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    Le istituzioni Ue ad Ankara per discutere con le autorità turche sull’organizzazione della Conferenza dei donatori

    Bruxelles – Ad Ankara, per impostare sul campo le direttrici principali dello sforzo di solidarietà internazionale a sostegno delle popolazioni di Turchia e Siria colpite dalle scosse di terremoto in un febbraio devastante. Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il ministro svedese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Johan Forssell, hanno viaggiato oggi (22 febbraio) nella capitale turca per una serie di incontri con i membri dell’esecutivo di Recep Tayyip Erdoğan, con l’obiettivo di preparare con coerenza la Conferenza internazionale dei donatori in programma il prossimo 16 marzo a Bruxelles.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il ministro svedese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Johan Forssell, a confronto con i membri del governo della Turchia ad Ankara (23 febbraio 2023)
    “Siamo tutti scioccati dall’orrore che la Turchia sta attraversando, siamo qui per aiutare, perché siamo amici e alleati”, ha messo in chiaro il commissario Várhelyi, parlando alla stampa al termine degli incontri guidati dal ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu: “La nostra generazione non ha mai visto una distruzione del genere, la situazione è peggiore di quanto pensassimo” e per questo motivo “dobbiamo aiutare il popolo turco e siriano in questa tragedia”. Sul breve termine Bruxelles si è già mobilitata dal primo giorno attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue: “Ventuno Stati membri hanno inviato in Turchia team di ricerca e soccorso, un aereo per l’evacuazione medica e squadre mediche, mentre in 18 hanno fornito alloggi ed attrezzatura medica”. A ciò si aggiungono i 5,5 milioni di euro in aiuti umanitari, che però sono “solo la prima risposta immediata a chi soffre ogni giorno”, ha confermato il commissario Várhelyi.
    I due rappresentanti delle istituzioni comunitarie si sono detti d’accordo che è necessario “fare significativamente di più per alleviare le sofferenze causate dal terremoto” e, da quanto emerge dalle parole del commissario ungherese, questo “richiederà operazioni di ricostruzione enormi, che forse non abbiamo mai visto prima”. Per questo motivo è iniziato ad Ankara il confronto con i vari ministeri coinvolti. Con il titolare dell’Industria e della tecnologia, Mustafa Varank, è stato discusso di sostegno per le piccole e medie imprese e il settore privato, “compresa l’economia verde”, gli sforzi per affrontare l’assistenza e i soccorsi di emergenza e piani per la ricostruzione. Con il ministro delle Finanze, Nureddin Nebati, è stata affrontata la situazione macroeconomica e finanziaria post-terremoto e la valutazione dei “bisogni post-catastrofe”, con un occhio rivolto alle “possibili collaborazioni per la Conferenza dei donatori”. Come confermato dal ministro Forssell, “gli incontri di oggi sono stati fondamentali per l’organizzazione” della riunione di alto livello del 16 marzo.
    Adana, Turchia (credits: Can Erok / Afp)
    A proposito della Conferenza dei donatori che si svolgerà a Bruxelles, il ministro svedese ha confermato che “sarà uno dei molti modi per l’Ue di manifestare l’ulteriore supporto” alle popolazioni di Turchia e Siria e che “è in cima alle priorità dell’agenda della presidenza svedese“. La decisione di mobilitare la comunità internazionale è stata presa a Stoccolma “nei primi giorni dopo il sisma e la Commissione Europea ha risposto subito positivamente” durante la conversazione telefonica tra il premier svedese, Ulf Kristersson, e la presidente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, ha precisato Forssell.
    Tutti i Ventisette e i Paesi vicini, membri e agenzie delle Nazioni Unite, istituzioni finanziarie internazionali e altre parti interessate saranno invitati una conferenza “non solo necessaria, ma anche utile, oggi abbiamo discusso su come svilupparla al meglio”, gli ha fatto eco il commissario Várhelyi. Attraverso la mobilitazione internazionale per i bisogni immediati e la ricostruzione “non potremo coprire tutto, ma almeno una parte significativa” e l’Unione non diminuirà il suo impegno: “Siamo pronti a fare tutto ciò che in nostro potere per ricostruire nuove case, ospedali, scuole e perché la vita normale possa tornare” nelle zone colpite dal sisma, ha concluso il commissario Várhelyi, con una promessa ad Ankara: “Richiederà tempo e sarà costoso, ma ci muoveremo velocemente e in modo flessibile per iniziare il lavoro sul campo”.

    Il commissario per la Politica di vicinato, Olivér Várhelyi, e il ministro svedese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo, Johan Forssell, hanno ascoltato le richieste per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto in vista della riunione di alto livello a Bruxelles il 16 marzo

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    L’Ue è pronta a dispiegare gli agenti Frontex anche lungo le frontiere interne dei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Dopo i visti, Frontex. Non bastava l’aver alzato la voce sull’allineamento dei Paesi balcanici alla politica dei visti dell’Ue per tentare di frenare l’arrivo di persone migranti dirette verso l’Unione. Alla vigilia dell’inizio del viaggio della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nelle sei capitali dei Balcani Occidentali, l’esecutivo comunitario ha adottato una raccomandazione al Consiglio per autorizzare l’avvio dei negoziati per il potenziamento degli accordi sullo status dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia,
    In altre parole, con la nuova proposta di quadro giuridico, sarà possibile dispiegare i corpi permanenti di Frontex nella regione, non più solo alle frontiere esterne dell’Ue ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi, garantendo loro poteri esecutivi. A oggi, il dispiegamento degli agenti può avvenire solo alle frontiere degli Stati membri dell’Unione (e senza poteri esecutivi). “I nuovi accordi sullo status sosterranno e rafforzeranno meglio la cooperazione sulla gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali”, si legge nel comunicato dell’esecutivo comunitario. La presenza potenziata di Frontex “rafforzerà la capacità dei partner nella gestione della migrazione, nella lotta al contrabbando e nel garantire la sicurezza” lungo le frontiere.
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea sono stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento Frontex rivisto. Le raccomandazioni della Commissione dovranno essere adottate dal Consiglio dell’Ue, per autorizzare lo stesso esecutivo ad avviare i negoziati con Tirana, Podgorica, Belgrado e Sarajevo. Questa sera (26 ottobre) invece sarà firmato dalla presidente von der Leyen a Skopje un secondo accordo con la Macedonia del Nord, che permetterà all’Agenzia Ue di dispiegare squadre di gestione delle frontiere, in particolare lungo il confine meridionale con la Grecia.
    “Siamo impegnati a sostenere i nostri partner nei Balcani occidentali e a rafforzare la nostra cooperazione sulla gestione della migrazione in loco“, ha commentato la proposta sul rafforzamento di Frontex nella regione la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, puntualizzando la necessità che “le loro frontiere continuino a essere rispettate e protette in linea con le migliori pratiche europee”. Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha invece insistito sull’importanza del nuovo pacchetto di assistenza fa 39,2 milioni di euro nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione (IPA III) per rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali: “Intendiamo aumentare i nostri finanziamenti del 60 per cento in totale, fino a raggiungere almeno 350 milioni di euro“.
    Oltre al sostegno di Frontex, i finanziamenti di Bruxelles – arrivati oggi a 171,7 milioni di euro – dovrebbero “sostenere lo sviluppo di sistemi efficaci di gestione della migrazione, tra cui l’asilo e l’accoglienza, la sicurezza delle frontiere e i rimpatri”, ha precisato Várhelyi. In verità serviranno principalmente per l’acquisto di attrezzature specializzate, come sistemi di sorveglianza mobile, droni, dispositivi biometrici, formazione e sostegno ai Centri nazionali di coordinamento e creazione di strutture per “accoglienza e detenzione”, è quanto comunica l’esecutivo Ue.

    La Commissione ha raccomandato al Consiglio autorizzare l’avvio dei negoziati per potenziare gli accordi sullo status dell’Agenzia con Albania, Serbia, Montenegro e Bosnia ed Erzegovina. A oggi i corpi permanenti possono operare (senza poteri esecutivi) solo lungo i confini dei Paesi Ue

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    La Commissione ha raccomandato la concessione dello status di candidato all’adesione Ue alla Bosnia ed Erzegovina

    Bruxelles – Il nuovo Pacchetto Allargamento della Commissione Europea presenta una novità particolarmente attesa in Bosnia ed Erzegovina, in particolare dopo le delusioni del vertice Ue-Balcani Occidentali di giugno. A sei anni dalla richiesta di adesione all’Unione Europea da parte di Sarajevo, la Commissione Ue ha raccomandato al Consiglio di concedere alla Bosnia lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione. Lo ha reso noto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, in audizione alla commissione Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue, presentando il Pacchetto Allargamento 2022: “Rispetto all’anno scorso il nostro compito è cambiato, c’è stata un’enorme evoluzione nella politica di allargamento dopo l’aggressione russa all’Ucraina”.
    L’allargamento dell’Unione nella regione balcanica è “più importante che mai per motivi geopolitici, per garantire la pace e la stabilità sul continente“, come ha dimostrato la “reazione immediata” delle richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa. Al vertice dei leader Ue di giugno “c’è stato un chiaro impegno”, con la concessione dello status di candidati a Kiev e Chişinău e la prospettiva europea per Tbilisi: “Dal prossimo nel Pacchetto Allargamento avremo 10 relazioni, ma già entro la fine dell’anno intendiamo presentare una valutazione sulle capacità dei tre nuovi partner di colmare le lacune evidenziate nelle nostre valutazioni”, ha aggiunto il commissario Várhelyi.
    Pensando al presente, però, “tutti i sei Paesi dei Balcani Occidentali devono aderire il prima possibile all’Unione”, ha avvertito il titolare per l’Allargamento nel gabinetto von der Leyen, parlando della raccomandazione del Collegio dei commissari di oggi (mercoledì 12 ottobre) ai Ventisette di concedere lo status di Paese candidato all’adesione Ue anche alla Bosnia ed Erzegovina. La decisione – che “spetterà al Consiglio Europeo, probabilmente al vertice di dicembre” – sarà comunque condizionata sia dal rispetto delle 14 priorità-chiave sia dall’adozione di diverse misure da parte di Sarajevo, elencate in un report tutt’altro che incoraggiante sui progressi fatti nel campo giudiziario, politico e dello Stato di diritto (anche considerate le tensioni nella Republika Srpska).
    Facendo appello alla “responsabilità di tutte le forze politiche” dopo le elezioni dello scorso 2 ottobre, il commissario ha spiegato che in Bosnia dovranno essere approvate “in via prioritaria” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, quella sulla prevenzione del conflitto di interessi e misure per rafforzare la prevenzione e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Fondamentale anche il coordinamento “a tutti i livelli” della gestione delle frontiere e del funzionamento del sistema di asilo, l’istituzione di un meccanismo nazionale di prevenzione contro la tortura, ma anche l’adozione di un programma nazionale per l’acquis Ue e la libertà di espressione e la protezione dei giornalisti. “Quella che stiamo offrendo è una grande opportunità per la Bosnia, che arriva una volta nella vita e che i cittadini meritano“, ha sottolineato con forza il commissario Várhelyi. Tutto questo comunque “dovrà essere soddisfatto prima di poter pensare di aprire i negoziati di adesione” all’Unione.

    ❗ BREAK: European Commission to recommend candidate status for Bosnia and Herzegovina 🇧🇦 in the European Parliament this afternoon. An absolute necessity for a geopolitical EU. Member States must now make the right call and support the people of BiH on their European path. pic.twitter.com/Q7V8D0R7WM
    — Thijs Reuten 🇪🇺🌹 (@thijsreuten) October 12, 2022

    Gli altri dossier del Pacchetto Allargamento 2022
    Non c’è solo la Bosnia al centro dell’attenzione di Bruxelles sui progressi dei Paesi candidati (o quasi) all’adesione Ue. Presentando le altre sei relazioni – compresa la Turchia, che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale – è soprattutto la Serbia a destare le maggiori preoccupazioni: “Deve essere un partner e alleato sincero, per promuovere la sicurezza sul continente, e deve rivedere le sue posizioni per allinearsi all’Ue e distanziarsi di più dalla Russia“, è l’ennesima esortazione del commissario Várhelyi. In ogni caso, Belgrado è “un importante partner economico, che va aiutato ad affrontare le sfide energetiche” e che allo stesso tempo sta proseguendo sul cammino di avvicinamento agli standard Ue, “come dimostra il referendum sulle riforme costituzionali di gennaio“.
    Tutti gli altri quattro partner balcanici sono “completamenti allineati alla politica estera e di difesa” dell’Unione Europea, in particolare dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Macedonia del Nord e Albania presentano “importanti progressi con risultati concreti” sul piano dell’attuazione delle riforme richieste, spinte anche dallo sblocco dello stallo sull’avvio dei negoziati di adesione lo scorso 19 luglio. Tirana deve però accelerare l’iter sulla libertà di espressione e il diritto di proprietà intellettuale (mentre la riforma della giustizia è “un esempio di serietà nel rafforzamento dello Stato di diritto”), Skopje deve fare passi in avanti sulla riforma dell’amministrazione pubblica ed entrambi i governi devono impegnarsi sulla lotta alla corruzione.
    In una posizione più complessa – anche se sulla carta più avanzata – è il Montenegro, ancora fermo sui capitoli negoziali 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e 24 (giustizia e affari interni): “La valutazione del 2021 era identica, rimangono una seria preoccupazione“, ha confessato il commissario per l’Allargamento agli eurodeputati. Di fronte a una situazione instabile sul piano politico (che ha recentemente visto in crisi anche il governo di scopo guidato da Dritan Abazović), è necessario “un serio sforzo da parte di tutte le forze partitiche nel settore giudiziario”, così come nella libertà di espressione e dei media, e nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Oltre alla Bosnia, anche il Kosovo è l’unico Paese dei Balcani Occidentali a cui non è ancora stato riconosciuto lo status di Paese candidato (Pristina ha annunciato che entro la fine dell’anno farà richiesta di adesione). “Vorremmo vedere un cammino più rapido sul programma di riforme, ma c’è un rafforzamento dello Stato democratico”, ha confermato Várhelyi. Rinnovata la raccomandazione al Consiglio di liberalizzare il regime dei visti per i cittadini kosovari e chiesto infine un “approccio costruttivo da parte di tutti gli attori” per quanto riguarda il dialogo Pristina-Belgrado.

    A sei anni dalla richiesta di adesione all’Unione Europea, nel Pacchetto Allargamento 2022 l’esecutivo comunitario ha incluso per la prima volta l’esortazione al Consiglio di riconoscere lo status a Sarajevo. La decisione finale spetterà ora ai 27 leader Ue (probabilmente a dicembre)

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    I crimini di guerra in Ucraina “riportano alla mente” gli orrori della guerra in Bosnia: l’UE ricorda il massacro di Srebrenica

    Bruxelles – Le lancette della storia indietro di 27 anni, in Bosnia ed Erzegovina, mentre emergono giorno dopo giorno sempre più immagini e testimonianze degli orrori dell’esercito russo in Ucraina. Mai come quest’anno il ricordo del massacro di Srebrenica è un monito per quanto si sta ripetendo sul territorio europeo, oltre i confini orientali dell’UE. “Le uccisioni di massa e i crimini di guerra a cui assistiamo in Ucraina riportano alla mente la guerra nei Balcani Occidentali degli anni Novanta”, hanno sottolineato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nel ribadire che “è più che mai nostro dovere ricordare il genocidio di Srebrenica, come parte della nostra storia comune europea“.
    Nel luglio del 1995 furono 8.372 i civili bosniaci – tutti maschi, di etnia musulmana – massacrati dalle forze serbo-bosniache di Ratko Mladić nei pressi del comune di Srebrenica, nella Bosnia orientale. Sono passati 27 anni da quell’ennesima tragedia (la più grande per numero di vittime in pochi giorni) di un genocidio durato tre anni e mezzo, dall’aprile del 1992 agli accordi di Dayton del 14 dicembre 1995. Eppure “ancora oggi non possiamo dare la pace per scontata“, perché “l’aggressione ingiustificata e immotivata della Russia contro l’Ucraina ha riportato una guerra brutale nel nostro continente”. Mentre la stabilità dell’Europa e l’ordine internazionale sono “profondamente scossi”, l’UE non dimentica “la necessità di alzarci per difendere la pace, la dignità umana e i valori universali”, rimessi in discussione: “Non abbiamo dimenticato ciò che è accaduto a Srebrenica e la nostra responsabilità per non essere stati in grado di prevenire e fermare il genocidio”.

    Today, we remember the victims of the #Srebrenica genocideWe cannot take peace for granted. We must learn from the past and work daily for peace, human dignity, universal valuesWe take inspiration from the Mothers of Srebrenica in their pursuit of truth, justice, reconciliation pic.twitter.com/5DZoB9fzxq
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) July 11, 2022

    Allora “l’Europa ha fallito e noi dobbiamo affrontare la nostra vergogna”, ma quegli errori non possono essere commessi di nuovo. Né in Ucraina né ancora nella regione balcanica: “In Europa non c’è posto per la negazione del genocidio, il revisionismo e la glorificazione dei criminali di guerra“, hanno avvertito l’alto rappresnetante Borrell e il commissario Várhelyi, richiamandosi alle tensioni che da diversi mesi si stanno vivendo nella Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba del Paese): “Tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina meritano una società in cui prevalgano il pluralismo, la giustizia e la dignità umana”. Lo aveva ricordato un mese fa durate la cerimonia del Premio Lux 2022 al Parlamento UE la regista di Quo Vadis, Aida? (proprio sul massacro di Srebrenica), Jasmila Žbanić: “Abbiamo bisogno del vostro supporto contro i nazionalismi appoggiati daPutin”. E quella dei membri del gabinetto guidato da Ursula von der Leyen sembra quasi una risposta al suo appello: “In questi tempi pericolosi” i leader bosnaici “devono passare dalle parole ai fatti”, scegliendo “verità, giustizia e cooperazione al posto di paura e odio per superare le tragiche eredità del passato e costruire un futuro più luminoso e prospero per le prossime generazioni”.
    Un impegno che coinvolge il cammino di adesione di Sarajevo all’UE (nonostante le difficoltà mostrate anche da parte di Bruxelles nel fornire una risposta credibile alle aspirazioni balcaniche). “L’Unione Europea è stata costruita come un progetto di pace comune e il futuro della Bosnia ed Erzegovina è all’interno dell’Unione“, hanno ribadito con forza Borrell e Várhelyi. Ma per realizzare questo obiettivo “è necessario che tutti i leader del Paese si impegnino a porre la pace, la riconciliazione, la comprensione reciproca e il dialogo in cima alla loro agenda e si impegnino nel programma di riforme” richiesto dalla comunità internazionale. Anche il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, ha collegato il massacro di Srebrenica – “uno dei momenti più bui della storia europea moderna” con il momento storico che il continente sta affrontando: “Questo tragico anniversario ci ricorda che dobbiamo continuare a lavorare insieme per la pace in Europa” e per far sì che “la Bosnia ed Erzegovina diventi parte dell’Unione Europea”.

    27 years since #Srebrenica genocide, one of the darkest moments in modern European history.
    Our hearts & thoughts are with the victims & their families. This tragic anniversary is also a reminder: we must keep working together for peace in Europe & for 🇧🇦 to become part of 🇪🇺 pic.twitter.com/nZ6iJs81k4
    — Charles Michel (@CharlesMichel) July 11, 2022

    Nel ribadire che l’assassinio di oltre 8 mila civili nel 1995 “è parte della nostra storia comune europea” e un fallimento per cui “dobbiamo affrontare la nostra vergogna”, l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, avverte che “neanche oggi non possiamo dare la pace per scontata”

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    Ucraina e Moldova “meritano lo status di Paesi candidati all’adesione UE”. Per la Georgia serve un’attenta valutazione

    Bruxelles – Giacca gialla e camicia azzurra, i colori della bandiera ucraina. Che il 17 giugno rappresenti una data decisiva per il processo di allargamento dell’Unione Europea lo si capisce già dall’abbigliamento scelto dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, per presentare i pareri formali dell’esecutivo comunitario sul conferimento dello status di Paese candidato di adesione all’UE: Ucraina e Repubblica di Moldova subito, Georgia dopo “un’attenta valutazione”. A soli cento giorni dal via libera degli ambasciatori dei Ventisette, il gabinetto von der Leyen ha affidato al Consiglio il compito di decidere (all’unanimità) come e secondo quali tappe dovrà procedere il processo che in prospettiva potrebbe portare nell’Unione tre nuovi membri. A Kiev e Chișinău dovrebbe essere garantito subito lo status di Paese candidato, mentre Tbilisi dovrà lavorare su una serie di priorità, ma con il riconoscimento della prospettiva europea.
    Il collegio dei commissari riunito il 17 giugno 2022 per deliberare i pareri formali sulle richieste di adesione UE di Ucraina, Moldova e Georgia
    “Abbiamo certificato in modo accurato i meriti di ciascun Paese che ha fatto richiesta, secondo i criteri politici, economici e di capacità di assumersi gli obblighi derivanti dall’adesione, come previsto dall’acquis comunitario”, ha esordito la presidente von der Leyen in conferenza stampa. Tutte le attenzioni sono per l’Ucraina, per cui la Commissione raccomanda la prospettiva di diventare membro dell’UE e di concedere lo status di candidato all’adesione, “a condizione che vengano compiute riforme importanti in una serie di settori”, tra cui quello giudiziario, sulla lotta alla corruzione, sulla legislazione anti-oligarchi e su quella per la tutela delle minoranze. In ogni caso, “il popolo ucraino ha dimostrato chiaramente l’aspirazione e la determinazione ad aderire ai valori e standard europei, anche prima della guerra“, ha sottolineato la leader dell’esecutivo comunitario, mettendo in risalto i punti di forza: stabilità delle istituzioni, Stato di diritto, funzionamento della pubblica amministrazione, decentralizzazione, stabilità macroeconomica e finanziaria, sistema elettorale libero ed equo. “Sì, gli ucraini meritano la prospettiva europea e di essere accolti come candidati, ora devono avere il futuro nelle proprie mani”, è stato il “chiaro messaggio” di von der Leyen.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (17 giugno 2022)
    Come per l’Ucraina, la Commissione raccomanda al Consiglio di riconoscere alla Moldova la prospettiva di diventare membro dell’Unione e lo status di candidato all’adesione UE, sempre secondo i “meriti che devono accompagnare questo processo” soprattutto sul piano delle riforme economiche fondamentali. Nonostante le difficoltà interne per il separatismo della Transnistria, Chișinău “dispone di solide basi” su democrazia e Stato di diritto e ha registrato “progressi nel rafforzamento del settore finanziario e del contesto imprenditoriale”, che garantiscono un “sostanziale avvicinamento” alle condizioni richieste dall’ingresso nel Mercato Unico.
    Leggermente diversa è la situazione della Georgia, che ha sì “le stesse aspirazioni” di Ucraina e Moldova e “buone basi per la stabilità”, ma “sono necessarie ulteriori riforme su una lista di priorità che abbiamo evidenziato“, ha spiegato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Fine della polarizzazione politica, riforme giudiziarie, progressi sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, indipendenza dei media e sicurezza dei giornalisti”. Come ha sottolineato la presidente von der Leyen, “la porta è totalmente aperta e le tempistiche dipendono dalla Georgia“, ma per il momento la Commissione raccomanda al Consiglio di garantire solo la prospettiva di diventare membro dell’UE, fino a quando non saranno soddisfatte tutte le priorità.
    Le tappe del processo di adesione UE
    Le tre richieste per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE erano arrivate tutte nel corso della prima settimana di guerra della Russia in Ucraina, tra lunedì (28 febbraio) e giovedì (3 marzo): la prima era stata l’Ucraina, seguita a ruota da Georgia e Moldova. Gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato quattro giorni più tardi di invitare la Commissione Europea a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione, da inviare poi ai leader UE. L’8 aprile a Kiev von der Leyen aveva consegnato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il questionario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario sulla richiesta di adesione, così come aveva fatto tre giorni più tardi il commissario Várhelyi per Georgia e Moldova. “Tutti i questionari sono stati compilati autonomamente, noi abbiamo dato supporto tecnico per non perdere tempo“, ha spiegato lo stesso commissario europeo, ricordando che “abbiamo usato anche i nostri dati, senza chiedere cose che già sapevamo”.
    Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’UE (Ucraina, Georgia e Moldova, in questo caso), è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina, il processo di allargamento UE coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – e la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje (dalla fine del 2020). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
    La situazione dello stallo del processo di allargamento nella regione sarà al centro delle discussioni del prossimo vertice UE-Balcani Occidentali, in programma a Bruxelles giovedì prossimo (23 giugno), ma nella sede della Commissione non si respira un clima positivo: “Non sono a conoscenza di quadri negoziali tra Macedonia del Nord e Bulgaria, ma solo di un blocco di cui non sono per niente soddisfatto”, ha commentato seccamente il commissario Várhelyi. Per quanto riguarda il processo della Bosnia ed Erzegovina – che sarebbe sorpassata da destra da Ucraina e Moldova – “stiamo aspettando che il Paese soddisfi le 14 priorità già presentate nella nostra opinione al Consiglio“, perché “se le rinegoziassimo, mineremmo la credibilità del processo di allargamento“, ha puntualizzato il titolare della Politica di allargamento dell’esecutivo comunitario.

    È quanto emerge dai pareri formali della Commissione UE sulle richieste di Kiev e Chișinău, che passeranno al tavolo del Consiglio Europeo. A Tbilisi dovrebbe essere garantita la prospettiva di diventare Paese membri, ma serviranno forti riforme politiche, economiche e sociali

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    I fondi UE per la Palestina saranno erogati “rapidamente”. L’annuncio di von der Leyen sblocca lo stallo di oltre 6 mesi

    Bruxelles – Si sbloccano i fondi 2021 dell’UE per la Palestina, circa 215 milioni di euro che saranno erogati “rapidamente” dopo il via libera della Commissione. Ad annunciarlo nel corso della sua visita di ieri (martedì 14 giugno) a Ramallah è stata la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, felicitandosi che dopo oltre sei mesi sono state superate “tutte le difficoltà” all’interno del suo gabinetto. “Abbiamo chiarito che l’erogazione avverrà”, ha dichiarato durante una conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, la prima del viaggio di due giorni di von der Leyen, che l’ha portata anche in Egitto e Israele per stringere i rapporti in materia di sicurezza energetica e alimentare.
    “È importante avere questi finanziamenti per sostenere la popolazione, soprattutto quella più vulnerabile, perché contribuiscono a creare le condizioni per opportunità economiche“, ha sottolineato la presidente della Commissione UE, a poche ore dalla luce verde arrivata da Bruxelles. Le ha fatto eco l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha ribadito l’importanza di questo passo compiuto a sostegno del popolo palestinese, “dopo l’enorme approvazione della nuova proposta da parte degli Stati membri”. L’alto rappresentante Borrell ha posto l’accento sul “trattamento equo” da parte dell’Unione e sul fatto che “il finanziamento non include la condizionalità per l’istruzione, che andrebbe contro i principi” dei Ventisette.

    Good to be in Ramallah to meet PM @DrStayyeh.#TeamEurope is the largest donor of support to the Palestinian people.
    We’ll discuss how to boost economic, social development, including access to clean water, reliable energy supply and food security. https://t.co/NkKJstvMra
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) June 14, 2022

    Il riferimento dell’alto rappresentante UE – e delle “difficoltà” lasciate tra le righe da von der Leyen – riguarda la posizione del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Oliver Várhelyi, che aveva portato allo stallo nell’autunno dello scorso anno. Da giugno del 2021 il commissario ungherese ha portato avanti la linea dura del governo di Budapest, secondo cui sarebbe necessario vincolare i finanziamenti UE alla modifica del contenuto dei libri di testo nelle scuole della Palestina. Secondo l’Ungheria – unico Paese membro tra tutti i Ventisette che sposa la visione di alcuni gruppi integralisti della società israeliana – diversi libri promuoverebbero l’antisemitismo tra i bambini palestinesi, che non godrebbero del “diritto sancito dall’UNESCO a un’istruzione di pace, tolleranza, coesistenza e non-violenza”, aveva attaccato in un tweet lo stesso commissario Várhelyi, motivando il bisogno di condizionare i 215 milioni di euro che Bruxelles avrebbe dovuto erogare a Ramallah nel 2021.
    L’UE è il principale donatore della Palestina e per la Commissione – escluso il commissario ungherese – era considerato cruciale dare un segno del proprio sostegno, proprio nel giorno in cui la presidente von der Leyen aveva in programma la visita a Gerusalemme per negoziare più forniture di gas in risposta alle necessità di approvvigionamento alternativo dalla Russia di Putin. Il via libera è arrivato dopo il parere positivo di 26 Paesi membri UE su 27 alla proposta di eliminare qualsiasi condizione per i finanziamenti comunitari alla Palestina che riguardino l’ambito dell’istruzione. Senza sorprese, l’Ungheria è stata l’unico Stato membro a non allinearsi.

    L’annuncio della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, durante la visita a Ramallah. Si tratta di circa 215 milioni di euro bloccati dal commissario ungherese per la Politica di vicinato, Oliver Várhelyi, nel tentativo di condizionarli al contenuto di alcuni libri di testo

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    Non solo l’Ucraina. La Commissione ha consegnato i questionari per l’adesione UE anche a Georgia e Moldova

    Bruxelles – Seguendo lo stesso ritmo trainante dell’Ucraina, continua senza sosta anche per altri due Paesi il processo di adesione all’UE: Georgia e Repubblica di Moldova hanno ricevuto oggi (lunedì 11 aprile) i rispettivi questionari di adesione che serviranno alla Commissione Europea per formulare il proprio parere formale sulle rispettive domande. Nessuna bandiera stampata sopra le buste – come era successo venerdì (8 aprile) durante l’incontro a Kiev tra la presidente Ursula von der Leyen e l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky – ma la sostanza non cambia: il questionario fa parte della procedura avviata lo scorso 7 marzo, quando gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato di invitare l’esecutivo comunitario a trasmettere la propria posizione ai leader UE.
    “Questo è il primo passo del vostro cammino europeo, siamo pronti a lavorare con voi molto velocemente per consegnare il parere al Consiglio Europeo come richiesto”, ha precisato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, consegnando le due buste ai ministri degli Esteri moldavo, Nicu Popescu, e georgiano, Ilia Darchiashvili, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo. “Eccolo: una serie di 369 domande a cui la Moldova deve rispondere sulla sua disponibilità a entrare nell’UE”, ha commentato su Twitter il ministro moldavo, ribadendo la volontà del Paese di “lavorare più velocemente e più duramente” sulla strada verso l’adesione all’UE. Un impegno condiviso anche dal titolare degli Esteri georgiano, che ha confermato che “non risparmieremo sforzi per compilare tempestivamente il documento e procedere alle fasi successive”.

    By receiving the questionnaire, we have made another major step forward on the path of our people’s national choice – 🇪🇺 integration! Many thanks, Commissioner @OliverVarhelyi.🇬🇪 will spare no efforts to timely fill in the document and proceed to the next stages! pic.twitter.com/XL7Kpy4YEL
    — Ilia Darchiashvili (@iliadarch) April 11, 2022

    Le richieste di adesione all’UE da parte di Georgia e Moldova erano arrivate entrambe il 3 marzo, a una settimana dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. La decisione è stata una netta reazione di Tbilisi e Chișinău contro il disegno dei nuovi equilibri geopolitici che il presidente russo, Vladimir Putin, vorrebbe mettere in atto ai danni non solo della sovranità di Kiev, ma anche dei due Paesi vicini: Ucraina, Georgia e Moldova si vedono ormai proiettati in un’ottica UE, contro la minaccia russa e per l’integrazione in un’Unione che si sta dimostrando aperta almeno a iniziare con decisione un nuovo processo di allargamento.
    Dopo aver inviato la proposta formale di candidatura all’adesione e una volta che arriverà il parere positivo della Commissione (questionario incluso), per diventare Paesi membri dell’UE Ucraina, Moldova e Georgia dovranno superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Si arriva così alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina per l’adesione all’UE, bisogna ricordare che il processo di allargamento coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, più la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.

    Come successo durante la visita della presidente von der Leyen a Kiev, è stato intrapreso un nuovo passo nel processo di elaborazione del parere formale della Commissione UE sulla domanda dei due Paesi. Il commissario Várhelyi: “Siamo pronti a lavorare molto velocemente”

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    L’UE in pressing sulla Serbia: “Si allinei alle sanzioni contro la Russia e si impegni sul rispetto dello Stato di diritto”

    Bruxelles – Si riparte, ancora, da Aleksandar Vučić e dal suo rapporto ambiguo con Vladimir Putin. Dopo il trionfo alle elezioni di domenica (3 aprile) da parte del suo Partito Progressista Serbo, Bruxelles torna a pressare Belgrado per un maggiore allineamento della Serbia a livello di politica estera con l’Unione – in quanto Paese candidato all’adesione – e soprattutto perché cambi la sua posizione sulle sanzioni contro la Russia. La volontà del presidente Vučić di rimanere “neutrale” rispetto al campo occidentale, nel quale comunque sta cercando di entrare, e al Cremlino, tradizionale alleato politico e partner commerciale, nasconde tutta l’ambiguità di una scelta che sta creando non pochi problemi all’UE per il possibile aggiramento delle misure restrittive.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić
    Proprio in virtù dell’aggressione militare russa “non provocata e ingiustificata” contro la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, “ci aspettiamo che la Serbia, come Paese che sta negoziando la sua adesione all’UE, si allinei progressivamente alle nostre posizioni, comprese le dichiarazioni e le misure restrittive, in linea con il quadro negoziale”, hanno dichiarato in una nota l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. I Ventisette sono “il principale partner politico e, di gran lunga, economico della Serbia” ed è per questo che la condivisione dei pacchetti di sanzioni contro la Russia dovrebbe essere la naturale conseguenza dell’impegno dell’Unione nel Paese: “Continuiamo a sostenere la ripresa economica, l’energia, la sicurezza alimentare”, anche attraverso il Piano economico e di investimento per i Balcani occidentali.
    Oltre all’allineamento sulle sanzioni, c’è bisogno anche di un maggiore impegno della Serbia sul rispetto dello Stato di diritto, a partire dal risultato delle elezioni di domenica. “Il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche è un pilastro centrale del processo di adesione all’UE”, hanno ricordato Borrell e Várhelyi, puntualizzando che “una serie di carenze hanno portato a una competizione ineguale” alla vigilia del voto, come fatto notare dagli eurodeputati dopo la missione di osservazione elettorale in Serbia. “Incoraggiamo il nuovo Parlamento e la leadership politica a continuare a lavorare per un dialogo autentico e costruttivo in tutto lo spettro politico”, con l’obiettivo di arrivare a “un ampio consenso interpartitico sulle riforme“, necessario per il cammino verso l’UE: indipendenza del sistema giudiziario, lotta alla corruzione e al crimine organizzato, libertà di stampa e condanna senza eccezione dei crimini di guerra. Un riferimento particolare anche alla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo attraverso il dialogo mediato dall’UE, “che determina il ritmo generale” dei negoziati di adesione all’UE di entrambe le parti.
    Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’autocrate russo, Vladimir Putin
    Ma nello stesso momento in cui Bruxelles chiede alla Serbia di allinearsi alle sanzioni contro la Russia, proprio da Mosca arrivano le congratulazioni di Putin a Vučić per la sua “convincente vittoria” alle elezioni presidenziali. Come riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, in un telegramma l’autocrate russo ha invitato il presidente serbo a “rafforzare la partnership strategica” tra i due Paesi, dimostrando quanto la politica di Vučić sia più vicina al Cremlino di quanto le sue dichiarazioni di “neutralità” vogliano far sembrare.

    Dopo l’esito delle elezioni di domenica 3 aprile, che hanno sancito il triplice trionfo del partito al potere, la Commissione Europea ha chiesto a Belgrado di “avvicinarsi alle posizioni dell’Unione” e prendere le distanze da Putin (che si è congratulato per la vittoria del presidente Vučić)