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    Ue al lavoro per stabilizzare il Libano. Varhelyi: “Situazione difficile”

    Bruxelles – La Siria ancora nella morsa di una guerra che prosegue da 13 anni, Israele in guerra contro il terrorismo di Hamas e in tensioni crescenti con l’Iran. In un Medio Oriente più instabile che mai l’Ue si mobilita per fare in modo che non salti anche il Libano, su cui il blocco a dodici stelle fa affidamento per gestire quel poco di ‘normalità’ rimasta nella regione. Ma il Libano inizia a destare preoccupazione circa la capacità di tenuta. Oliver Várhelyi, commissario per l’Allargamento, ammette “la difficile situazione che il Libano sta vivendo a livello nazionale, ulteriormente aggravata dalle tensioni regionale”.La Commissione, sulla spinta dei capi di Stato e di governo dell’Ue, ha deciso di provare a puntellare il governo di Beirut con un pacchetto di aiuti dal valore di un miliardo di euro per il quadriennio 2024-2027. L’obiettivo è assicurare “la stabilità del Libano e il suo forte sostegno al Libano e al popolo libanese nel contesto delle attuali crisi”, continua Várhelyi. Una priorità geopolitica in un momento di tensioni geopolitiche che continuano a preoccupare l’Europa per l’immediato futuro da un punto di vista economico, e non più solo quello.Cipro denuncia l’aumento del flusso dei richiedenti asilo siriani in arrivo sull’isola, via Libano. Il Paese dei cedri non riesce più a trattenere al proprio interno profughi e sfollati siriani che continuano ad arrivare, e li lascia partire. Tra arrivi regolari e ingressi irregolari si registra “un numero di migranti a Cipro cinque volte superiore a quello di qualsiasi altro Stato membro in prima linea”, denuncia l’europarlamentare Costas Mavrides (S&D) nell‘interrogazione in materia presentata al collegio.Ylva Johansson, commissaria per gli Affari interni, riconosce che la situazione si sta facendo delicata e ricorda che “Frontex sostiene il Libano attraverso il programma EU4BorderSecurity finanziato dalla Commissione, promuovendo la cooperazione bilaterale e regionale e la condivisione delle migliori pratiche nella gestione integrata delle frontiere”. Frontex, l‘Agenzia di guardia costiera e di frontiera dell’Ue ha il mandato di “negoziare un accordo di lavoro che potrebbe contribuire a migliorare le capacità di gestione delle frontiere“, nel caso specifico con il Libano. Si lavora con il Libano anche per la questione migratoria, altro elemento di pressione politica per un’Europa desiderosa di stabilità in un Medio Oriente comunque strategico. Per quanto riguarda i flussi migratori verso Cipro, l’esecutivo comunitario fa quel che può. “La Commissione – aggiunge Johansson – è in contatto regolare con le autorità cipriote e continua, insieme alle agenzie dell’Ue, a fornire a Cipro il necessario sostegno politico, finanziario e operativo per affrontare le attuali sfide nella regione”.

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    Per la Commissione Ue Kiev ha “il diritto” di colpire l’esercito russo “anche nel territorio del nemico”

    Bruxelles – È ancora in corso l’operazione militare dell’Ucraina nella regione russa di Kursk, e la domanda è una: è giustificato un attacco armato di Kiev per la propria autodifesa, non sul proprio territorio ma su quello della Russia? Mentre gli analisti stanno scorrendo gli articoli e le interpretazioni del diritto internazionale alla ricerca di una risposta che non può essere né bianca né nera (si intersecano questioni complesse come il diritto all’auto-difesa, il non-uso della forza e le sue eccezioni, la proporzionalità delle misure), da Bruxelles arriva invece una posizione netta: “L’Ucraina ha il diritto di colpire il nemico ovunque sia necessario sul suo territorio, ma anche nel territorio del nemico“, è quanto messo in chiaro da Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante Ue e vicepresidente della Commissione Europea, Josep Borrell, rispondendo alla stampa a proposito della posizione dell’Unione sugli ultimi sviluppi della guerra.(credits: Anatolii Stepanov / Afp)Ribandendo che l’Ue “non è coinvolta” nel conflitto e che “sosteniamo gli sforzi dell’Ucraina nel ripristinare la sua integrità territoriale e la sovranità, respingendo l’aggressione illegale della Russia”, incalzato dai giornalisti al punto quotidiano con la stampa di ieri (8 agosto), Stano si è spinto oltre: “L’Ucraina è sotto aggressione illegale, sta combattendo una guerra difensiva legittima secondo il diritto internazionale”, e questo “diritto di difendersi include anche combattere il nemico sul suo territorio”. Una posizione netta, che non lascia spazio a dubbi nell’esecutivo dell’Unione e nel suo Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). A maggior ragione se si considera che poco più di un mese fa, a margine del Consiglio Europeo, i vertici delle istituzioni Ue hanno siglato insieme al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, nuovi accordi di sicurezza con l’Ucraina.L’operazione militare di Kiev nella regione della Russia occidentale, al confine con l’Ucraina stessa, è iniziata martedì (6 agosto) ed è entrata nel suo quarto giorno di offensiva, con centinaia di soldati e decine di mezzi  corazzati che stanno combattendo contro l’esercito russo attorno alla cittadina di Sudzha e ora hanno nel mirino Lipetsk. A differenza di alcune operazioni dello scorso anno compiute da formazioni paramilitari (come la Legione Russia Libera) sostenute in modo indiretto da Kiev, ciò che è in atto è un attacco guidato dall’esercito ucraino, per la prima volta dopo oltre due anni di guerra. Come risposta Mosca ha inviato soldati e mezzi aerei, e proprio questo potrebbe essere l’obiettivo di Kiev: creare un diversivo per alleggerire alcuni fronti di guerra più sotto pressione – come quello orientale del Donbass – costringendo una parte dell’esercito russo a riorganizzarsi anche in un’altra regione finora non toccata dalla guerra, ma soprattutto, sul proprio territorio nazionale.

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    L’Ue chiede al governo israeliano di “prendere le distanze” dalle parole del ministro estremista che legittima la fame a Gaza

    Bruxelles – Lasciar morire di fame due milioni di civili a Gaza “potrebbe essere giustificato e morale”, nel braccio di ferro tra Israele e Hamas sugli ostaggi israeliani ancora nelle mani del gruppo terroristico palestinese. A pronunciare questa bestialità, il ministro delle Finanze del governo di Benjamin Netanyahu, l’estremista religioso Bezalel Smotrich. Parole “oltremodo ignominiose”, condannate con forza dall’Ue, che ha chiesto a Tel Aviv di prenderne “inequivocabilmente” le distanze.Intervenendo alla Conferenza annuale di Katif, lunedì 5 agosto, il leader del partito Sionismo Religioso ha affermato che Israele sta permettendo l’ingresso di aiuti umanitari nell’enclave palestinese semplicemente perché “non abbiamo scelta”. Nel suo ragionamento, Smotrich ha spiegato che Israele ha bisogno della “legittimità internazionale per condurre questa guerra”, e che di conseguenza “nessuno al mondo ci permetterà di far morire di fame due milioni di persone, anche se potrebbe essere giustificato e morale per liberare gli ostaggi”.I ministri israeliani di estrema destra Itamar Ben-Gvir (L) e Bezalel Smotrich (Photo by AMIR COHEN / POOL / AFP)Affermazioni che “dimostrano ancora una volta il suo disprezzo per il diritto internazionale e per i principi fondamentali dell’umanità“, ha commentato con sdegno l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, in una nota. D’altronde, solamente negli ultimi mesi, il ministro israeliano ha messo in fila una serie di dichiarazioni figlie di un pensiero religioso fanatico e pericoloso: dopo le violenze di coloni israeliani nel villaggio palestinese di Huwara, ha affermato che il villaggio “dovrebbe essere cancellato”, ha incoraggiato un “trasferimento forzato dei palestinesi da Gaza”, ha sostenuto che “non si può parlare di palestinesi perché non esiste un popolo palestinese“. Smotrich, insieme al ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, si è inoltre opposto strenuamente al piano proposto da Joe Biden per porre fine alla guerra a Gaza, minacciando di far crollare il governo di Netanyahu.Al pari della deportazione di un’intera popolazione, “affamare deliberatamente dei civili è un crimine di guerra“, ha sottolineato il capo della diplomazia Ue. Il ministero degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese ha reso noto, con un post su X, di aver chiesto alla Corte internazionale di giustizia di emettere un mandato di arresto per Smotrich a causa delle sue dichiarazioni politiche.Oltre a chiedere a Netanyahu di alzare la voce contro il proprio ministro, Borrell ha invitato Israele a fare chiarezza sugli atti di tortura riportati nella prigione di Sde Teiman, la Guantanamo israeliana nel deserto del Negev. “L’Ue continua a sollecitare Israele ad attuare le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e gli ordini vincolanti della Corte internazionale di giustizia, e a garantire un accesso umanitario pieno e senza ostacoli per soddisfare le esigenze di decine di civili, tra cui centinaia di migliaia di bambini, che vivono in condizioni estremamente difficili e sono esposti alla carestia e alle malattie a Gaza”, ha concluso l’Alto rappresentante Ue.

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    Thailandia, la Corte Costituzionale ha sciolto il principale partito d’opposizione. L’Ue avverte: “No democrazia senza pluralismo”

    Bruxelles – Perseverare è diabolico: a distanza di quattro anni, la Corte Costituzionale di Bangkok scioglie un’altra volta il principale partito politico d’opposizione, il Move Forward Party, nato dalle ceneri del Future Forward, che subì la stessa sorte nel 2020. È una minaccia per la monarchia e per la sicurezza nazionale, hanno deciso i giudici. “Una battuta d’arresto per il pluralismo politico in Thailandia”, è il commento che arriva da Bruxelles.In un comunicato, la portavoce del Servizio europeo di Azione esterna (Eeas), Nabila Massrali, ha ricordato al primo ministro Srettha Thavisin e al sovrano Rama X che “nessun sistema democratico può funzionare senza una pluralità di partiti e candidati”. Massrali ha quindi sottolineato l’importanza che le autorità “garantiscano che tutti i membri del Parlamento legittimamente eletti possano continuare a svolgere il loro mandato parlamentare, indipendentemente dal partito in cui sono stati eletti”.Il Move Forward Party è stato il primo partito alle elezioni generali del maggio 2023 con oltre 14 milioni di voti su 39 milioni di cittadini thailandesi recatisi alle urne. Tuttavia, non fa parte della coalizione di governo guidata dal Puea Thai, il secondo partito alle elezioni dello scorso anno, che ha voltato le spalle al Move Forward Party stringendo un’intesa con i conservatori e gli eredi della giunta militare che prese il potere nel 2014.Oltre a sciogliere la formazione politica, la Corte Costituzionale ha bandito il suo leader, Pita Limjaroenrat, e altri dieci pezzi grossi del MFP per ben dieci anni dalla vita politica, stabilendo che la campagna del partito per modificare la legge sulla lesa maestà costituiva una minaccia per la monarchia e per la sicurezza nazionale. Il Move Forward Party può contare comunque su 142 parlamentari, il 30 per cento dei seggi dell’Assemblea nazionale, che avranno ora due mesi di tempo per confluire in una nuova formazione politica. Così come era già successo nel 2020.Per ora, lo stesso leader riformista ha invitato alla calma i suoi sostenitori, perché un’ondata di proteste potrebbe divenire il pretesto perfetto per un nuovo golpe militare. L’Ue osserva gli sviluppi nel Paese partner e – conclude Massrali – “è pronta ad ampliare il suo impegno con la Thailandia nell’ambito dell’Accordo di partenariato e cooperazione firmato il 14 dicembre 2022, anche su questioni di pluralismo democratico, libertà fondamentali e diritti umani”.

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    In Venezuela è il caos dopo i presunti brogli elettorali, l’Ue a Maduro: “No a intimidazioni giudiziarie contro l’opposizione”

    Bruxelles – A una settimana dal caos innescato dai presunti brogli che hanno riconfermato al potere Nicolas Maduro, l’autoritario presidente del Venezuela stringe le maglie della repressione: sono già centinaia gli arresti di cittadini legati all’opposizione, contro i cui leader, Maria Corina Machado e Edmundo Gonzalez Uturria, è stata aperta un’indagine penale. In mattinata, l’Unione europea ha chiesto di porre fine alle “intimidazioni giudiziarie” nei confronti dell’opposizione.“Siamo seriamente preoccupati per le azioni delle autorità venezuelane per quanto riguarda il numero di detenzioni arbitrarie di attivisti politici, degli oppositori e le continue molestie all’opposizione“, ha dichiarato oggi (6 agosto) il portavoce del Servizio europeo d’Azione Esterna (Eeas), Peter Stano. Machado, leader carismatica dell’opposizione, e González Urrutia, candidato alle presidenziali per Piattaforma Unitaria, sono accusati di “usurpazione di funzioni, diffusione di informazioni false, incitamento alla disobbedienza alle leggi, incitamento all’insurrezione, associazione a delinquere”.I due stanno guidando l’ondata di proteste per la mancata pubblicazione, da parte del Consiglio elettorale nazionale, dei registri elettorali, a causa di un presunto attacco informatico. Lo scorso 28 luglio, il leader chavista si è autoproclamato vincitore con il 51,4 dei voti, ma secondo i conteggi di diverse organizzazioni indipendenti, González Urrutia avrebbe ottenuto la stragrande maggioranza dei voti. Ancora oggi, in un comunicato pubblicato sui social, il candidato dell’opposizione ha chiesto di essere proclamato vincitore, firmando la dichiarazione come “presidente eletto del Venezuela”. Nel messaggio, firmato anche da Machado, ha ribadito di avere la prova “inconfutabile” di aver vinto le elezioni presidenziali del 28 luglio, accusando il Consiglio nazionale elettorale (Cne) di essere “controllato dal chavismo al potere”.Venezuelan President and presidential candidate Nicolas Maduro reacts following the presidential election results in Caracas on July 29, 2024. (Photo by JUAN BARRETO / AFP)Questa mattina, il Cne ha consegnato i famigerati registri elettorali al Tribunale supremo di giustizia, che istituirà un’indagine informativa che potrebbe durare fino a 15 giorni. La massima Corte di Caracas convocherà i candidati e i leader dei partiti politici a registrare “tutti gli strumenti elettorali” in loro possesso e a “rispondere alle domande poste da questo organismo”. Domani dovrebbe essere già il turno di González Urrutia, mentre Maduro è stato convocato per venerdì.In attesa dell’esito dell’indagine della Corte suprema e di ulteriori sviluppi, Bruxelles ha invitato le autorità del Venezuela e le forze di sicurezza a “rispettare pienamente i diritti umani, compresa la libertà di espressione e di riunione”. Sulle possibili ripercussioni nei rapporti tra Caracas e Bruxelles, il portavoce Ue ha preso tempo: “In questa fase, abbiamo esposto le nostre posizioni e aspettative, i nostri appelli alle autorità. Ora hanno un certo lasso di tempo per agire, e se non lo faranno, gli Stati membri discuteranno e riesamineranno la situazione per decidere i prossimi passi“, ha proseguito Stano rispondendo a una domanda sulla possibilità di imporre sanzioni al regime di Maduro.

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    All’Ucraina 4,2 miliardi di euro, il Consiglio dell’Ue autorizza il primo pagamento per il sostegno finanziario da 50 miliardi

    Bruxelles – Via libera al primo dei pagamenti regolari nell’ambito dello Ukraine Facility, il fondo da 50 miliardi che l’Ue ha dedicato a Kiev per assicurarne la stabilità finanziaria per i prossimi quattro anni. Ironia della sorte, è toccato alla presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue – il cui governo si era opposto a spada tratta allo stanziamento del nuovo budget per l’Ucraina – autorizzare la prima rata da 4,2 miliardi.“Questa decisione sostiene la stabilità macro-finanziaria dell’Ucraina e il funzionamento della sua pubblica amministrazione”, ha spiegato in un post su X la presidenza di turno dell’istituzione Ue. Nella decisione adottata oggi (6 agosto), gli ambasciatori dei 27 Paesi membri hanno concluso che l’Ucraina ha soddisfatto le condizioni e le riforme previste dal Piano per l’Ucraina, presentato a Bruxelles lo scorso 20 marzo, necessarie per ricevere i fondi.Riforme che riguardano la gestione delle finanze pubbliche e delle imprese statali, lo sviluppo di un più florido ambiente imprenditoriale – in particolare nel settore dell’energia – e il delicatissimo compito di sminare il territorio ucraino dalle migliaia di ordigni lasciati dai russi. Illustrando il Piano che definisce le intenzioni dell’Ucraina per la ripresa, la ricostruzione e la modernizzazione del Paese e le riforme da intraprendere come parte del processo di adesione all’Ue nei prossimi quattro anni, il primo ministro ucraino Denys Shmyhal aveva indicato la copertura di “circa 70 aree attraverso riforme strutturali nel settore pubblico ed economiche per sviluppare il clima imprenditoriale nell’energia, nella logistica, nell’agricoltura, nelle materie prime critiche e nelle tecnologie dell’informazione”.Ursula von der Leyen, Volodymyr Zelensky e Charles Michel al Consiglio europeo a Bruxelles, 9/2/23Dei 50 miliardi di euro di finanziamenti stabili, in sovvenzioni e prestiti, per sostenere la ripresa, la ricostruzione e la modernizzazione dell’Ucraina nel periodo 2024-2027, fino a 32 miliardi di euro saranno destinati a sostenere le riforme e gli investimenti previsti dal Piano per l’Ucraina, con pagamenti subordinati al raggiungimento delle tappe individuate. Quello di oggi è il primo pagamento regolare, mentre dalla sua entrata in vigore l’Ue ha già erogato attraverso lo Ukraine Facility 6 miliardi di euro come finanziamento ponte eccezionale e 1,89 miliardi di euro come prefinanziamento, che rappresenta un anticipo del 7 per cento del sostegno al prestito.Bruxelles e Kiev hanno stimato che, se l’Ucraina riuscirà ad attuare pienamente tutte le riforme e gli investimenti proposti, il Pil del Paese potrebbe aumentare del 6,2 per cento e del 14,2 per cento entro il 2040, con una probabile riduzione parallela del debito di circa 10 punti percentuali del Pil entro il 2033.

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    Il Kosovo chiude 9 filiali delle Poste di Serbia nel nord. Per l’Ue è “passo unilaterale e non coordinato”

    Bruxelles – L’Unione Europea è costretta a tornare con l’attenzione al nord del Kosovo. Perché, con la decisione del governo di Pristina, la polizia kosovara è intervenuta ieri (5 agosto) a chiudere nove filiali delle Poste di Serbia nel nord del Paese, scatenando la reazione di Bruxelles. “Si tratta di un passo unilaterale e non coordinato, che viola gli accordi raggiunti nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue“, è quanto si legge nella dichiarazione rilasciata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae).Kosovska Mitrovica (credits: Armend Nimani / Afp)Tre strutture a Kosovska Mitrovica, una Zubin Potok, due Zvečan e tre a Leposavić, sono queste le filiali delle Poste di Serbia interessate dall’azione delle autorità del Kosovo, secondo cui gli uffici operavano senza licenza e senza registrarsi presso le agenzie kosovare competenti. La decisione è arrivata a pochi mesi dalla chiusura di diverse casse di risparmio postale nella regione utilizzate dalla minoranza etnica serba per ricevere stipendi da Belgrado e per effettuare pagamenti in dinari, vietati dallo scorso primo febbraio sul territorio nazionale. Sono queste le prime conseguenze del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, che sta impattando su tutti quei servizi pubblici nel nord del Kosovo che non si sono mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza nel 2008). Belgrado non ha mai riconosciuto la sovranità del Kosovo e per questo motivo paga ancora stipendi, pensioni e assegni per le famiglie in dinari a una quota consistente di cittadini kosovari nelle zone del Paese a maggioranza serba.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro del Kosovo, Albin KurtiL’Unione Europea sta faticando a tenere sotto controllo le tensioni politiche tra Pristina e Belgrado, ma non molla sulla sua opera di mediazione: “Nell’ambito degli accordi sulle telecomunicazioni raggiunti nel 2013 e del piano d’azione concordato nel 2015, entrambe le parti hanno deciso di discutere i servizi postali ‘in una fase successiva’“, in altre parole “riconoscendo che la questione può essere affrontata solo nell’ambito del dialogo” Pristina-Belgrado. Ecco perché, dopo l’ultimo fallimentare vertice trilaterale di fine giugno a Bruxelles tra l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, i negoziatori Ue sono “pronti a inserire la questione nell’agenda della prossima riunione del dialogo”. Ma rimane la richiesta al governo del Kosovo di “riconsiderare la sua decisione e di trovare una soluzione negoziata”.È chiaro che il nodo principale alla base di tutte le questioni regionali nel nord del Paese rimane sempre e comunque l’istituzione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, ovvero la comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative, inclusa l’operatività della Banca Nazionale di Serbia, della Cassa di risparmio e delle Poste di Serbia. “Azioni unilaterali e non coordinate non possono offrire soluzioni a questa o a qualsiasi altra questione che rientra nel processo di normalizzazione tra Kosovo e Serbia”, è l’avvertimento del Seae, che mette in chiaro come “la chiusura dei servizi esistenti per i serbi del Kosovo, senza un nuovo accordo preventivo, avrà un ulteriore impatto negativo sulla vita quotidiana e sulle condizioni di vita di queste comunità”.Le tensioni nel nord del KosovoÈ passato oltre un anno da quando è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli scenari più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica il 26 maggio 2023 sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi nel giro di tre giorni in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Pristina di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti di quest’anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’agonia di chi resta in vita a Gaza, ora il rischio è la poliomielite. L’Ue a Israele: “Colpire infrastrutture critiche è crimine di guerra”

    Bruxelles – Dal 7 ottobre a oggi, nella Striscia di Gaza sono morti circa 40 mila palestinesi. Più i migliaia dispersi sotto le macerie dei centri abitati rasi al suolo dai bombardamenti israeliani. Ma ci sono anche oltre 90 mila feriti, e un milione di persone che da mesi subiscono sfollamenti forzati e condizioni di vita terribili. Secondo gli ultimi resoconti delle agenzie delle Nazioni Unite, dilagano sempre di più diverse malattie infettive, prima fra tutte l’epatite A. All’orizzonte però c’è uno scenario addirittura peggiore, quello di un’epidemia di poliomielite.Nel bollettino giornaliero del 2 agosto sulla situazione umanitaria a Gaza, l’Ufficio di coordinamento per gli Affari umanitari dell’Onu (Ocha-Opt) ha avvertito della presenza di “alto rischio di ulteriore diffusione di malattie infettive a Gaza, a causa della cronica scarsità d’acqua e della totale incapacità di gestire i rifiuti e le acque reflue”. Secondo la testimonianza del Cluster Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), le condizioni di salute pubblica a Gaza “continuano a deteriorarsi, poiché i ricorrenti ordini di evacuazione e gli sfollamenti di massa hanno ulteriormente ridotto l’accesso della popolazione all’acqua potabile e alle strutture igienico-sanitarie”. Inoltre, “lo straripamento di acque reflue e fognature non trattate nelle strade e il crescente accumulo di rifiuti solidi continuano ad alimentare le malattie trasmesse dall’acqua”.Il raid israeliano sull’impianto per l’acqua a Rafah, Borrell: “Crimine di guerra”È in questo contesto che l’esercito israeliano, lo scorso 27 luglio, avrebbe deliberatamente colpito e distrutto una struttura chiave per la produzione e la distribuzione di acqua a Rafah, nel sud dell’enclave palestinese. Un impianto che comprendeva un serbatoio di miscelazione e distribuzione di 3 mila metri cubi e tre stazioni di pompaggio dell’acqua. Agli appelli internazionali per fare chiarezza sulla vicenda si è unita anche l’Unione europea, “gravemente preoccupata per la continua distruzione di infrastrutture civili fondamentali” da parte di Israele.Sfollati palestinesi in coda per l’acqua a Khan Younis, 30/07/24 (Photo by Bashar TALEB / AFP)L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha avvertito in una nota che “prendere di mira infrastrutture critiche costituisce un crimine di guerra” e che “le violazioni del diritto umanitario internazionale devono essere indagate in modo approfondito e indipendente e le responsabilità devono essere garantite”. Il capo della diplomazia europea rimane vigile sulla catastrofe umanitaria di Gaza, nel momento in cui l’attenzione internazionale si è spostata sul rischio di un’escalation regionale del conflitto, con l’Iran che minaccia ritorsioni imminenti agli attacchi di Israele a Beirut e a Teheran.40 mila casi di epatite A e il fantasma dell’epidemia di poliomieliteLa popolazione di Gaza “continua ad essere soggetta alla fame e a ripetuti spostamenti in campi di tende sovraffollati per il decimo mese consecutivo, senza una fine in vista e senza un posto dove andare”, ha ricordato Borrell, che a nome dei 27 Paesi membri si è detto “profondamente preoccupato per il collasso dei sistemi igienico-sanitari, di gestione dei rifiuti solidi e della salute, che ha causato la diffusione di malattie, tra cui la poliomielite, le infezioni cutanee e respiratorie, in particolare tra i bambini”.Liquami sulla strada a causa del collasso delle infrastrutture idriche a Deir el-Balah, nel centro della Striscia di Gaza (Photo by Eyad BABA / AFP)Da ottobre 2023, l’Agenzia dell’Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), ha registrato 40 mila casi di epatite A. Nello stesso arco di tempo, prima della guerra, erano 85. L’infezione, che si contrae generalmente mangiando o bevendo cibi o acqua contaminati da feci infette, continua a imperversare, con quasi mille nuovi casi di sindrome itterica acuta segnalati ogni settimana nei centri sanitari e nei rifugi dell’Unrwa. “Un aumento spaventoso”, ha sottolineato in un post su X il Commissario generale dell’Agenzia Onu, Philippe Lazzarini.Nel corso di un briefing con la stampa a Ginevra, il portavoce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Christian Lindmeier, ha però aperto gli occhi su una minaccia possibilmente ancora più grave: il rischio di un’epidemia di poliomielite. Lindmeier ha sottolineato che, sebbene siano in corso sforzi per l’acquisizione di vaccini, “non è sufficiente farli passare attraverso il confine”. Come accade da mesi con cibo e forniture mediche, i carichi di vaccini rischiano di restare fermi nei convogli, oltre il confine, alle porte di Rafah o in altri checkpoint all’interno. Per distribuirli capillarmente, è necessario un cessate il fuoco.“Ribadiamo l’urgenza di un accesso pieno, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari nella misura necessaria per i palestinesi”, ha dichiarato ancora Josep Borrell, esortando “il governo israeliano a desistere da azioni che peggiorano le condizioni di vita della popolazione civile a Gaza e a rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale”. Un’ennesima volta, il capo della diplomazia Ue chiede “un cessate il fuoco immediato”. Ma sul fronte diplomatico, dopo che Tel Aviv ha ucciso a Teheran il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, sono saltate le già fragilissime trattative. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, i negoziati tra Israele e Hamas non riprenderanno fino a quando l’Iran non avrà lanciato la sua promessa rappresaglia contro lo Stato ebraico e fino a quando il gruppo armato palestinese non avrà scelto un sostituto di Haniyeh.