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    L’Eurocamera condanna la Cina per le esercitazioni e le provocazioni militari contro Taiwan

    Bruxelles – Mentre la tensione nello Stretto di Taiwan continua a salire, arriva puntuale la condanna del Parlamento europeo alle “continue provocazioni militari” della Cina contro l’isola. L’emiciclo di Strasburgo ha approvato oggi (24 ottobre) a larghissima maggioranza una risoluzione in cui respinge fermamente “qualsiasi modifica unilaterale dello status dello Stretto”.Nel testo, adottato con 432 voti a favore, 60 contrari e 71 astensioni, l’esplicito riferimento alle esercitazioni militari “ingiustificate” della Cina del 14 ottobre scorso, quando Pechino aveva tra l’altro dichiarato che “non si impegnerà mai a rinunciare all’uso della forza” verso la riunificazione con Taiwan. I tentativi “con la forza o la coercizione, non saranno accettati e incorreranno in una reazione decisa e ferma“, è la risposta dell’Eurocamera.  La risoluzione, pur reiterando l’impegno a favore della politica ‘una sola Cina’ come fondamento delle relazioni Ue-Cina, sottolinea che “solo il governo democraticamente eletto di Taiwan può rappresentare il popolo taiwanese a livello internazionale”.Secondo il Parlamento europeo la Cina “distorce la storia e le norme internazionali”, reinterpretando la risoluzione 2758 dell’Assemblea generale dell’Onu, che nel 1971 riconobbe la Repubblica Popolare Cinese come l’unico legittimo rappresentante della Cina presso le Nazioni Unite. Quella risoluzione, sostengono gli eurodeputati, “non prende alcuna posizione su Taiwan”. Pechino invece la utilizza nei suoi “costanti sforzi per bloccare la partecipazione di Taiwan alle organizzazioni multilaterali”. La stessa accusa lanciata da Lai Ching-te, presidente della piccola nazione insulare dal 20 maggio, secondo cui l’interpretazione che fa Pechino della risoluzione 2758 non serve solo come “base legale per l’aggressione militare contro Taiwan”, ma anche per cercare di isolarla diplomaticamente.L’Eurocamera ha invitato l’Ue e gli Stati membri a “sostenere la partecipazione significativa” di Taiwan alle organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale, l’Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol) e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.Per far fronte al comportamento “sempre più aggressivo della Cina”, secondo l’emiciclo di Strasburgo “l’Ue e i suoi Stati membri dovrebbero rafforzare le proprie capacità marittime nella regione“. Un invito che non è condiviso dal Movimento 5 Stelle, che insieme al suo gruppo politico europeo, la Sinistra, si è opposto alla risoluzione.

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    Tra cessate il fuoco e l’embargo sulle armi a Israele, il Libano infiamma gli eurodeputati italiani

    Bruxelles – Il Libano continua a far preoccupare in Unione Europea. Dopo le conclusioni del Consiglio dell’Ue della scorsa settimana, con ferma condanna degli attacchi israeliani alla missione Unifil e la reiterata richiesta di cessate il fuoco, la palla passa alla plenaria dell’Europarlamento.“Il Consiglio europeo ha ricordato la necessità di assicurare che i civili siano protetti in ogni momento, che le infrastrutture civili non siano prese di mira e che il diritto internazionale sia rispettato”, ha dichiarato in plenaria il Commissario per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic, aggiungendo: “I recenti incidenti che hanno colpito la popolazione civile e Unifil rendono ancora più urgente il cessate il fuoco“. Lenarcic ha ricordato l’impegno europeo nella zona, che comprende la richiesta di attivazione del Meccanismo di protezione civile Ue e il rilascio di 10 milioni di euro per i civili colpiti dall’escalation nell’area.“È ora di avviare un’iniziativa europea per la pace con un impegno diretto e di altissimo livello: rilascio immediato degli ostaggi israeliani, cessate il fuoco a Gaza e in Libano a tutela di tutte le popolazioni, per riaprire un processo diplomatico e costruire una soluzione politica, unica garanzia per una pace duratura”, è il commento di Nicola Zingaretti, eurodeputato di S&d, capo delegazione del Pd. L’escalation in Medio Oriente, per Zingaretti, è un atto che “minaccia le stesse fondamenta, anche giuridiche, dell’attuale sistema internazionale”.“Pretendiamo da tutti il rispetto delle truppe Unifil“, dice Carlo Fidanza di Ecr. La condanna agli attacchi alle truppe Onu è chiara, come anche il supporto alla richiesta di cessate il fuoco per ridurre la tensione nell’area. Da Ecr, arriva una stoccata sulla migrazione, tema tanto caro alla destra italiana e tanto discusso negli ultimi giorni in Ue. “L’Ue deve farsi carico della situazione drammatica non soltanto degli sfollati interni al Libano, ma anche dei rifugiati siriani, ai quali dobbiamo assicurare un pronto e sicuro ritorno in Siria, per scongiurare una nuova ondata di immigrazione”, che, per Fidanza, l’Ue allo stato di cose attuali non potrebbe gestire.Sempre da Ecr, arriva il commento di Giovanni Crosetto: “Gli attacchi alle basi Onu preconfigurano violazioni del diritto internazionale”. L’eurodeputato ribadisce il fermo supporto al “diritto di esistere” di Israele e la condanna al terrorismo islamico, dovendo al contempo garantire ad Unifil di poter “esercitare deterrenza” per permettere all’Onu di non perdere la propria credibilità. Posizione difficile da articolare per la destra italiana, che si deve barcamenare tra il supporto a Israele e quello ad Unifil, mentre il primo deliberatamente attacca i caschi blu dell’Onu.La diplomazia e il ruolo dell’Ue come potenziale forza stabilizzatrice in Medio Oriente sono al centro della visione del gruppo dei popolari. Il diritto alla difesa di Israele deve essere bilanciato rispetto al diritto internazionale, per l’europarlamentare di Ppe Salvatore De Meo. “La scomparsa del capo di Hamas (n.d.r., Yahya Sinwar, ucciso pochi giorni fa) rappresenta un’opportunità per spingere per il cessate il fuoco”, dice De Meo, che ribadisce l’importanza di “una soluzione a lungo termine”, cioè quella dei due stati.Una critica forte alla maggioranza dell’Europarlamento arriva dalla Sinistra. L’europarlamentare Danilo Della Valle chiede in plenaria: “Cosa deve accadere ancora prima che l’Unione Europea decida chiaramente di smettere il velo dell’ipocrisia e dei doppi standard?“.“L’Unione Europea deve approvare l’embargo di armi ad Israele e deve sostenere la Corte di giustizia internazionale”, dice Della Valle, che richiama l’attenzione sull’assenza di una risoluzione che apertamente si schieri contro il governo Netanyahu.  La critica all’ambiguità delle posizioni Ue nei confronti di Israele è una linea netta per il gruppo della Sinistra. In altri interventi, è emersa la perplessità che aleggia attorno agli stretti rapporti commerciali Ue-Israele, che si uniscono all’assenza di azioni (si legga, condanne e prese di posizione nette) da parte di Bruxelles.Discussione impegnativa alla plenaria, che il Commissario Lenarcic chiude facendo dei chiarimenti. Respinta qualsiasi illazione sul finanziamento dell’Unione ad Hamas, che Lenarcic definisce “un’accusa molto grossolana”. E in modo altrettanto secco arriva la risposta sull’intervento della Commissione riguardo all’embargo di armi a Israele: “La cooperazione militare tra gli Stati membri e gli stati terzi non rientra nelle competenze dell’Unione“. In sostanza, la questione va risolta a livello nazionale.Molti europarlamentari soffrono la posizione soft dell’Unione Europea. Lascia con l’amaro in bocca la domanda di Lynn Boylan della Sinistra: “Come siamo arrivati al punto in cui bruciare vivi i pazienti nei loro letti d’ospedale non è una linea rossa per l’Ue? Dov’è la bussola morale dell’Ue?”. Ancora più amara, è la constatazione della compiacenza europea, che ha chiuso un occhio (anche due) sulle violazioni dei diritti umani in Medio Oriente per più di un anno e si è scossa dal torpore ora, proprio quando Netanyahu ha dimostrato di non temere nemmeno l’Onu.

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    Ucraina, gli europarlamentari italiani insistono sulla ricerca della pace. E’ tempo di più diplomazia

    Bruxelles – Sostegno all’Ucraina, quello si. Senza se, ma… con dei ‘ma’. Uno su tutti, quello delle trattative di pace per porre fine a un conflitto che anima sempre di più le delegazioni italiane del Parlamento europeo. Non c’è dubbio che Kiev abbia il diritto di difendersi, e non si discute il sostegno dell’Ue, questa è una precisazione d’obbligo, oltre che a concetti ribaditi dai rappresentanti dei vari partiti italiani in occasione del briefing con la stampa che precedere la sessione plenaria del Parlamento, dove la questione Ucraina sarà oggetto dei lavori. Ma emerge in modo trasversale la necessità di dare nuovo impulso alla diplomazia.Chi pone l’accento sul tema in modo più urgente è Ignazio Marino (Verdi-Avs), che guarda con una certa apprensione all’immediato futuro. Le elezioni statunitensi si terranno tra 42 giorni, ricorda, e ricorda anche che il candidato repubblicano “Donald Trump ha detto che se vince non aspetterà l’insediamento per andare da Putin e negoziare la pace alle condizioni che più fanno gli interessi degli Stati Uniti“. Ecco che, alla luce di queste premesse, “anziché spingere per più armamenti bisognerebbe agire prima che agiscano altri“, visto che, insiste “se non ricordo male l’Ucraina si trova in Europa”.Inizia a farsi strada una preoccupazione tutta nuova, quella di un ruolo secondario e subalterno in politica estera. Non è detto che a succedere a Joe Biden nella Casa bianca sarà Trump, ma comunque si avverte la necessità di accompagnare il sostegno economico e armato dell’Ucraina a un dialogo fin qui ridotto al minimo. Salvatore De Meo, capodelegazione di Forza Italia, ben riassume la necessità di questa doppia linea d’azione. “Per quanto riguarda l’Ucraina non possiamo non continuare a rafforzare la vicinanza dell’Europa, insistendo per creare le condizioni per uno spiraglio di pace“.Linea e posizione analoga quella espressa dal Pd, attraverso Annalisa Corrado. “Il sostegno all’Ucraina resta necessario”, ma al tempo stesso, aggiunge, occorre un “potenziamento di tutti gli strumenti diplomatici“, perché quello che preoccupa sicuramente una parte dei socialisti è il rischio di “una escalation che poi diventa difficile da gestire”.I partiti di maggioranza e opposizione descrivono una certa convergenza sul tema, come dimostra una volta di più Stefano Cavedagna (Ecr), esponente del partito della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Per l’europarlamentare di Fratelli d’Italia resta fermo il principio per cui “l’Ucraina ha il diritto di difendersi, ci sono un aggredito e un aggressore”, con Fdi che “sostiene” Kiev, ma al tempo stesso anche all’interno del Fratelli d’Italia si è dell’idea che “l’obiettivo deve essere la pace“.Anche dalle fila della Lega viene esternata la necessità di “creare le prospettive di pace” quando si parla del conflitto russo-ucraino, sostiene Anna Maria Cisint. L’europarlamentare del Carroccio sottolinea come il suo partito e il suo gruppo “non si è mai sottratto a votare per il sostegno all’Ucraina”, ma, aggiunge, “non abbiamo mai fatto mistero della necessità di accompagnare l’aiuto con un’azione diplomatica forte”, perché “un tavolo di pace è necessario”.Serve dunque un riorientamento dell’Ue, che però è tutt’altro che scontato. Il motivo lo spiega Gaetano Pedullà (M5S-laSinistra). “Se vogliamo la pace dobbiamo cambiare la narrativa e smettere di fare quanto fatto negli ultimi due anni e mezzo, vale a dire andare avanti con sanzioni e rifornimento armi”. Per il pentastellato non ci sono grandi alternative. “Senza dialogo non ci può essere pace”, ma per avere un dialogo occorre avere le condizioni per agevolarlo. Quindi per forza di cose serve “ragionare con la Russia, prima che lo facciano gli Stati Uniti“.Nel gruppo italiano all’europarlamento serpeggerebbe dunque una generale necessità di una soluzione non armata del conflitto, a riprova delle insofferenze, non solo italiane, prodotte da un conflitto che va avanti contro ogni interesse a dodici stelle. Su una cosa tutte le delegazioni tricolore sembrano non avere dubbi: le armi fornite dall’Italia all’Ucraina devono essere utilizzate solo per scopi di difesa e non di offesa. un concetto espresso e ribadito da tutti.

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    La saga dell’eurodeputato greco incarcerato in Albania è (forse) giunta alla fine

    Bruxelles – Sembrano infine terminati, o quasi, i guai giudiziari di Fredi Beleri, ex sindaco del comune albanese di Himarë ed eletto come eurodeputato nelle liste greche. Il suo caso era diventato motivo di scontro diplomatico tra i due Paesi, che si sono accusati a vicenda di interferenze nelle indagini e di politicizzazione della giustizia. Dopo oltre un anno dietro le sbarre, il politico albanese di origini elleniche (che ha il doppio passaporto) è stato scarcerato e potrà ora rappresentare i suoi elettori – e la minoranza greca in Albania – al Parlamento europeo. La liberazione di Beleri, festeggiata con un tweet da Manfred Weber, il capo del Partito popolare europeo (Ppe) di cui fa parte Nuova democrazia, è avvenuta nella giornata di lunedì (2 settembre). Come confermato alla stampa dal suo legale, il rilascio è avvenuto con la formula della libertà condizionata, che richiede a Beleri di “mantenere cinque settimane di contatto con il servizio carcerario”. L’ex primo cittadino deve ora scontare altre sei settimane di reclusione prima di estinguere completamente la propria pena, che è stata ridotta dopo la sua elezione a europarlamentare. Beleri è stato incarcerato con l’accusa di compravendita di voti nel maggio 2023, due giorni prima delle elezioni comunali, che poi ha vinto senza però potersi insediare. È stato poi condannato lo scorso giugno con sentenza definitiva a due anni di reclusione, dopo che l’appello ha confermato la condanna in primo grado emessa nel marzo di quest’anno. Una decisione che egli stesso avrebbe intenzione di impugnare di fronte alla Corte europea dei diritti umani (Cedu), con sede a Strasburgo. Per il momento, nella città alsaziana si è già recato in qualità di eurodeputato per la sessione inaugurale della decima legislatura (lo scorso luglio), dopo essere risultato il terzo eletto tra le fila del suo partito per numero di preferenze. Il cinquantaduenne Beleri, dunque, è stato eletto eurodeputato mentre era dietro le sbarre, proprio come successo all’italiana Ilaria Salis che ha ottenuto un seggio da parlamentare europea durante la detenzione a Budapest. Due casi piuttosto inusuali che hanno aperto il giallo relativo alle regole sull’immunità parlamentare dei deputati all’Eurocamera – soprattutto nel caso di Beleri, dato che l’Albania è un Paese extra-Ue. Nel frattempo, ad Himarë sono state ripetute le elezioni comunali lo scorso 4 agosto, vinte da Vengjel Tavo, pure lui di origini greche ed appartenente al partito socialista del premier Edi Rama.Da Atene, il vicepremier Pavlos Marinakis ha commentato la scarcerazione come “sicuramente uno sviluppo positivo”, ma ha aggiunto che “questo non significa che dimenticheremo ciò che è accaduto“. Il governo greco sostiene, come lo stesso Beleri, che il processo intentato dalle autorità albanesi sia politicamente motivato. Accusa respinta al mittente da Tirana, che al contrario critica alla Grecia di interferire nelle sue vicende giudiziarie interne. Ma la disputa diplomatica tra i due Paesi balcanici potrebbe avere conseguenze reali. Il governo conservatore greco, guidato da Kyriakos Mitsotakis (compagno di partito di Beleri), ha infatti minacciato di bloccare i progressi dell’Albania nel suo percorso di adesione all’Ue se Tirana non avesse posto fine a quella che riteneva un’ingiustificata violazione dei diritti politici dell’ex sindaco di Himarë. Per ora, i negoziati per l’ingresso del Paese ex comunista nel blocco non si sono ancora sbloccati.

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    La decima legislatura Ue si apre con la condanna condivisa alle “palesi violazioni dei Trattati” di Orbán

    dall’inviato a Strasburgo – La prima risoluzione approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento Ue nella decima legislatura è in linea di continuità con quella appena conclusasi, ma con una sfumatura nuova. Dalla destra conservatrice ai Verdi, passando per tutti i gruppi della maggioranza centrista (popolari, socialdemocratici e liberali), è “costante” il sostegno all’Ucraina invasa da quasi due anni e mezzo dalla Russia, ma anche la condanna condivisa alle “palesi violazioni dei Trattati e della politica estera comune dell’Ue” da parte del primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, che tra il 5 e l’8 luglio si è recato in visita “in maniera non coordinata e inaspettata” in Russia e in Cina.La presidente del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Iratxe García Pérez (17 luglio 2024)“La Russia ha intenzionalmente perpetrato atrocità sistematiche e su larga scala nei territori occupati e ha inoltre attaccato indiscriminatamente zone residenziali e infrastrutture civili, il cui esempio più recente è il bombardamento dell’ospedale pediatrico Okhmatdyt”, è quanto messo nero su bianco nella risoluzione firmata da tutti e cinque i gruppi parlamentari e approvata oggi (17 luglio) con 495 voti a favore, 137 contrari e 47 astenuti. La condanna ai “crimini di guerra e crimini contro l’umanità” compiuti dal regime di Vladimir Putin è il filo rosso che porta direttamente al j’accuse sulle “missioni di pace” del primo ministro ungherese: “All’indomani della cosiddetta missione di pace del primo ministro ungherese la Russia ha attaccato l’ospedale pediatrico Okhmatdyt a Kiev, il che ha dimostrato l’irrilevanza dei presunti sforzi di Orbán, che sono stati recepiti con scetticismo dalla leadership ucraina”.La risoluzione mette in chiaro il fatto che “il primo ministro ungherese non può pretendere di rappresentare l’Ue quando ne viola le posizioni comuni” e chiede che “a tale violazione seguano ripercussioni per l’Ungheria”, Paese membro che fino al 31 dicembre detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. “Nessuno deve negoziare con Putin al posto dell’Ucraina”, è l’attacco del polacco Andrzej Halicki (Ppe), a cui a fatto eco la presidente del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Iratxe García Pérez, rincarando la dose contro il nuovo gruppo di estrema destra (terzo per numero di membri) al Parlamento Ue: “Siamo testimoni della connivenza dell’estrema destra anche in quest’Aula con il regime di Putin, il capo del gruppo dei falsi Patrioti [per l’Europa, ndr] lo ha incontrato per denigrare l’Ue, per proclamare che ha un piano di pace che nessuno conosce e per promuovere l’espansionismo russo”.Il presidente del gruppo dei Patrioti per l’Europa (PfE), Jordan Bardella (17 luglio 2024)Di “falsi patrioti” parla anche il tedesco Sergey Lagodinsky (Verdi/Ale), mentre la presidente del gruppo di Renew Europe, Valérie Hayer, ha denunciato la “missione di pace autoproclamata, utilizzando l’Ue senza alcun mandato”. Non si schiera a favore della risoluzione il gruppo della Sinistra perché, secondo il co-presidente Martin Schirdewan, “serve una trattativa ma l’Ue non ha preso alcuna iniziativa, l’invio di ulteriori armi non porterà alla fine della guerra“. La strenua difesa dell’operato di Orbán è arrivata dal presidente di Patrioti per l’Europa, Jordan Bardella, e da quello del gruppo ancora più a destra Europa delle Nazioni Sovrane, René Aust. Il primo ha concesso che quella della Russia è “una guerra di aggressione illegale e ingiustificata”, ma ha contrattaccato, sostenendo che “la condanna a Orbán mette a rischio l’unità europea, non si può accusare l’Ungheria per mantenere contatti di pace”. Il secondo ha chiesto “un cambio di strategia”, perché “il momento è maturo per le trattative di pace e sono grato a Orbán per essersi preso la responsabilità anche se c’è resistenza”.Il nodo della prima risoluzione al Parlamento UeSe la condanna a Orbán ha unito i cinque gruppi dai conservatori ai Verdi, lo stesso non si può dire su un punto particolarmente delicato della risoluzione, vale a dire il paragrafo 5. Più precisamente la specifica secondo cui il Parlamento Ue “sostiene fermamente l’eliminazione delle restrizioni all’uso dei sistemi di armi occidentali forniti all’Ucraina contro obiettivi militari sul territorio russo“. Su questo punto si è verificata una spaccatura nel voto, dove – per ragioni diverse – la quasi totalità degli eurodeputati del Partito Democratico ha votato contro il passaggio che sostiene l’uso delle armi occidentali per colpire obiettivi miliari in Russia (in quanto la formulazione potrebbe intendere anche, per assurdo, il ministero della Difesa di Mosca), come i Verdi Leoluca Orlando, Cristina Guarda e Benedetta Scuderi, ma soprattutto come gli 8 esponenti leghisti di Patrioti per l’Europa (che non da oggi hanno un’impostazione filo-russa) e gli 8 membri del Movimento 5 Stelle. A proposito del gruppo della Sinistra, Domenico Lucano e Ilaria Salis si sono astenuti sulla questione, così come tutti gli eurodeputati di Fratelli d’Italia.Bocciati tutti gli emendamenti, è rimasto il testo originale senza modifiche, sostenuto infine dalla totalità dei membri di Fratelli d’Italia, di Forza Italia e del Partito Democratico (fatta eccezione solo per Marco Tarquinio e Cecilia Strada, astenuti). Contrari, inevitabilmente, gli eurodeputati della Lega, ma anche quelli del Movimento 5 Stelle e i due eletti per Alleanza Verdi/Sinistra (il gruppo della Sinistra si è spaccato con un terzo a favore e un altro terzo astenuto), e soprattutto i tre Verdi italiani, gli unici a schierarsi contro la risoluzione spinta dal loro stesso gruppo per le implicazioni dei passaggi sull’invio delle armi e sulla spesa da parte degli Stati membri di “almeno lo 0,25 per cento del Pil annuo” per sostenere “militarmente” l’Ucraina.

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    L’eurodeputato condannato in Albania arriva a Strasburgo. Giallo sull’immunità parlamentare

    dall’inviato a Strasburgo – La partita tra Grecia e Albania si sposta a Strasburgo, nell’Aula del Parlamento Europeo. Alla sessione inaugurale del 16-19 luglio ci sarà anche Fredi Beleri, sindaco di etnia greca del comune albanese di Himarë condannato a due anni di carcere per compravendita di voti alle elezioni comunali del maggio 2023, ma risultato il terzo candidato più votato in Grecia alle elezioni europee del 9 giugno tra le fila del partito al potere Nuova Democrazia. La giustizia albanese gli ha concesso di partecipare ai lavori dell’istituzione Ue di questa settimana, ma richiedendo il suo ritorno in carcere per scontare il resto della pena in Albania subito dopo la fine della sessione plenaria.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis (credits: Adnan Beci / Afp)Secondo quanto riportano i media greci, Beleri ha lasciato questa mattina (15 luglio) il carcere in Albania grazie a un permesso di cinque giorni, viaggiando per Tirana prima di volare ad Atene e di lì a Strasburgo. Potrà così partecipare alla votazione per l’elezione della presidenza del Parlamento Ue e delle cariche di vertice domani (16 luglio) e per quella sulla conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Europea giovedì (18 luglio), ma dovrà rimanere in contatto costante con la polizia albanese prima di tornare in carcere già questo fine settimana. “Il rispetto del diritto di voto e di essere eletti è un elemento chiave di qualsiasi Stato di diritto“, ha commentato il vicepresidente (greco) della Commissione Ue responsabile per lo Stile di vita europeo, Margaritis Schinas.Secondo quanto previsto dal regolamento interno del Parlamento Europeo, i suoi membri godono dell’immunità dai procedimenti giudiziari, anche se le accuse riguardano reati commessi prima della loro elezione. Tuttavia il ‘Protocollo 7’ fa esplicito riferimento all’applicazione dell’immunità sul territorio dei Paesi membri dell’Unione e, nel caso di Beleri, non ci sono appigli nonostante l’elezione a eurodeputato, in quanto sta scontando la pena per un reato commesso in Albania, Paese extra-Ue. Il verdetto della Corte d’appello speciale albanese dello scorso 25 giugno ha confermato la condanna di primo grado di marzo e ha tolto a Beleri la carica di sindaco di Himarë (il 4 agosto si terranno nuove elezioni nel paese). Dopo che sarà entrato ufficialmente in carica domani, il neo-eurodeputato molto probabilmente presenterà ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei prossimi mesi.Il caso Beleri tra Grecia e AlbaniaIl caso Beleri era già emerso come un punto di attrito anche ai tavoli europei nel corso della cena informale tra i vertici delle istituzioni Ue e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova andata in scena ad Atene a fine agosto dello scorso anno. A quell’appuntamento mancava solo il premier albanese, Edi Rama, non invitato proprio a causa delle tensioni tra Grecia e Albania per la detenzione del sindaco eletto di Himarë, che non ha mai potuto giurare in quanto detenuto in carcere da due giorni prima delle elezioni del 14 maggio con l’accusa di compravendita di voti (anche lo sfidante e primo cittadino in carica, Jorgo Goro, è finito in carcere per corruzione). Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo di Kyriakos Mitsotakis e il governo Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un’indagine indipendente su una figura associata all’insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di “violazione dei diritti umani” e di processo “politicamente motivato”.Da sinistra: il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenFinora il governo greco non è riuscito a fare pressioni diplomatiche sufficienti per la scarcerazione di Beleri e nemmeno le minacce di conseguenze negative sul percorso di adesione dell’Albania all’Unione Europea (con i negoziati iniziati nel luglio 2022) hanno sortito gli effetti sperati. La Grecia sostiene che il caso Beleri dovrebbe essere considerato un problema europeo e non solo una questione bilaterale – in quanto riguarderebbe il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze in un Paese che aspira a fare ingresso nell’Unione – ma la forzatura ha infastidito alcuni tra i Ventisette più favorevoli all’accelerazione del processo di allargamento, come la Germania. È così che il premier greco ha deciso di percorrere una strada più ‘originale’ e il 15 aprile è arrivata l’ufficialità della nomina di Beleri come 25esimo candidato (su 42) nelle liste elettorali di Nuova Democrazia: “La sua candidatura ha un simbolismo molto forte, tutti coloro che sono realmente interessati ai diritti della minoranza etnica greca in Albania lo capiscono”, aveva affermato Mitsotakis due giorni più tardi a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles.Al centro, da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos MitsotakisCon l’elezione al Parlamento Europeo di Beleri, Nuova Democrazia sposta il baricentro del discorso politico sul piano patriottico, facendo leva su quello che è diventato un campo di battaglia retorica per il nazionalismo greco e albanese. Tecnicamente Tirana e Atene sono ancora in stato di guerra – dal 1940 quando l’Albania era un protettorato italiano durante la Seconda Guerra Mondiale – e nonostante sia in vigore dal 1996 il Trattato di amicizia, cooperazione, buon vicinato e sicurezza, i due membri della Nato stanno conoscendo un’escalation di tensione sul piano diplomatico, che coinvolgono da vicino anche le istituzioni Ue e il processo di allargamento.

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    In Georgia continuano da giorni le proteste organizzate e spontanee contro la legge sugli agenti stranieri

    Bruxelles – È infuocata la strada che porterà al voto del Parlamento della Georgia sul controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, come ultimo atto del partito al potere Sogno Georgiano prima del ritorno alle urne il 26 ottobre. Da quattro giorni si stanno svolgendo ininterrottamente enormi proteste nella capitale Tbilisi – più precisamente su viale Rustaveli, su cui si affaccia la sede del Parlamento – animate da decine di migliaia di manifestanti che si oppongono a una legge molto simile a quella in vigore nella vicina e temuta Russia. E da Bruxelles tutte le istituzioni Ue si sono schierate nuovamente dalla parte dei cittadini georgiani e delle loro aspirazioni di fare ingresso un giorno nell’Unione, esattamente come successo un anno fa.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 17 aprile 2024 (credits: Giorgi Arjevanidze / Afp)Dopo il primo ritorno nelle piazze all’inizio della scorsa settimana, la protesta si è allargata a oltre diecimila manifestanti lunedì (15 aprile) per diventare la più grande di sempre in Georgia solo due giorni più tardi, quando i deputati georgiani hanno adottato in prima lettura il progetto di legge leggermente emendato rispetto a quello proposto – e poi ritirato a causa delle manifestazioni popolari oceaniche – nel marzo del 2023. Secondo il controverso progetto di legge tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovranno registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ e non più come ‘agente di influenza straniera’ (così è in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Per i gruppi pro-democrazia di opposizione nel Paese la sostanza non cambia rispetto a un anno fa e per questo, in corrispondenza dell’appuntamento in Parlamento di questa settimana, hanno deciso di convocare la popolazione in piazza. Dopo tre giorni di proteste organizzate, ieri sera (18 aprile) migliaia di cittadini georgiani sono tornati spontaneamente in viale Rustaveli per dimostrare quanto sia sentita la questione del percorso verso l’adesione all’Unione Europea e nonostante episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine.“Siamo preoccupati per le notizie che riportano l’uso della forza da parte della polizia antisommossa per disperdere i manifestanti che dimostrano contro il controverso progetto di legge“, è la denuncia comune dei principali eurodeputati competenti sulla Georgia (il presidente della commissione Affari esteri, David McAllister, la presidente della delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, Marina Kaljurand, e il relatore permanente per la Georgia, Sven Mikser). I tre membri del Parlamento Ue hanno messo in chiaro che “il diritto alle proteste pacifiche è un diritto fondamentale e deve essere rigorosamente rispettato, soprattutto in un Paese che aspira all’adesione all’Ue”. Proprio a questo proposito la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ viene definita “un attacco ai media indipendenti e alle organizzazioni della società civile”, che non solo “è incompatibile con i valori e i principi democratici dell’Ue” ma mette anche “a rischio l’integrazione euro-atlantica del Paese”. Lo stesso era stato evidenziato pochi giorni fa con un duro monito anche dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Porterà la Georgia più lontana dall’Ue e non più vicina”.Manifestanti georgiani a Tbilisi contro la legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 9 aprile 2024 (credits: Vano Shlamov / Afp)Parole simili sono state utilizzate dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, in una nota congiunta: “Si tratta di uno sviluppo molto preoccupante e l’adozione definitiva avrebbe un impatto negativo sui progressi della Georgia nel suo percorso verso l’Ue“. Questa legge “non è in linea con le norme e i valori fondamentali” dell’Unione a cui Tbilisi aspira a fare ingresso, in particolare dopo aver ricevuto lo status di Paese candidato all’adesione Ue il 14 dicembre dello scorso anno dal Consiglio Europeo (condizionato anche dai progressi sulle raccomandazioni della Commissione Ue sulla libertà della società civile e sulla lotta alla disinformazione). In vista del voto definitivo in Parlamento previsto per il 17 maggio, le istituzioni Ue continuano a esortare il partito al governo ad “astenersi dall’adottare” una legislazione che minerebbe le basi del percorso di avvicinamento Ue “sostenuto dalla stragrande maggioranza dei cittadini georgiani”. In altre parole rischierebbe di portare a uno stop del processo di adesione all’Unione Europea per il Paese.Il complesso rapporto tra Ue e GeorgiaLe proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Non solo è evidente la difficoltà a implementare le riforme richieste dal cammino di avvicinamento all’Unione, ma nel corso degli ultimi due anni si sono registrati episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano – il cui fondatore è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Ue che chiede sanzioni personali nei suoi confronti. Per esempio, nel maggio dello scorso anno sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica per una serie di viaggi nell’Unione Europea che che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Prima dello scoppio delle dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che almeno fino a oggi hanno portato all’accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’.In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.

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    Strasburgo alza la voce sul rischio di “imminente carestia” a Gaza: Israele deve garantire l’accesso degli aiuti da tutti i varchi

    Bruxelles – Un cessate il fuoco “immediato e permanente” e l’accesso umanitario “rapido, sicuro e senza ostacoli di aiuti in tutta Gaza attraverso tutti i varchi esistenti“. Sono le richieste per Israele da parte di un Parlamento europeo “profondamente preoccupato per la catastrofica situazione umanitaria a Gaza”. E per il rischio di “un’imminente carestia”.In una risoluzione non vincolante approvata con 327 voti favorevoli, 44 contrari e 120 astensioni, l’emiciclo di Strasburgo fa sentire la sua voce in difesa della popolazione palestinese di Gaza. Il testo è stato appoggiato da tutti i gruppi politici – con qualche isolata defezione -, fatta eccezione per l’estrema destra di Conservatori e Riformisti (Ecr) e Identità e Democrazia (Id). Le delegazioni italiane appartenenti ai due gruppi, Fratelli d’Italia e Lega, hanno scelto di astenersi.

    Palestinian children collect food at a donation point provided by a charity group in the southern Gaza Strip city of Rafah, on December 6, 2023, (Photo by MOHAMMED ABED / AFP)Dopo le durissime parole dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha accusato Israele di “usare la fame come un’arma di guerra”, affamando cioè deliberatamente la popolazione civile di Gaza per raggiungere i propri scopi militari, da Strasburgo un altro chiaro messaggio a Tel Aviv. Un messaggio che – per evitare ogni possibile fraintendimento – parte ancora dalla condanna dello “spregevole attacco del 7 ottobre” e dal “diritto di Israele all’autodifesa nei limiti del diritto internazionale”.Ma la risposta militare “sproporzionata” delle autorità israeliane ha già provocato oltre 30 mila morti e 70 mila feriti a Gaza. E oggi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quasi il 16 per cento dei bambini di Gaza soffre di malnutrizione acuta. Prendendo in prestito le parole di Borrell, non è la conseguenza di “un disastro naturale, un terremoto o un’alluvione”, ma è una situazione provocata artificialmente”.Il palco non regge più: l’Eurocamera “condanna fermamente l’ostruzione degli aiuti umanitari e gli attacchi contro i convogli umanitari”, con un riferimento particolare al 29 febbraio 2024, “quando le truppe israeliane hanno aperto il fuoco durante le consegne di aiuti umanitari” uccidendo oltre 100 palestinesi e ferendone 700. Anche ieri (13 marzo) il Commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha denunciato l’attacco da parte delle forze di difesa israeliane a un centro di distribuzione del cibo nella parte orientale di Rafah, che ha ucciso un membro dello staff dell’Agenza Onu e ferito altre 22 persone. “Ogni giorno condividiamo con le parti in conflitto le coordinate di tutte le nostre strutture nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha ricevuto ieri le coordinate di questa struttura”, ha dichiarato Lazzarini. In questo contesto, l’Eurocamera “condanna l’uccisione di 161 operatori umanitari delle Nazioni Unite, 340 operatori sanitari e 7 operatori umanitari” dall’inizio del conflitto.

    Il Parlamento accoglie con favore l’apertura del corridoio marittimo cipriota per Gaza, ma sottolinea che “la distribuzione via terra deve essere la priorità”. Israele deve garantire l’apertura dei varchi di Rafah, Kerem Shalom, Karmi ed Erez.Anche qui, l’appello dell’Eurocamera arriva in contemporanea con quello degli attori coinvolti nell’operazione Amalthea, il corridoio via mare da Cipro: nella riunione ministeriale tenutasi ieri sera, Cipro, la Commissione europea, gli Emirati Arabi Uniti, il Regno Unito, il Qatar e gli Stati Uniti hanno ribadito che “non esiste un sostituto significativo alle rotte terrestri attraverso l’Egitto e la Giordania e ai punti di ingresso da Israele a Gaza per la consegna degli aiuti su larga scala”. E sottolineato di conseguenza la necessità che Israele “apra altri varchi per consentire a un maggior numero di aiuti di raggiungere Gaza, anche nel nord, e che allenti le restrizioni doganali per facilitare un maggior flusso di assistenza umanitaria”. La stessa Ursula von der Leyen, a margine dell’incontro, ha insistito perché a Gaza entrino “un minimo di 500 camion al giorno o l’equivalente”.Nella risoluzione approvata dall’Eurocamera viene menzionato anche “il ruolo indispensabile dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (Unrwa) nella regione”. E passa un emendamento che ricorda l’urgenza di mettere in discussione il rispetto delle clausole sui diritti umani dell’accordo di associazione Ue-Israele, come richiesto in una lettera congiunta a Ursula von der Leyen dai primi ministri di Spagna e Irlanda. Perché l’Unione europea ha a disposizione strumenti diplomatici più efficaci di una risoluzione non vincolante dell’Eurocamera per fermare la carneficina a Gaza.