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    La leader dell’opposizione bielorussa Tsikhanouskaya chiama l’UE all’azione: “Non abbiamo un altro anno di tempo”

    Bruxelles – “In questo momento ci sono più prigionieri politici in Bielorussia che eurodeputati in quest’Aula”. Potrebbero bastare solo queste parole rivolte dalla leader dell’opposizione bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, all’emiciclo del Parlamento UE per tracciare la gravità della situazione e delle violazioni dei diritti umani nella Bielorussia di Alexander Lukashenko.
    Una lunga standing ovation da parte degli eurodeputati ha accolto “una delle leader più prestigiose dell’opposizione democratica in Bielorussia”, come l’ha presentata il presidente del Parlamento UE, David Sassoli. Proprio l’invito di Sassoli ha riportato in plenaria la presidente ad interim riconosciuta dall’Unione Europea, vincitrice (insieme ai compagni e alle compagne di lotta) del Premio Sakharov per la libertà di pensiero del 2020: “È un simbolo per la democrazia e la libertà ed è la voce dei prigionieri politici in carcere che non vogliamo dimenticare“, ha sottolineato il presidente del Parlamento UE, che ha definito quel regime “una tirannia”, nel suo discorso di apertura, richiamando “anche le altre istituzioni comunitarie” a essere “all’altezza della difesa dei diritti fondamentali e dei valori europei che non sono in vendita”.
    La standing ovation degli eurodeputati per la leader dell’opposizione democratica bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya (24 novembre 2021)
    Prendendo parola, Tsikhanouskaya si è soffermata proprio sul fatto che tra gli 882 prigionieri politici in Bielorussia, ci sono anche i vincitori del Premio Sakharov “che un anno fa erano presenti nell’Aula di Bruxelles”. Il riferimento è ad Ales Bialiatski, fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, che “dimostra quanto la crisi sia più vicina di quanto sembri”. Nonostante le “decisioni senza precedenti della Commissione e il sostegno del Parlamento Europeo”, la leader dell’opposizione bielorussa ha richiamato l’UE all’azione: “Perdonate la mia schiettezza, ma devo dirlo, è tardi e ora tocca agli europei mostrare il loro impegno per i valori democratici e la dignità umana con misure più incisive”.
    Se alla fine del 2020 Tsikhanouskaya parlava di un “risveglio dei cittadini bielorussi” e chiedeva già il supporto dell’Unione, quasi 365 giorni dopo ha avvertito che “non abbiamo un altro anno a disposizione, non ce l’ha la Bielorussia e nemmeno l’Europa”. All’escalation di violenza del regime di Lukashenko si oppone la resistenza del popolo bielorusso, che “vuole nuove elezioni presidenziali e trova modi di protestare nonostante l’intensa pressione politica”. È però necessario che l’UE si risvegli e diventi “più proattiva di fronte all’autocrazia di Lukashenko“, ha esortato la leader dell’opposizione bielorussa.
    Per spiegare meglio il concetto, Tsikhanouskaya ha utilizzato una metafora efficace: “Le dittature sono come un virus che infetta il corpo, sappiamo che più la malattia viene ignorata, più sarà difficile curarla in futuro”. Di qui la necessità di “non rimanere ad aspettare e vedere cosa succede, ma è cruciale passare all’azione”, attraverso una strategia divisa in tre parti: “Isolamento, per prevenire la sua diffusione, trattamento, per rimuovere i suoi effetti negativi, e immunità, per mantenere il corpo in buona salute”.
    Una nuova strategia per la Bielorussia
    La prima parte della strategia riguarda l’isolamento e il non riconoscimento del regime: “Molti bielorussi sono feriti nel vedere che ancora oggi i media europei più influenti chiamano Lukashenko ‘presidente’, quando non lo è”, ha cercato di sensibilizzare la stampa Tsikhanouskaya. La leader dell’opposizione bielorussa ha spiegato che “in questo modo si forma una percezione sbagliata tra milioni di cittadini dell’UE” su un politico che “ha illegalmente usurpato il potere presidenziale con la violenza”. Se Bruxelles non considera valide le elezioni-farsa dell’agosto del 2020, “bisogna impostare una politica di non riconoscimento coerente“. Per esempio “non si dovrebbero nominare nuovi ambasciatori in Bielorussia, ricevere ambasciatori del regime, o invitare rappresentanti a eventi internazionali”, ma si dovrebbe anche “sospendere l’appartenenza del regime all’Interpol”. Tutto questo “manderebbe un segnale che gli abusi non saranno più tollerati“, ha aggiunto la presidente ad interim.
    La leader dell’opposizione democratica bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, al Parlamento UE (24 novembre 2021)
    In secondo luogo, servono pressioni sul regime e limitazioni all’accesso di risorse: “Vi assicuro che le sanzioni economiche funzionano, continuate a mantenere questa politica”. Tsikhanouskaya ha spiegato che le misure restrittive “dividono le élite attorno a Lukashenko e distruggono gli schemi di corruzione, perché nessuno vuole condividere le responsabilità dei crimini del regime”. Così come fatto con gli ultimi pacchetti di sanzioni, “non vanno ascoltati i lobbisti e vanno coordinate le azioni con Londra e Washington”. Secondo la leader dell’opposizione bielorussa, è necessario anche “perseguire i trasgressori dei diritti umani secondo la giurisdizione penale universale“.
    L’ultima parte della strategia riguarda il rafforzamento della resistenza democratica della società bielorussa. Tsikhanouskaya ha chiesto all’UE di “dare più assistenza al nostro popolo”, seguendo la linea di flessibilità del pacchetto di investimenti da 3 miliardi di euro che verrà sbloccato solo quando in Bielorussia saranno rispettato i diritti umani. “La gente deve sentire di non essere abbandonata“, è stata l’esortazione della presidente legittima riconosciuta dall’UE, che ha invitato le istituzioni comunitarie a “non permettere che il regime manipoli il traffico di migranti per oscurare la catastrofe dei diritti umani all’interno del Paese”. Sia i cittadini bielorussi sia le persone migranti sono “ostaggi del regime e questi due problemi non possono essere risolti separatamente”, ha specificato.
    Il 2021 visto dall’opposizione bielorussa
    Inseguendo il sogno di “un’Europa unita nei nostri valori condivisi di rispetto dei diritti umani, di governo rappresentativo e costituzionale, e dello Stato di diritto”, per l’opposizione democratica bielorussa il 2021 è stato un anno particolarmente difficile e Tsikhanouskaya l’ha spiegato passo per passo al Parlamento UE. “A gennaio la polizia ha iniziato ad arrestare i cittadini dissenzienti, facendo irruzione nelle loro case”, mentre a febbraio anche la stampa è finita nel mirino, quando le giornaliste Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova sono state condannate a due anni di carcere “solo per aver riferito sulle proteste e dopo essere state picchiate dalle forze di sicurezza”. A marzo, “mentre l’Europa parlava di una situazione che si stava stabilizzando”, centinaia di persone sono state arrestate “semplicemente per essere state all’aperto nel giorno dell’indipendenza”. In aprile, il ministro degli Esteri del regime, Vladimir Makei, “ha promesso di distruggere la società civile, ma l’interesse dei media europei per la Bielorussia stava rapidamente svanendo”.
    La leader dell’opposizione democratica bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, al Parlamento UE (24 novembre 2021)
    È stato maggio il punto di svolta. Dopo la chiusura del sito di notizie indipendente TUT.BY, si è verificato lo scandalo del dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk e il rapimento del giornalista e oppositore politico, Roman Protasevich. Solo allora, “dopo nove mesi interi dall’inizio della catastrofe dei diritti umani in Bielorussia”, l’UE ha preso le prime misure contro il regime, ha ricordato la leader dell’opposizione bielorussa con una nota di disappunto. Con l’approvazione delle sanzioni economiche contro il regime di Lukashenko, “a giugno molti politici europei si preoccupavano che le misure potessero danneggiare i bielorussi, come se non stessero già soffrendo”. A luglio l’aspirante candidato presidenziale Viktor Babariko è stato condannato a 14 anni di prigione e ad agosto l’atleta olimpica Krystina Tsimanouskaya è stata quasi rapita durante i Giochi di Tokyo “semplicemente per aver criticato la gestione sportiva bielorussa”.
    A settembre è arrivata anche la condanna a 11 anni di prigione per una delle tre leader dell’opposizione bielorussa, Maria Kolesnikova, mentre l’informatico Andrey Zeltser è stato ucciso nel corso un’incursione del KGB nel suo appartamento: “Sua moglie, unica testimone, è stata mandata in un ospedale psichiatrico”. A ottobre è esplosa la crisi dei migranti, che già da mesi si era manifestata alle frontiere dell’UE. Fino ad arrivare a oggi, a novembre, con “migliaia di cittadini stranieri presi in ostaggio dal regime che sono finiti al centro dell’attenzione dell’Unione Europea“, mentre “nove milioni di bielorussi lo sono ogni giorno da più di un anno”, ha ricordato Tsikhanouskaya. “Ma pensate davvero che si fermerà qui? La Lituania e la Polonia stanno affrontando la più grande prova della loro sicurezza alle frontiere, ma le minacce aumenteranno ancora”, è stato l’avvertimento all’UE della leader dell’opposizione bielorussa.
    “Ascoltiamo e rendiamo omaggio Tsikhanouskaya”, è stato il messaggio dell’eurodeputato del Partito Democratico Massimiliano Smeriglio. Raccontando di repressione, di prigionieri politici, della chiusura di tutti i media indipendenti e delle ONG, e dello sfruttamento delle persone migranti alla frontiera dell’UE, “ci ricorda che in Bielorussia il tempo si misura in lacrime e ci chiede di esserci, di fare la nostra parte, di non lasciarli soli“, ha aggiunto l’europarlamentare italiano.

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    Il Parlamento UE diviso tra chi vuole rafforzare le frontiere con la Bielorussia e chi condanna le violazioni dei diritti umani

    Bruxelles – Nel giorno dell’annuncio della nuova proposta di sanzioni contro il regime di Alexander Lukashenko, con l’inclusione di una lista nera di operatori di trasporto che facilitano la tratta di persone verso l’Unione Europea, gli eurodeputati si sono confrontati con la Commissione e il Consiglio UE sulla gestione della frontiera orientale, scontrandosi e dividendosi sull’analisi della crisi migratoria in atto tra Polonia e Bielorussia.
    Nel suo intervento in Aula il vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas, ha definito le azioni del presidente della Bielorussia “una minaccia alla sicurezza dell’UE”, dal momento in cui “non sono solo le frontiere polacche, lituane e lettoni in pericolo, ma anche quelle di tutta l’Unione”. Di contro, “la nostra risposta non ha conosciuto pause, ma ora è tempo di azioni, non di diagnosi“, ha esortato il vicepresidente dell’esecutivo comunitario. Di qui le varie direttrici di intervento di Bruxelles per cercare di limitare i danni e provare a coordinare un approccio che fin a oggi sembra tutto fuorché armonizzato.
    Il vicepresidente della Commissione UE, Margaritis Schinas (23 novembre 2021)
    Prima di tutto c’è stato il sostegno per affrontare la crisi umanitaria “drammatica”, attraverso la mobilitazione di 700 mila euro del bilancio dell’Unione per le organizzazioni internazionali partner. “Dobbiamo dare una protezione adeguata alle persone bloccate alla frontiera”, ha ricordato Schinas. Altri 3,5 milioni di euro saranno stanziati dall’UE per sostenere i rimpatri volontari dalla Bielorussia ai Paesi di origine, “una priorità fondamentale, come mi è stato chiesto nel mio viaggio nei Paesi partner in Medio Oriente“, ha aggiunto il vicepresidente della Commissione UE. E poi oltre 200 milioni di fondi “ai Paesi più colpiti”, ovvero Polonia, Lituania e Lettonia, e il quinto pacchetto di sanzioni contro il regime bielorusso: “Ma siamo pronti a fare di più se e quando necessario“.
    Come già rivelato nel corso della sessione plenaria di due settimane fa, il Parlamento UE è diviso tra gruppi politici che sostengono il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dell’Unione e altri che definiscono “inaccettabile per i valori europei” ciò che sta accadendo sul confine tra Polonia e Bielorussia.
    Il primo approccio è quello delle destre, compresi i popolari. “Qualcuno ancora si chiede se ci troviamo in una guerra ibrida sulle frontiere orientali”, ha attaccato Esteban González Pons (PPE). “Non possiamo permetterci tentennamenti mentre la Russia continua la sua politica di invasioni e usa Lukashenko per provare a destabilizzare l’Unione Europea”. Sulla stessa linea d’onda Ryszard Antoni Legutko (ECR), che ha definito quella in corso una “minaccia diretta alla frontiera della Polonia” attraverso l’invio in massa di civili per “far scricchiolare l’UE”. Riportando le parole del primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, l’eurodeputato conservatore ha definito “la nostra passività, la sua forza”. Ancora più duro Nicolas Bay (ID), che ha accusato le istituzioni UE di “incitare i migranti a venire in Europa, promettendo anche loro di accoglierli con 700 mila euro”.
    Dall’altra parte dell’emiciclo, Birgit Sippel (S&D) ha parlato di “catastrofe umanitaria, in cui le persone vengono maltrattate e respinte con la violenza“. L’indice è puntato proprio contro il governo di Varsavia, che “non rispetta i vincoli internazionali e i diritti umani che valgono anche alle frontiere esterne dell’Unione”. L’eurodeputata socialdemocratica ha inoltre esortato la Polonia a “dare accesso alle ONG e ai giornalisti nella zona rossa”. Più radicale l’accusa di Miguel Urbán Crespo (La Sinistra): “Alla frontiera dell’UE con la Bielorussia si stanno usando donne, uomini e bambini come rifiuti, noi ci opponiamo alla visione di una guerra ibrida che giustifica il sostegno a queste politiche violente”.
    Liberali e Verdi hanno invece insistito sul fatto che l’UE non stia parlando con una sola voce contro la Bielorussia di Lukashenko, con la conseguenza di non saper coordinare una risposta “efficace e dignitosa” alle frontiere esterne. “Le telefonate della cancelliera tedesca, Angela Merkel, a Lukashenko hanno come unico risultato quello di far alzare il tiro delle sue pretese nei confronti dell’Unione”, ha attaccato Petras Auštrevičius (Renew Europe). “Dobbiamo continuare con misure dure contro il regime e contro la compagnia aerea Belavia, perché ancora dopo quattro pacchetti di sanzioni le violazioni dei diritti umani in Bielorussia non si fermano”, ha aggiunto l’eurodeputato lituano.
    Viola Von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE) ha sottolineato che “il fatto che Belavia chieda un sacco di soldi per dare alle persone migranti una speranza vana è l’esempio di cosa sia una tratta di esseri umani”. Anche se “alcuni pensano che si possa telefonare e mediare”, il presidente bielorusso Lukashenko e la sua cerchia “possono essere fermati solo con misure dure e sostenendo l’opposizione democratica bielorussa”, ha aggiunto l’europarlamentare tedesca, anticipando l’intervento di domani (mercoledì 24 novembre) della leader Sviatlana Tsikhanouskaya.

    La frattura tra i gruppi delle destre e del fronte sinistre-Verdi-liberali si è aperta durante la discussione sulla gestione della crisi migratoria al confine tra Polonia e Bielorussia

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    La Russia “ha appetito di escalation” in Ucraina: per l’UE è necessario “aumentare la capacità dissuasiva”

    Bruxelles – Si alza il livello di allarme al Parlamento UE sul crescente militarismo della Russia in tutta l’area del Partenariato Orientale, dall’Ucraina al Caucaso, dalla Bielorussia alla Moldavia. Il quadro è stato tracciato dalla sottocommissione Sicurezza e difesa (SEDE) del Parlamento UE, nel corso dell’audizione di oggi (mercoledì 27 ottobre) di Maryna Vorotnyuk, ricercatrice del think tank britannico Royal United Services Institute for Defence and Security Studies, e di Samus Mykhailo, direttore della piattaforma indipendente New Geopolitics Research Network. Si attende ora la relazione a firma Witold Waszczykowski (ECR).
    “L’area del Partenariato orientale rappresenta una fonte di problemi per l’UE e la NATO e il principale motore di insicurezza è la politica della Russia nella regione”, ha messo in chiaro Vorotnyuk. I già presenti problemi economici, inter-etnici e di transizione democratica post-comunista sono stati “esacerbati” da Mosca, che “opera come mediatore in una zona di instabilità controllata“. Se la dottrina militare russa “si basa sull’idea di espansione per terra e per mare”, le tensioni nella regione sono “guerre surrogate contro l’Occidente”. Ma un altro fattore che determina questo atteggiamento è il “sempre maggior divario tra aumento della capacità militare e calo di attrattività del suo modello socio-politico”, ha spiegato la ricercatrice.
    Maryna Vorotnyuk, ricercatrice del think tank britannico Royal United Services Institute for Defence and Security Studies durante il suo intervento (27 ottobre 2021)
    Mosca è ormai presente “in tutti i conflitti congelati o ibridi” dell’area, con circa 10 mila soldati in Ossezia del Sud (regione separatista della Georgia), 2 mila in Nagorno Karabakh, 30 mila in Crimea e 3 mila nel Donbass (rispettivamente il territorio annesso e rivendicato dalla Russia) e circa 1.550 in Transnistria (regione separatista della Moldavia). “Con questa presenza possono dominare il campo di battaglia in caso di operazioni militari”, ha lanciato l’allarme Vorotnyuk, che ha così commentato “l’appetito di escalation di tensione e di capacità bellica” che si sta sviluppando “oltre le necessità in tempo di pace”, in particolare nei confronti di Kiev.
    Rispondendo alle domande degli eurodeputati, il direttore del New Geopolitics Research Network ha spiegato la situazione in Ucraina e in Bielorussia. “La presenza e la preparazione militare è superiore a quella del 2014“, quando le truppe di Mosca hanno annesso la penisola di Crimea. “Sono state implementate le infrastrutture critiche attorno all’Ucraina, con tre divisioni che possono condurre il controllo e la logistica anche per l’occupazione del Donbass”. Come dimostrato dalle esercitazioni dello scorso aprile, “potrebbe verificarsi un’operazione intensa di occupazione su vasta scala dell’Ucraina, non appena il Cremlino considererà favorevoli le condizioni”, ha avvertito Mykhailo.
    Samus Mykhailo, direttore della piattaforma indipendente New Geopolitics Research Network (27 ottobre 2021)
    Riguardo allo scenario bielorusso, il direttore della piattaforma di studi geopolitici ha confermato che “il presidente Alexander Lukashenko non controlla più la situazione ed è completamente alla mercé di Vladimir Putin“. Non una novità, se si considerano gli sviluppi dell’ultimo anno tra i due Paesi. Tuttavia, è interessante considerare la situazione sul campo: “C’è un gruppo di forze regionali che opera con un comando comune e con 300 centri di addestramento sul territorio nazionale, le aviazioni hanno iniziato missioni congiunte e uno scaglione armato russo è già presente nel Paese“. Lo scenario è quello di “una presenza permanente delle truppe di Mosca in Bielorussia”, ha aggiunto Mykhailo.
    A questo punto è necessario considerare come può reagire l’UE a questa situazione di instabilità sul fronte orientale determinata dalla Russia. “Serve una presenza più consistente e risorse di formazione dell’Unione in loco“, ha sottolineato Vorotnyuk. “Il Partenariato orientale non è stato concepito come un progetto di difesa e sicurezza, ma di pace”, tuttavia “il panorama mostra che l’UE deve svolgere un ruolo di maggiore stabilizzazione nella regione”. Ancora più netto Mykhailo, che ha avvertito che “se non ci sarà una definizione comune della minaccia russa, sarà difficile contrastare la bellicosità di Mosca“. Questa “nuova dottrina” dovrà “mettere insieme tutte le percezioni di pericolo dei Paesi membri” e “incentivare lo scambio di esperienze con i partner orientali”. Un discorso che dovrà partire dal “contrasto alla disinformazione e alla guerra ibrida della Russia, in modo da rafforzare la preparazione a scenari di conflitto bellico”.

    Al vaglio della sottocommissione Sicurezza e difesa (SEDE) del Parlamento Europeo la situazione del crescente militarismo russo nella regione del partenariato orientale: “Servono presenza e risorse di formazione UE in loco”

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    L’UE prepara il quinto pacchetto di sanzioni contro il regime Lukashenko: “Ci concentreremo anche sulla crisi migratoria”

    Bruxelles – Non cede di un millimetro l’UE sul fronte delle sanzioni contro la Bielorussia del presidente Alexander Lukashenko. Rimangono valide le conclusioni del Consiglio Europeo di maggio, mentre Bruxelles sta preparando il quinto pacchetto di misure restrittive, che “si concentrerà anche sulla situazione migratoria”. La conferma arriva dal capo delegazione del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) in Bielorussia, Dirk Schuebel, intervenuto in audizione alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo.
    Schuebel, che è stato allontanato da Minsk su richiesta delle autorità bielorusse a fine giugno (come gli ambasciatori polacco e lituano a ottobre 2020 e quello francese solo nove giorni fa), ha confermato che Bruxelles continuerà sulla strada delle sanzioni mirate – oltre a quelle economiche di maggio – “fino a quando Lukashenko non cambierà atteggiamento e non ascolterà i nostri appelli per la liberazione dei prigionieri politici e per nuove elezioni presidenziali”. Il quarto pacchetto era stato adottato lo scorso 21 giugno in coordinamento con Stati Uniti, Canada e Regno Unito, “ma le nostre richieste sono rimaste inascoltate e sempre più ambasciate a Minsk hanno dovuto ridurre il personale o chiudere”.
    Il capo delegazione del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) in Bielorussia, Dirk Schuebel (26 ottobre 2021)
    La violazione dei diritti umani “rimane ancora il problema principale nel Paese”, con 821 prigionieri politici (erano 21 solo dieci anni fa), perquisizioni arbitrarie della polizia nelle case dei dissidenti, “processi in cui non ci sono garanzie di nessun tipo”, la libertà di stampa imbavagliata e la pena di morte ancora applicata. “Lukashenko ha anche rifiutato di ricevere dei vaccini dai Paesi occidentali attraverso lo strumento COVAX”, ha spiegato Schuebel, che ha anche ricordato che è necessaria una “pazienza strategica” nei confronti del Paese. In altre parole, “rimanere fermi sulle nostre posizioni e ricordare che se verranno adottate le misure richieste sarà mobilitato il pacchetto per la Bielorussia democratica da 3 miliardi di euro“.
    Da qualche mese, tuttavia, l’argomento centrale nelle relazioni tra UE e Bielorussia è la nuova rotta migratoria aperta da Lukashenko come ricatto nei confronti delle sanzioni economiche imposte a Minsk ed era inevitabile che questo avesse un impatto sul nuovo pacchetto di misure restrittive. La pressione sulle frontiere esterne dell’Unione ha portato a un’ondata di richieste a Bruxelles per cambiare le linee di gestione della politica migratoria (dai Paesi baltici e dalla Polonia, in primis), anche se il vertice dei leader UE della scorsa settimana ha stabilito che non saranno utilizzati fondi comunitari per finanziare la costruzione di muri lungo i confini dei Paesi membri. “Stiamo lavorando con Paesi come Iraq e Turchia perché smettano di organizzare voli su Minsk, patrocinati dal governo bielorusso”, ha ricordato Schuebel agli eurodeputati: “Ai cittadini viene promesso di poter varcare facilmente la frontiera, pagando tanti soldi, ma già iniziamo a vedere i primi morti per congelamento“.
    Da parte del presidente della delegazione del Parlamento UE per le relazioni con la Bielorussia, Robert Biedroń, è stato fatto notare che “la risposta dell’Unione Europea a questa crisi è stata molto moderata”. Nonostante sia stata riconosciuta la difficoltà di agire senza una presenza diplomatica in loco, l’eurodeputato polacco ha anche sottolineato che “non ci saranno presto elezioni libere, Lukashenko non libererà i prigionieri politici e non ci sarà il finanziamento europeo”. Ecco perché, oltre a “rimanere saldi sulle nostre posizioni”, è necessaria anche “una strategia onnicomprensiva nei confronti della Bielorussia, come richiesto dalla risoluzione del Parlamento Europeo“, ovvero “un piano strategico per l’implementazione della democrazia nel Paese con obiettivi stabiliti per gradi”, ha concluso Biedroń.

    Audizione del capo delegazione UE in Bielorussia, Dirk Schuebel, in commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo: “Serve pazienza strategica, fino a quando non saranno soddisfatte le nostre richieste”

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    Il Parlamento UE vuol stringere le relazioni con Taiwan “per affrontare le crescenti tensioni con la Cina”

    Bruxelles – Si cerca un nuovo impegno nelle relazioni tra l’UE e Taiwan, per affrontare la “continua belligeranza militare della Cina”. Con 580 voti a favore, 26 contrari e 66 astenuti il Parlamento Europeo ha approvato la relazione che chiede di stringere i rapporti diplomatici con Taipei, in linea con la necessità di una politica rivista sulle relazioni con la Cina (la “One China Policy” dell’UE).
    Si tratta della prima relazione dell’Eurocamera sulle relazioni UE-Taiwan, come ha sottolineato il relatore Charlie Weimers (ECR). “Dimostra che l’Unione è pronta a migliorare le sue relazioni con il nostro partner chiave”, ha aggiunto l’eurodeputato svedese, richiamando la Commissione Europea a “perseguire un partenariato globale rafforzato” con l’isola. I tempi sono stretti: il Parlamento si aspetta “entro la fine del 2021” una valutazione d’impatto, una consultazione pubblica e una procedura di delimitazione del campo d’indagine (definita scoping) su un Accordo di investimento bilaterale con le autorità taiwanesi. Tutto questo “in preparazione dei negoziati per approfondire i nostri legami economici“, ha spiegato Weimers nel corso del dibattito in Aula di martedì (19 ottobre). Di qui la proposta di cambiare il nome dell’Ufficio europeo per l’economia e il commercio a Taiwan in Ufficio dell’UE a Taiwan, “per riflettere l’ampia portata dei legami” tra Bruxelles e Taipei.
    Il relatore Charlie Weimers (ECR)
    Dalla stragrande maggioranza degli eurodeputati è stato chiesto un maggiore impegno su questioni relative al multilateralismo e all’Organizzazione Mondiale del Commercio, sul piano della salute pubblica, della tecnologia (come il 5G) e della cooperazione per l’approvvigionamento di semiconduttori (su cui la Commissione sta cercando di tessere una rete globale, dagli Stati Uniti alla Corea del Sud). Ma non solo. Il testo definisce Taiwan “un partner-chiave dell’Unione e un alleato democratico nell’Indo-Pacifico“, che “contribuisce a mantenere un ordine basato sulle regole nel mezzo di una rivalità crescente tra i principali attori geopolitici della regione”.
    Il riferimento è alla Repubblica Popolare Cinese. Nel rapporto viene espressa “grave preoccupazione” per tutta una serie di azioni messe in atto da Pachino a livello militare nello Stretto di Formosa (che separa l’isola dalla Cina), comprese “le esercitazioni di assalto, le violazioni dello spazio aereo e le campagne di disinformazione”. Da Bruxelles ci si aspetta “di più per affrontare queste tensioni, per proteggere la democrazia di Taiwan e lo status dell’isola come importante partner dell’UE”, si legge nel testo. Qualsiasi cambiamento nelle relazioni tra i due Paesi “non deve essere né unilaterale né contro la volontà dei cittadini taiwanesi”, hanno insistito gli eurodeputati, che hanno infine ricordato la “connessione diretta tra la prosperità europea e la sicurezza asiatica“. Soprattutto “se il conflitto dovesse espandersi oltre le questioni economiche”.
    Esulta Anna Bonfrisco, eurodeputata in quota Lega e membro della commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento UE, per il voto: “Siamo al fianco di Taiwan, che vuole rimanere libero, sovrano e indipendente, coltivando una diplomazia di pace proattiva soprattutto verso la Cina, anche quando questo Stato militarista e autoritario mostra solo di voler intimidire”.

    Approvata la prima relazione dell’Eurocamera sui rapporti tra Bruxelles e Taipei: “Partner-chiave e alleato democratico nell’Indo-Pacifico”. Ma gli eurodeputati sono preoccupati per la “continua belligeranza militare” di Pechino

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    Parlamento UE, ad Alexei Navalny il Premio Sakharov per la libertà di pensiero

    Bruxelles – Il Premio Sakharov 2021 per la libertà di pensiero è stato assegnato ad Alexei Navalny, attivista anticorruzione e principale oppositore al regime di Vladimir Putin in Russia. L’assegnazione a Navalny è stata annunciata oggi (20 ottobre) durante la plenaria di Strasburgo, dopo una decisione della Conferenza dei presidenti dell’Europarlamento.
    Il premio è intitolato allo scienziato e dissidente sovietico Andrej Sacharov, prevede un premio in denaro di 50mila euro e l’anno scorso era stato vinto dall’opposizione democratica in Bielorussia. La cerimonia di assegnazione si terrà a Strasburgo il 15 dicembre, ma presumibilmente Navalny non vi prenderà parte perché ancora incarcerato in Russia.

    Alexei @navalny is the winner of this year’s #SakharovPrize. He has fought tirelessly against the corruption of Vladimir Putin’s regime. This cost him his liberty and nearly his life. Today’s prize recognises his immense bravery and we reiterate our call for his immediate release pic.twitter.com/Jox7I280kz
    — David Sassoli (@EP_President) October 20, 2021

    Navalny è detenuto in Russia da gennaio di quest’anno, arrestato appena dopo essere tornato nel suo Paese dalla Germania. A Berlino era rimasto per mesi per ricevere le cure necessarie dopo aver subito un avvelenamento attribuibile, secondo varie inchieste, ai servizi di sicurezza russi.
    “Ha condotto una campagna coerente contro la corruzione del regime di Vladimir Putin e, attraverso i suoi account sui social media e le sue campagne politiche, Navalny ha contribuito a denunciare gli abusi e a mobilitare il sostegno di milioni di persone in tutta la Russia. Per questo fu avvelenato e gettato in prigione”, ha ricordato il presidente David Sassoli in una nota. Spiega che con l’assegnazione di uno dei più prestigiosi premi assegnati dall’Europarlamento “riconosciamo il suo immenso coraggio personale e ribadiamo il fermo sostegno del Parlamento europeo al suo rilascio immediato”. 
    Dopo l’avvelenamento in agosto, l’Unione Europea si è mobilitata nell’immediato per dare prova di solidarietà nei confronti di Navalny. Il Consiglio dell’UE ha varato in primavera una serie di sanzioni nei confronti di alcuni cittadini russi, accusati di essere coinvolti nel tentato omicidio del dissidente russo. Per tutta risposta, lo scorso 30 aprile proprio Sassoli e la vicepresidente della Commissione europea per i Valori e la trasparenza, Vera Jourova, sono stati inseriti tra le otto cariche pubbliche dell’UE a cui la Russia ha vietato l’ingresso nel Paese, come ritorsione alle sanzioni.
    “Quest’anno il Premio Sacharov per la libertà di pensiero è stato assegnato a un sostenitore del cambiamento”, ha aggiunto il vicepresidente del Parlamento Heidi Hautala, che ha annunciato nel pomeriggio l’assegnazione. “Una scelta giusta del Parlamento Europeo per premiare il coraggio di chi professa e difende le libertà civili, anche a rischio della propria vita”, ha scritto su Twitter il sottosegretario agli Affari Europei, Vincenzo Amendola. Insieme a Navalny tra i finalisti di quest’anno anche le donne afghane, rappresentate da 11 attivisti per i diritti umani e Jeanine Áñez, politico boliviano.

    Il presidente Sassoli: “Riconosciamo il suo immenso coraggio e chiediamo il suo rilascio immediato”. L’attivista anticorruzione e principale oppositore al regime di Vladimir Putin in Russia è detenuto da gennaio dopo aver subito un avvelenamento organizzato dai servizi di sicurezza russi

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    La Commissione UE presenta il Pacchetto Allargamento 2021: “Evidenti progressi, ma ora rispettiamo le promesse”

    Bruxelles – Appena adottato dal collegio dei commissari, il nuovo Pacchetto Allargamento 2021 dell’UE è stato immediatamente presentato alla commissione Affari esteri (AFET) del Parlamento Europeo, come da tradizione inter-istituzionale. “Abbiamo evidenziato progressi su quasi tutti i dossier, ecco perché vi chiedo di mantenere saldo il vostro supporto al processo di integrazione dei Balcani Occidentali”, ha sottolineato con forza il commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi, illustrando i punti della comunicazione pubblicata oggi (martedì 19 ottobre) dall’esecutivo comunitario.
    “Come avete visto dal viaggio nella regione da parte della presidente Ursula von der Leyen a settembre e durante il vertice UE-Balcani Occidentali, la Commissione Europea è fortemente impegnata in questo processo di allargamento”, ha ricordato Várhelyi agli eurodeputati. Il Piano economico e di investimenti presentato nella comunicazione dello scorso anno rimane il punto centrale anche di questo Pacchetto di Allargamento UE, ma a differenza del 2020 la Commissione può ora contare anche sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III, dopo l’accordo raggiunto dai negoziatori di Consiglio e Parlamento UE. “Possiamo avanzare con ancora più decisione per implementare i punti positivi della Dichiarazione di Brdo”, ha espresso la propria soddisfazione il commissario Várhelyi, ricordando le prospettive dell’Agenda verde e dell’innovazione per i Balcani, del roaming dati gratuito e del Mercato Unico regionale.
    Il commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi, in commissione AFET del Parlamento UE (19 ottobre 2021)
    Per quanto riguarda i dossier relativi ai sette Paesi che hanno intrapreso il cammino di adesione all’UE (i sei balcanici – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – e la Turchia), “la comunicazione mette a fuoco le riforme sullo Stato di diritto, sul sistema giudiziario ed economiche”. Tuttavia, il membro del gabinetto von der Leyen ha ripreso i governi dei 27 Paesi membri UE: “Se i partner adempiono ai loro obblighi sul piano delle riforme, anche noi dobbiamo rispettare le promesse, ne va della credibilità di tutta l’Unione”.
    Il riferimento è allo stallo sull’avvio dei negoziati con Macedonia del Nord e Albania, a causa del veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con Skopje. Várhelyi ha ribadito quanto già sostenuto dalla presidente von der Leyen nel suo viaggio di fine settembre, cioè che la scadenza per organizzare le prime conferenze intergovernative è “al più tardi entro la fine dell’anno”. La pressione è tutta sul Consiglio, come ha confermato anche il presidente della commissione AFET, David McAllister: “Oggi i rappresentanti della presidenza di turno slovena ci hanno confermato che la loro intenzione è quella di iniziare entro fine anno. Dipende solo da loro”.
    I dossier del Pacchetto Allargamento UE 2021
    Partendo dalle considerazioni sui sei partner balcanici, “tutti si sono impegnati a creare un Mercato Comune regionale“, ha evidenziato il commissario, ma ora “dovrebbero concentrarsi sul superamento delle difficoltà incontrate”. Si auspica soprattutto uno scenario in cui “tutti Paesi della regione ne facciano parte e che sia sotto l’ombrello dell’UE”. Sul piano politico, invece, “le molte tornate politiche degli ultimi anni hanno dimostrato un miglioramento degli standard di trasparenza e questo è merito anche vostro”, Várhelyi ha voluto così ringraziare i relatori per ciascuno dei Paesi balcanici.
    Per quanto riguarda Montenegro e Serbia, “sono soddisfatto che abbiano accettato l’applicazione della metodologia rivista”, che ha aperto le prime conferenze politiche intergovernative lo scorso giugno. Il Pacchetto Allargamento UE 2021 sottolinea che a Podgorica “è attualmente garantito un equilibrio generale” nei progressi sui negoziati. Le priorità per il Montenegro rimangono i capitoli 23 e 24 (sull’indipendenza della magistratura e il rispetto dello Stato di diritto): “Vogliamo vedere sforzi sul piano della libertà di espressione e dei media e su quello della lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata”, ha spiegato il commissario. La Serbia deve invece “accelerare e approfondire” le riforme sull’indipendenza del sistema giudiziario, sulla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, sulla libertà dei media e sul trattamento interno dei crimini di guerra, “per aprire al più presto nuovi cluster”. Ma per Várhelyi “è necessario anche migliorare l’allineamento con la politica estera e di sicurezza dell’UE“.
    Il commissario per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi, in commissione AFET del Parlamento UE (19 ottobre 2021)
    C’è poi il capitolo Kosovo, che riguarda da vicino Belgrado: “I progressi della Serbia sulla normalizzazione delle relazioni con Pristina sono essenziali e determineranno il ritmo generale dei negoziati di adesione del Paese“, si legge nel rapporto 2021. Oltre all’impegno nel dialogo mediato da Bruxelles, dal governo di Pristina – che dopo le elezioni anticipate dello scorso febbraio “gode di una chiara maggioranza parlamentare” – ci si aspetta invece che attui un piano d’azione per le riforme. La Commissione attende anche “con urgenza” che il Consiglio tratti la proposta di liberalizzare i visti dei cittadini kosovari: “La nostra valutazione rimane uguale a quella del luglio 2018, tutti i parametri di riferimento sono stati soddisfatti”, ha tagliato corto il commissario Várhelyi.
    Dopo aver ricordato che “Albania e Macedonia del Nord continuano a soddisfare le condizioni per l’apertura dei negoziati di adesione” e che “entrambi sono a uno stadio avanzato nel percorso di riforme”, il commissario per l’Allargamento ha ribadito che “le questioni bilaterali pendenti tra Bulgaria e Macedonia del Nord devono essere risolte in via prioritaria“. Inoltre, “è fondamentale” che gli Stati membri concludano le discussioni “senza ulteriori ritardi”, per organizzare le prime conferenze intergovernative entro il 31 dicembre 2021.
    La nota dolente nei Balcani Occidentali rimane la Bosnia ed Erzegovina, il cui obiettivo strategico di integrazione nell’Unione Europea “non si è tradotto in azioni concrete”. Il Pacchetto Allargamento UE 2021 sottolinea che “l’ambiente politico è rimasto polarizzato, poiché i leader politici hanno continuato a impegnarsi in una retorica divisiva“. Fonti di “profonda preoccupazione” per il commissario Várhelyi riguardano “il blocco delle istituzioni statali e le richieste di ritirare le riforme”. L’esortazione a tutti gli attori politici è di “affrontare le 14 priorità-chiave” e di “astenersi da dichiarazioni di indipendentismo in contrasto con gli Accordi di Dayton”.
    L’ultimo dossier riguarda la Turchia, che è sì “un partner per l’Unione Europea in aree come la migrazione, la lotta al terrorismo e l’economia”, ma che “non ha affrontato in modo credibile il continuo deterioramento dello Stato di diritto, dei diritti fondamentali e dell’indipendenza del sistema giudiziario”, ha ricordato Várhelyi agli eurodeputati. Ankara “deve invertire questa tendenza negativa come questione prioritaria”, ma dovrà anche portare avanti i progressi sul fronte della de-escalation nel Mediterraneo orientale, “per lo sviluppo di una relazione cooperativa e reciprocamente vantaggiosa”, ha concluso il commissario europeo. Tuttavia, per la Turchia la strada verso l’accesso all’Unione Europea rimane, per il momento, sbarrata.

    Il commissario Várhelyi ha illustrato i punti principali del nuovo pacchetto alla commissione AFET del Parlamento UE “Se i nostri partner nei Balcani adempiono le riforme, i Paesi membri non possono tirarsi indietro”

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    Attesa per il vertice UE-Balcani Occidentali: impegno per l’allargamento, ma nessuno si sbilancia sulle tempistiche

    Dall’inviato
    Kranj –  Sotto l’acqua battente di una giornata d’autunno in Slovenia c’è appena il tempo di una passerella veloce per i leader europei e balcanici, prima dell’inizio del vertice UE-Balcani occidentali. “Buongiorno! Tutto bene, grazie”, ha tagliato corto Mario Draghi, percorrendo in velocità il tappeto rosso ormai pieno di pozzanghere. Il premier italiano non si è sbottonato, tenendo la stessa linea di “no comment” verso la stampa mostrata ieri sera (martedì 5 ottobre), all’arrivo al castello di Brdo per il vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’UE.
    In verità, sono stati pochi i leader disponibili a parlare con i giornalisti. Non Angela Merkel, nascosta sotto l’ombrello nero con il logo della presidenza slovena del Consiglio dell’UE, non Emmanuel Macron, che ha schivato con un sorriso beffardo le domande sulle prospettive dell’autonomia militare dell’Unione, dopo le discussioni alla cena dei Ventisette. Hanno fatto eccezione il primo ministro del Lussemburgo, Xavier Bettel – protagonista di un scambio di pacche sulle spalle con l’omologo albanese, Edi Rama – e il premier del Kosovo, Albin Kurti, che ha richiamato l’Unione Europea a “rispettare gli impegni presi” sia sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, sia sull’allargamento dell’UE nei Balcani”. Riguardo alle ultime difficoltà del dialogo Pristina-Belgrado, Kurti ha indicato nel reciproco riconoscimento “l’unica soluzione credibile, giusta e sostenibile” per la normalizzazione dei rapporti con la Serbia (il presidente serbo, Aleksander Vučić, non ha rilasciato dichiarazioni), mentre ai cinque Paesi UE che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo (Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia) il premier Kurti ha chiesto che “si allineino al più presto agli altri”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, prima del vertice UE-Balcani Occidentali (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Più inclini a rilasciare dichiarazioni i leader delle istituzioni europee, a partire dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “Oggi lanciamo un messaggio molto chiaro, che vogliamo i Paesi dei Balcani occidentali nell’Unione Europea, perché siamo un’unica famiglia“, ha sottolineato con forza, ricalcando le rassicurazioni fornite nel corso del suo viaggio della settimana scorsa nella regione. La capa dell’esecutivo comunitario aveva indicato nel 31 dicembre 2021 la data entro cui dovranno iniziare i negoziati per l’adesione di Albania e Macedonia del Nord, ma al momento nessun leader europeo si è voluto sbilanciare su una data certa, né per i due Paesi bloccati dal veto della Bulgaria, né per l’intero processo di allargamento ai Sei balcanici.
    “Per noi questo vertice sarà l’occasione di confermare la prospettiva europea dei Balcani”, ha confermato il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ma anche per “ribadire che siamo pronti a mobilitare grossi investimenti per sostenere le loro riforme economiche e la lotta alla corruzione”. Michel ha definito quello di oggi “uno scambio di vedute aperto e libero”, finalizzato a “capire i prossimi passi” sulla strada dell’allargamento UE. Commenti in perfetto stile diplomatico, che nascondo incertezze e divisioni sulle tempistiche di questo processo. Sembra improbabile che nei prossimi mesi si assisterà a un’accelerazione, anche considerata la situazione interna dei due Paesi che ‘pesano’ di più a Bruxelles: la Francia è prossima alle elezioni presidenziali e difficilmente Macron si esporrà troppo su questo tema delicato, la Germania è impegnata nella formazione del nuovo governo e per il momento non spingerà più di quanto già fatto.
    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, prima del vertice UE-Balcani Occidentali (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Nemmeno l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è voluto sbilanciare sul tema dell’ostacolo bulgaro sulla strada dell’adesione UE della Macedonia del Nord (e di rimando dell’Albania, dal momento in cui i quadri negoziali di Skopje e Tirana sono affrontati da Bruxelles come un unico pacchetto). L’alto rappresentante ha però esortato tutti i Paesi membri a mantenere il processo di allargamento “una strada credibile e di cui ci si può fidare”, una volta soddisfatti i criteri per avviare i negoziati. Nel frattempo, il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ha esortato i convenuti a Kranj a  a impegnarsi a fondo nel dialogo: “Serve nuovo e forte impulso, è giunto il momento di superare i ritardi e gli attuali blocchi”, si legge nella lettera inviata al presidente del Consiglio Europeo prima dell’inizio del vertice UE-Balcani Occidentali. “Questo nuovo slancio non può che avere un effetto positivo nella regione e potrebbe contribuire alla sua trasformazione democratica e alle relazioni di buon vicinato”, ha ricordato Sassoli, avvertendo che “ogni ulteriore esitazione rischia di incoraggiare altri attori che desiderano acquisire influenza nella regione”.

    We call on leaders at the #EUWBSummit2021 to give new impetus to the accession process.
    Enlargement, based on common values, benefits us all – it is time to move forward.
    Further delay risks encouraging others who wish to gain influence in the region. https://t.co/450JxorPdd
    — David Sassoli (@EP_President) October 6, 2021

    Si è aperto in Slovenia il summit tra i leader UE e balcanici, per rafforzare le prospettive europee dei Paesi della regione e il loro processo di adesione. Rimane però difficile un’accelerazione entro la fine dell’anno