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    Con l’uccisione del leader di Hamas e il raid a Beirut, Israele innesca l’escalation in Medio Oriente. L’Ue: “No a esecuzioni extragiudiziali”

    Bruxelles – Le pareti del buco nero in cui si è infilato il Medio oriente a partire dallo scorso 7 ottobre diventano ogni giorno più umide e scivolose. In fondo, c’è lo scenario di una guerra regionale sempre più verosimile. Soprattutto dopo il doppio raid israeliano a Beirut e a Teheran, dove sono rimasti uccisi Fuad Shukr, uno dei comandanti della milizia libanese filo-iraniana Hezbollah, e il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che si trovava nella capitale della repubblica islamica per celebrare l’insediamento del nuovo presidente iraniano.Da un lato, la risposta annunciata di Netanyahu all’attacco di Hezbollah alla cittadina drusa di Majdal Shams, nel territorio occupato israeliano delle Alture del Golan, che ha causato la morte di 12 giovani su un campetto da calcio. Dall’altra, il materializzarsi della possibilità di eliminare uno dei peggiori nemici dello Stato ebraico, che aveva reso nota la sua visita a Teheran. Le ultime decisioni militari di Israele non solo rischiano di far naufragare i già fragilissimi negoziati per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani – era proprio Haniyeh a condurli per conto di Hamas -, ma aprono la porta a una possibile escalation del conflitto che divampi in tutta la regione.Il campo da calcio colpito dai razzi di Hezbollah a Majdal Shams, nel territorio delle Alture del Golan annesso da Israele (Photo by Menahem Kahana / AFP)Secondo un copione già visto in questi mesi, le dichiarazioni successive ai raid israeliani non vanno assolutamente nella direzione della distensione: l’attacco “non resterà senza risposta”, ha avvertito il gruppo terrorista palestinese, mentre il primo ministro libanese, Najib Miqati, ha dichiarato che “prenderà misure” per “scoraggiare l’ostilità israeliana”. Gli occhi sono puntati soprattutto sull’Iran, che foraggia la lotta anti-israeliana di Hamas e di Hezbollah: “Il regime sionista dovrà senza dubbio affrontare una risposta dura e dolorosa da parte del potente e vasto fronte della resistenza, in particolare dell’Iran“, hanno dichiarato le Guardie rivoluzionarie in un comunicato, prima di annunciare tre giorni di lutto. Lasciando così pochissimo margine al neo-presidente riformista Masoud Pezeshkian.Gli ultimi sviluppi stanno creando scompiglio anche al quartier generale della Nato, con gli Stati Uniti che hanno confermato il loro appoggio a Israele nel caso di un conflitto regionale e la Turchia che ha reiterato la minaccia di intervenire a sostegno della causa palestinese. A Bruxelles la preoccupazione è ai massimi livelli: mentre i leader e i corpi diplomatici dei Paesi membri hanno contattato a più riprese le controparti in Libano, Israele e Iran per cercare di placare gli animi e porre fine alla spirale di violenza, il portavoce del Servizio europeo di Azione Esterna (Eeas), Peter Stano, ha chiesto “a tutte le parti di esercitare la massima moderazione e di evitare qualsiasi ulteriore escalation“.Il leader politico di Hamas, Ismael Haniyeh, a Teheran il 30/07/24 (Photo by AFP)Sull’assassinio di Haniyeh in territorio iraniano, Stano ha sottolineato che “l’Ue ha una posizione di principio che rifiuta le esecuzioni extragiudiziali e sostiene lo stato di diritto, anche nella giustizia penale internazionale“, nonostante il fatto che Hamas sia inserita “nell’elenco delle organizzazioni terroristiche e che il procuratore della Corte penale internazionale ha chiesto un mandato di arresto contro Ismail Haniyeh con varie accuse di crimini di guerra”.

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    Ue-Palestina, qualcosa si muove. Pronti 400 milioni all’ANP e una strategia a lungo termine in cambio di un piano di riforme entro l’estate

    Bruxelles – La tragedia in corso da oltre nove mesi a Gaza ha riacceso i riflettori sul mai risolto conflitto israelo-palestinese. E sulla soluzione dei due Stati, unica opzione individuata dalla comunità internazionale per raggiungere una pace duratura. Se da un lato c’è Israele che non ne vuole sapere, dall’altro c’è un’Autorità Nazionale Palestinese che deve essere supportata nell’obiettivo di mettere in piedi un vero apparato statale. Oggi (19 luglio) un segnale importante: la Commissione europea e l’ANP hanno firmato una lettera d’intenti che definisce una serie di tappe – e di finanziamenti – per affrontare le “vulnerabilità strutturali esacerbate dalle conseguenze della guerra a Gaza”.Un messaggio importante, quello lanciato dalla neo-presidente della Commissione europea per la seconda volta, Ursula von der Leyen, a 24 ore dalla sua conferma a capo dell’istituzione Ue. Verso l’esterno – in risposta alle accuse piovute in questi mesi sull’intransigente posizione filo-israeliana assunta dalla leader dopo il 7 ottobre -, e verso l’interno, in ascolto dei gruppi politici progressisti (liberali, socialdemocratici e verdi) che l’hanno sostenuta ieri in Parlamento e che chiedono a gran voce un cambio di passo sul ruolo dell’Ue nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese.“Stiamo lavorando a un pacchetto pluriennale molto più ampio per sostenere un’Autorità palestinese efficiente”, aveva annunciato ieri von der Leyen presentando all’Eurocamera le priorità politiche del nuovo mandato. “Con questa strategia congiunta, sosteniamo gli sforzi di riforma dell’Autorità Palestinese. Insieme, stiamo gettando le basi per la stabilità economica e politica in Cisgiordania“, ha aggiunto oggi, presentando l’intesa firmata dal commissario Ue per il Vicinato e l’Allargamento, Olivér Várhelyi, e dal ministro per la Pianificazione e la Cooperazione internazionale dell’ANP, Wael Zakout.Cosa prevede la strategia Ue per l’Autorità Nazionale PalestineseCome primo passo, l’Ue fornirà un sostegno finanziario d’emergenza a breve termine all’Autorità Palestinese per far fronte alle sue esigenze finanziarie più urgenti e sostenere un programma di riforme “sostanziali e credibili”. Un sostegno di 400 milioni di euro, in sovvenzioni e prestiti, che sarà erogato in tre rate tra luglio e settembre 2024, a condizione che vengano compiuti progressi nell’attuazione del programma di riforme dell’Autorità palestinese. Entro fine agosto, il governo di Mohammed Mustafa dovrà riuscire a razionalizzare la spesa pubblica, riducendo le spese ricorrenti di almeno il 5 per cento rispetto all’anno precedente, istituire l’età pensionabile per tutti i lavoratori della Cisgiordania, pubblicare una nuova legge sulla protezione sociale e preparare un piano di riforma dell’istruzione. Tra le azioni preliminari concordate, figura anche l’approvazione di una legge sui pagamenti elettronici e il miglioramento dell’accesso alla giustizia e ai meccanismi di reclamo per i cittadini nei confronti degli enti governativi.Secondo quanto messo nero su bianco nella lettera d’intenti, questo sostegno a breve termine “aprirà la strada a un programma globale per la ripresa e la resilienza della Palestina“. La Commissione ha proposto di istituire una piattaforma di coordinamento dei donatori per la Palestina a partire dall’autunno 2024, fino alla fine del 2026. Nei piani di von der Leyen c’è la presentazione di una proposta legislativa per l’attivazione di questo programma globale all’inizio di settembre. Questo sostegno pluriennale “dovrebbe consentire all’Autorità palestinese di raggiungere l’equilibrio di bilancio entro il 2026 e di garantire in seguito la sua sostenibilità finanziaria a lungo termine”.Bruxelles e Ramallah hanno dedicato qualche riga anche al vicino israeliano, con cui sarà fondamentale che l’ANP migliori le relazioni economiche e finanziarie, in primo luogo “attraverso il regolare pagamento (da parte di Tel Aviv, ndr) delle entrate fiscali dovute all’Autorità Palestinese e la rimozione delle restrizioni all’accesso dei lavoratori palestinesi”. Come sottolineato dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “i bisogni sono immensi”. L’assistenza immediata stanziata dall’Ue non basta: “Invitiamo nuovamente Israele a sbloccare urgentemente tutte le entrate fiscali”, ha chiesto Borrell.La Commissione europea ha messo inoltre in chiaro che nessuno dei fondi dedicati all’ANP dovrà finire nelle mani, direttamente o indirettamente, di persone o entità sottoposte a misure restrittive da parte dell’Ue. Nessuna sponsorizzazione del terrorismo, insomma. Perché la chiave per la creazione di uno Stato palestinese è delegittimare l’islamismo radicale di Hamas e della Jihad palestinese rafforzando l’unico interlocutore credibile individuato dall’Occidente, l’ANP. Poi però, ci sarà da fare i conti con Israele, il cui Parlamento ha approvato solo ieri a larghissima maggioranza una legge che vieta la creazione di uno Stato di Palestina.

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    Ue-Israele, è alta tensione. Borrell contro la decisione della Knesset: “Se non vogliono due Stati, cosa vogliono?”

    Bruxelles – Ue-Israele, le relazioni si complicano vieppiù e i malumori a dodici stelle nei confronti dello Stato ebraico aumentano. La decisione della Knesset, il parlamento israeliano, di dire ‘no’ alla nascita di uno Stato palestinese irrigidisce le posizioni di un’Europa che invece alla soluzione a due Stati continua a puntare. “Se vogliamo costruire la pace, una pace sostenibile, dobbiamo offrire una soluzione politica e un orizzonte politico anche per il popolo palestinese“, enfatizza l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, a margine dei lavori della Comunità politica europea: “Purtroppo la Knesset ha votato contro questo, contro lo Stato palestinese. Ebbene, se non vogliono la soluzione dei due Stati, cosa vogliono?“Borrell non digerisce l’orientamento dello Stato ebraico. I numeri lasciano poco spazio alle illusione di un’Ue che deve fare i conti con un partner che non intende sentire ragioni. Il parlamento di Tel Aviv ha respinto con 68 voti contro 9 la creazione di uno Stato palestinese, anche nel quadro di un accordo negoziato con Israele. “Qual è la loro soluzione?”, insiste un più che contrariato Borrell. “Se rifiutano questa soluzione”, quella di due Stati, “devono proporre un’altra soluzione”. E dunque, chiede polemicamente, “quali sono i loro piani per i milioni di palestinesi che vivono nei territori occupati?”A preoccupare l’Alto rappresentante dell’Ue è l’assenza di alternative, che vuol dire che Israele lavora per fare dei territori palestinesi l’estensione dello Stato ebraico. Esattamente l’opposto di ciò per cui lavora, da sempre, la Commissione europea. La Comunità politica europea diventa quindi il momento per fare un punto. “Spero che questo argomento venga discusso”.

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    Tre quarti dei membri Onu riconosce la Palestina come Stato

    Bruxelles – Divisi tra loro e divisivi per l’opinione pubblica. Israeliani e palestinesi, storia praticamente infinita di una questione, quella arabo-israeliana, sempre più un rompicapo. Due popoli, due Stati: quella che dovrebbe essere la soluzione per molti continua ad essere più retorica che pratica, nonostante la comunità internazionale riconosca la Palestina come Stato. Dei 193 Stati membri dell’Organizzazione delle nazioni Unite (Onu), ben 143 oggi riconoscono il diritto dei palestinesi di esistere come entità geografica e politica. Praticamente tre quarti della comunità internazionale vede la Palestina come Stato. Tra i 50 mancanti figurano all’appello  Stati Uniti, Canada, Australia e buona parte dei membri Ue.Novembre 1988, momento chiave per la Palestina e lo status di StatoLe rivendicazioni palestinesi conoscono un momento di svolta il 15 novembre 1988, quando l’allora presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), Yasser Arafat, proclamò la Palestina Stato indipendente e sovrano, con Gerusalemme capitale. Un annuncio che non restò isolato: subito dopo la proclamazione, l’Algeria riconobbe la nuova entità, aprendo la strada al riconoscimento internazionale. Altri 82 Paesi seguirono, e tra novembre e dicembre 1988 ben 83 Paesi del mondo riconobbero la Palestina come Stato.La lista dei Paesi che riconoscono lo Stato palestinese nel 1988:Algeria, Bahrein, Indonesia, Iraq, Kuwait, Libia, Malesia, Mauritania, Marocco, Somalia, Tunisia, Turchia, Yemen, Afghanistan, Bangladesh, Cuba, Giordania, Madagascar, Malta, Nicaragua, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti , Serbia, Zambia, Albania, Brunei, Gibuti, Mauritius, Sudan, Cipro, Repubblica Ceca, Slovacchia, Egitto, Gambia, India, Nigeria, Seychelles, Sri Lanka, Namibia, Russia, Bielorussia, Ucraina, Vietnam, Cina, Burkina Faso , Comore, Guinea, Guinea-Bissau, Cambogia, Mali, Mongolia, Senegal, Ungheria, Capo Verde, Corea del Nord, Niger, Romania, Tanzania, Bulgaria, Maldive, Ghana, Togo, Zimbabwe, Ciad, Laos, Sierra Leone, Uganda, Repubblica del Congo, Angola, Mozambico, Sao Tomé e Principe, Gabon, Oman, Polonia, Repubblica Democratica del Congo, Botswana, Nepal, Burundi, Repubblica Centrafricana, Bhutan, Sahara Occidentale.Il post-1988: altri 20 riconoscimenti nel XX secoloL’accreditamento internazionale della Palestina non si arresta. Al primo blocco di Paesi, alla spicciolata, se ne aggiungono altri 20 negli anni successivi, e per la fine del secolo si contano ben 103 Stati del mondo a riconoscere uno Stato palestinese, con tutti diritti del caso. Africa, Asia centrale e pure Europa: il sostegno alla causa di Arafat arriva dai diversi quadranti del mondo.Paesi che riconoscono lo Stato Palestinese tra il 1988 e il 2000:Ruanda, Etiopia, Iran, Benin, Kenya, Guinea Equatoriale, Vanuatu, Filippine (1989), Swaziland (1991), Kazakistan, Azerbaigian, Turkmenistan, Georgia, Bosnia ed Erzegovina (1992), Tagikistan, Uzbekistan, Papua Nuova Guinea (1994), Sudafrica, Kirghizistan (1995), Malawi (1998)Il nuovo millennio e il sostegno dell’America latinaIl nuovo millennio si apre con nuove iniziative politico- diplomatiche a sostegno della causa palestinese e un riconoscimento dello Stato di Palestina, che arriva con uno slancio tutto nuovo dal centro e sud America.  Tra il 2004 e il 2012 altri 30 Paesi vanno ad ingrossare la lista di quanti ritengono che sia tempo di riconoscere la Palestina, che gode adesso di 133 Nazioni mondiali esplicitamente al proprio fianco.Paesi che riconoscono la Palestina tra il 2000 e il 2012: Timor Est (2004), Paraguay (2005), Montenegro (2006), Costa Rica, Libano, Costa d’Avorio (2008), Venezuela, Repubblica Dominicana (2009), Brasile, Argentina, Bolivia, Ecuador (2010), Cile, Guyana, Perù, Suriname, Uruguay, Lesotho, Sud Sudan, Siria, Liberia, El Salvador, Honduras, Saint Vincent e Grenadine, Belize, Dominica, Antigua e Barbuda, Grenada, Islanda (2011), Thailandia (2012).2013, il riconoscimento del Vaticano e nuove nazioni pro-stato PalestineseIl 2013 segna un momento storico per la causa palestinese. Il Vaticano, che non fa parte dell’Onu, prende ufficialmente posizione della questione arabo-israeliana, e riconosce la Palestina quale Stato. Una mossa non solo politica e diplomatica, ma anche dai toni confessionali forti: lo Stato della Chiesa sposa la parta arabo-islamica delle controversie in Medio Oriente. E’ solo uno dei momenti chiave della seconda decade degli anni Duemila in poi. La Svezia rompe gli indugi di un’Ue divisa e dubbiosa, e diventa il primo Paese dell’Europa occidentale a riconoscere lo stato palestinese.Riconoscimento dello Stato palestinese dal 2013 ai giorni nostriGuatemala, Haiti, Vaticano (2013), Svezia (2014), Santas Lucia (2015), Colombia (2018), Saint Kitts and Nevis (2019), Messico (2023), Bahamas, Trinidad e Tobago, Giamaica e Barbados (2024).

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    Borrell avverte Israele, con l’operazione militare a Rafah mette “a dura prova” le relazioni con l’Ue

    Bruxelles – Delle linee rosse che la comunità internazionale ha indicato a Israele nella sua feroce risposta all’attacco terroristico di Hamas, l’ultima è stata quella di non intraprendere alcuna operazione militare a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dove in questi otto mesi si sono ammassati più di un milione di sfollati palestinesi. Ora che Tel Aviv ha già un piede e mezzo oltre questa linea, arriva l’ennesimo avvertimento dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell: a rischio – se Netanyahu continuerà per la sua strada – ci sono le relazioni stesse tra l’Ue e Israele.In una nota pubblicata oggi (15 maggio), il capo della diplomazia europea ha esortato Israele – a nome dei 27 – a “porre fine immediatamente all’operazione militare a Rafah”. Un’operazione che sta causando “ulteriori interruzioni” nella distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza, “nuovi sfollamenti interni, esposizione alla carestia e sofferenza”. Secondo l’Ufficio di coordinamento per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha), l’offensiva di terra israeliana continua a espandersi, in particolare nella parte orientale di Rafah e intorno ai varchi di Kerem Shalom e Rafah. “A causa delle attuali operazioni militari israeliane e dell’insicurezza”, le rotte terrestri critiche di Kerem Shalom e Rafah – da lì dovrebbe entrare la maggior parte degli aiuti umanitari – “sono state chiuse dal 6 al 10 maggio 2024”, conferma Ocha.Tendopoli sulla spiaggia di Deir el-Balah, nel centro della Striscia di Gaza, in cui si stanno riversando migliaia di sfollati da Rafah (Photo by AFP)Nelle ultime settimane circa 150 mila persone hanno deciso di lasciare Rafah, seguendo l’ordine di evacuazione emanato dalle autorità israeliane verso aree che – come ritenuto dalle Nazioni Unite e sottolineato ancora una volta da Borrell – “non possono essere considerate sicure”. Per l’Alto rappresentante l’offensiva a Rafah è un punto di non ritorno: se Israele dovesse continuare a ignorare gli appelli della comunità internazionale, “ciò metterebbe inevitabilmente a dura prova le relazioni con l’Ue“.Fino ad oggi, il governo di Netanyahu è rimasto sordo a qualsiasi appello – vincolante o meno – delle maggiori istituzioni multilaterali globali. Anzi, le ha attaccate frontalmente: l’ultimo scontro si è consumato dopo la Risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu che consentirà alla Palestina di divenire membro delle Nazioni Unite. Il governo israeliano l’ha respinta, e l’ufficio del primo ministro ha dichiarato che “non permetteremo loro di creare uno stato terrorista dal quale possano attaccarci ancora più forte”. Parallelamente – e non è la prima volta – l’ambasciatore israeliano presso l’Onu ha dichiarato alla radio dell’esercito che l’Onu è diventato “un’entità terroristica“.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep BorrellBorrell ha ribadito anche che “Israele deve consentire e facilitare il passaggio senza ostacoli dei soccorsi umanitari per i civili”. Come stabilito dalle misure provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia il 26 gennaio e il 28 marzo per impedire un genocidio a Gaza. Sempre secondo Ocha, nei primi 10 giorni di maggio solo 9 delle 32 missioni di aiuto umanitario nel nord di Gaza sono state agevolate dalle autorità israeliane. Cinque sono state negate, undici sono state ostacolate e sette sono state cancellate a causa di problemi logistici. Allo stesso modo, nel sud della Striscia, Tel Aviv ha facilitato solo 25 delle 46 missioni di aiuto. Nove missioni sono state negate, tre ostacolate e nove sono state cancellate a causa di problemi logistici.Ricordando che, con il lancio di razzi su Kerem Shalom del 5 maggio scorso, anche Hamas è responsabile di aver ostacolato la consegna di aiuti umanitari, Borrell ha rilanciato l’invito “a tutte le parti a raddoppiare gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco immediato e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas”.

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    Il Belgio prova a convincere l’Ue a bandire il ‘made in Israel’ proveniente dai territori palestinesi occupati

    Bruxelles – Bandire i prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati. La presidenza belga del Consiglio dell’Ue prova a guidare quella che sarebbe una risposta senza precedenti al livello di Unione europea contro il partner della regione mediorientale. E’ il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, parlando ai media belgo-fiamminghi, a rivelare come si stia adoperando per convincere gli Stati membri dell’Ue a cancellare l’import ‘made in Israel’, con datteri, vino e olio d’oliva nel mirino.De Croo punta il dito contro la risposta dello Stato ebraico agli attacchi del 7 ottobre scorso. Dopo 35mila morti tra la popolazione palestinese e una violenza sta aumentando non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, “è difficile per i paesi europei dire che continueremo ad agire come se nulla stesse accadendo“, sostiene il primo ministro belga. Il Belgio, che ha sostenuto il procedimento del Sudafrica contro Israele avviato alla Corte di giustizia internazionale dell’Aia con l’accusa di genocidio, vorrebbe una risposta ferma e decisa, sa che un’azione unilaterale avrebbe “effetto zero”, e quindi cerca di compattare il blocco dei Ventisette.Immaginarsi di avere un consenso unanime su una decisione di sanzioni contro Israele è arduo, e l’obiettivo della presidenza belga è quello di avere “almeno un grande gruppo di paesi che sono disposti a fare questo passo”. De Croo si mostra fiducioso. “Ci sono un certo numero di paesi che sono aperti al nostro ragionamento“, sostiene. Partendo da questo gruppi di Paesi, che non nomina, si cerca di spingersi oltre. “Stiamo cercando di andare oltre quel gruppo di Paesi che la pensano allo stesso modo, penso che sia logico cercare di convincere altri Paesi”.La presa di posizione di De Croo si spiega anche con ragioni di governo. All’interno della coalizione i partiti Ecolo, Groen (verdi francofoni e fiamminghi), Vooruit (socialisti fiamminghi) e Cd&V (cristiano-democratici fiamminghi) avevano già chiesto lo stop all’acquisto di prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati, ma sono stati i liberali francofoni (Mr) a frenare su questa richiesta. Richiesta che non è caduta nel vuoto, e ora il premier belga ci prova.

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    Borrell: “Ue non considera sanzioni contro funzionari israeliani”

    Bruxelles – Niente linea dura nei confronti di Israele per come lo Stato ebraico sta gestendo la risposta agli attacchi del 7 ottobre nei territori palestinesi, niente sanzioni nei confronti di funzionari dell’esercito o del governo di Tel Aviv. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, respinge l’idea di azioni di questo tipo. “L’Unione europea non sta prendendo in considerazione misure restrittive nei confronti dei funzionari israeliani“, scandisce rispondendo a un’interrogazione parlamentare che arriva dai banchi de la Sinistra.Si chiedono lumi su come la Commissione intende fare pressione su Israele affinché vengano rispettati diritti umani e sentenze della Corte internazionale di giustizia, e la risposta che arriva da Bruxelles è all’insegna del dialogo e del convincimento. Neppure la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele è in discussione, ammette Borrell. Perché, spiega, così hanno deciso gli Stati membri dell’Ue. “Il Consiglio ha convenuto di continuare a seguire da vicino la questione e di invitare il ministro degli Esteri israeliano a una discussione” in merito alla gestione della risposta di Israele, considerata dall’Ue legittima per quanto sproporzionata.Che la situazione, soprattutto sul fronte umanitario, che si sta deteriorando sempre di più, continua a non essere motivo di linea dura da parte degli europei. Che si limitano a richiamo verbali. “L’Ue – continua l’Alto rappresentante – sottolinea costantemente l’importanza di garantire la protezione di tutti i civili in ogni momento, in linea con il diritto internazionale umanitario”. In tal senso “l’Ue ha costantemente chiesto pause umanitarie prolungate”.

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    Gaza, l’Ue prende nota degli annunci di Netanyahu su nuovi corridoi umanitari. “Attuare tutto e in fretta”

    Bruxelles – Ben vengano gli annunci sull’apertura di nuovi corridoi umanitari per la popolazione palestinese a Gaza, ma “occorre attuarli in pieno e rapidamente”. La Commissione europea accoglie con favore le intenzioni del primo ministro israeliano, Benjamin Netahyahu, di aprire il porto di Ashdod e il valico di Erez per consentire il flusso diretto degli aiuti nel nord di Gaza. Ma pretende che non restino parole vuote. Per il momento, dunque, a Bruxelles “si prende nota” delle parole del leader israeliano, ma non ci si limita a quello.Certo, il ruolo dell’Unione europea risulta ridimensionato, visto che l’annuncio di Netanyahu arriva dopo una telefonata con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a riprova di ruolo e peso diversi nella regione e nella gestione della crisi in Medio Oriente.L’esecutivo comunitario coglie comunque l’occasione per tornare a fare pressioni sullo Stato ebraico, rinnovando l’appello a “proteggere i civili innocenti e gli operatori umanitari, in linea con il diritto umanitario internazionale“. Un richiamo che si aggiunge alla condanna per l’uccisione, in un raid condotto dalle forze armate israeliane, di sette operatori della Ong World Central Kitchen. Un episodio che ha probabilmente segnato il punto più basso nelle relazioni tra Israele e i suoi partner.Proprio la prospettiva di nuove vie di aiuti umanitari spiega la Commissione europea a ricordare come e quanto siano fondamentali organizzazione non governative e Nazioni Unite, inclusa l’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) che Israele ha rimesso in discussione dopo il sospetto che funzionari abbiano partecipato agli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso. “La Commissione europea continuerà il suo intenso lavoro con i partner regionali e globali, le Nazioni Unite e le ONG partner”, fa sapere l’esecutivo comunitario. Un modo per mandare un messaggio a Tel Aviv.