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    Per la Commissione Ue Kiev ha “il diritto” di colpire l’esercito russo “anche nel territorio del nemico”

    Bruxelles – È ancora in corso l’operazione militare dell’Ucraina nella regione russa di Kursk, e la domanda è una: è giustificato un attacco armato di Kiev per la propria autodifesa, non sul proprio territorio ma su quello della Russia? Mentre gli analisti stanno scorrendo gli articoli e le interpretazioni del diritto internazionale alla ricerca di una risposta che non può essere né bianca né nera (si intersecano questioni complesse come il diritto all’auto-difesa, il non-uso della forza e le sue eccezioni, la proporzionalità delle misure), da Bruxelles arriva invece una posizione netta: “L’Ucraina ha il diritto di colpire il nemico ovunque sia necessario sul suo territorio, ma anche nel territorio del nemico“, è quanto messo in chiaro da Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante Ue e vicepresidente della Commissione Europea, Josep Borrell, rispondendo alla stampa a proposito della posizione dell’Unione sugli ultimi sviluppi della guerra.(credits: Anatolii Stepanov / Afp)Ribandendo che l’Ue “non è coinvolta” nel conflitto e che “sosteniamo gli sforzi dell’Ucraina nel ripristinare la sua integrità territoriale e la sovranità, respingendo l’aggressione illegale della Russia”, incalzato dai giornalisti al punto quotidiano con la stampa di ieri (8 agosto), Stano si è spinto oltre: “L’Ucraina è sotto aggressione illegale, sta combattendo una guerra difensiva legittima secondo il diritto internazionale”, e questo “diritto di difendersi include anche combattere il nemico sul suo territorio”. Una posizione netta, che non lascia spazio a dubbi nell’esecutivo dell’Unione e nel suo Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). A maggior ragione se si considera che poco più di un mese fa, a margine del Consiglio Europeo, i vertici delle istituzioni Ue hanno siglato insieme al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, nuovi accordi di sicurezza con l’Ucraina.L’operazione militare di Kiev nella regione della Russia occidentale, al confine con l’Ucraina stessa, è iniziata martedì (6 agosto) ed è entrata nel suo quarto giorno di offensiva, con centinaia di soldati e decine di mezzi  corazzati che stanno combattendo contro l’esercito russo attorno alla cittadina di Sudzha e ora hanno nel mirino Lipetsk. A differenza di alcune operazioni dello scorso anno compiute da formazioni paramilitari (come la Legione Russia Libera) sostenute in modo indiretto da Kiev, ciò che è in atto è un attacco guidato dall’esercito ucraino, per la prima volta dopo oltre due anni di guerra. Come risposta Mosca ha inviato soldati e mezzi aerei, e proprio questo potrebbe essere l’obiettivo di Kiev: creare un diversivo per alleggerire alcuni fronti di guerra più sotto pressione – come quello orientale del Donbass – costringendo una parte dell’esercito russo a riorganizzarsi anche in un’altra regione finora non toccata dalla guerra, ma soprattutto, sul proprio territorio nazionale.

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    In Venezuela è il caos dopo i presunti brogli elettorali, l’Ue a Maduro: “No a intimidazioni giudiziarie contro l’opposizione”

    Bruxelles – A una settimana dal caos innescato dai presunti brogli che hanno riconfermato al potere Nicolas Maduro, l’autoritario presidente del Venezuela stringe le maglie della repressione: sono già centinaia gli arresti di cittadini legati all’opposizione, contro i cui leader, Maria Corina Machado e Edmundo Gonzalez Uturria, è stata aperta un’indagine penale. In mattinata, l’Unione europea ha chiesto di porre fine alle “intimidazioni giudiziarie” nei confronti dell’opposizione.“Siamo seriamente preoccupati per le azioni delle autorità venezuelane per quanto riguarda il numero di detenzioni arbitrarie di attivisti politici, degli oppositori e le continue molestie all’opposizione“, ha dichiarato oggi (6 agosto) il portavoce del Servizio europeo d’Azione Esterna (Eeas), Peter Stano. Machado, leader carismatica dell’opposizione, e González Urrutia, candidato alle presidenziali per Piattaforma Unitaria, sono accusati di “usurpazione di funzioni, diffusione di informazioni false, incitamento alla disobbedienza alle leggi, incitamento all’insurrezione, associazione a delinquere”.I due stanno guidando l’ondata di proteste per la mancata pubblicazione, da parte del Consiglio elettorale nazionale, dei registri elettorali, a causa di un presunto attacco informatico. Lo scorso 28 luglio, il leader chavista si è autoproclamato vincitore con il 51,4 dei voti, ma secondo i conteggi di diverse organizzazioni indipendenti, González Urrutia avrebbe ottenuto la stragrande maggioranza dei voti. Ancora oggi, in un comunicato pubblicato sui social, il candidato dell’opposizione ha chiesto di essere proclamato vincitore, firmando la dichiarazione come “presidente eletto del Venezuela”. Nel messaggio, firmato anche da Machado, ha ribadito di avere la prova “inconfutabile” di aver vinto le elezioni presidenziali del 28 luglio, accusando il Consiglio nazionale elettorale (Cne) di essere “controllato dal chavismo al potere”.Venezuelan President and presidential candidate Nicolas Maduro reacts following the presidential election results in Caracas on July 29, 2024. (Photo by JUAN BARRETO / AFP)Questa mattina, il Cne ha consegnato i famigerati registri elettorali al Tribunale supremo di giustizia, che istituirà un’indagine informativa che potrebbe durare fino a 15 giorni. La massima Corte di Caracas convocherà i candidati e i leader dei partiti politici a registrare “tutti gli strumenti elettorali” in loro possesso e a “rispondere alle domande poste da questo organismo”. Domani dovrebbe essere già il turno di González Urrutia, mentre Maduro è stato convocato per venerdì.In attesa dell’esito dell’indagine della Corte suprema e di ulteriori sviluppi, Bruxelles ha invitato le autorità del Venezuela e le forze di sicurezza a “rispettare pienamente i diritti umani, compresa la libertà di espressione e di riunione”. Sulle possibili ripercussioni nei rapporti tra Caracas e Bruxelles, il portavoce Ue ha preso tempo: “In questa fase, abbiamo esposto le nostre posizioni e aspettative, i nostri appelli alle autorità. Ora hanno un certo lasso di tempo per agire, e se non lo faranno, gli Stati membri discuteranno e riesamineranno la situazione per decidere i prossimi passi“, ha proseguito Stano rispondendo a una domanda sulla possibilità di imporre sanzioni al regime di Maduro.

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    Con l’uccisione del leader di Hamas e il raid a Beirut, Israele innesca l’escalation in Medio Oriente. L’Ue: “No a esecuzioni extragiudiziali”

    Bruxelles – Le pareti del buco nero in cui si è infilato il Medio oriente a partire dallo scorso 7 ottobre diventano ogni giorno più umide e scivolose. In fondo, c’è lo scenario di una guerra regionale sempre più verosimile. Soprattutto dopo il doppio raid israeliano a Beirut e a Teheran, dove sono rimasti uccisi Fuad Shukr, uno dei comandanti della milizia libanese filo-iraniana Hezbollah, e il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che si trovava nella capitale della repubblica islamica per celebrare l’insediamento del nuovo presidente iraniano.Da un lato, la risposta annunciata di Netanyahu all’attacco di Hezbollah alla cittadina drusa di Majdal Shams, nel territorio occupato israeliano delle Alture del Golan, che ha causato la morte di 12 giovani su un campetto da calcio. Dall’altra, il materializzarsi della possibilità di eliminare uno dei peggiori nemici dello Stato ebraico, che aveva reso nota la sua visita a Teheran. Le ultime decisioni militari di Israele non solo rischiano di far naufragare i già fragilissimi negoziati per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani – era proprio Haniyeh a condurli per conto di Hamas -, ma aprono la porta a una possibile escalation del conflitto che divampi in tutta la regione.Il campo da calcio colpito dai razzi di Hezbollah a Majdal Shams, nel territorio delle Alture del Golan annesso da Israele (Photo by Menahem Kahana / AFP)Secondo un copione già visto in questi mesi, le dichiarazioni successive ai raid israeliani non vanno assolutamente nella direzione della distensione: l’attacco “non resterà senza risposta”, ha avvertito il gruppo terrorista palestinese, mentre il primo ministro libanese, Najib Miqati, ha dichiarato che “prenderà misure” per “scoraggiare l’ostilità israeliana”. Gli occhi sono puntati soprattutto sull’Iran, che foraggia la lotta anti-israeliana di Hamas e di Hezbollah: “Il regime sionista dovrà senza dubbio affrontare una risposta dura e dolorosa da parte del potente e vasto fronte della resistenza, in particolare dell’Iran“, hanno dichiarato le Guardie rivoluzionarie in un comunicato, prima di annunciare tre giorni di lutto. Lasciando così pochissimo margine al neo-presidente riformista Masoud Pezeshkian.Gli ultimi sviluppi stanno creando scompiglio anche al quartier generale della Nato, con gli Stati Uniti che hanno confermato il loro appoggio a Israele nel caso di un conflitto regionale e la Turchia che ha reiterato la minaccia di intervenire a sostegno della causa palestinese. A Bruxelles la preoccupazione è ai massimi livelli: mentre i leader e i corpi diplomatici dei Paesi membri hanno contattato a più riprese le controparti in Libano, Israele e Iran per cercare di placare gli animi e porre fine alla spirale di violenza, il portavoce del Servizio europeo di Azione Esterna (Eeas), Peter Stano, ha chiesto “a tutte le parti di esercitare la massima moderazione e di evitare qualsiasi ulteriore escalation“.Il leader politico di Hamas, Ismael Haniyeh, a Teheran il 30/07/24 (Photo by AFP)Sull’assassinio di Haniyeh in territorio iraniano, Stano ha sottolineato che “l’Ue ha una posizione di principio che rifiuta le esecuzioni extragiudiziali e sostiene lo stato di diritto, anche nella giustizia penale internazionale“, nonostante il fatto che Hamas sia inserita “nell’elenco delle organizzazioni terroristiche e che il procuratore della Corte penale internazionale ha chiesto un mandato di arresto contro Ismail Haniyeh con varie accuse di crimini di guerra”.

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    Le istituzioni Ue dovranno discutere del ritiro delle misure contro il Kosovo dopo le nuove elezioni locali

    Bruxelles – Dopo mesi di misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo scarsamente giustificate dalla Commissione Europea per gli episodi di violenza dello scorso anno nel nord del Paese – mentre sono rimaste lettera morta le sanzioni contro la Serbia, non meno responsabile per gli stessi eventi – ora le istituzioni Ue sono chiamate a prendere seriamente in considerazione la necessità di ritirarle, visto l’impegno di Pristina nel mettere a terra tutti i passi richiesti dal piano per la de-escalation tracciato l’estate scorsa da Bruxelles. “Il Consiglio discuterà le misure dell’Ue sulla base di una relazione dell’alto rappresentante sull’adempimento delle richieste dell’Unione“, ha ricordato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, commentando a Eunews i prossimi passi dopo le elezioni anticipate nei quattro comuni del nord del Kosovo al centro da un anno di una controversia diplomatica che ha scatenato l’ondata di violenza tra maggio e settembre.Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono i quattro comuni in cui sono andate in scena domenica scorsa (21 aprile) le elezioni anticipate per ripetere il voto contestato dell’aprile 2023. Così come richiesto dal Consiglio Affari Generali il 12 dicembre dello scorso anno, il governo di Pristina ha fatto in modo che la componente etnica serba potesse partecipare “attivamente, senza alcuna condizione preliminare”. Tuttavia, proprio come accaduto nella primavera 2023, il maggiore partito serbo-kosovaro Lista Srpska ha deciso di boicottare le elezioni, determinando “una serie di difficoltà, tra cui la costituzione di alcune commissioni elettorali senza alcun membro serbo del Kosovo”, ha ricordato il portavoce Stano, ponendo l’accento sull’accusa di Bruxelles all’indirizzo di Lista Srpska per aver “perso l’opportunità di esercitare il diritto di voto e di eleggere sindaci realmente rappresentativi”. Un risultato che, di nuovo, “non contribuisce a disinnescare le tensioni e a spianare la strada per il ritorno dei serbi nelle istituzioni” del Kosovo, tappa “essenziale per la normalizzazione delle relazioni” all’interno del Paese e con la vicina Serbia (il cui presidente, Aleksandar Vučić, controlla indirettamente Lista Srpska).Allo stesso tempo però le istituzioni Ue devono fare ora i conti con le richieste pressanti da Pristina di ritirare le misure “temporanee e reversibili” imposte a fine giugno dello scorso anno a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione scaturita dopo l’insediamento dei quattro sindaci. Queste misure – che sono attualmente in vigore – prevedono la sospensione del lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione e delle visite bilaterali (fatta eccezione per quelle del dialogo Pristina-Belgrado), il congelamento della programmazione dei fondi per il Kosovo nell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024 (Strumento di assistenza pre-adesione) e delle proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif). Per eliminare queste misure era stata concordata il 12 luglio una tabella di marcia con quattro tappe, che prevedeva anche il ritorno alle urne anticipato nei quattro comuni nel nord del Paese.“Il Kosovo ha dimostrato ancora una volta maturità, organizzazione esemplare e pieno rispetto delle leggi e della Costituzione, offrendo a tutte le comunità, senza distinzioni, l’opportunità di scegliere i propri rappresentanti”, ha rivendicato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, esortando Bruxelles a “revocare immediatamente le misure ingiuste contro il Kosovo” dopo aver “soddisfatto tutte le condizioni richieste dall’Ue”. Sulla stessa linea il primo ministro, Albin Kurti: “Ogni fase del processo necessario per rendere possibile il voto è stata intrapresa dal nostro governo”, ha messo in chiaro in un post su X, ricordando non solo che “anche questo voto è stato boicottato e la soglia minima legale per le dimissioni dei sindaci non è stata quindi raggiunta”, ma soprattutto che “abbiamo rispettato i nostri obblighi“. Al momento il portavoce del Seae non ha saputo ancora fornire indicazioni precise su quando l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, presenterà la relazione ai 27 ministri Ue responsabili per gli Affari europei ma – se sarà prima delle elezioni del 6-9 giugno – si dovrà fare attenzione al Consiglio Affari Generali informale del 29-30 aprile e a quello ordinario del 21 maggio.Le tensioni tra Kosovo e SerbiaÈ da quasi un anno che la relazione tra Serbia e Kosovo è entrata in una delle fasi più difficili e violente dalla dichiarazione (unilaterale) di indipendenza di Pristina da Belgrado nel febbraio 2008. Proprio a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica (gli stessi comuni in cui si sono tenute la scorsa settimana le nuove elezioni) il 26 maggio 2023 sono scoppiate violentissime proteste da parte delle frange estremiste della minoranza serba, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.(credits: Armen Nimani / Afp)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza).Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo. Il tutto mentre procede – e sembra ormai inarrestabile nonostante l’opposizione serba – il processo di adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa, che costituirebbe il primo ingresso del suo Paese balcanico in un’organizzazione internazionale dalla dichiarazione di indipendenza nel 2008.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La Republika Srpska vuole adottare diverse leggi che rischiano di minare il percorso Ue della Bosnia

    Bruxelles – La minaccia non è mai stata così reale, molto semplicemente perché non è mai stato così concreto il percorso di adesione della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea. “L’Assemblea nazionale della Republika Srpska sta discutendo l’adozione di iniziative legislative che minerebbero l’ordine costituzionale del Paese, la funzionalità delle sue istituzioni e le libertà fondamentali“, ma non per ultimi “gli impegni assunti nel suo percorso verso l’Ue”. È questo l’avvertimento del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, commentando il dibattito in corso oggi (18 aprile) al Parlamento dell’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina su cinque progetti di legge particolarmente controversi.

    il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)Con una nota durissima Stano è stato nettissimo sul fatto che “qualsiasi azione contraria” ai principi di sovranità, integrità territoriale e ordine costituzionale della Bosnia ed Erzegovina “porterà a gravi conseguenze” da parte di Bruxelles, come reazione ai progetti legislativi che vanno in direzione contraria alla decisione del Consiglio Europeo dello scorso 21 marzo di avviare i negoziati di adesione Ue con Sarajevo. “L’Unione Europea si aspetta che la Bosnia ed Erzegovina, compresa l’entità Republika Srpska, faccia dei passi avanti invece di intraprendere azioni che sono in contrasto con il suo percorso europeo“, perché “il dialogo, anziché l’escalation, produce risultati”. Il portavoce del Seae ha poi rivolto un appello “a tutti i leader” del Paese balcanico di “tornare al tavolo dei negoziati per il bene della popolazione del Paese e del suo futuro nell’Ue”.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Andrej Isakovic / Afp)Come evidenziano gli analisti, l’Assemblea di Banja Luka ha messo nell’agenda di oggi la discussione su diversi progetti di legge particolarmente controversi, dopo l’adozione di quella sugli ‘agenti stranieri e della reintroduzione di sanzioni penali per diffamazione lo scorso anno. In primis la legge elettorale, che espande il potere della Commissione elettorale della Republika Srpska di gestire le elezioni a livello locale e di entità, in opposizione sia alla legge elettorale statale sia alle modifiche recentemente adottate dall’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, Christian Schmidt. Per quanto riguarda la legge sui referendum, si tratta del quadro di riferimento per portare avanti rivendicazioni incostituzionali secondo la Corte Costituzionale di Sarajevo (come la Giornata della Republika Srpska). La legge sull’immunità prevede la non-perseguibilità in procedimenti civili e penali per il presidente dell’entità, i due vicepresidenti, i membri del governo e tutti i deputati. Le modifiche al diritto del lavoro permetterebbero invece alle persone sanzionate dagli Stati Uniti (che non possono avere accesso a conti bancari) di essere regolarmente pagate in contanti. E infine Banja Luka vuole nominare una delegazione per partecipare alla Grande Assemblea di Pasqua della Repubblica Srpska e della Serbia, che dovrebbe svolgersi tra il 5 e il 6 maggio – in occasione della Pasqua ortodossa – per stringere con ancora più forza il legame tra il presidente serbo-bosniaco, Milorad Dodik, e l’omologo serbo, Aleksandar Vučić, e la retorica pan-serba.ll problema Republika Srpska per la Bosnia nell’UeÈ proprio la Republika Srpska di Dodik uno degli ostacoli maggiori per il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea, da quando è iniziato il progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.

    Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Israele, l’Ue chiede un’indagine trasparente sulla morte del leader palestinese Khader Adnan

    Bruxelles – Fa discutere nell’Ue la morte in un carcere israeliano di Khader Adnan, figura di riferimento del Jihad Islamico Palestinese, dopo 86 giorni di sciopero della fame. Una morte sopraggiunta a seguito del recente deterioramento delle sue condizioni di salute denunciato dalla moglie e da diverse Ong locali e la determinazione con cui Adnan portava avanti il suo quinto sciopero della fame alla decima detenzione nelle prigioni di Israele.
    A poco sono serviti gli appelli della comunità internazionale, tra cui quelli dell’Unione Europea, che secondo quanto riferito dal portavoce del Servizio d’Azione Esterna dell’Ue (Seae), Peter Stano, avrebbe nei giorni scorsi “chiesto conto delle condizioni di salute” del prigioniero palestinese al ministro della Sanità di Tel Aviv, Yoav Ben-Tzur. A poche ore dalla morte, avvenuta nelle prime ore di questa mattina (2 maggio), Bruxelles interviene nuovamente chiedendo che venga aperta “un’indagine trasparente sulla sua morte e sulle circostanze che l’hanno causata”. Una richiesta che il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, potrebbe avanzare al ministro della Difesa israeliano, Eli Cohen, in visita proprio oggi nella capitale europea.
    Gli scioperi della fame di Adnan contro la detenzione amministrativa in Israele
    Khader Adnan aveva 45 anni ed era indicato da tempo come uno dei maggiori dirigenti del Jihad Islamico, formazione politica e militare che è ritenuta da Israele – ma anche da Stati Uniti e Unione Europea- un’organizzazione terroristica. Per la decima volta, lo scorso febbraio, era stato sottoposto a detenzione amministrativa, che permette alle autorità israeliane di imprigionare persone accusate di terrorismo o reati simili senza processo praticamente all’infinito, con rinnovi ogni sei mesi.
    Khader Adnan durante i 54 giorni di sciopero della fame nel 2014 (Photo by AHMAD GHARABLI / AFP)
    Il suo primo sciopero della fame risale al 2004, a cui negli anni ne sono seguiti altri quattro: nel 2012, nel 2014, nel 2021, fino all’ultimo che ne ha causato la morte.
    Già nel corso dei 54 giorni di sciopero del 2012, l’allora Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Catherine Ashton, aveva chiesto al governo di Israele “di fare tutto il possibile per preservare la salute di Adnan” e aveva ribadito “la preoccupazione di lunga data dell’Ue per l’ampio ricorso alla detenzione amministrativa senza accusa formale”. Secondo l’ong palestinese Addameer, che si occupa della tutela dei diritti dei detenuti politici in Israele, sarebbero però ancora quasi mille attualmente i prigionieri sottoposti a questa forma speciale di custodia cautelare.
    Il trattamento riservato ai prigionieri politici è uno dei motivi che avevano spinto Adnan a iniziare lo sciopero della fame e a rifiutare aiuti medici esterni e le visite dei medici della prigione. Come riportato da Afp, secondo la moglie le autorità israeliane hanno rifiutato  il trasferimento del detenuto dalla clinica della prigione di Nitzan in un ospedale civile, nonostante il grave peggioramento delle condizioni di salute.
    Alla notizia della sua morte, in mattinata dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati tre razzi sul territorio israeliano, che non avrebbero provocato danni né causato vittime. Il gruppo fondamentalista di Hamas ha immediatamente fatto sapere che “il popolo palestinese non lascerà che questo crimine passi sotto silenzio, e risponderà adeguatamente”, mentre il Jihad Islamico ha dichiarato in un comunicato che “la sua morte sarà una lezione per generazioni, e non ci fermeremo finché la Palestina rimarrà sotto occupazione”.
    L’Unione Europea ha definito “inaccettabili gli inviti alle rappresaglie” da parte dei gruppi armati palestinesi e il portavoce Peter Stano ha espresso parole di condanna per il lancio di razzi su Israele, lanciando l’ennesimo appello a entrambe le parti a evitare azioni unilaterali che portino a ulteriori escalation, dopo mesi di tensioni fortissime nella regione.

    Il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna ha dichiarato di aver chiesto conto al ministro della Sanità israeliana delle condizioni di salute di Khader Adnan nei giorni scorsi. Il dirigente del Jihad Islamico Palestinese è morto alle prime luci dell’alba dopo 86 giorni di sciopero della fame

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    L’incaricata d’affari della delegazione Ue in Bielorussia è stata detenuta illegalmente dalla polizia di Lukashenko

    Bruxelles – Una “grave violazione” della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche che garantisce l’inviolabilità personale dei diplomatici. La denuncia arriva direttamente dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione estera (Seae), Peter Stano, nel punto quotidiano di oggi (giovedì 8 settembre) con la stampa europea. “Martedì [6 settembre, ndr] è avvenuto un atto inaccettabile e deplorevole di violazione dello status diplomatico”, in cui “la nostra incaricata d’affari ad interim della delegazione Ue in Bielorussia è stata trattenuta dalla polizia per più di due ore“.
    A subire la “detenzione illegale” è stata l’alta diplomatica Evelina Schulz, incaricata d’affari dell’Ue in Bielorussia. L’incaricato d’affari è l’agente diplomatico di minor rango rispetto all’ambasciatore, secondo la gerarchia stabilita proprio dalla Convenzione di Vienna, ed è definito ‘ad interim’ quando sostituisce temporaneamente il capo-missione. “È la seconda volta che accade un incidente del genere contro il corpo diplomatico dell’Ue e abbiamo già convocato l’ambasciatore della Bielorussia a Bruxelles“, ha fatto sapere il portavoce dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    La detenzione della diplomatica Ue è iniziata all’uscita di un tribunale a Minsk, dove si era recata per assistere alla lettura pubblica di un processo a porte chiuse contro dieci attivisti politici “condannati a pene severe con prove insufficienti”, ha precisato il portavoce Stano. Dopo il fermo, Schulz è stata trattenuta in una stazione di polizia per circa due ore, prima di essere liberata. L’incaricata d’affari è attualmente a capo della delegazione Ue a Minsk, dopo che nel giugno 2021 il capo delegazione del Seae in Bielorussia, Dirk Schuebel, è stato allontanato dal Paese su richiesta delle autorità che fanno capo all’autoproclamato presidente, Alexander Lukashenko.

    L’alta diplomatica Ue Evelina Schulz è stata trattenuta per due ore dalle forze di polizia dopo aver assistito in tribunale a un processo a porte chiuse contro dieci attivisti politici: “Grave violazione della Convenzione di Vienna sull’inviolabilità personale dei diplomatici”

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    L’Ue in pressing sulla Serbia per trovare una soluzione con gli organizzatori dell’EuroPride per ospitare l’evento a Belgrado

    Bruxelles – Aumentano le pressioni delle istituzioni Ue sulla Serbia dopo l’ondata di polemiche sulla posizione intransigente del presidente serbo, Aleksandar Vučić, a proposito dello svolgimento dell’Europride 2022 in programma tra il 12 e il 18 settembre a Belgrado. “Dopo l’annuncio della cancellazione, l’Unione Europea incoraggia le autorità serbe a proseguire i contatti con gli organizzatori per trovare una soluzione che consenta di ospitare l’EuroPride in pace e sicurezza”, si legge in una nota firmata dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano: “Attendiamo con ansia una decisione finale positiva” sullo svolgimento dell’evento che celebra quest’anno il trentesimo anniversario dall’istituzione.

    Statement by the Spokesperson on the announcements of the cancellation of EuroPride in Belgrade | EEAS Website https://t.co/yA0qK61knl
    — Belgrade Pride – EuroPride 2022 (@belgradepride) September 2, 2022

    Martedì (30 agosto) il presidente Vučić aveva ribadito che la manifestazione annuale itinerante per i diritti LGBTQ+ in programma quest’anno nella capitale serba sarà “annullata o rinviata” per “questioni urgenti”, non facendo nessuna apertura rispetto a quanto annunciato pochi giorni prima nel corso della cerimonia di conferimento del mandato di governo alla premier uscente, Ana Brnabić. “Potrà chiamare Biden, potranno chiamare Putin o Erdogan o chi volete, la decisone non cambierà”, aveva messo un punto Vučić. Ma gli organizzatori dell’EuroPride hanno continuato a confermare che l’evento non è annullato e che la marcia del 17 settembre per le strade di Belgrado si svolgerà, dal momento in cui le autorità nazionali non hanno il potere di cancellare la manifestazione una volta assegnata alla città ospitante, a meno che non si tratti di ragioni di sicurezza pubblica motivate dalle forze di polizia.
    Da Bruxelles è subito arrivato un importante sostegno alla causa dell’EuroPride 2022 in Serbia, sia con il messaggio inviato alla premier Brnabić da parte della co-presidente dell’intergruppo LGBTQ+ del Parlamento Ue, Terry Reintke, e dalla collega di partito, Viola von Cramon-Taubadel (“L’EuroPride sarà un simbolo forte contro i movimenti autoritari guidati dall’odio, marceremo a Belgrado per la democrazia e la diversità”), sia con la lettera firmata da 145 eurodeputati indirizzata anche al presidente serbo. “Siamo consapevoli delle minacce alla sicurezza dei manifestanti, ma riteniamo che vietare del tutto l’evento non sia la soluzione giusta”, è quanto sottolineato con forza nel testo, che ha esortato alla “positiva collaborazione e a sostenere gli organizzatori nella realizzazione di una Marcia dell’EuroPride sicura”. Tra gli eurodeputati italiani firmatari della lettera compaiono la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, il membro del comitato dell’intergruppo LGBTQ+ Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 Stelle), insieme ad Alessandra Moretti,Brando Benifei, Massimiliano Smeriglio (Partito Democratico), Eleonora Evi e Rosa D’Amato (Verdi).

    🏳️‍🌈 145 MEPs signed today our joint letter calling on the 🇷🇸 #Serbian leadership (@SerbianPM/@avucic) to facilitate a safe #EuroPride2022 as scheduled.
    Our MEPs also urge authorities to deploy sufficient police protection.
    Read it below 👇 https://t.co/SsKle1gmxb pic.twitter.com/u1lFMMzC2t
    — LGBTI Intergroup (@LGBTIintergroup) August 31, 2022

    È così che, anche grazie al pressing dell’Ue, si è aperto uno spazio di dialogo tra le autorità della Serbia e gli organizzatori dell’EuroPride. Si cerca ora una soluzione che garantisca lo svolgimento della manifestazione – e in completa sicurezza – con un qualche tipo di riconoscimento della situazione delicata all’interno del Paese (in particolare sui rapporti con il Kosovo e sulla crisi energetica). Un tentativo ulteriormente supportato da Bruxelles con la messa in campo del peso diplomatico del Servizio guidato dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “L’Ue attribuisce grande importanza al fatto che questo Pride si svolga in circostanze pacifiche e con la sicurezza dei partecipanti”, si legge nel comunicato, che ricorda a Belgrado le aspettative dell’Unione nei confronti dei “nostri partner più stretti” in materia di “protezione e promozione dei diritti umani”, inclusa la “difesa dei diritti delle persone LGBTIQ+, della libertà di riunione e di espressione”. L’EuroPride, conclude il testo, “si batte per la parità di diritti delle persone LGBTIQ+ in tutta Europa, dando voce a coloro che subiscono discriminazioni, violenze o odio per motivi diversi dal loro sesso, sessualità o genere”.

    Il Servizio europeo per l’azione esterna attende “con ansia” una decisione finale “positiva” dai contatti tra autorità serbe e organizzatori della manifestazione LGBTQ+. Bruxelles attribuisce “grande importanza” allo svolgimento dell’evento “in circostanze pacifiche e in sicurezza”