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    L’appello della presidente della Georgia alla plenaria del Parlamento Ue: “Status di candidato entro fine 2023”

    Bruxelles – C’è un solo Paese che è sulla strada dell’Unione Europea, ma non ha ancora ottenuto lo status di candidato all’adesione. È la Georgia, uno dei partner più europeisti nelle aspirazioni della popolazione, ma allo stesso tempo più complicato nella gestione dei rapporti con il governo in carica. “Aldilà delle passioni politiche tutti i georgiani condividono la speranza di ritrovare la famiglia europea, è una scelta legittima e che non prevede alternative, perché si basa su valori, storia, lotte e determinazione per il futuro comuni”, è stato il messaggio della presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, dal cuore dell’Unione Europea, intervenendo alla sessione plenaria del Parlamento Europeo nell’emiciclo di Bruxelles. Con un chiaro messaggio per il prossimo futuro: “C’è un’unica strada da percorrere, garantire alla Georgia entro la fine dell’anno lo status di Paese candidato all’adesione Ue“.
    La presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (31 maggio 2023)
    Era da 13 anni che un leader georgiano non interveniva al Parlamento Europeo – l’ultima volta era stato Mikheil Saakashvili il 22 novembre 2010, le cui condizioni di salute in carcere oggi preoccupano gli eurodeputati – e il ritorno non poteva essere più d’impatto. “Sarebbe il riconoscimento delle lotte del nostro popolo, dell’identità e dell’importanza dell’Ue, è una richiesta come membri della stessa famiglia“, ha ricordato Zourabichvili, riconoscendo “le nostre lacune” sulla strada verso l’adesione: “Tanto deve essere ancora fatto, è il compito comune nei prossimi mesi per non perdere una seconda opportunità che il popolo stavolta non ci perdonerebbe“. Anche la numero uno dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha ribadito la necessità di “spingere di più per dare lo status di candidato” alla Georgia, per non rischiare di perdere un popolo fortemente europeista: “Vi sosterremo nel viaggio per diventare parte dell’Ue, ma serve più decisione sulle riforme-chiave“.
    La Georgia ha fatto richiesta di adesione all’Ue il 3 marzo dello scorso anno. Tuttavia, in linea con il parere della Commissione, al vertice dei leader del 23 giugno è stato deciso di garantire non lo status di Paese candidato ma la ‘prospettiva europea” con 12 riforme-chiave sullo Stato di diritto e le libertà fondamentali da implementare prima della concessione dello status. Proprio ai “12 passi richiesti” ha fatto riferimento nel suo intervento la presidente Zourabichvili, che non li considera un vincolo ma “raccomandazioni di essere fedeli alla nostra identità e riconciliarci con essa“. L’obiettivo è quello di “vedere una Georgia libera in un’Europa libera, l’unica strada per farlo è far parte nell’Ue”, è stata l’esortazione della leader georgiana.
    Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    A questo si ricollega la questione delle minacce della Russia, Paese con cui confina a nord. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. “Quando invoco il futuro europeo della Georgia, lo faccio anche per gli abitanti delle regioni di Abkhazia e Tskhinvali [capitale dell’Ossezia del Sud, ndr], non sono in vendita”, ha attaccato Zourabichvili da Bruxelles. La presidente della Georgia ha fatto anche riferimento alla guerra russa in Ucraina e alla politica di espansionismo intrinseca di Mosca: “Le politiche di appeasement non hanno mai funzionato, è la sua natura imperialistica che le fa portare avanti attacchi contro i vicini“, perché “il Paese più grande al mondo non accetta di avere dei confini”.
    La complessa strada della Georgia nell’Ue
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). Tra le ultime notizie che hanno sollevato più preoccupazioni va ricordato il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest). Ma anche la ripresa dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore.
    A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo georgiano ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo per aver fallito l’obiettivo sulla candidatura all’adesione. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia (quello ufficiale dell’Unione Europea).
    Quasi tre mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.

    La leader georgiana Salomé Zourabichvili si è rivolta alle istituzioni comunitarie direttamente dall’emiciclo di Bruxelles: “Tanto deve essere ancora fatto, è il nostro compito comune nei prossimi mesi per non perdere una seconda opportunità che il popolo non ci perdonerebbe”

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    Il Parlamento europeo suona l’allarme sullo stato di diritto in Israele, da Tel Aviv accuse di ingerenze

    Bruxelles – “Deterioramento della democrazia in Israele e conseguenze sui territori occupati”. Nel titolo scelto per il dibattito che si è tenuto ieri sera (14 marzo) all’emiciclo di Strasburgo, c’erano già tutti gli indizi necessari per capire la posizione del Parlamento europeo sulla situazione dello stato di diritto a Tel Aviv e sull’escalation di violenza in atto contro il popolo palestinese.
    Eli Cohen e Antonio Tajani, 14/03/23 [Ph Account Twitter Eli Cohen]Prima di cominciare il dibattito, gli eurodeputati hanno ascoltato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, appositamente in aula per riferire sullo stato dell’arte delle relazioni tra l’Unione e Israele: “Voglio sottolineare che siamo impegnati con entrambe le parti, Israele e Palestina”, ha esordito il capo della diplomazia europea, che solo poche ore prima aveva avuto una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Eli Cohen. “Non era molto contento del dibattito, era preoccupato, mi ha chiesto perché il Parlamento europeo ingerisce nelle questioni interne israeliane“: il racconto di Borrell combacia con la richiesta di “agire per impedire l’intervento europeo nel conflitto israelo-palestinese” fatta dallo stesso Cohen all’omologo italiano, Antonio Tajani, proprio ieri in visita in Israele.
    “L’interesse non implica né l’ingerenza né la volontà di imporre lezioni a nessuno”, ha replicato Borrell. I motivi di preoccupazione sono vari e riguardano la politica estera e l’involuzione dello stato democratico: da un lato l’aumento di estremismo e violenza contro la popolazione palestinese e la continua espansione delle colonie illegali israeliane nei territori occupati, dall’altro la riforma del sistema giudiziario portata avanti dal governo di Benjamin Netanyahu e la possibile reintroduzione delle pena di morte nel Paese.
    Dal Parlamento europeo l’invito a sospendere l’accordo di associazione con Israele
    Brando Benifei, 14/03/23
    Per Pedro Marques, vicepresidente del gruppo dei Socialisti e democratici, la riforma della giustizia proposta da Tel Aviv “non è accettabile e non è accettata neanche in Israele”, viste le “manifestazioni di massa” che imperversano nel Paese. “Un assalto alla democrazia”, “una catastrofe”, “un attentato”, l’hanno definita a turno Marques, l’eurodeputata dei Verdi/Ale, Margrete Auken e la socialista Maria Arena. Secondo il capo delegazione del Partito democratico a Bruxelles, Brando Benifei, la riforma fa parte di “un disegno nazionalista e autoritario di un governo che minaccia la democrazia israeliana”. Una riforma che “vuole concentrare il potere nelle mani dell’esecutivo e depotenziare la Corte suprema”, grazie alla quale “il governo potrebbe nominare facilmente i giudici della corte e sarebbe in grado di bloccare le sentenze della corte stessa”.
    Durissimo è stato Manu Pineda, membro della Sinistra europea e presidente della delegazione dell’eurocamera per i rapporti con la Palestina (Dpal): dopo aver ricordato i “183 palestinesi uccisi” e la “distruzione di centinaia di abitazioni” nella Striscia di Gaza solo nell’ultimo anno, Pineda ha incalzato l’alto rappresentante Borrell chiedendo cosa sta facendo l’Ue nei confronti di un “regime coloniale che sancisce l’apartheid ai danni del popolo del Paese che occupa”. La proposta che sorge a più riprese è di sospendere l’accordo di associazione con Israele, firmato nel 2000 e rinnovato nel 2022: per l’Ue l’accordo “si fonda sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali”, ma come sottolinea Maria Arena, “il governo israeliano rompe completamente” quei valori.
    Grace O’Sullivan, 14/02/23
    Margrete Auken, che si è recata più volte in Palestina con la delegazione Dpal, riassume così l’atteggiamento dell’Ue sul conflitto israelo-palestinese: “Se sei neutrale in situazioni ingiuste, hai scelto di essere dalla parte dell’oppressore”. Durante l’ultima missione della delegazione, che risale al mese scorso, l’eurodeputata dei Verdi/Ale Grace O’Sullivan racconta di aver visto “che Israele estrae direttamente carburante fossile dai territori occupati”. Combustibile che viene poi venduto anche in Europa, che nel giugno scorso ha firmato un importante accordo con Tel Aviv per incrementare le forniture di gas dalla regione. “Perché il petrolio e il gas di uno Stato occupante sono più accettabili di quelli di un altro?”, è la domanda di O’Sullivan in riferimento alla determinazione con cui l’Ue ha limitato e bandito gas e petrolio russi.
    “Se un altro Paese avesse fatto quello che fa Israele avremmo già imposto delle sanzioni, e invece dobbiamo scusarci per l’ingerenza” attacca Marc Botenga, della Sinistra europea, che reitera l’invito a sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele. Josep Borrell, alla fine del dibattito, ha rivendicato la dichiarazione firmata dai 27 Paesi membri in cui “ha lanciato un appello ad ambo le parti per agire in maniera responsabile” e ha ribadito che “Israele deve smettere l’espansione delle colonie, illegali secondo il diritto internazionale”.
    Ma sulla possibilità di congelare il partenariato con Tel Aviv, il capo della diplomazia europea ha frenato con decisione: “Gli accordi di partenariato non sono con un governo, ma con uno Stato. Non possono cambiare solo perché in un Paese cambia il governo “, ha chiuso Borrell. Che ora ha un’altra gatta da pelare: Eli Cohen, dopo aver espresso le sue perplessità per il dibattito al Parlamento europeo, in un tweet ha definito “un’ingiustizia morale” il paragone che Borrell avrebbe fatto durante la loro telefonata, in cui metteva sullo stesso piano “gli attacchi terroristici di Hamas, il cui unico scopo è uccidere gli ebrei, e le azioni effettuate dall’IDF per la sicurezza dei cittadini israeliani”.

    Nel dibattito all’emiciclo di Strasburgo, la riforma della giustizia del governo Netanyahu è stata definita a più riprese “una catastrofe” e “un attentato alla democrazia”. Diversi eurodeputati chiedono la sospensione del partenariato con Tel Aviv, ma Borrell chiude. E viene attaccato dal Ministro degli Esteri Eli Cohen

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    Inizia a Londra il primo viaggio continentale di Zelensky. Domani è atteso a Bruxelles da Parlamento e Consiglio Ue

    Bruxelles – Ora è ufficiale. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha lasciato il Paese invaso dall’esercito russo dal 24 febbraio 2022 per il suo primo viaggio sul continente europeo. A renderlo noto è il governo britannico, annunciando che il leader dell’Ucraina è in viaggio per il Regno Unito, prima tappa della trasferta europea che domani (9 febbraio) lo vedrà a Bruxelles per partecipare alla sessione plenaria straordinaria del Parlamento Europeo e al vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue. Per questa sera è invece prevista una seconda tappa a Parigi, dove all’Eliseo si svolgerà un colloquio a tre tra il presidente ucraino, l’omologo francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz.
    Da sinistra: il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Londra l’8 febbraio 2023 (credits: Justin Tallis / Afp)
    “La visita del presidente Zelensky nel Regno Unito è una testimonianza del coraggio, della determinazione e della lotta del suo Paese, e una testimonianza dell’amicizia indissolubile tra i nostri due Paesi”, è il saluto del primo ministro britannico, Rishi Sunak, a poche ore dall’arrivo del numero uno di Kiev a Londra. Nel confronto tra Sunak e Zelensky sarà discussa l’ulteriore fornitura militare a sostegno della difesa del Paese, l’addestramento di piloti di aerei da combattimento e nuove sanzioni contro la Russia, si apprende dalla nota diffusa da Downing Street 10. Il presidente ucraino si rivolgerà poi al Parlamento britannico a Westminster, dove esporrà il piano per una pace “giusta e sostenibile”, e ci si aspetta un incontro anche con re Carlo II.
    Ma a Bruxelles si aspetta solo lo scoccare della mezzanotte di giovedì 9 febbraio, quando avrà inizio la lunga giornata del presidente Zelensky presso le istituzioni comunitarie, per la prima volta di persona da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Dopo le indiscrezioni degli ultimi giorni ancora non sono arrivate conferme ufficiali – per questioni di sicurezza – dai portavoce del Consiglio e del Parlamento Ue, ma ormai nella capitale dell’Unione si stanno facendo tutti i preparativi per accogliere il leader ucraino sia nell’emiciclo dell’Eurocamera sia al Consiglio Europeo straordinario (che dopo migrazione e aiuti di Stato ora avrà un terzo dossier di peso sul tavolo). Non solo è stata spostata la riunione del Comitato delle Regioni, organizzata inizialmente nell’emiciclo del Parlamento Ue, ma anche la conferenza dei presidenti dei gruppi all’Eurocamera, prevista per domani, è slitatta di un giorno.
    Un camion dei pompieri distrutto da una mina a Kiev e un’ambulanza colpita dall’esercito russo a Kharkiv, davanti alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (8 febbraio 2023)
    Come anticipano fonti europee, Zelensky domattina comparirà tra le 10 e le 11 davanti a tutti gli eurodeputati all’emiciclo di Bruxelles, presieduto dalla sua leader Roberta Metsola. Considerati gli stretti orari degli appuntamenti delle due istituzioni, è possibile che Zelensky si recherà prima a Palazzo Europa e poi si sposterà in rue Wiertz 60: altre fonti Ue prevedono che l’inizio dei lavori del vertice dei leader dei Ventisette sarà verso le ore 9.30/10, appena prima della visita di Zelensky all’Eurocamera. Il discorso del presidente ucraino al Consiglio Ue dovrebbe anticipare le discussioni previste su migrazione e risposta Ue all’Inflation Reduction Act (Ira) statunitense, che al momento si puntano a chiudere entrambe in una sola giornata.

    Tappa nel Regno Unito per il leader del Paese invaso dall’esercito russo da quasi un anno. Dopo il confronto con il premier Sunak e re Carlo III si dirigerà verso la capitale dell’Unione per partecipare alla sessione plenaria dell’Eurocamera e al vertice dei leader dei Ventisette

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    In Armenia sarà dispiegata una missione civile dell’Ue per stabilizzare il confine con Azerbaigian e il Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – L’impegno dell’Unione Europea per sostenere gli sforzi diplomatici tra Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh diventa concreto. I ministri degli Affari Esteri dei Paesi membri Ue hanno stabilito oggi (23 gennaio) di istituire una missione civile dell’Unione Europea in Armenia nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di “contribuire alla stabilità nelle zone di confine, rafforzare la fiducia sul terreno e garantire un ambiente favorevole agli sforzi di normalizzazione” dei due Paesi caucasici. È da quasi un anno che Bruxelles sta cercando di prendere le redini della diplomazia nel Caucaso meridionale, ma la situazione sul campo continua a deteriorarsi e al momento non si vede una via d’uscita alla crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    La missione civile Euma “avvia una nuova fase dell’impegno dell’UE nel Caucaso meridionale, verso una pace sostenibile”, ha rimarcato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando la decisione del Consiglio dell’Ue di continuare a sostenere e rendere più efficaci gli sforzi di allentamento della tensione tra Armenia e Azerbaigian. Dopo il dispiegamento di 40 esperti di monitoraggio dalla missione in Georgia (Eumm) a metà ottobre e i 176 pattugliamenti fino al 19 dicembre, a Bruxelles è stato dato il via libera al mandato della nuova missione civile dell’Ue in Armenia (inizialmente di due anni) con a capo Stefano Tomat, amministratore delegato della capacità civile di pianificazione e condotta del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae).
    In risposta alla richiesta dell’Armenia “l’Euma effettuerà pattugliamenti di routine e riferirà sulla situazione”, ha precisato in una nota l’alto rappresentante Borrell, aggiungendo che la missione “contribuirà anche agli sforzi di mediazione nel quadro del processo guidato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel“. Dal maggio dello scorso anno l’Unione Europea ha preso il posto della Russia come mediatrice tra Armenia e Azerbaigian, sia lungo il confine sia nella regione del Nagorno-Karabakh. Nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è dal 1992 che si protrae un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh.

    We establish today a civilian EU Mission in Armenia #EUMA, to contribute to stability, build confidence & ensure an environment conducive to normalisation efforts between Armenia & Azerbaijan.
    It launches a new phase in our South Caucasus engagement, towards sustainable peace. https://t.co/lLJFN04pee pic.twitter.com/dS50l1UQ0P
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) January 23, 2023

    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio il presidente del Consiglio Ue Michel ha reso sempre più frequenti i contatti diretti con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Tuttavia, mentre a Bruxelles si gioca la partita diplomatica, sul campo non si è mai allentata la tensione: nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra i due Paesi caucasici, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan (22 maggio 2022)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte del principale mediatore internazionale ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Il compromesso iniziale è stato raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, durante il vertice bilaterale tra il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan mediato dal presidente francese, Emmanuel Macron, e del Consiglio Ue Michel. A pochi giorni dalla fine della missione dei 40 esperti a dicembre, la situazione si è ulteriormente aggravata nel Nagorno-Karabakh. Il 12 dicembre l’Azerbaigian ha bloccato il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh: da 43 giorni su questa strada non transitano più beni essenziali come cibo e farmaci, ma Baku ha tagliato anche l’erogazione di gas e acqua potabile.
    L’appello degli eurodeputati sul Nagorno-Karabakh
    Proprio sulla crisi umanitaria in atto nel Nagorno-Karabakh è arrivata la denuncia del Parlamento Europeo la scorsa settimana durante la sessione plenaria a Strasburgo. La risoluzione approvata dagli eurodeputati ha accusato Baku per le “tragiche conseguenze” del blocco del corridoio di Lachin da parte di “sedicenti ambientalisti”, che viola la tregua del novembre 2020. Considerata “l’inerzia” della diplomazia russa nella regione e l’impossibilità per gli armeni dell’enclave di accedere a beni essenziali e fonti energetiche – case, ospedali e scuole sono senza riscaldamento – il Parlamento Ue ha intimato all’Azerbaigian di “riaprire immediatamente” la strada e ad “astenersi dal compromettere il funzionamento dei collegamenti di trasporto, energia e comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh”.
    In questo contesto è considerata necessaria la sostituzione dei peacekeeper russi con forze di pace internazionali dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) su mandato delle Nazioni Unite, così come un ruolo attivo da parte dell’Unione Europea nel “partecipare attivamente” e “garantire che gli abitanti del Nagorno-Karabakh non siano più tenuti in ostaggio dall’attivismo di Baku, dal ruolo distruttivo della Russia e dall’inattività del gruppo di Minsk”. L’obiettivo ultimo è “un accordo di pace globale, che deve garantire i diritti e la sicurezza della popolazione armena” nell’enclave in Azerbaigian, che ne tuteli i diritti e la metta al riparo dalla “retorica incendiaria che invoca la discriminazione nei confronti degli armeni” perché lascino la regione.

    Il Consiglio dell’Ue ha deciso di istituire la missione Euma con l’obiettivo di “garantire un ambiente favorevole” agli sforzi diplomatici per la normalizzazione dei rapporti dei due Paesi caucasici. Oltre 120 mila persone nell’enclave armena sono tagliate dal mondo esterno da quasi 50 giorni

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    Edi Rama sbeffeggia l’Ue sul Qatargate. Ma dovrebbe prima preoccuparsi per il livello di corruzione in Albania

    Bruxelles – Con un sorriso sornione e la classica loquela tra lo scherzoso e il cinico, il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, si toglie un sassolino dalla scarpa con la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, al World Economic Forum di Davos: “Quando lo scandalo di corruzione [Qatargate, ndr] è emerso, ho pensato subito che karma is a bitch“. Un’espressione piuttosto colorita – almeno per un forum internazionale come Davos – per sottolineare che il destino talvolta sa essere beffardo e che, dopo anni a chiedere all’Albania e agli altri Paesi dei Balcani Occidentali maggiori sforzi sullo Stato di diritto, è proprio Unione Europea a dover fare i conti con le falle nel sistema di integrità e trasparenza delle sue stesse istituzioni.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (a sinistra), e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (a destra), al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    Nel suo intervento di ieri pomeriggio (19 gennaio) al panel ‘Widening Europe’s Horizons‘ organizzato da Politico al World Economic Forum, il premier albanese Rama ha lanciato più di una provocazione a Bruxelles, senza però strappare con il partner “a cui apparteniamo” e che dopo anni di attesa ha aperto le porte dei negoziati per l’adesione. “Dall’Ue ci è stato chiesto  di fare passi avanti contro la corruzione nel sistema giudiziario”, ha voluto ricordare l’uomo forte di Tirana: “Noi siamo stati radicali e abbiamo imposto le dimissioni di 9 giudici della Corte Costituzionale su 11 perché non potevano giustificare la propria ricchezza, ma poi ci è stato rinfacciato di non avere più una Corte Costituzionale”. Allo stesso tempo Rama ha voluto porre l’accento sul fatto che “il processo di allargamento è diventato nevrotico e ingiusto” e, se oggi Bruxelles trattasse nello stesso modo i suoi stessi Stati membri, “molti non sarebbero più in grado di entrare” nell’Unione: “E non parlo solo dei Paesi ex-comunisti, ma anche dei fondatori”.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    Annuisce e si lascia sfuggire un “è vero” la presidente Metsola, incassando la provocazione di Rama e probabilmente pensando a Paesi come Ungheria e Polonia e alle accuse arrivate proprio ieri dagli avvocati dell’ex-vicepresidente dell’Eurocamera, Eva Kaili, sullo stato di detenzione dell’eurodeputata nella capitale del Belgio (uno dei Paesi fondatori dell’Unione, appunto). Parlando dello scandalo QatarGate, la numero uno del Parlamento Ue l’ha definito “un pugno nello stomaco” e ha assicurato che “è mia responsabilità fare in modo che i campanelli di allarme suonino prima e le contromisure vengano prese immediatamente”. Il piano in 14 punti approvato dalla Conferenza dei presidenti la settimana scorsa rappresenta “una serie di misure immediate per garantire l’integrità, la responsabilità e l’indipendenza” dell’istituzione comunitaria, che dovranno essere accompagnate da “riforme già necessarie prima”, come confermato anche dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    Dietro le parole di Rama: lo Stato di diritto in Albania
    Ma rinfacciare all’Unione Europea lo scoppio di uno scandalo all’interno di una delle sue istituzioni è una coperta molto corta per il premier Rama. Come emerge dal rapporto 2022 dell’organizzazione internazionale World Justice Project, l’Albania è all’87esimo posto su 140 Paesi per il livello di rispetto dello Stato di diritto, ultima in Europa a pari merito con la Serbia (se non si tengono in considerazione le paria internazionali di Russia e Bielorussia). I Paesi membri dell’Ue peggiori sono Bulgaria e Ungheria, ma comunque rispettivamente al 30esimo e 31esimo posto in classifica nel 2022. Il trend in Albania è di leggero ma costante declino della situazione negli ultimi anni, con le criticità maggiori registrate proprio nell’ambito della corruzione, della giustizia criminale e dell’applicazione delle normative.
    Il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (a destra), al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    A questo si aggiunge quanto messo nero su bianco dalla Commissione Europea nel dossier Albania del Pacchetto Allargamento 2022, pubblicato nell’ottobre dello scorso anno. “Nonostante alcuni progressi, l’aumento degli sforzi e l’impegno politico nella lotta alla corruzione, questa rimane un’area di grave preoccupazione“, si legge nel documento. La questione si pone “in molti settori della vita pubblica e imprenditoriale”, come dimostrato da alcune “condanne definitive di funzionari statali di alto livello”. Secondo l’esecutivo comunitario “i settori più vulnerabili alla corruzione richiedono valutazioni del rischio mirate e azioni specifiche”, in particolare sul fatto che i procedimenti penali siano avviati “in modo coerente e sistematico” contro gli accusati di condotta criminale: “Bisogna garantire che la Struttura specializzata per la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata si occupi ulteriormente della corruzione ad alto livello”.
    Per quanto riguarda specificamente il sistema giudiziario – citato da Rama – l’analisi della Commissione Ue evidenzia che “l’Albania è moderatamente preparata”, grazie ai “buoni progressi sul proseguimento dell’attuazione della riforma della giustizia” e le “nuove nomine di giudici dell’Alta Corte, che ha raggiunto il quorum per effettuare le nomine di giudici alla Corte Costituzionale, procedendo a una di queste”. Tuttavia, l’efficienza del sistema giudiziario “è influenzata negativamente dalla lunghezza dei procedimenti, dal basso tasso di liquidazione e dall’ampio arretrato di cause”. Senza cercare scuse nel QatarGate per abbassare gli standard anti-corruzione durante i negoziati di adesione all’Ue, la raccomandazione per il 2023 a Tirana rimane il “consolidamento degli sforzi per migliorare l’efficienza e la trasparenza di tutti i tribunali e le procure”.

    Al World Economic Forum di Davos il premier albanese ha punzecchiato la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola: “Karma is a bitch”. La lotta alla corruzione rimane però di “grave preoccupazione” per Bruxelles sul piano dello Stato di diritto nel Paese in via di adesione

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    Iran, il Parlamento Ue vuole sanzioni per la guida suprema Khamenei e il presidente Raisi

    Bruxelles – Dopo i Pasdaran, le massime figure politiche dell’Iran. L’Aula del Parlamento europeo chiede che la Guida Suprema Ali Khamenei e il presidente Ebrahim Raisi siano inseriti nell’elenco delle persone oggetto di sanzioni dell’Ue. Un invito per i governi dei 27, a cui spetta il compito di decidere in materia di misure restrittive, contenuto nella risoluzione approvata per alzata di mano. Per la repressione delle proteste nel Paese e il sostegno di Teheran alla Russia, per l’eurocamera servono ” ulteriori adeguamenti della posizione dell’UE nei confronti dell’Iran”, si legge nella risoluzione adottata per alzata di mano.
    Il voto d’Aula si aggiunge a quello che ha già visto chiedere di considerare le Guardie della Rivoluzione un’organizzazione terroristica. A distanza di ventiquattro ore da quel voto adesso l’ulteriore passo che segna il momento più alto delle tensioni diplomatiche con la repubblica islamica. Oltre alle due massima figure politiche, gli europarlamentari riuniti a Strasburgo vorrebbero che nella lista nera dell’Unione europea finissero anche  il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri e tutte le fondazioni (“bonyad”) legate al Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRCG).
    “Oggi il Parlamento europeo si è espresso con forza contro la violenta repressione e le uccisioni del suo popolo da parte del regime iraniano”, il commento di Ernest Urtasun, vicepresidente dei Verdi. “La Repubblica islamica deve essere ritenuta responsabile dei suoi crimini e deve consentire l’accesso alla nuova missione conoscitiva delle Nazioni Unite”.
    Soddisfatto anche Marco Campomenosi, capo delegazione della Lega al Parlamento Europeo, componente della delegazione per i rapporti con l’Iran, che però chiede “un impegno più forte, concreto e deciso contro il regime di Teheran” da parte dell’Unione europea. Fin qui, lamenta, “le sanzioni da parte delle istituzioni europee sono ancora troppo timide”.

    La richiesta segue quella di dichiarare i Pasdaran terroristi. Le relazioni tra l’Ue e Teheran si fanno sempre più tese

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    Ucraina, via libera dell’Aula ai prestiti da 18 miliardi di cui Kiev ha bisogno per il 2023

    Bruxelles – Via libera dell’Aula del Parlamento europeo al sostegno finanziario da 18 miliardi di euro per l’Ucraina. Gli europarlamentari riuniti a Strasburgo per la sessione plenaria approvano a larghissima maggioranza (507 voti a favore, 38 contrari e 26 astensioni) la proposta messa sul tavolo dalla Commssione europea a inizio mese. I 18 miliardi di euro copriranno circa la metà dei 3-4 miliardi di euro di finanziamenti mensili di cui l’Ucraina ha bisogno per il l 2023.
    Secondo la proposta della Commissione, il denaro servirà a sostenere i servizi pubblici essenziali (gestione di ospedali e scuole, fornitura di alloggi per le persone trasferite) oltre ad aiutare nel ripristino delle infrastrutture critiche distrutte dalla Russia e garantire la stabilità macroeconomica del Paese. Il prestito, che sarà finanziato dall’UE sui mercati finanziari, sarà erogato in rate trimestrali.
    “L’Ucraina deve sapere che può contare sul sostegno europeo per tutto il tempo necessario”, commenta una soddisfatta Sandra Kalniete (Ppe), relatrice permanente per l’Ucraina alla commissione per il commercio internazionale. Con il voto di oggi “l’Ue è pronta a fornire un’assistenza finanziaria regolare e prevedibile per contribuire a coprire una parte consistente del fabbisogno finanziario immediato dell’Ucraina nel 2023”. Soddisfatta anche la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Oggi abbiamo approvato a larga maggioranza e a velocità record un pacchetto di aiuti da 18 miliardi di euro per sopravvivere alla guerra e ripristinare le infrastrutture critiche”.
    Su questo pacchetto di aiuti la Corte dei conti europea ha comunque sollevato dubbi circa i modi in cui l’Ue ha deciso di agire, sottolineando i rischi legati al bilancio comune. Nel voto d’Aula spicca il ‘no’ espresso da Irene Tinagli, presidente della commissione Affari economici.

    ‘Sì’ a larghissima maggioranza. Soddisfatta la presidente dell’europarlamento, Roberta Metsola. Si copre circa la metà del fabbisogno ucraino per il prossimo anno

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    “Russia sponsor del terrorismo”. L’Aula del Parlamento Europeo all’attacco di Mosca

    Bruxelles – La Russia Stato sponsor del terrorismo. L’Aula del Parlamento europeo approva la risoluzione che intende isolare ancora di più  Vladimir Putin a livello internazionale. Un voto praticamente unanime, che riceve 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni. Tra gli astenuti la pattuglia del Movimento 5 Stelle, mentre tra le fila dei socialisti gli italiani del Pd si spaccano, con Bartolo, Cozzolono e Smeriglio che non seguono né la delegazione italiana né il gruppo parlamentare, votando contro.
    “In Ucraina è il momento di alzare i toni della pace. La risoluzione che verrà messa ai voti oggi al Parlamento europeo porta invece all’opposta direzione“, sostiene la delegazione pentastellata in Parlamento europeo, convinta che “bisogna mettere a tacere le armi e far prevalere le diplomazie”. Dello stesso avviso anche Francesca Donato, europarlamentare eletta con la Lega adesso indipendente. E’ tra i 58 ‘no’ finali, per una risoluzione che ritiene “assurda e controproducente”. Il Parlamento europeo, spiega, “ha perso un’occasione per favorire il clima di dialogo e una iniziativa di pace”.
    La censura politica dell’Aula di Strasburgo è per gli attacchi e “le atrocità intenzionali” sulla popolazione civile, la distruzione delle infrastrutture civili, e “altre gravi violazioni del diritto internazionale e umanitario”. Sono tutti “atti di terrore e crimini di guerra”, che per questo induce i due terzi dell’Aula a dichiarare la federazione russa di Putin “sponsor del terrorismo”. E’ questa la formula che elimina il nodo giuridico della questione, visto che a livello Ue non esiste un quadro che definisca uno Stato terrorista, come invece avviene negli Stati Uniti. Per questo una delle richieste a Commissione e Stati membri che arriva dal Parlamento è creare quella legislazione mancante per poter aggiungere il Paese euro-asiatica nella nell’elenco dei soggetti terroristici dell’Ue. Così facendo sarebbe possibile far scattare la tagliola di nuove sanzioni e nuove restrizioni.
    A proposito di ‘listing’, si invita il Consiglio dell’Ue ad aggiungere anche l’organizzazione paramilitare “Gruppo Wagner”, il 141esimo reggimento speciale motorizzato noto anche come “Kadyroviti”, insieme ad “altri gruppi armati, milizie e delegazioni finanziate dalla Russia”.
    La stessa risoluzione chiede anche di operare un ulteriore isolamento della Russia, chiedendo di fatto di lavorare per arrivare alla sospensione da organizzazioni e organismi internazionali come il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, una proposta peraltro già avanzata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
    Il testo che dichiara la Russia Stato sponsor del terrorismo arriva dopo “l’escalation di atti di terrore del Cremlino contro il popolo ucraino”, ragion per cui, secondo gli europarlamentari, i Ventisette vengono esortati a “ultimare rapidamente il lavoro del Consiglio sul nono pacchetto di sanzioni contro Mosca”.
    Ma il nodo di fondo di questa iniziativa parlamentare è continuare con la guerra, e lo spiega molto bene Anna Fotyga, coordinatore dei Conservatori europei (Ecr) in commissione Affari esteri. “Non possiamo negoziare con i terroristi“, scandisce. L’azione di oggi manda un messaggio tanto forte quanto pericoloso.

    Di questo e di tanti altri temi di attualità nelle politiche europee si discuterà nel nono appuntamento annuale di Eunews How Can We Govern Europe?, in programma a Roma il 29 e 30 novembre negli spazi delle rappresentanze di Commissione e Parlamento europei, in piazza Venezia.

    Approvata la risoluzione che chiede anche di escludere il Paese dal consiglio di sicurezza dell’Onu. I 5 Stelle si astengono, il Pd si divide. Fotyga: “Non possiamo negoziare con Mosca”