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    Gli alleati di Kiev cercano la quadra sulle garanzie di sicurezza. Doccia fredda da Mosca sul bilaterale Putin-Zelensky

    Bruxelles – Sono giorni frenetici per i partner occidentali dell’Ucraina, che stanno cercando di far accelerare la macchina diplomatica per raggiungere una soluzione negoziata della guerra con la Russia, nonostante le richieste del Cremlino rimangano irricevibili per Kiev. Nell’attesa di un faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, gli alleati transatlantici stanno discutendo di quali garanzie di sicurezza fornire al Paese aggredito una volta cessate le ostilità.Dopo lo storico incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e una mezza dozzina di leader europei, incluso Volodymyr Zelensky, i responsabili politici e militari della Nato e della coalizione dei volenterosi si sono confrontati in una serie di riunioni per provare a definire la forma concreta che potrebbero prendere le famigerate garanzie di sicurezza promesse tante volte a Kiev in termini fumosi.Stando alle ricostruzioni circolate sulla stampa internazionale, nella giornata di ieri (21 agosto) i capi di Stato maggiore degli alleati transatlantici hanno presentato ai rispettivi consiglieri per la sicurezza nazionale diverse opzioni, di cui cominciano ad emergere alcuni dettagli parziali. L’unica cosa certa, a questo punto delle discussioni, è che i Paesi del Vecchio continente dovranno fare “la parte del leone“, come sottolineato ripetutamente dall’amministrazione a stelle e strisce.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Per quanto Trump abbia espresso disponibilità a partecipare alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina (un esito tutt’altro che scontato e dipinto dalle cancellerie del Vecchio continente come un grande successo), il tycoon ha messo in chiaro che Washington non manderà truppe, rimanendo ambiguo rispetto al tipo di supporto che gli Stati Uniti potranno fornire una volta cessate le ostilità sul campo.Ora, pare che gli europei stiano chiedendo allo zio Sam di continuare a condividere le preziose informazioni d’intelligence e, soprattutto, di garantire una qualche forma di copertura aerea. Che potrebbe declinarsi in vari modi: attraverso l’impiego diretto di piloti statunitensi, ad esempio, per facilitare eventuali operazioni di terra oppure per mettere in piedi una no-fly zone nei cieli ucraini, ma anche tramite la fornitura di ulteriori sistemi antiaerei a Kiev. Un’ulteriore ipotesi potrebbe comportare il comando Usa della missione terrestre europea.Nel solco delle discussioni che si protraggono da mesi, ad ogni modo, il nodo più delicato rimane l’invio di truppe in Ucraina. Secondo alcune stime, per proteggere un’eventuale tregua saranno necessarie svariate decine di migliaia di soldati (nell’ordine dei 30-40mila come minimo), che dovrebbero rimanere stazionati in Ucraina nel medio-lungo periodo ed essere pronti a intervenire tempestivamente in caso di necessità.Al momento attuale, tuttavia, solo la Francia sembra disposta a schierare un proprio contingente in Ucraina. Tra le altre potenze militari europee, l’Italia ha chiuso da tempo la porta a quest’opzione (a meno che non se ne parli all’interno di una cornice Onu), in Germania la discussione è accesissima (in ogni caso la Bundeswehr è tutt’altro che in buona salute), e persino il Regno Unito starebbe riconsiderando l’impiego di truppe, che pareva certo fino a poco tempo fa. La Polonia, tra i più fervidi alleati di Kiev, non intende sguarnire le sue frontiere orientali con la Bielorussia e l’exclave russa di Kaliningrad.Il presidente francese Emmanuel Macron (foto via Imagoeconomica)Di sicuro, tutti concordano nel considerare l’esercito ucraino la “prima linea” fondamentale per respingere una potenziale nuova aggressione. A questo obiettivo mirano in effetti gli aiuti militari e finanziari occidentali, e in tre anni e mezzo di guerra le forze armate di Kiev hanno aumentato sensibilmente la loro preparazione mentre l’industria bellica nazionale ha fatto progressi sostanziali, come dimostra il nuovo missile balistico Flamingo con gittata di 3mila chilometri.Ma è proprio sulla “forza di rassicurazione” internazionale che rischia di impantanarsi tutto, dal momento che il Cremlino si oppone nettamente alla presenza di truppe dell’Alleanza in Ucraina. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato nei giorni scorsi che Mosca vuole essere consultata nella definizione delle garanzie di sicurezza per Kiev, e si è addirittura spinto a suggerire che tra i garanti della pace dovrebbero esserci i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, incluse la Cina e, appunto, la Russia.A proposito del Cremlino, in queste ore stanno circolando anche le precise richieste avanzate da Vladimir Putin durante il suo faccia a faccia con Trump ad Anchorage, in Alaska, lo scorso 15 agosto. Per porre fine alla propria aggressione, Mosca esige che Kiev ceda definitivamente la Crimea e l’intero Donbass alla Federazione (quest’ultimo, costituito dalle oblast’ di Donetsk e Luhansk, è occupato solo parzialmente dai russi), rinunci per sempre all’ingresso nella Nato, mantenga uno status di neutralità permanente e non ospiti sul proprio territorio truppe occidentali.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Difficilmente la leadership ucraina potrà accettare tutti i desiderata di Putin, che pure ha ridimensionato le sue ambizioni rispetto all’anno scorso. All’epoca voleva anche le oblast’ di Kherson e Zaporizhzhia (anch’esse parzialmente occupate e, come Donetsk e Luhansk, annesse unilateralmente con un referendum farsa nel settembre 2022). Ora, lo zar sarebbe disposto a “congelare” il fronte in queste due regioni lungo l’odierna linea di contatto e a ritirare le proprie truppe da alcune aree nei dintorni di Kharkiv, Sumy e Dnipropetrovsk.Se è prevedibile che Kiev non aderisca all’Alleanza nell’immediato futuro (stante l’opposizione di svariati membri, a partire dagli Usa), Zelensky ha detto chiaro e tondo che qualunque cessione territoriale andrà discussa al massimo livello tra lui e Putin. Da giorni si parla di un possibile bilaterale tra i leader dei Paesi belligeranti, cui dovrebbe dar seguito un trilaterale con Trump, per raggiungere un accordo di pace complessivo. Finora, i tre round di colloqui tra Russia e Ucraina non hanno portato ad alcun progresso in tal senso.Del resto, lo stesso Lavrov nelle scorse ore ha raffreddato gli entusiasmi, avvertendo che per arrivare ad un simile risultato servirà una meticolosa preparazione e reiterando i dubbi sulla legittimità del presidente ucraino, il cui mandato è scaduto nel maggio 2024 (la legge marziale in vigore nel Paese impedisce tuttavia di tenere nuove elezioni). Mosca, insomma, non ha alcuna fretta e può permettersi di prendere in giro ancora un po’ il presidente statunitense e la sua megalomania, a partire dal disattendere l’ennesimo ultimatum di due settimane fissato dal tycoon.

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    Nato, dall’Aia il via libera al nuovo target del 5 per cento. Trump: “Vittoria monumentale”

    Bruxelles – Tutto bene quel che finisce bene. Contro i più nefasti pronostici, il terremoto Trump non ha sconquassato il vertice Nato all’Aia, che si è chiuso senza particolari psicodrammi col via libera dei 32 Paesi membri all’aumento delle spese in difesa fino al 5 per cento del Pil in dieci anni. In effetti, l’intero summit è stato sostanzialmente un tappeto rosso srotolato davanti al tycoon, trattato come una divinità in terra.I nuovi obiettivi di spesaSi è conclusa oggi (25 giugno) la due giorni dell’Aia con l’adozione di una snella dichiarazione congiunta in cui viene sancito, nero su bianco, lo storico aumento delle spese militari nazionali al 5 per cento del Pil entro il 2035, come già ampiamente anticipato negli scorsi mesi.Donald Trump, azionista di maggioranza dell’Alleanza, lo ha definito un “successo monumentale” e se ne è intestato il merito. Una vittoria “per gli Stati Uniti, perché portavamo un peso ingiusto”, ha dichiarato trionfalmente al termine dei lavori, ma anche “una vittoria per l’Europa e la civiltà occidentale“.L’impegno comprende, da un lato, investimenti per “almeno il 3,5 per cento del Pil” nelle “esigenze fondamentali di difesa” (armi, munizioni, salari, caserme, infrastrutture militari e via dicendo) volte a soddisfare i nuovi obiettivi di capacità della Nato. Dall’altro, gli alleati concordano di destinare “fino a” 1,5 punti di Pil alla categoria più ampia degli investimenti relativi alla sicurezza (inclusi, tra le altre cose, la protezione delle infrastrutture critiche, il rafforzamento della resilienza civile e la promozione dell’innovazione).Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Nato)Nel computo delle spese per la difesa, che andranno dettagliate dai singoli Paesi membri in piani nazionali annuali (sui quali, grazie alla formulazione vaga del comunicato, le cancellerie manterranno un buon grado di flessibilità), verranno inclusi anche i “contributi diretti” all’Ucraina e alla sua industria militare. Una revisione delle traiettorie di spesa e degli obiettivi di capacità è fissata per il 2029.Sono stati così fugati i dubbi che fino a ieri aleggiavano sulla testa dei 32 leader, incluse le rimostranze avanzate nei giorni scorsi dal premier spagnolo Pedro Sánchez riguardo proprio ai nuovi target di spesa, giudicati “irragionevoli”. Le osservazioni del leader socialista non sono piaciute a Trump: la Spagna “è l’unico Paese Nato che si rifiuta di pagare”, ha sbottato, denunciando come “terribile” l’atteggiamento di Madrid e minacciando di raddoppiare i dazi al Paese iberico nei futuri negoziati commerciali (condotti, in realtà, dalla Commissione europea a nome di tutti i Ventisette).Buona la prima per RutteIl Segretario generale dell’Alleanza nordatlantica, Mark Rutte, porta a casa un successo personale di non poco conto. Ha superato il suo battesimo del fuoco riuscendo a far filare liscio un vertice politicamente complesso – il più importante dalla fondazione della Nato nel 1949, secondo alcuni osservatori – e, soprattutto, è riuscito a tenere a bordo il mercuriale presidente statunitense, confermando di meritarsi il titolo di Trump whisperer.“Un buon amico“, lo ha definito l’ex premier olandese, che per tutto il summit (e pure prima, stando ai messaggi privati resi pubblici dallo stesso tycoon) non ha fatto altro che usare parole al miele, battutine, sorrisi deferenti e gesti accomodanti per ingraziarsi l’inquilino della Casa Bianca e non irritare il suo ego smisurato.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (foto: Nato)Tutto a posto, pare, anche sulla questione dell’articolo 5 della Carta atlantica, dov’è sancita la clausola di mutua difesa (la stessa raison d’être della Nato, che estende a tutti i Paesi membri l’ombrello nucleare dello zio Sam). E sulla quale il presidente Usa era rimasto vago anche ieri, osservando provocatoriamente che ci sono “numerose definizioni” di quella disposizione fondamentale.Al termine della sessione odierna, Trump è parso conciliante quando ha detto di voler “aiutare” i leader europei a proteggere i propri Paesi. Rutte ha rimarcato che “l’America si impegna nella Nato ma si aspetta che gli alleati facciano di più”. “E gli alleati di Ue e Canada faranno di più“, ha promesso, ribadendo un leitmotiv che ripete da tempo.Il nodo dell’UcrainaL’altro tema previsto dall’agenda dell’Aia era il sostegno all’Ucraina aggredita. Un tema indigesto per Trump, che ha drasticamente ridotto gli aiuti di Washington a Kiev e nutre contemporaneamente una cordiale antipatia per Volodymyr Zelensky e una genuina ammirazione per Vladimir Putin. Alla fine, il tycoon ha accettato un faccia a faccia col suo omologo ucraino, definendolo “gentilissimo” e ammettendo che “sta combattendo una battaglia coraggiosa e difficile“.“Lui vuole arrivare alla fine” della guerra, ha riconosciuto, aggiungendo che sentirà nuovamente l’inquilino del Cremlino per cercare una soluzione. Zelensky – che ha successivamente incontrato anche i leader del cosiddetto formato E5 (Francia, Germania, Italia, Polonia e Regno Unito) ha descritto il bilaterale come “lungo e sostanziale“, sostenendo di aver “discusso di come raggiungere un cessate il fuoco e una vera pace”.I had a meeting with the leaders of the E5 group of countries – Germany, France, the United Kingdom, Italy, and Poland – as well as the NATO Secretary General.Strengthening Ukraine’s air shield is crucial, and today we primarily discussed air defense systems and interceptors… pic.twitter.com/S6wJDx9ThP— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) June 25, 2025Ma sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Russia dopo quasi tre anni e mezzo di guerra neo-imperialista, la distanza tra le due sponde dell’Atlantico rimane siderale. Putin è per Trump “una persona mal consigliata“, mentre Rutte conferma di “non fidarsi” dello zar e delle sue “bugie”.Ennesima doccia fredda anche sulle sanzioni. Il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, ha ribadito che la Casa Bianca non intende aumentare la pressione su Mosca, almeno per ora. A Bruxelles si lavora invece per confezionare al più presto il 18esimo pacchetto di misure restrittive, anche se rimane il giallo dell’abbassamento del price cap sul greggio russo, che richiederebbe l’ok da tutti i partner G7.Nel comunicato finale del summit, ad ogni modo, gli europei sono riusciti a includere il riferimento alla Federazione come “minaccia a lungo termine per la sicurezza euro-atlantica“, e il capo dell’Alleanza ha ribadito di fronte ai microfoni che il percorso dell’Ucraina verso l’adesione alla Nato è “irreversibile”.La crisi in Medio OrienteFuori dall’agenda dei lavori ma decisamente centrale è stato, infine, il tema della crisi mediorientale. Il cessate il fuoco mediato personalmente da Trump tra Israele e Iran sta tenendo. Lui stesso ha annunciato che la prossima settimana incontrerà la leadership della Repubblica islamica per discutere del programma nucleare di Teheran, anche se, dice, quel programma non esiste più.Del resto, i leader Nato si sono affrettati a riconoscere ossequiosamente il merito del presidente nel risolvere (almeno temporaneamente) il conflitto tra le due potenze regionali, che rischiava di deflagrare in maniera incontrollata e tracimare ben oltre i confini regionali. Poco importa, a questo punto, se l’intervento dei B-2 sui siti nucleari iraniani – peraltro mentre erano in corso i negoziati con gli europei a Ginevra – configura una palese violazione del diritto internazionale, rimasto sepolto sotto la pioggia di bombe made in Usa.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Oppure se la stessa intelligence di Washington segnala che, in realtà, il programma atomico iraniano sarebbe stato solamente rallentato di qualche mese e non annichilito per sempre, come sostengono i vertici dell’amministrazione a stelle e strisce (i quali danno della “feccia” alla stampa che ha condiviso la notizia).L’importante, in politica, è mantenere l’apparenza, il protocollo, la foto di famiglia senza sbavature. La cartolina che arriva dall’Aia racconta di una famiglia apparentemente felice. Eppure, anche quella transatlantica è infelice a modo suo. E ciascuno dei suoi membri lo sa.

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    Nato, il vertice dell’Aia alle prese col “terremoto Trump”

    Bruxelles – All’ombra dell’escalation in Medio Oriente, ha preso il via all’Aia il summit della Nato, dove gli Stati membri dovrebbero dare il disco verde ai nuovi impegni per la difesa al 5 per cento del Pil. Ma sul primo vertice dell’era Rutte si allungano diverse ombre: dal conflitto tra Israele e Iran alla “fronda” interna all’Alleanza guidata dalla Spagna contro l’aumento delle spese militari, passando per il sostegno all’Ucraina. Soprattutto, l’intera coreografia è stata pensata per ridurre al minimo i rischi legati all’imprevedibilità di Donald Trump. Che però ha già terremotato la città olandese ancora prima di metterci piede.È cominciata oggi (24 giugno) la due giorni della Nato all’Aia, il primo vertice presieduto da Mark Rutte nelle vesti di Segretario generale. Ma l’ospite più atteso e più imprevedibile, Donald Trump, è riuscito a mettere già in imbarazzo il capo dell’Alleanza prima ancora di atterrare. Appena decollato alla volta del Vecchio continente – non dopo aver rimproverato l’Iran e Israele per aver violato il cessate il fuoco da lui stesso mediato (che però, dice, è ancora in vigore) – il tycoon ha postato sul suo social Truth gli screen di alcuni messaggi ricevuti dall’ex premier olandese.“Congratulazioni e grazie per la tua azione decisiva in Iran, che è stata davvero straordinaria, qualcosa che nessun altro ha mai osato fare”, si legge nella conversazione, tutta impostata con un tono particolarmente accomodante e deferente nei confronti del presidente statunitense, azionista di maggioranza della Nato. “Stai volando verso un altro grande successo all’Aia stasera“, continuano i messaggi. “Otterrai qualcosa che nessun presidente americano è riuscito a ottenere in decenni”, si legge ancora: cioè che “l’Europa pagherà molto, come dovrebbe, e sarà un tuo successo“.Tuttavia, proprio sulla questione centrale dell’aumento delle spese in difesa (che dovrebbero passare dall’attuale 2 al 5 per cento del Pil, distinguendo tra un 3,5 per cento di spese militari “classiche” più un ulteriore 1,5 per cento in investimenti legati alla sicurezza) non sembra essersi ancora sciolta la riserva del premier spagnolo Pedro Sánchez.In un testa a testa a distanza con Rutte, il primo ministro socialista ha messo in discussione il nuovo obiettivo, sostenendo di aver ottenuto una deroga specifica per Madrid. Il capo dell’Alleanza, invece, tiene il punto sull’universalità dei nuovi impegni di spesa e mira probabilmente a risolvere la questione attraverso una formulazione sufficientemente vaga del comunicato finale del summit, che andrà sottoscritto dai 32 leader.Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez (foto: Javier Soriano/Afp)Tutto si giocherà sull’ambiguità dei termini e sulla flessibilità concessa alle cancellerie per passare dagli attuali livelli di spesa a quelli richiesti dalla Nato in un contesto nel quale la sicurezza internazionale va deteriorandosi a vista d’occhio, tenendo conto anche dei nuovi obiettivi di capacità (specifici per ogni Stato membro) recentemente rivisti per mantenere credibile la deterrenza collettiva. Del resto, sulla flessibilità – a partire da un orizzonte decennale, fissato al 2035 – puntano anche tutti gli altri Paesi (Italia inclusa) che si trovano ancora al di sotto del precedente target, il 2 per cento deciso nel lontano 2014.Un altro imbarazzante intervento del presidente Usa riguarda la solidità della clausola di mutua difesa, sancita dal famigerato articolo 5 della Carta atlantica. A bordo dell’Air Force One, Trump ha dichiarato che “esistono numerose definizioni dell’articolo 5“, rifiutando di confermare se Washington difenderebbe i suoi alleati europei nel caso di un’aggressione armata. “Mi impegno a essere loro amico“, ha tagliato corto.Dichiarazioni che non faranno troppo piacere alle cancellerie del Vecchio continente, dove si moltiplicano gli allarmi che la Russia di Vladimir Putin potrebbe attaccare direttamente un Paese Nato lungo il fronte orientale entro la fine del decennio. Nelle parole dello stesso Rutte, la Federazione rimane “la più significativa e diretta minaccia all’Alleanza“.Anche Ursula von der Leyen ha ammonito che “la Russia sarà in grado di testare i nostri impegni di difesa reciproca entro i prossimi cinque anni“. “Entro il 2030, l’Europa deve avere tutto ciò che serve per una deterrenza credibile”, ha aggiunto. Serve mettere in campo “una nuova mentalità“, dice, che dovrà permettere ai Ventisette di “esplorare nuovi modi di fare le cose, unendo la tecnologia e la difesa, l’aspetto civile e militare“.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (foto: Nato)E l’Ucraina? Il summit dell’Aia dovrà servire anche per riconfermare il sostegno dell’Alleanza atlantica alla resistenza di Kiev, ma stavolta questo tema godrà di riflettori più fiochi rispetto ai vertici precedenti. Per non irritare la sensibilità di Trump, che non nutre grande simpatia per l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky non è stato invitato a prendere parte nell’unica sessione di lavoro dei leader, prevista per domani.Oggi, il presidente ucraino ha incassato rassicurazioni ed elogi dai vertici comunitari. “Continueremo a dare pieno sostegno all’Ucraina e a esercitare pressioni sulla Russia attraverso sanzioni“, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo António Costa, complimentandosi con il governo di Kiev per lo “straordinario lavoro” profuso nell’implementare le riforme pre-adesione pur sotto le bombe del Cremlino. Secondo l’ex premier portoghese, “abbiamo raggiunto le condizioni per far progredire il processo negoziale in corso” e far entrare al più presto il Paese nel club a dodici stelle.Rimane invece sospeso nel limbo l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Al netto delle dichiarazioni di Rutte, che ha ribadito per l’ennesima volta il carattere “irreversibile” del percorso di Kiev verso l’Alleanza (“vale ancora oggi e continuerà a valere anche giovedì”, assicura), rimane ancora lontano il giorno in cui tutti gli attuali membri daranno il loro consenso unanime.

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    La giravolta dell’Ue: gli euroscettici difendono il progetto originario di pace, gli europeisti si preparano alla guerra

    dall’inviato a Strasburgo – I principali gruppi politici in Parlamento, quelli tradizionalmente più intrisi di europeismi, spingono per un confronto deciso e muscolare con la Russia, mentre le forze più euro-scettiche invitano a restare ancorati al progetto di pace dei padri fondatori: il dibattito d’Aula sul vertice dei leader della Nato produce un testa-coda politico non indifferente, con ruoli che si scambiano e posizioni che si confondono. Il ‘la’ lo offre l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, quando afferma che “la Russia è una minaccia diretta per l’Europa, pone una minaccia globale a 360 gradi”, e che per effetto delle manovra del Cremlino “siamo in guerra“.L’estone infiamma il dibattito, inevitabilmente. Come sempre, in questi casi, il palcoscenico politico si divide tra chinritiene necessario armarsi e pacifisti: tra i primi figurano popolari (Ppe), socialisti (S&D), liberali (Re), conservatori (Ecr) verdi; tra i secondi la sinistra radicale (laSinistra), sovranisti (Pfe), euro-scettici (Esn).Kubilius: “Dobbiamo essere pronti per la difesa in tutti i campi, mettere da parte i tempi di pace”“Dobbiamo condividere responsabilità e costi, l’Ue deve contribuire di più”, sottolinea Michael Gahler (Ppe), che sposa la linea e la visione di Kallas. Il belga Wouter Beke (Ppe), lo fa anche di più: “Il vertice Nato si terrà a l’Aia, dove nel 1948 Winston Churchill invitò a creare un esercito comune. La maniera migliore per garantire la nostra sicurezza è ascoltare quelle parole”. “Spero che i leader si accordino per aumento delle spese in difesa”, auspica il socialista Sven Mikser (S&D), a cui fa eco il conservatore Adam Bielan: “Sosteniamo il dibattito sull’aumento della spesa del 5 per cento di Pil, perché dobbiamo fare di più per la nostra difesa”. Anche i liberali, attraverso Dan Barna, spingono per un’Europa di guerra: “Dobbiamo spendere di più. E’ ciò che dobbiamo pagare per la nostra libertà”. Per Lucia Yar “non è più una questione di ‘se’, è una questione di ‘quanto rapidamente’ sapremo aumentare la nostra spesa militare: la nostra sicurezza non è gratis”. La presidente di Re, Valery Hayer, aggiunge: ” Il 5 per cento di spesa non è abbastanza per la nostra strategia: serve un mercato unico, risorse per l’ingresso dell’ucraina”. Anche tra i Verdi c’è chi dà ragione all’Alta rappresentante: “La nostra minaccia si chiama Russia, e dobbiamo fare come l’ucraina: avere determinazione”, sottolinea  Martins Stakis. Il verde olandese Reinier Van Lanschot rilancia: “Serve un deterrente nucleare europeo, e un comando militare europeo” all’interno della Nato.Harald Vilimsky, dei Patrioti, non ci sta: “L’Ue è basata sulla pace, non è un’alleanza militare. Dobbiamo riportare l’Ue alla sua versione originale di pace“. E attacca l’intero blocco euro-atlantico: “L’espansione della Nato verso est ha prodotto la guerra russo-ucraina”. L’euro-scettico Milan Uhrik (Esn), invece, attacca direttamente l’Alta rappresentante: “Kallas, lei è conosciuta per il suo fanatismo e il suo spirito anti-russo, e viene qui a chiedere di spendere soli per armi. Chi paga? Non possiamo sostenere questa spesa se riduce lo standard di vita”. Il collega Petar Volgin ragiona a voce alta: “Dopo la fine della guerra fredda la Nato si sarebbe dovuta sciogliere, come il patto di Varsavia. Se l’avessimo fatto, evitando di espanderci a est, oggi non avremmo il rischio di una terza guerra mondiale”.La liberale Lucia Yar durante il suo intervento in Aula [Strasburgo, 18 giugno 2025]Dai banchi de laSinistra giungono le critiche di Ozlem Demirel: “Von der Leyen vuole migliaia di miliardi spesi in difesa nei prossimi anni, quanti ne servono per combattere la povertà. Vogliamo guerra e debito, che poi verrà pagato dalle generazioni future. Non è giusto”. Ancora più duro il collega di gruppo Marc Botenga: “Dobbiamo essere onesti: la spesa in armi non è per la difesa, ma per l’attacco. Iran oggi, Cina domani. Questa non è la nostra guerra!”. Quindi l’avvertimento agli strenui difensori delle ‘ragioni’ della linea dura: “La Nato è guidata da una persona che si atteggia a gangster”, ricorda Botenga, in una chiara critica al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Rincara la dose Irene Montero (laSinistra): “Oggi sono Israele gli Stati Uniti la vera minaccia”.Verdi e socialisti, i tentennamenti interniNel dibattito accesso filtrano comunque le divisioni interne ai partiti. Il primo a mostrare le incertezze politiche e di coscienza è Bas Eickhout, co-presidente del Verdi: “Possiamo spendere quanto vogliamo in armi e carrarmati ma non avremo vera sicurezza finché non avremo il sostegno dei nostri cittadini, finché loro avranno un tetto sulla testa e potranno pagare le bollette”. C’è sempre più una realtà che avanza, fatta di tagli di spesa dove la gente comune toccherà con mano il cambio di passo dell’Europa. Da qui l’dea dei greens: “Dobbiamo imporre tasse sugli extra-profitti dell’industria della difesa“, così da non gravare sulla cittadinanza.Riflessione analoga quella di Irene Tinagli (S&D). La presidente della commissione speciale per la Crisi abitativa spiega a Eunews che “la sicurezza è importante, ma se non risponde alle esigenze delle persone si perde il consenso e investire nel militare diventa inutile”.

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    A Roma il vertice Weimar Plus in sostegno di Kiev. Rutte: “All’Aia la Nato concorderà il 5 per cento”

    Bruxelles – Sostegno incrollabile all’Ucraina e aumento delle spese per la difesa in ambito Nato. Sono i punti principali affrontati alla riunione del gruppo Weimar Plus, presieduto oggi a Roma da Antonio Tajani. Sul nuovo target del 5 per cento dell’Alleanza nordatlantica, il vicepremier forzista assicura l’impegno dell’Italia ma chiede più flessibilità. Nel frattempo, l’Ue spinge per adottare nuove sanzioni contro il Cremlino.I pesi massimi della difesa europea si sono riuniti oggi (12 giugno) a Villa Madama, a Roma, per discutere di sostegno a Kiev e di sicurezza euro-atlantica, inclusi i nuovi impegni di spesa militare dell’Alleanza nordatlantica. Alla Farnesina, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha accolto gli omologhi di Francia, Germania, Polonia, Spagna, Regno Unito e Ucraina, insieme all’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas e, per la prima volta, alla presenza del Segretario generale della Nato Mark Rutte.Focus sulla difesaSul versante sicurezza, il tema centrale è senza dubbio la necessità di aumentare massicciamente le spese militari nel Vecchio continente. Nella loro dichiarazione congiunta, i ministri hanno riconosciuto che gli alleati europei devono “assumersi maggiori responsabilità all’interno della Nato” e auspicato “un ambizioso rafforzamento delle capacità di difesa europee, intensificando in modo flessibile e sostenibile le spese per la sicurezza e e la difesa nazionali“.A Villa Madama con i Ministri dei Paesi Weimar+ per un importante confronto sulla sicurezza euroatlantica e sul sostegno all’#Ucraina.Abbiamo concordato di rafforzare il nostro impegno per un’Europa più forte, capace di difendere i propri cittadini e di contribuire alla pace e… pic.twitter.com/6IC639JRDc— Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) June 12, 2025Il riferimento è duplice. Da un lato, c’è il colossale piano ReArm Europe proposto dall’esecutivo comunitario: fino a 800 miliardi di potenziali investimenti nazionali da parte dei Ventisette (derivanti dal rilassamento delle regole del Patto di stabilità) più altri 150 miliardi in appalti congiunti dal fondo Safe, cui potranno partecipare anche Paesi extra-Ue come Regno Unito e Ucraina.Dall’altro lato, c’è il nuovo obiettivo del 5 per cento che sta per essere concordato dai leader dell’Alleanza al summit dell’Aia, in calendario per fine mese. Ma la parola d’ordine, appunto, è flessibilità. A sottolinearlo è lo stesso padrone di casa: “L’Italia è favorevole” ad alzare l’asticella, ha dichiarato il vicepremier, “ma bisogna programmarlo in almeno 10 anni“. Il Belpaese ha raggiunto solo recentemente il target del 2 per cento deciso nel 2014.Sul nodo cruciale delle tempistiche è arrivata la sponda di Rutte, che prima della ministeriale ha incontrato Giorgia Meloni per un bilaterale. “Non ho comunicato nulla riguardo a una data di scadenza” per tradurre in pratica il nuovo target (composto da 3,5 punti di Pil per le spese militari e un ulteriore 1,5 per cento in investimenti collegati in senso lato alla sicurezza), ha affermato il capo della Nato, in un’apertura agli alleati coi conti pubblici sotto pressione come l’Italia.La premier italiana Giorgia Meloni accoglie a Palazzo Chigi il Segretario generale della Nato, Mark Rutte, il 12 giugno 2025 (foto: Chigi)Ma non c’è dubbio, ha tenuto il punto l’ex premier olandese, sulla necessità di “spendere di più” e di farlo massicciamente, a partire dalla produzione di munizioni e dall’aumento delle capacità di difesa antiaeree. Perché, sostiene, la Russia potrebbe attaccare direttamente il territorio Nato “entro il 2029 o al massimo al 2030”. Tutti d’accordo: per il titolare degli Esteri tedesco Johann Wadephul, “la capacità di difesa non deve essere un dibattito teorico, è un’amara necessità”, mentre Kallas ha ribadito che “un’Europa più forte significa anche una Nato più forte“.Sostegno a Kiev (e sanzioni su Mosca)Quanto al dossier Ucraina, i partecipanti hanno ribadito il sostegno al Paese aggredito, accogliendo con favore “gli sforzi di pace guidati dagli Stati Uniti e i recenti colloqui” tra le squadre negoziali di Kiev e Mosca (l’ultimo a Istanbul a inizio mese) ma deplorando l’approccio tutt’altro che costruttivo di Vladimir Putin.“Siamo pronti per la pace, vogliamo finire la guerra quest’anno“, ha dichiarato il titolare degli Esteri di Kiev, Andrij Sybiha. Ma, secondo il suo omologo polacco Radoslaw Sikorski, lo zar “si sta prendendo gioco” delle aperture concesse sia da Volodymyr Zelensky sia da Donald Trump (la cui mediazione non sembra finora portare da nessuna parte).Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Per costringere l’inquilino del Cremlino a sedersi al tavolo delle trattative, i partecipanti al vertice odierno hanno ribadito la “disponibilità a intensificare la pressione sulla Russia“, anche ricorrendo all’imposizione di nuove sanzioni. In tal senso si sta già lavorando a Bruxelles, dove gli ambasciatori dei Ventisette stanno discutendo sul 18esimo pacchetto presentato a inizio settimana dalla Commissione.Sulle nuove misure – che vanno adottate all’unanimità dalle cancellerie – aleggia il veto del primo ministro slovacco Robert Fico, ufficialmente per timori relativi alla sicurezza energetica di Bratislava. Da Roma, Kallas si è detta “abbastanza ottimista su un accordo finale“, mentre i portavoce del Berlaymont continuano a ripetere che “la Commissione discute costantemente con gli Stati membri” su come le sanzioni possano “funzionare nell’interesse di tutti”.

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    Merz visita Trump: possibile un accordo sui dazi, ma niente sanzioni alla Russia (per ora)

    Bruxelles – Friedrich Merz evita lo scontro con Donald Trump, ma non riesce a convincerlo delle ragioni europee. Nel suo primo faccia a faccia col presidente statunitense, il cancelliere tedesco si è mostrato deferente e accomodante per non irritare la controparte, evitando di discutere di fronte alle telecamere i temi più controversi nelle relazioni tra Berlino e Washington. Dall’incontro, però, non ha portato a casa alcuna concessione particolare.Continua la processione dei leader mondiali alla corte di Donald Trump. Ieri (5 giugno) è stato il turno del cancelliere tedesco, che ha recato al tycoon un dono particolare: la copia del certificato di nascita del nonno incorniciata in oro. Friedrich Trump nacque nel 1869 a Kallstadt, un villaggio nell’attuale Länd del Palatinato che al tempo faceva parte della Baviera, ed emigrò successivamente negli Stati Uniti.Il Bundeskanzler ha dimostrato di aver studiato bene il proprio interlocutore. Ha saputo schivare gli argomenti che avrebbero potuto far precipitare la loro conversazione in uno scontro frontale, come avvenuto fra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello sudafricano Cyril Ramaphosa. Merz si è detto “estremamente soddisfatto” dell’incontro, aggiungendo di “aver trovato nel presidente americano una persona con cui posso parlare molto bene a livello personale”. Per contro, Trump ha descritto Merz come “una persona con cui è molto facile trattare“.Il presidente statunitense Donald Trump (sinistra) accoglie alla Casa Bianca il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il 5 giugno 2025 (foto via Imagoeconomica)Nel tentativo di creare un clima amichevole col tycoon newyorkese, il leader della Cdu ha ricordato che il giorno successivo, cioè oggi, sarebbe occorso l’81esimo anniversario dello sbarco in Normandia. “È stato allora che gli americani hanno liberato l’Europa“, ha notato il Bundeskanzler. Con l’operazione Overlord, il 6 giugno 1944 gli alleati arrivarono sulla costa atlantica della Francia, allora sotto occupazione nazista, mentre altre armate occidentali risalivano lo Stivale dalla Sicilia e i sovietici marciavano da est su Berlino.“Non è stata una giornata piacevole per voi“, ha ribattuto Trump alludendo al fatto che il D-Day segnò l’inizio della fine per Adolf Hitler. “A lungo  termine, signor presidente, questa è stata la liberazione del mio Paese dalla dittatura nazista“, ha risposto Merz, aggiungendo che “sappiamo cosa vi dobbiamo”. Il cancelliere ha poi colto la palla al balzo, tracciando un parallelo tra l’invasione dell’Europa da parte del Terzo Reich e quella dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin. Gli Stati Uniti, ha osservato, sono “di nuovo in una posizione molto forte per fare qualcosa per porre fine a questa guerra“.“Stiamo cercando di esercitare una maggiore pressione sulla Russia, dovremmo parlarne”, ha rimarcato Merz. Ma sulla guerra d’Ucraina non è riuscito a scucire alcuna concessione all’inquilino della Casa Bianca. Al contrario, e con buona pace delle sue stesse promesse di porre rapidamente fine al conflitto, Trump ha suggerito che potrebbe essere opportuno lasciare che Mosca e Kiev “continuino a combattere per un po’”, paragonando i due belligeranti a dei bambini litigiosi difficili da separare.Ma l’amministrazione a stelle e strisce non imporrà nuove sanzioni sul Cremlino, almeno per il momento. Se diventerà chiaro che le trattative in corso (o meglio in stallo) non porteranno a nulla, ha ammonito Trump, le contromisure di Washington potrebbero “riguardare entrambi i Paesi”. Il presidente Usa è apparso frustrato con l’Ucraina per gli attacchi condotti sul territorio della Federazione negli scorsi giorni, di cui ha parlato al telefono col suo omologo russo: Putin “è scontento”, ha detto, e “io sono scontento”. Una posizione che stona con quella degli alleati su questo lato dell’Atlantico, dove è netta la distinzione tra aggredito e aggressore, come ricordato stamattina dai portavoce della Commissione europea.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Gli altri due temi chiave dell’incontro sono stati la questione della sicurezza transatlantica e la guerra commerciale tra Stati Uniti ed Unione europea. Sul primo punto, Merz ha strappato a Trump l’impegno a non ritirare nessuno dei 40mila militari statunitensi stazionati in Germania. Il timore di un disimpegno dello zio Sam dal Vecchio continente è reale tra le cancellerie europee, che si stanno preparando a dare il disco verde alla richiesta di Washington di aumentare significativamente le spese per la difesa in ambito Nato, alzando l’asticella dal 2 al 5 per cento del Pil.Quanto ai dazi, il presidente statunitense è fiducioso che “un buon accordo commerciale” con Bruxelles sia a portata di mano. Attualmente, Washington ha imposto dazi del 10 per cento su tutte le importazioni europee, più il 25 per cento sulle auto (una catastrofe per l’economia tedesca, della quale l’automotive è un pilastro fondamentale) e il 50 per cento su acciaio e alluminio. Giorni fa, Trump ha compiuto l’ennesima giravolta sospendendo fino al 9 luglio l’attivazione di un’ulteriore dazio del 50 per cento sugli import a dodici stelle.Infine, Merz ha evitato di toccare determinati temi, come ad esempio le pesanti ingerenze da parte di membri di spicco dell’amministrazione Trump nella politica interna tedesca – con il vicepresidente JD Vance e l’ormai ex braccio di ferro del tycoon, Elon Musk, che hanno apertamente sostenuto l’ultradestra di Alternative für Deutschland (AfD) – o le relazioni di Berlino e Washington col premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ma anche il rapporto burrascoso della Casa Bianca con la Corte penale internazionale. Proprio ieri, il governo Usa ha imposto sanzioni su quattro giudici della Cpi a causa delle indagini in corso sui crimini di guerra dell’esercito di Tel Aviv, in una mossa senza precedenti fermamente condannata dai vertici Ue.

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    Ucraina, la Nato rimane sospettosa di Putin (e tira per la giacca Trump)

    Bruxelles – Nonostante i proclami sul cessate il fuoco in Ucraina, gli alleati europei di Kiev sono scettici circa la disponibilità del Cremlino di interrompere le ostilità e sedersi al tavolo delle trattative. Sotto i riflettori, per l’ennesima volta, le reali intenzioni della Russia nonché la linea dell’amministrazione a stelle e strisce, percepita come eccessivamente indulgente verso Mosca.Ieri e oggi (3 e 4 aprile), i ministri degli Esteri dei Paesi Nato si sono dati appuntamento al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles per coordinarsi sulla guerra ancora in corso nell’ex repubblica sovietica. Andrij Sybiha, titolare degli Esteri di Kiev, ha ripetuto l’impegno del suo Paese per una “pace duratura e globale”, ribadendo che “abbiamo accettato la proposta statunitense di un cessate il fuoco provvisorio di 30 giorni senza alcuna condizione”. Da Mosca si parla invece “di richieste e condizioni“, ha incalzato, aggiungendo che “la Russia deve fare sul serio per la pace“.Il messaggio, nemmeno troppo velato, condiviso da tutti i partecipanti è lo stesso: Washington non dovrebbe allentare la pressione sul Cremlino – che starebbe cercando di prendere tempo per ottenere un successo militare importante e trattare da una posizione di maggiore forza nei confronti dell’Ucraina – ma, semmai, aumentarla. Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha elogiato diplomaticamente “gli sforzi americani per superare lo stallo”, ma ha sottolineato l’importanza di “assicurarci che quando si raggiungerà un cessate il fuoco o un accordo di pace sia duraturo” e non venga infranto da nessuno dei belligeranti. Tradotto, significa che non si può lasciare carta bianca alla Russia.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)In questa fase, la situazione sul campo appare favorevole alle truppe della Federazione, che starebbero ottenendo successi virtualmente lungo l’intera linea del fronte. Gli incentivi di Mosca per sospendere le ostilità appaiono dunque piuttosto scarsi, e lo sanno anche a Washington: “Continuiamo a dubitare che la squadra di Putin si presenti al tavolo con buone intenzioni“, ha ammesso un funzionario statunitense. Del resto, l’annuncio di una nuova mobilitazione per arruolare 160mila soldati non sembra esattamente una mossa distensiva.“È chiaro che Vladimir Putin non sembra avere alcuna volontà di avviare un cessate il fuoco e di iniziare negoziati di pace”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot. Gli ha fatto eco l’omologo britannico, David Lammy: “Ti vediamo, Vladimir Putin. Sappiamo cosa stai facendo”. Anche per la tedesca Annalena Baerbock quelle del Cremlino sono “parole vuote“.Dopo essersi gloriato per aver convinto, a suo dire, tanto Vladimir Putin quanto Volodymyr Zelensky a sospendere i combattimenti per 30 giorni, il tycoon newyorkese ha aperto ad un alleggerimento delle sanzioni nei confronti della Russia, mentre Kiev ha rifiutato per la terza volta una bozza dell’accordo sulle materie prime critiche che dovrebbe stipulare con Washington.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Recentemente è trapelata anche la notizia che il capo del Pentagono, Pete Hegseth, non parteciperà alla riunione del cosiddetto formato Ramstein (una cinquantina di Paesi che sostengono la resistenza ucraina) in calendario per il prossimo 11 aprile. Sarà la prima volta che i partner di Kiev si incontreranno senza gli Usa.Ora, dopo diversi giorni in cui sul fronte diplomatico nulla sembra muoversi (almeno non in superficie), il segretario di Stato Marco Rubio è venuto a Bruxelles a chiedere agli alleati europei di aumentare le spese per la difesa al 5 per cento del Pil, proprio mentre l’inquilino della Casa Bianca andava allo scontro con le economie del Vecchio continente imponendo dazi sull’import del 20 per cento.

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    Ucraina, i pontieri europei all’opera per tenere Washington dalla parte di Kiev

    Bruxelles – Mettere insieme i cocci. Dopo il terremoto (l’ennesimo) sprigionatosi venerdì con epicentro alla Casa Bianca, l’Europa fa quadrato attorno al presidente ucraino umiliato dagli alti papaveri dell’amministrazione Trump. Ma prova anche a guardare avanti.Mentre tra le cancellerie dei Ventisette e a Bruxelles si inizia a parlare con insistenza di riarmo, c’è contemporaneamente chi si muove per tentare di ricucire lo strappo, spegnere le fiamme divampate tra Kiev e Washington e riavvicinare le due sponde dell’Atlantico che sembrano allontanarsi sempre più. La premier italiana lavora con l’omologo britannico ad un summit Ue-Usa, mentre il capo della Nato esorta Zelensky a fare un passo indietro e riallacciare i rapporti con Trump.Rutte striglia ZelenskyDopo l’incendio, i pompieri. Che per l’occasione indossano anche i panni dei pontieri. L’incendio da spegnere è quello appiccato dal presidente statunitense Donald Trump e dal suo vice JD Vance quando, lo scorso venerdì (28 febbraio), hanno teso un agguato al leader ucraino Volodymyr Zelensky mettendolo al muro per poi cacciarlo malamente dallo Studio ovale, rendendo esplicite in diretta mondiale le fratture nella coalizione occidentale che dovrebbe supportare l’ex repubblica sovietica nella resistenza all’invasione russa.E ci sono ponti che sembrano essere stati tagliati e vanno ora ricostruiti. Quello tra Washington e Kiev, e quello tra Washington e Bruxelles. Del primo si occupa il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. “Penso che tu debba trovare un modo, caro Volodymyr, per ripristinare le tue relazioni con Donald Trump e l’amministrazione americana. Questo è importante per il futuro“, ha detto l’ex premier olandese al presidente ucraino, esortandolo a mettere urgentemente una pezza per rimediare al disastro diplomatico appena consumatosi alla Casa Bianca. Come dire alla vittima di un bullo che deve chiedergli scusa se non ha voluto cedergli la merenda.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (destra), accoglie il segretario della Difesa statunitense Pete Hegseth al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles, il 13 febbraio 2025 (foto: Nato via Imagoeconomica)“Dobbiamo davvero rispettare ciò che il presidente Trump ha fatto finora per l’Ucraina“, ha osservato Rutte, riferendosi ad esempio alla fornitura (risalente al 2019) dei razzi anticarro Javelin, con cui l’esercito di Kiev ha potuto fermare l’avanzata delle colonne corazzate di Mosca a inizio 2022. “Dobbiamo dare credito a Trump per quello che lui ha fatto allora, per quello che l’America ha fatto da allora e anche per quello che l’America sta ancora facendo” per sostenere il Paese aggredito, ha aggiunto il capo dell’Alleanza.L’iniziativa di Meloni e StarmerSul ponte transoceanico stanno invece lavorando Giorgia Meloni e Keir Starmer. Quest’ultimo ha organizzato ieri un summit tra leader europei, vertici comunitari e membri Nato, per coordinare gli sforzi del Vecchio continente nel difendere l’Ucraina aggredita e garantire la tenuta di un eventuale cessate il fuoco, qualora dovesse venir stipulato.La sera prima dell’incontro a Lancaster House, la premier italiana ha sentito al telefono il presidente statunitense: “Penso che sia molto, molto importante evitare il rischio che l’Occidente si divida“, ha ragionato ieri dalla capitale britannica, evitando di schierarsi tra quelle che ha chiamato “tifoserie” pro-Trump o pro-Zelensky. Meloni è stata l’unica tra i principali leader europei a non esprimere pubblicamente solidarietà al presidente ucraino dopo l’imboscata di venerdì.La premier italiana Giorgia Meloni e il primo ministro britannico Keir Starmer (foto via Imagoeconomica)Poi la carta diplomatica: “Ho proposto una riunione tra gli Stati Uniti e i leader europei perché se ci dividiamo saremo tutti più deboli”. Un vertice inter-alleato sotto l’egida di Roma e Londra, che sembrano aver trovato un’inedita sinergia e puntano ora a giocare “un ruolo importante nella costruzione di ponti” (Meloni dixit). In materia di difesa, i due governi collaborano già allo sviluppo di un caccia di sesta generazione insieme a Tokyo. Basterà un summit per convincere l’inquilino della Casa Bianca a non abbandonare l’Alleanza nordatlantica? Giusto in queste ore, il suo braccio destro (oramai di fatto una sorta di vicepresidente ombra) Elon Musk ha caldeggiato l’uscita di Washington da Nato e Onu.La sponda di VarsaviaItalia e Regno Unito hanno trovato la sponda importante della Polonia. Varsavia è tra le più ferventi sostenitrici della resistenza ucraina (come Londra ma non come Roma, almeno in termini di risorse finanziarie e asset militari mobilitati), ma insiste sulla necessità di una partnership transatlantica forte. “Noi polacchi siamo sostenitori dell’alleanza più stretta possibile tra la Polonia, l’Europa e l’intero Occidente con gli Stati Uniti“, ha ribadito il primo ministro Donald Tusk ieri, ostentando soddisfazione per l’iniziativa proposta da Meloni a Trump, “visti i loro ottimi rapporti”.Il primo ministro polacco Donald Tusk (foto: European Council)Sulla questione cruciale della sicurezza continentale, la via indicata dal leader polacco è quella della “indipendenza militare e di difesa dell’Europa” rispetto a Washington, purché si tratti di “indipendenza, non isolamento“. Il fantomatico pilastro europeo della Nato, insomma, tanto dibattuto e mai realizzato. Il suo Paese è quello col bilancio per la difesa più ampio tra i 32 membri dell’Alleanza, in termini relativi: le previsioni per il 2025 parlano del 4,7 per cento del Pil.“L’Europa è una potenza“, dice, e “non sarà un’alternativa all’America, ma il suo alleato più desiderabile“. Come chiesto da Trump, “dobbiamo contare su noi stessi”: per farlo, occorre colmare il “deficit di immaginazione e di coraggio” che affligge il Vecchio continente, e attrezzarlo per metterlo nelle condizioni di “difendere i suoi confini” anche autonomamente, senza dover sempre aspettare che lo zio Sam apra l’ombrello. Del resto, è lo Zeitgeist: da Parigi a Berlino, passando per Bruxelles, la parola d’ordine in Europa è “riarmo”. Ma quando persino a Varsavia si parla così, non ci si può più illudere: il mondo che conoscevamo è finito.