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    L’UE minaccia la Russia in caso di aggressione dell’Ucraina: “Avrà conseguenze politiche e un costo economico pesante”

    Strasburgo – L’Unione Europea non abbassa la guardia sull’aggressione russa lungo il confine orientale dell’Ucraina e difende senza mezzi termini l’indipendenza e la sovranità di Kiev. “Mosca vuole creare una guerra ibrida in tutto il mondo, soprattutto sulla frontiera ucraina, ma noi siamo uniti nel sostenere che ogni aggressione avrà conseguenze politiche e un costo economico pesante per la Russia“, ha annunciato in conferenza stampa l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri, Josep Borrell.
    Al termine del Consiglio Affari esteri di oggi (lunedì 13 dicembre), l’alto rappresentante UE ha spiegato che Bruxelles sta puntando su “un’azione coordinata con gli Stati Uniti nei confronti della Russia” e che “la questione sarà discussa approfonditamente nel corso di questa settimana”, prima durante il vertice del Partenariato orientale di mercoledì (15 dicembre) e poi al Consiglio Europeo del giorno successivo. “Dobbiamo augurarci il meglio, ma preparandoci al peggio”, ha aggiunto Borrell. In altre parole “stiamo adottando un atteggiamento di dissuasione per evitare qualsiasi azione militare russa“, dal momento in cui “appena inizia sarebbe difficile da fermare”.
    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, con il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio (13 dicembre 2021)
    Una delle azioni dissuasive a cui si riferisce l’alto rappresentante Borrell sono le sanzioni economiche. Proprio questa mattina il Consiglio dell’UE ha adottato una serie di misure restrittive contro il gruppo Wagner, entità militare privata non registrata con sede in Russia, e contro otto individui e tre entità collegati al gruppo di mercenari. Nelle motivazioni delle sanzioni, i ministri europei degli Affari esteri hanno sottolineato che “Wagner ha reclutato, addestrato e inviato operatori militari privati in zone di conflitto in tutto il mondo”, dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina alla Repubblica Centrafricana, “per alimentare la violenza, saccheggiare risorse naturali e intimidire i civili in violazione del diritto internazionale”.
    Gli individui colpiti dalle sanzioni (tutti i mercenari della compagnia russa) sono coinvolti in “gravi abusi dei diritti umani, tra cui tortura, esecuzioni e uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, o in attività destabilizzanti”, specifica la nota del Consiglio. Nei loro confronti l’Unione Europea ha imposto il congelamento dei beni e il divieto di viaggio sul territorio comunitario, mentre a entità e cittadini europei sarà proibito mettere fondi a loro disposizione. “Si tratta di intraprendere azioni concrete contro coloro che minacciano la pace e la sicurezza internazionale”, con l’obiettivo di difendere gli interessi dell’UE negli scenari geopolitici più prossimi, dove si stanno creando tensioni crescenti con la Russia.
    Il dibattito sulla Russia al Parlamento UE
    “Le relazioni tra Unione Europea e la Russia sono arrivate oggi al punto più basso e l’attuale crisi al confine orientale con l’Ucraina non fa ben sperare”, è stato il commento del presidente del Parlamento UE, David Sassoli. Aprendo il dibattito sull’eredità della dissoluzione dell’Unione Sovietica (cadono quest’anno i 30 anni dalla dissoluzione dell’URSS) sulla Russia attuale, Sassoli ha sottolineato che “non possiamo rinunciare ai valori europei né nei Paesi ex-sovietici che sono entrati nell’Unione, né in quelli confinanti”, inclusa la Russia: “Sosteniamo il popolo russo nel desiderio di trasformare il proprio Stato, prendendosi cura delle istituzioni democratiche”.
    Il presidente del Parlamento UE, David Sassoli (13 dicembre 2021)
    C’è pieno allineamento tra i gruppi politici al Parlamento UE nel denunciare il “sistema repressivo sovietico che è rimasto nascosto ma sempre vivo in tutti questi anni in Russia”, usando le parole dell’eurodeputato tedesco Sergey Lagodinsky (Verdi/ALE). Anche per l’Eurocamera si tratta di una settimana cruciale sul piano dei rapporti con Mosca, considerato il dibattito di domani (martedì 14 dicembre) sulla situazione al confine orientale dell’Ucraina e in Crimea, oltre alla cerimonia di assegnazione del Premio Sakharov per la libertà di pensiero all’oppositore russo Alexei Navalny mercoledì.
    “Putin cerca di intimidire noi e il suo popolo, ma dobbiamo seguire l’esempio di Navalny e non avere paura”, ha esortato Rasa Juknevičienė (PPE). Dalle fila di Renew Europe, l’eurodeputato francese Bernard Guetta ha definito “sconcertante e inammissibile” l’opposizione del presidente russo ai movimenti che cercano di ripristinare la memoria delle vittime del regime sovietico (altro tema di cui si discuterà in plenaria, nel corso della mattinata di giovedì).
    Mentre dalla fine dell’URSS “l’Europa si è potuta unire sotto la bandiera della libertà”, oggi il Cremlino “continua a rivendicare che il crollo è stato un grande errore”, ha denunciato Juozas Olekas (S&D). Al contrario, “è stato il segno che la repressione non può calpestare i diritti umani”, ha aggiunto l’eurodeputato lituano, ricordando la necessità di “supportare i cittadini russi”. Anna Fotyga (ECR) ha puntato il dito contro Putin per “difendere il dittatore bielorusso, Alexander Lukashenko“, e per “minacciare la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina”, mentre Martin Schirdewan (La Sinistra) ha chiesto a entrambe le parti – Bruxelles e Mosca – una “nuova politica di distensione dei rapporti”.

    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, ha annunciato “azioni coordinate con gli Stati Uniti”, e sanzioni contro il gruppo di mercenari Wagner. Intanto l’Eurocamera sostiene le “aspirazioni democratiche” del popolo russo

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    Finanziamenti e tecnologie per il clima, riprende il dialogo UE-USA per preparare la COP27 di Sharm El-Sheikh

    Bruxelles – Finanziamenti, tecnologie e partership per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione energetica. La COP26 di Glasgow si è chiusa da neanche un mese e Unione Europea e Stati Uniti sono già alle prese con i lavori per arrivare preparati alla prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite di Sharm el-Sheikh (Egitto), in programma dal 7 al 18 novembre 2022. A questo scopo ieri (9 dicembre) l’inviato speciale per il clima degli USA, John Kerry, ha raggiunto a Bruxelles il vice presidente per il Green Deal della Commissione europea, Frans Timmermans, per la riunione del gruppo di azione per il clima ad alto livello UE-USA.
    John Kerry accolto da Ursula von der Leyen
    “C’è molto da fare e ora possiamo iniziare a costruire la nostra narrativa e le nostre azioni, e tutto ciò che dobbiamo fare per prepararci bene per Sharm El Sheikh, dove sono sicuro che gli Stati Uniti e l’Unione Europea lavoreranno di nuovo a stretto contatto per renderla una COP con un anche un finale di successo”, ha detto Timmermans in un punto stampa. “Mappare l’attuazione degli obiettivi raggiunti a Glasgow è il motivo per cui sono qui”, ha precisato Kerry.
    Prosegue lo sforzo congiunto per fare pressione alle più grandi economie al mondo “per aumentare il passo e costruire i loro sforzi per essere conformi con l’obiettivo” di circoscrivere l’aumento della temperatura “di 1,5 gradi: siamo usciti da Glasgow con il 65 per cento dell’attività economica globale impegnata a pianificare come raggiungere l’1,5 gradi”, ha ricordato Kerry. “Ma dobbiamo lavorare con altri Paesi per i quali più difficile” la transizione e per questo “Bruxelles e Washington hanno una magnifica opportunità di cooperare insieme per mettere sul tavolo finanziamenti, tecnologie e partnership per raggiungere questi obiettivi”. Meno di un decennio di tempo per realizzarli. “Frans ed io siamo impegnati a mettere in campo finanziamenti e tecnologie per i Paesi che non li hanno e fare ogni sforzo possibile per raggiungere gli obiettivi stabiliti a Glasgow e costruire una partnership ancora più forte”, ha concluso Kerry.

    L’inviato speciale per il clima John Kerry a Bruxelles per incontrare Frans Timmermans al Gruppo di azione per il clima ad alto livello UE-USA. “Sosterremo i Paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione verde”

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    Usa e Russia un vertice “distante”. Sulla crisi ucraina Biden e Putin restano divisi ma il dialogo è aperto

    Roma – Nessun passo in avanti tra Joe Biden e Vladimir Putin anche se il dialogo resta aperto. Il presidente americano conferma le minacce di sanzioni durissime in caso di superamento dei confini dell’Ucraina. Il presidente della federazione Russa insiste nella richiesta di tenere lontana Kiev dalla NATO.
    Due ore davanti agli schermi ai due leader sono bastate per sciogliere il gelo ma non per trovare soluzioni alla tensione salita in Europa orientale con le truppe del Cremlino concentrate a migliaia ai confini con il Paese “cuscinetto”. Come era accaduto alla vigilia Biden ha poi avuto un secondo colloquio con gli alleati europei Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna e giovedì parlerà con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
    “Nessuna concessione, il Presidente è stato diretto e chiaro” ha detto Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale al termine del vertice, ribadendo “serie conseguenze” se la Russia deciderà di muoversi oltre confine. Il rafforzamento delle sanzioni era definito in precedenza e prevede una stretta economica pesante, dall’esclusione delle banche russe dai circuiti del sistema finanziario internazionale, alle limitazioni nel settore energetico, oltre che una serie di restrizioni alla libera circolazione di manager e oligarchi.
    Da Mosca Putin ha replicato che “i soldati russi sono sul loro territorio e non stanno minacciando nessuno”, al contrario “è la NATO che sta facendo pericolosi tentativi di conquistare il territorio ucraino e sta aumentando il suo potenziale militare ai nostri confini”. L’accusa lanciata al governo di Kiev e di voler smantellare gli accordi di Minsk con le continue provocazioni adottate verso la comunità russofona del Donbass, nel sud-est della repubblica ucraina.
    Le posizioni restano dunque distanti e solo una timida apertura, “una buona discussione” secondo la fonte del Cremlino, si è registrata sulla questione iraniana, che fa sperare positivamente nel riavvio del negoziato del trattato sul nucleare annunciato la scorsa settimana.
    Nonostante le minacce, condivise dagli alleati europei, la Casa Bianca punta all’azione diplomatica e il recupero degli accordi di Minsk. “I due presidenti – si legge nella nota diffusa da Washington – hanno incaricato i loro team di approfondire e gli Usa lo faranno in stretto coordinamento con gli alleati e partner”.
    Da Bruxelles prima del vertice, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, aveva assicurato il sostegno dell’UE che nei confronti della Russia “risponderà in modo appropriato in caso di una nuova aggressione, di violazioni del diritto internazionale e di qualsiasi altra azione dolosa intrapresa contro di noi o i nostri vicini, inclusa l’Ucraina”.

    I due leader non cambiano posizione con gli Stati Uniti che minacciano sanzioni dure in caso di invasione e il Cremlino che chiede assicurazioni sulla necessità di allontanare i suoi confini dalla NATO. Dopo il vertice nuovo colloquio del presidente americano con gli alleati europei

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    L’UE ammonisce Pristina sull’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo: “È nell’accordo con Belgrado, va attuata”

    Bruxelles – Basta scavare un po’ e sotto i sorrisi e le parole d’incoraggiamento dei mediatori dell’Unione al “futuro europeo del Kosovo” si possono intuire i punti di frizione tra l’UE e la parte kosovara per quanto riguarda il dialogo di normalizzazione dei rapporti con la Serbia. È bastato il botta e risposta tra il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, durante la conferenza stampa post-Consiglio di di associazione e stabilizzazione di oggi (martedì 7 dicembre) a mettere in luce che tra Bruxelles e Pristina corre sì buon sangue, ma non è necessariamente un amore incondizionato.
    Il cuore del problema riguarda il rispetto di una parte dell’accordo del 2013 del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’UE, quello relativo alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia. “Focalizzare l’attenzione solo su una parte di accordo non implementato a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale del Kosovo è fare gli interessi dei politici di Belgrado, non del popolo che non ha mai protestato”, ha commentato sibillino il premier Kurti. “È ora di trovare un’intesa che guardi al benessere delle persone, più che della politica”, ha aggiunto.
    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (7 dicembre 2021)
    Senza filtri la replica di Borrell: “Sono un democratico e non servo nessun politico, voglio che tutte le parti riconoscano l’importanza di rispettare gli impegni presi”. Per l’alto rappresentante UE, “non è vero che la sentenza rende impossibile l’attuazione di questa parte dell’accordo” e perciò da Bruxelles continuerà ad arrivare la richiesta a Pristina di “implementarla, così come tutto il resto del documento”. La questione rimane delicata e si interseca con dinamiche regionali che nelle ultime settimane sono riemerse con forza. Già a settembre, in un’intervista per il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, aveva bollato l’Associazione delle municipalità serbe come “una fase preliminare della creazione di una seconda Republika Srpska e noi non vogliamo un altro Stato che non funziona, come quello bosniaco“. Dopo le recenti dichiarazioni secessioniste del membro serbo-bosniaco della Presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik, la percezione di questa parte dell’accordo del 2013 a Pristina non può essere certo cambiata.
    La questione della normalizzazione dei rapporti con Belgrado è stato uno dei temi centrali del quarto Consiglio di associazione e stabilizzazione UE-Kosovo, ma i progressi sembrano essere stati pochi rispetto ai due incontri fallimentari di quest’estate con Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. Ai giornalisti che hanno chiesto se ci sarà un nuovo round di alto livello prima della fine dell’anno, Borrell ha fatto capire senza troppi giri di parole che sarà quasi impossibile: “La precondizione è che entrambe le parti siano disposte a raggiungere un risultato tangibile e per il momento non sussiste“. L’alto rappresentante UE ha spiegato che “è inutile incontrarci, se in partenza non c’è l’intenzione di trovare un compromesso”, anche se “l’anno non è ancora finito e faremo tutto il possibile”.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi (7 dicembre 2021)
    In ogni caso, l’UE non spegne la luce del dialogo, anzi: “Lo status quo attuale non è sostenibile né per la Serbia né per il Kosovo, e anche per questo motivo bisogna impegnarsi per rafforzare gli accordi raggiunti in passato”, ha ribadito il concetto Borrell. Bruxelles rimane impegnata “nell’abbattere le barriere e avvicinare la regione all’Unione Europea”, ma “non possiamo fare il lavoro al posto vostro”, ha aggiunto. Di qui la necessità di “focalizzarsi anche sullo Stato di diritto, le riforme economiche e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata”, oltre che sulla “preparazione tecnica dei progetti per il Piano economico e di investimenti dell’Unione“, ha ricordato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. “Per dare senso alla costruzione di infrastrutture comuni è poi necessario un Mercato regionale, di cui il Kosovo deve fare parte”, è stata l’esortazione del commissario UE.
    Prendendo nuovamente parola, il premier kosovaro ha lodato il progetto dell’Unione Europea come “il più pacifico e di sviluppo dalla fine della seconda guerra mondiale e per questo ne vogliamo fare parte come Paese democratico”. Kurti ha promesso che “non appena arriverà la chiamata dei mediatori europei, mi recherò a Bruxelles“, ricordando che comunque i colloqui con Belgrado “stanno continuando per implementare l’accordo sulle targhe dopo gli sforzi diplomatici di Bruxelles“. Che però, oltre le parole, il rapporto tra Kosovo e Unione Europea non sia solo idillio, lo ha confermato l’ultima nota polemica di Kurti, in linea con quanto già espresso in occasione del vertice UE-Balcani Occidentali di ottobre: “Sono passati tre anni, quattro mesi e tre settimane da quando la Commissione ha confermato che soddisfiamo tutte le condizioni per la liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, ma niente si è mosso”. Il premier ha avvertito che “il popolo continua ad aspettare, ma la fiducia si rafforza solo con risultati tangibili legati ai progressi”.

    Nel quarto incontro del Consiglio di associazione e stabilizzazione UE-Kosovo l’alto rappresentante Borrell ha esortato il premier Kurti a rispettare “integralmente” tutte le parti dell’intesa siglata nel 2013

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    Ucraina al centro del vertice Biden-Putin. L’Europa convitato di pietra

    Roma – Il fronte caldo dell’Europa orientale preoccupa gli Stati e l’ultima emergenza migratoria al confine con la Bielorussia ne è solo un aspetto. Rilevante ma che comprende una questione più ampia che coinvolge l’Ucraina e i Paesi dell’ex influenza sovietica ora nell’UE.
    Nodi che saranno al centro del summit virtuale tra Joe Biden e Vladimir Putin fissato per oggi. Un vertice che riguarda soprattutto l’Europa e a dimostrazione di ciò ieri sera il presidente americano ha chiamato al telefono per un confronto allargato Mario Draghi, Emmanuel Macron, Angela Merkel e Boris Johnson.
    “I leader hanno condiviso la preoccupazione per l’incremento del dispositivo militare russo ai confini con l’Ucraina, concordando sull’esigenza che quest’ultima si adoperi per una distensione – riferisce Palazzo Chigi –  ribadendo che la diplomazia resta l’unica via per risolvere il conflitto nel Donbass dando attuazione agli Accordi di Minsk”.
    Scongiurare dunque l’attacco a Kiev, su cui il dipartimento di Stato americano insieme alla CIA da giorni lancia l’allarme per il concentrarsi di truppe al confine. Da parte di Mosca si rispedisce la palla nel campo opposto, addebitando l’escalation delle tensioni a Washington e ribadendo la richiesta di tenere lontana l’Ucraina dall’influenza NATO. “La Russia non attaccherà nessuno ma abbiamo le nostre preoccupazioni e le nostre linee rosse” ha detto il portavoce Dmitri Peskov ed è questo il primo punto che Putin sottoporrà a Biden nel vertice a distanza, in cui Bruxelles è per forza di cose il convitato di pietra.
    Europa che su questo delicato crinale non ha una posizione granitica e finora non è andata oltre la condanna dell’ingerenza del Cremlino con la conferma delle sanzioni. Queste, secondo l’amministrazione americana, potrebbero diventare ancora più pesanti, al livello più elevato come l’isolamento del sistema bancario russo o le misure di restrizione contro gli oligarchi. La Nato finora è stata allertata e gli Usa hanno già assicurato agli alleati un supporto ulteriore, qualora le truppe della federazione Russa varcassero i confini ucraini.
    La voce grossa avrebbe tuttavia come paradosso l’intenzione di stemperare la tensione in Europa e Biden avrebbe chiesto agli alleati proprio un’azione distensiva, specialmente nei confronti dei Paesi baltici da parte dei quali gli americani temono reazioni azzardate. La difesa dello status quo e il contenimento dell’escalation militare, avrebbe l’obiettivo di evitare le ritorsioni russe in campo energetico che come effetto immediato farebbe emergere una spaccatura tra i Paesi europei. L’altro strumento di pressione è stato già messo in campo da Mosca con il via libera indiretto dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia, e che ha riproposto ai piani alti di Bruxelles il tema irrisolto dei suoi confini, dei rifugiati e dell’applicazione dei principi di solidarietà e integrazione.
    Un vertice “schermato”, non solamente dal punto di vista tecnologico, quello tra Biden e Putin, che avrà come tema centrale l’Ucraina ma si porta dietro molti altri nodi che investono direttamente l’Europa, il suo ruolo internazionale, il progetto di difesa compatibile con la NATO, le sue relazioni economiche. Nodi che forse dovrebbero far scattare qualche urgenza nel dare concretezza a una politica estera comune.

    Il summit a distanza in formato virtuale affronta la crisi alle porte dell’UE e l’escalation militare verso Kiev da parte delle truppe russe. E per concordare un’azione distensiva ieri il presidente americano ha parlato al telefono con i leader europei Draghi, Macron, Merkel e Johnson

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    Patrick Zaky sarà rilasciato in attesa del processo a febbraio. Sassoli: “Ti aspettiamo”

    Bruxelles – “Finalmente Patrick Zaky sarà scarcerato”: David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, è il primo a reagire all’inattesa notizia arrivata questa mattina dall’Egitto. Lo studente dell’Università di Bologna, per il quale gran parte degli italiani sì è mobilitata negli ultimi questi due anni contro un’ingiustificata detenzione, finalmente potrà lasciare il carcere di Mansoura in attesa dell’assurdo processo (il prossimo febbraio) al quale è comunque destinato.
    La notizia inattesa è arrivata dell’ennesima udienza svoltasi a Mansoura due mesi e mezzo dopo l’ultima, nella quale fu confermata la necessità di una carcerazione preventiva. Zaky era in aula, e c’erano anche gli amici dell’ONG Egyptian Initiative for Personal Rights, arrivati dal Cairo. C’erano anche la sorella Marise, il padre e la mamma.
    Hoda Nasrallah, la sua avvocatessa, ha richiesto l’accesso al alcuni documenti dell’accusa, che il giudice ha accettato, prima di decidere la scarcerazione.

    Finalmente Patrick Zaki sarà scarcerato. Finalmente, dopo 22 mesi di sofferenze, un primo passo avanti nella direzione giusta.
    Continueremo a chiedere la sua completa assoluzione e a batterci perché possa tornare al più presto ai suoi studi in Italia.
    Ti aspettiamo, Patrick!
    — David Sassoli (@EP_President) December 7, 2021

    Zaky è accusato di aver diffuso via internet notizie dannose per lo Stato egiziano, di essere membro di un gruppo terroristico, e per aver scritto articoli sulla situazione dei copti in Egitto che conterrebbero notizie false.
    A raffica arrivano reazioni da esponenti politici a Bruxelles.

    La splendida notizia della scarcerazione di Patrick #Zaki è di quelle che attendiamo da tempo! Ora dobbiamo continuare a lottare e far sentire la nostra voce affinché venga assolto e cadano tutti i capi d’accusa contro di lui! pic.twitter.com/7uWgnSr0Nx
    — Eleonora Evi (@EleonoraEvi) December 7, 2021

    Dopo quasi due anni, #PatrickZaki sarà fuori dal carcere in cui è stato picchiato, torturato, minacciato. Questa è l’occasione per l’Italia, il Governo ci ascolti: Patrick, nostro studente a Bologna, diventi cittadino italiano subito!
    — Brando Benifei (@brandobenifei) December 7, 2021

    Proprio nelle ore precedenti l’udienza di oggi in Egitto, ha superato le 300mila firme la petizione lanciata a inizio anno dalla Community di Bologna Station to Station sulla piattaforma Change.org per conferire a Zaki la cittadinanza italiana (Change.org/PatrickZakiCittadinoItaliano). “Questa della scarcerazione senza assoluzione, non è gioia piena ma è comunque gioia“, commentano in una nota i promotori della petizione, i quali lo scorso luglio hanno consegnato le firme, provenienti da tutta UE, nelle mani del presidente del Parlamento Europeo Sassoli. “Attendiamo di sapere le esatte modalità del rilascio e non nascondiamo un certo timore. Sapere che Patrick potrà tornare a casa e conoscere l’interesse che tutta l’Italia e l’Europa ha riposto nel suo caso, crediamo gli sarà utile per ricostruire la sua vita”, aggiungono gli attivisti. “Non vediamo l’ora di poterlo abbracciare e auspichiamo ora un atto preciso dal Governo Italiano: cittadinanza Italiana subito!“, ribadiscono i membri della community.

    Lo studente dell’Università di Bologna potrà lasciare il carcere dopo 22 mesi di detenzione preventiva. Benifei: “Diventi cittadino italiano subito!”

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    La Nuova Caledonia verso il terzo voto sull’indipendenza dalla Francia, tra boicottaggi e autodeterminazione

    Bruxelles – A 16.400 chilometri dalla capitale dell’Unione Europea, al largo della costa nord-orientale dell’Australia, si sta tenendo uno dei più accesi dibattiti sull’autodeterminazione dei popoli sul territorio dei Paesi europei. Nonostante l’attenzione mediatica europea sia spesso focalizzata solo sulle vicende dell’indipendentismo catalano e scozzese, a una settimana dell’indipendenza di Barbados dalla Gran Bretagna, con il referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia dalla Francia di domenica prossima (12 dicembre) si giocherà non solo il destino di una delle enclave più lontane dell’Unione, ma anche il ruolo geopolitico del Paese membro che assumerà la prossima guida semestrale del Consiglio dell’UE.
    Fra pochi giorni gli elettori neocaledoni si recheranno alle urne per la terza volta in quattro anni (come previsto da un dettagliato accordo con Parigi) per decidere in merito alla separazione del territorio francese d’oltremare dall’attuale, lontana, Capitale. Il primo voto del 4 novembre 2018 – che aveva riaperto la strada tracciata nel 1987 – era stata una vittoria di misura degli anti-indipendentisti con il 56,6 per cento dei voti, sceso al 53,2 solo due anni più tardi (4 ottobre 2020). Che il vento pro-indipendenza stia soffiando in Nuova Caledonia l’ha dimostrato l’elezione di Louis Mapou, attivista indipendentista di origine kanaki (il popolo indigeno nativo dell’arcipelago), a capo del governo locale lo scorso 8 luglio.
    A pesare sul voto di domenica ci sarà però anche il fattore COVID-19. A causa dell’ondata di pandemia (la prima da marzo 2020) che si è abbattuta sull’arcipelago dallo scorso settembre e che ha portato alla morte di 279 abitanti, il Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista (FLKNS) ha chiesto al governo francese di rinviare il referendum sull’indipendenza per concentrarsi prima sulla lotta al COVID-19 in Nuova Caledonia. Sul fronte opposto, i lealisti hanno accusato gli indipendentisti di usare la pandemia per giustificare il rinvio di un referendum che temevano di perdere, sottolineando il ruolo decisivo di Parigi nell’invio di medici e vaccini nelle isole per sostenere il sistema sanitario locale. A seguito della conferma dell’apertura delle urne il 12 dicembre, il FLKNS ha annunciato che boicotterà il referendum e che non ne riconoscerà il risultato.
    Le conseguenze per Francia e Unione Europea
    Il dibattito sul rinvio del referendum d’indipendenza è determinato dalle condizioni dell’Accordo di Nouméa del 1998 tra Francia e Nuova Caledonia, che ha posto le basi per la decolonizzazione dell’arcipelago e il diritto all’autodeterminazione. Nel testo viene specificato che Parigi dovrà assicurare tre referendum per stabilire se e come effettuare il trasferimento di poteri a Nouméa, la capitale delle isole. Nel caso in cui anche questa volta la maggioranza dovesse appoggiare i lealisti, si dovrebbe rinegoziare un nuovo accordo: è per questo motivo che, con la variabile COVID-19 sul tavolo, gli indipendentisti stanno spingendo per il boicottaggio e i lealisti per andare lo stesso alle urne.
    L’arcipelago di isole è stato acquisito da Parigi come possedimento nel 1853 ed è rimasto nell’orbita francese fino a oggi come territorio d’oltremare. Nonostante abbia un certo grado di indipendenza e un proprio Congresso, lo statuto della Nuova Caledonia continua a essere considerato come un riflesso del passato coloniale, in particolare dai Kanak. La stragrande maggioranza del popolo indigeno – che costituisce il 40 per cento della popolazione totale – è a favore del porre fine alla propria dipendenza dalla Francia, ma sarà decisivo il voto del restante 60 per cento, composto dai discendenti dei coloni e dei lavoratori immigrati europei e asiatici.
    Tutt’ora, l’arcipelago della Nuova Caledonia continua a rivestire un ruolo importante per la Francia, costituendo uno degli avamposti più strategici per far pesare la propria presenza nel Pacifico: lo status di Parigi come attore globale nella regione si basa prevalentemente sul rapporto con gli Stati Uniti e l’Australia – messo in crisi recentemente dalla disputa sui sottomarini – in ottica di contenimento della potenza cinese. Inoltre, i cittadini della Nuova Caledonia votano per le elezioni presidenziali francesi e l’esito del referendum sull’indipendenza determinerà anche se gli elettori del territorio d’oltremare potranno partecipare alla scelta del nuovo Presidente della Repubblica il prossimo 10 aprile.
    Proprio per questo legame politico-istituzionale tra la Nuova Caledonia e la Francia che potrebbe cambiare a partire da lunedì prossimo, anche le istituzioni europee sono pronte a un eventuale nuovo rapporto con l’arcipelago del Pacifico. Se Nouméa dovesse staccarsi ufficialmente da Parigi, gli elettori neocaledoni non potranno più partecipare alle elezioni del Parlamento Europeo, già a partire dal 2024. Una novità che non permetterebbe più di vedere a Bruxelles eurodeputati come Maurice Ponga, politico della Nuova Caledonia eletto nel 2009 (fino alle elezioni del 2019, quando tutte le circoscrizioni francesi sono state accorpate) come rappresentante dei territori d’oltremare.

    Domenica 12 dicembre gli elettori del territorio d’oltremare si esprimeranno (di nuovo) sul referendum per staccarsi da Parigi. Gli indipendentisti non riconosceranno il risultato, dopo aver chiesto il rinvio del voto per la crisi COVID-19

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    L’UE approva quinto pacchetto di sanzioni contro Bielorussia in concerto con Stati Uniti: colpita anche la compagnia aerea Belavia

    Bruxelles – È arrivato il via libera del Consiglio dell’UE al quinto pacchetto di sanzioni contro la Bielorussia e da oggi (giovedì 2 dicembre) altre 17 persone e 11 entità vicine al regime di Alexander Lukashenko saranno colpite dalle misure restrittive dell’Unione Europea. La decisione è stata presa in concerto con i partner degli Stati Uniti, come annunciato dalla portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki.
    Membri della Corte Suprema della Bielorussia, canali di propaganda del regime, funzionari politici, compagnie aeree, tour operator e hotel sono stati inseriti nel nuovo pacchetto di sanzioni, che ha messo al centro la strumentalizzazione delle persone migranti alla frontiera con l’UE. L’intesa politica a Bruxelles era stata raggiunta lo scorso 15 novembre e dopo due settimane e mezzo di lavori sono stati individuati i soggetti da sottoporre al regime restrittivo. Tra questi anche la compagnia aerea di bandiera Belavia, finita nella lista nera dell’UE per essersi resa complice della tratta di esseri umani dai Paesi di origine delle persone migranti verso Minsk (poi trasportate dalle autorità bielorusse ai confini con Polonia e Lituania).
    La decisione di oggi porta a 183 gli individui e 26 le entità colpite dalle sanzione UE, tutti ritenuti responsabili della repressione della società civile, dell’opposizione democratica, dei media indipendenti e dei giornalisti e del contributo all’organizzazione di attraversamenti illegali delle frontiere UE. Le persone fisiche sono soggette a congelamento dei beni e divieto di viaggio, mentre a cittadini e imprese dell’Unione è vietato mettere fondi a loro disposizione.
    “Questa cinica strategia di sfruttamento delle persone vulnerabili è un tentativo ripugnante di sviare l’attenzione dal continuo disprezzo del regime per il diritto internazionale, le libertà fondamentali e i diritti umani in Bielorussia“, ha dichiarato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. “L’UE è unita nell’affrontare questa sfida e sta usando tutti gli strumenti a sua disposizione”, ha aggiunto Borrell, sottolineando che “questo quinto round di sanzioni è un altro esempio della nostra determinazione ad agire quando i diritti umani vengono violati”.
    Da Washington, la portavoce della Casa Bianca ha ribadito che le sanzioni statunitensi sono “anche in risposta allo spietato sfruttamento da parte del regime di Lukashenko dei migranti vulnerabili” da Paesi terzi. L’obiettivo sarebbe quello di “orchestrare il loro traffico lungo i confini con gli Stati europei”, ha aggiunto Psaki.

    Nel nuovo aggiornamento delle misure restrittive approvato dal Consiglio dell’UE contro il regime di Lukashenko compare anche la compagnia di bandiera per “strumentalizzazione delle persone migranti”