Ue Horizon Europe alle stesse condizioni dei loro omologhi negli Stati membri dell’Ue, così come Londra parteciperà inoltre al programma di osservazione della Terra dell’Ue Copernicus e avrà accesso ai servizi di sorveglianza e tracciamento spaziale dell’Unione europea.Ricerca e innovazione e osservazione satellitare – con tutte le implicazioni sul piano della lotta alle conseguenze dei cambiamenti climatici e alle ambizioni di transizione energetica – hanno permesso di superare i dissapori degli ultimi due anni e mezzo a proposito dell’implementazione dell’Accordo di commercio e cooperazione, aprendo uno spiraglio per altri ripensamenti (come per esempio il programma di mobilità studentesca Erasmus+).La partecipazione del Regno Unito sarà soggetta a tutte le garanzie previste dall’accordo commerciale e di cooperazione Ue-Regno Unito, compreso il pagamento di una quota di partecipazione al bilancio dell’Ue. La Commissione europea ha stimato che il contributo finanziario di Londra per la partecipazione a Horizon Europe e a Copernicus è pari a 2,6 miliardi di euro all’anno (circa 2,2 miliardi di sterline ogni 12 mesi). Il disco verde concordato oggi dai ministri degli Affari Europei riuniti a Bruxelles al Consiglio Ue Affari Generali consentirà nelle prossime settimane all’Ue di formalizzare l’accordo di principio raggiunto con il Regno Unito adottando una decisione nell’ambito del comitato specializzato Ue-Regno Unito sulla partecipazione ai programmi dell’Unione. Si prevede che il comitato, istituito nell’ambito dell’accordo sul commercio e sulla cooperazione, adotti la decisione entro la fine dell’anno, così che Londra possa aderire.
    Gli Stati membri Ue hanno dato oggi (15 novembre) il via libera alla partecipazione del Regno Unito ai programmi europei di ricerca ‘Horizon Europe’ e ‘Copernicus’, approvando l’accordo di principio raggiunto tra la Commissione e il governo britannico guidato da Rishi Sunak lo scorso 7 settembre

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    E’ corsa per gli armamenti, da Ue ed Eda impegno per la base industriale della difesa

    Bruxelles – Avanti con l’industria della difesa, come non mai, più che mai. I ministri della Difesa dei 27 rilanciano l’industria militare, e lo fanno con un documento congiunto al consiglio direttivo dell’Agenzia europea per la difesa (EDA) che pone l’accento sul potenziamento della base industriale e tecnologica di difesa europea. “La capacità dell’Ue di contribuire alla sicurezza europea e internazionale dipende dalla forza, dalla competitività e dalla resilienza della base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB)“, recita il preambolo del documento programmatico di quattro pagine.Qui si sottolinea come la base industriale “svolge un ruolo unico nel sostenere l’efficacia operativa delle forze armate europee e nel consentire all’Ue di fornire sostegno sia letale che non letale a partner come l’Ucraina quando necessario”. Alla luce della guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina, dunque, emerge la necessità tutta nuova di rilanciare un comparto considerato sempre più strategico e non sviluppato a sufficienza.Se l‘Ue è in ritardo nella fornitura di munizioni all’esercito ucraino è perché la capacità produttiva non basta alle rinnovate esigenza. “Fin qui più di 300mila munizioni sono state consegnate”, sottolinea l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. “Arrivano dagli stock [nazionali] e dal riorientamento di esportazioni”. Gli Stati stanno rimanendo senza munizioni, e la produzione non serve né ricostituire le riserve nazionali né a rispondere alle esigenze strategiche. Borrell quindi chiede di far attendere altri partner. “L’Ue esporta molto verso Paesi terzi” in termini di munizioni e materiale militare, e data la situazione “invito i governi a vendere meno ai Paesi terzi e dare priorità all’Ucraina“.Il tema è affrontato nel documento Eda-Ue. Il paragrafo numero 4 stabilisce in modo inequivocabile come “la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ha dimostrato che capacità di produzione e linee di rifornimento reattive e resilienti sono fondamentali per ricostituire le scorte di armamenti degli Stati membri e sostenere i partner dell’UE impegnati in operazioni ad alta intensità di autodifesa”. Avanti dunque, su ogni fronte.Il documento congiunto Ue-Eda accompagna l’approvazione delle Priorità di sviluppo delle capacità di difesa. Si tratta di un ampio programma di sviluppo dei programmi operativi “entro l’Ue e oltre” l’Ue, quindi anche di cooperazione e collaborazione con la Nato. E’ convinzione dei ministri della Difesa dei Ventisette “i persistenti sotto-investimenti e l’insufficiente cooperazione europea hanno creato sostanziali lacune nelle capacità di difesa”. Da qui la necessità di stabilire una tabella di marcia per l’immediato futuro.Impegno di precisione a terra, difesa aerea e missilistica integrata, Guerra subacquea/dei fondali marini, logistica, addestramento militare: questi i cinque ambiti militari su cui si pone l’accento. In termini di sviluppo industriale e di spesa. “E’ il momento di tradurre queste priorità in progetti concreti di cooperazione in materia di difesa per garantire forze armate europee più resilienti, agili e robuste, pronte ad affrontare le minacce presenti e future”, scandisce Borrell. L’Ue avverte Mosca. E non solo.
    La riunione dei minsitri responsabili produce anche un piano per le priorità di investimento, finanziario, di impresa e militare. Borrell: “L’export militare ai Paesi terzi sia dirottato per dare priorità all’Ucraina”

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    Prove d’intesa Ue-Balcani Occidentali su politica estera e sicurezza. Sul tavolo di Bruxelles un ‘non-paper’ in 14 punti

    Bruxelles – Dopo le manifestazioni d’intenti generali, iniziano le discussioni politiche per stringere concretamente i rapporti tra i Ventisette e i sei Paesi balcanici in campi specifici, anche prima della loro adesione formale all’Unione Europea. È stato questo il senso della riunione ministeriale Ue-Balcani Occidentali svoltasi ieri sera (13 novembre) sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha visto sul tavolo delle discussioni un documento non ufficiale – non paper in gergo – portato da 7 Stati membri più aperturisti per l’integrazione immediata dei partner per quanto riguarda la politica estera e la sicurezza comuni.Non è un caso se il vertice ministeriale Ue-Balcani Occidentali si è svolto appena dopo il Consiglio Affari Esteri in cui sono state trattate le questioni della guerra in Medio Oriente, in Ucraina e nel Caucaso Meridionale. “La discussione si è concentrata sulle sfide comuni in materia di sicurezza, sullo sfondo delle persistenti minacce alla sicurezza globale e regionale“, ha reso noto l’alto rappresentante Borrell al termine dell’incontro con i ministri degli Esteri dei Sei balcanici (e di quelli Ue intrattenutisi oltre la giornata di confronto tra i Ventisette). L’iniziativa è stata inaugurata nel maggio 2021 dallo stesso Borrell rilanciando la tradizione delle ‘cene informali’ con i leader dei Balcani Occidentali ma, dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina e l’intensificarsi delle discussioni per finalizzare il processo di allargamento Ue, è diventato sempre più urgente per Bruxelles contare su “partner affidabili nella politica estera, di sicurezza e di difesa, anche per quanto riguarda l’allineamento alle decisioni dell’Ue“. Un richiamo implicito non a tutti i Paesi che si trovano sul cammino europeo – visto che quattro su sei hanno lanciato l’iniziativa ‘Western Balkan Quad’ per l’allineamento completo – ma piuttosto a Serbia e Bosnia ed Erzegovina che, per motivi differenti, non hanno ancora adottato le sanzioni internazionali contro la Russia.Un primo incontro per uno scambio di vedute “sulle sfide della regione e sul suo futuro europeo” dopo che la politica di allargamento Ue nella regione ha conosciuto negli ultimi mesi “un nuovo slancio” e soprattutto a pochi giorni dalla presentazione dell’ultimo Pacchetto Allargamento Ue. Per Bruxelles è diventata una priorità fornire “un forte sostegno politico, tecnico e finanziario” a tutti i candidati – con negoziati di adesione già avviati (Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia) o meno (Bosnia ed Erzegovina) – e potenziali tali (Kosovo), “per portare avanti le principali riforme politiche, istituzionali, sociali ed economiche”. L’alto rappresentante Borrell ha fatto anche riferimento al nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato mercoledì scorso (8 novembre) che coniugherà riforme e investimenti sullo stile del Next Generation Eu: “Accelererà significativamente la velocità del processo di allargamento e la crescita delle loro economie“.Il non-paper Ue-Balcani OccidentaliUn tentativo di stringere i rapporti con le sei capitali balcaniche sul fronte della politica estera e di sicurezza è arrivato da sette Paesi membri riuniti nel gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’ – Italia, Austria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia – attraverso un non paper presentato ieri sera dal ministro austriaco. Come spiegano fonti diplomatiche a Bruxelles, si tratta di un’agenda in 14 punti che si connette al Piano di crescita per i Balcani Occidentali e nella visione dell’integrazione “graduale e accelerata” in campi specifici dei Paesi sul percorso dell’allargamento Ue. “Invitiamo le istituzioni Ue a presentare un’agenda chiara per un’integrazione graduale e accelerata con fasi di attuazione concrete fino al 2024 e oltre, basata su una condizionalità equa e rigorosa e sul principio dei meriti propri”, si legge nel documento visionato da Eunews. Il punto di partenza dalla politica estera e di sicurezza è motivato dal fatto che la regione balcanica “è esposta a fattori destabilizzanti”, tra cui vengono citate disinformazione, migrazione, minacce ibride e influenza “maligna” di terzi. Ecco perché “una cooperazione rafforzata ci renderebbe più efficaci nel contrastare la Russia e altre narrazioni dannose”, mentre “un dialogo rafforzato può approfondire la comprensione” delle posizioni reciproche.Questo stringere i legami si dovrebbe basare su 14 punti definiti dal non paper dei 7 Paesi membri, a partire dall’invito ai partner balcanici a partecipare al Consiglio Affari Esteri “almeno una volta al semestre”, per “scambi informali su temi di interesse comune” (e allo stesso modo degli ambasciatori alle riunioni informali). Si dovrà spingere su visite “più regolari e coordinate” nei Balcani Occidentali, scambi di esperti sui diritti umani, formazione di giovani diplomatici e funzionari pubblici “per familiarizzare con la diplomazia e le istituzioni Ue”, ma soprattutto su “linee di condotta Ue su misura in vista delle riunioni con i Paesi terzi“. Sul piano della sicurezza vengono chieste simulazioni congiunte sui punti deboli dei sistemi di infrastrutture critiche, visite all’Agenzia Ue per la Cybersecurity (Enisa) per “promuovere il pieno allineamento” con la legislazione comunitaria e consultazioni “prima dei prossimi cicli di negoziati” sulla Convenzione Onu sulla criminalità informatica. Infine materia di difesa serviranno “ulteriori misure di assistenza nell’ambito del Fondo europeo per la pace” (come per esempio lo stoccaggio sicuro di armi e munizioni in Montenegro) e il sostengo alle capacità dei Balcani Occidentali attraverso “corsi su misura” dell’Accademia europea di sicurezza e difesa (Esdc).Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha ospitato la riunione ministeriale con i 6 ministri degli Esteri balcanici, in cui è stata presentata la proposta del gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali’ (tra cui compare l’Italia) per regolarizzare gli incontri con il Consiglio dell’Ue su base semestrale