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    L’Ue: “Soluzione a due Stati in Medio Oriente”. Ma solo 9 su 27 riconoscono la Palestina come Stato

    Bruxelles – Soluzione a due Stati in Medio Oriente, con Israele da una parte e Palestina dall’altra . L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, sta insistendo sul fatto che solo questa sia la soluzione al conflitto arabo-israeliano. Una linea sposata anche dall’Italia e dal governo in carica, ma che appare tutt’altro che semplice. Perché oggi appena un terzo degli Stati membri dell’UE riconosce la Palestina come Stato. Appena nove su Ventisette, più un decimo che si è aggiunto in corso d’opera.Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. Sono loro ad aver riconosciuto la Palestina come Stato secondo i confini del 1967 (Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est). Solo la Svezia ha riconosciuto uno stato palestinese da membro UE, mentre gli altri l’hanno fatto prima di entrare nel club a dodici stelle. Recentemente, sulla scia dell’operazione lanciata di Hamas su vasta scala innescando il conflitto tutt’ora in corso, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato di essere pronto a compiere il passo mai compiuto finora, portando così a dieci gli Stati membri dell’Ue a riconoscere la Palestina come Stato.Risultano evidenti dunque cortocircuito e contraddizione dell’UE, che da una parte chiede un qualcosa che non può avvenire finché i singoli governi non nazionali ottengono ciò che serve. Sulla ‘questione Palestina’ c’è un braccio di ferro inter-istituzionale che si trascina da almeno un decennio. Il Parlamento europeo chiede che venga riconosciuto uno stato palestinese almeno dal 2014, sempre sulla base di una situazione a due stati con frontiere del 1967. Adesso torna a spingere anche la Commissione europea, attraverso Borrell, per la stessa cosa, ma il vero nodo è in Consiglio.Tanto è vero che l’europarlamentare spagnola Ana Miranda (Verdi), con tanto di interrogazione urgente, chiede di riconoscere “con urgenza” la Palestina come Stato invitando il consiglio Affari generali, che riunisce i ministri per gli Affari europei dei 27 Stati membri dell’UE, di mettere sul tavolo l’argomento. La richiesta originariamente era indirizzata alla Spagna, presidente di turno fino al 31 dicembre 2023, ma essendo stata presentata il 13 dicembre questa interrogazione ora finirà all’attenzione del Belgio, presidente di turno dal primo gennaio.“L’Unione deve adottare una nuova posizione e riconoscere lo Stato di Palestina“, esorta l’europarlamentare spagnola. Ma perché ciò sia possibile occorre che tutti i 27 Stati membri riconoscano la Palestina come Stato. Altrimenti le dichiarazioni resteranno prive di fondamento e credibilità. Il sostegno all’Autorità nazionale palestinese da solo non basta.

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    Ue e Cina tentano un riavvicinamento, 7 e 8 dicembre il summit bilaterale a Pechino

    Bruxelles – Conflitto russo-ucraino, questione medio-orientale, ma soprattutto commercio. Unione europea e Cina tentano un riavvicinamento e una normalizzazione dei rapporti bilaterali attraverso il 24esimo meeting congiunto, il primo in formato fisico dal 2019. I presidenti di Consiglio e Commissione Ue, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tentano di convincere presidente e primo ministro della Repubblica popolare ad avare un ruolo di primo piano innanzitutto sulle questioni di stretta attualità.La guerra tra Russia e Ucraina è la principale di questi temi. Gli europei, spiegano fonti Ue ben informate, vorrebbero che la Cina utilizzasse la propria influenza per fermare Vladimir Putin e le sue operazioni militari. Si nutre cauto ottimismo, alimentato dalla consapevolezza che a Pechino questa guerra non piace perché non fa comodo. Una situazione che però sin qui non ha visto una posizione decisa né una condanna.“Non abbiamo ancora una prova di sostegno militare diretto in questa guerra, e vediamo che l’export cinese di tutta una serie di beni che possono essere usati in prima linea si riduce, e questo è positivo”, il ragionamento a Bruxelles, dove però si guarda con una certa attenzione alle relazioni bilaterali Ue-Cina, in particolare in ambito commerciale.L’Ue non vuole scontri con la Cina, ma la delegazione Ue si presenta a Pechino con un’inchiesta aperta contro i sussidi statali alle auto elettriche ‘made in China‘ che può voler dire, potenzialmente, anche dazi contro i prodotti cinesi. Una decisione, quella di Bruxelles, che potrebbe anche irrigidire gli interlocutori Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro), ma che nell’ottica a dodici stelle serve a ribadire una posizione di determinazione. Qui il messaggio che si intende recapitare è la necessità di maggiore equilibrio.L’Ue ha una bilancia commerciale in forte squilibrio nei confronti della Cina, e una delle ragioni sono le restrizioni all’ingresso del mercato cinese poste dal partito. “Se ci sono barriere agli investimenti diventa difficile vedere investimenti diretti dell’Ue”, riassumono, in estrema sintesi, le fonti europee. Si vuole da parte cinese la fine di pratiche sleali per una concorrenza vera e basate sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ferma restando, per l’Unione europea, la necessità di ridurre quelle dipendenze da materie prime e catene di approvvigionamento che pongono questioni di stabilità, oltre che di competitività.Non sarà facile, perché “i cinesi sono un po’ nervosi sul concetto di derisking“, ossia la riduzione della dipendenza economica dalla Repubblica popolare. “Vedono che la loro presenza sul nostro mercato potrebbe ridursi”, così come la forza della loro leva geopolitica nei confronti dei Ventisette. Difficile immaginare concessioni. L’Ue comunque ci prova.Le premesse non sembrano delle migliori. Come da tradizione la Cina mostra una certa allergia a conferenze stampa, infatti non sono previste previste. Ma, a meno di cambi di rotta dell’ultimo momento, non è prevista neppure una dichiarazione congiunta. “Non ci è stato chiesto di averne una”, ammettono a Bruxelles. Gli europei non danno l’impressione di aver insistito chissà quanto, e certamente non ottengono documenti di fine lavoro sottoscritti dalla leadership cinese. “Avere questo dialogo Ue-Cina è una buona occasione per affrontarli tanti temi”, spiegano a Bruxelles. Già è tanto che Michel e von der Leyen siano accolti a Pechino.
    Xi Jinping e Li Qiang ricevono Michel e von der Leyen. E’ il primo meeting ‘di persona’ dal 2019. Sul tavolo la guerra in Russia ma soprattutto le relazioni commerciali

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    A Gaza riprendono le ostilità e i bombardamenti israeliani. L’Ue chiede all’Iran un “lavoro attivo” per la de-escalation

    Bruxelles – Nove giorni, e la tregua nella Striscia di Gaza è già finita. “Le ostilità sono riprese a Gaza e vediamo che il bilancio delle vittime civili, già molto alto, continua ad aumentare“, si è rammaricato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando gli intensi bombardamenti israeliani ricominciati venerdì scorso (primo dicembre) e che da ieri (3 dicembre) si sono estesi anche alla parte meridionale della Striscia, dove sono entrati per la prima volta i carri armati di Tel Aviv.Il capo della diplomazia Ue esprime forte preoccupazione per quanto in atto negli ultimi tre giorni nella Striscia di Gaza, conscio dei rischi a cui si sta andando incontro. “Dobbiamo evitare qualsiasi ricaduta regionale, la soluzione può essere solo politica incentrata su due Stati“, ha sottolineato Borrell nel corso di uno scambio telefonico con il ministro degli Affari esteri dell’Iran, Hossein Amir-Abdollahian, esortando Teheran a “usare la sua influenza e a lavorare attivamente per evitare un’ulteriore escalation nella regione”. Parole che arrivano a pochi giorni dal vertice ministeriale della Nato, in cui proprio l’Iran è stato avvertito di “tenere a freno” i suoi delegati di Hamas e Hezbollah che operano nella regione contro Israele.Ancora più duro è stato poi lo stesso alto rappresentante Ue nel suo intervento al 25esimo Forum Ue-Ong per i diritti umani: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina“. Alcuni partecipanti hanno iniziato a lasciare la sala dopo le parole di Borrell, che non ha però fatto alcun passo indietro: “Probabilmente ho detto qualcosa di scomodo, ma le Nazioni Unite hanno affermato chiaramente che quanto successo è stato riconosciuto come tale, mentre quello che sta succedendo ne è un altro caso”. La motivazione è semplice e parte dal numero di vittime: “Nessuno sa quante siano, qualche stima dice 15mila, ma temo che sotto le macerie delle case distrutte ce ne siano molte di più, con un alto numero di bambini”, e la comunità internazionale “non può accettarlo”. In altre parole, “un orrore non può giustificare un altro orrore“.La fine della tregua a GazaDa sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)Nel corso della tregua iniziata nella notte tra il 21 e il 22 novembre e andata in frantumi dopo nemmeno dieci giorni, Hamas ha rilasciato 110 ostaggi detenuti a Gaza in cambio di 240 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ma ora si tornano a contare non più i prigionieri liberati ma solo le persone uccise dai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Dall’inizio della guerra il bilanci è salito a circa 15 mila vittime palestinesi, prevalentemente nella parte settentrionale della lingua di terra di 40 chilometri per 9. Da ieri però l’esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti e lanciato un’operazione di terra a nord di Khan Younis, città palestinese con annesso campo profughi nella parte meridionale della Striscia. L’incursione è stata preceduta da ordini di evacuazione alla popolazione palestinese in diversi distretti della città, dove già centinaia di migliaia di persone si erano rifugiate dopo essere fuggite dai combattimenti nel nord della Striscia nelle prime fasi della guerra.“Il modo in cui Israele esercita il suo diritto all’autodifesa è importante, è imperativo che rispetti il diritto internazionale umanitario e le leggi di guerra“, ha ribadito con forza l’alto rappresentante Borrell, richiamandosi a quanto già affermato a più riprese sulla necessità di non violare il diritto internazionale: “Questo non è solo un obbligo morale, ma anche legale”. Così come fatto nel corso della missione nella regione a pochi giorni dall’inizio della tregua, il capo della diplomazia dell’Unione ha fatto riferimento anche alla “crescente violenza in Cisgiordania, dove secondo le Nazioni Unite dal 7 ottobre sono stati uccisi 271 palestinesi“, più del doppio di tutti quelli uccisi dai coloni o dall’esercito israeliano dall’inizio dell’anno. Tornando al conflitto a Gaza, Borrell ha poi ricordato che la tregua che ha permesso il rilascio degli ostaggi ma anche la consegna di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza “non è sufficiente” da sola, dal momento in cui “le pause umanitarie dovrebbero essere riprese, ma lavorando contemporaneamente per una soluzione politica globale per tutti i territori palestinesi”. Quella soluzione per “due popoli, due Stati” che per l’Unione Europea è ormai un caposaldo e su cui ha elaborato una base di  sei condizioni – “tre sì e tre no” – su cui provare a impostare il dialogo nella regione.
    Dal primo dicembre è finita la tregua temporanea, con le operazioni miliari che si sono estese anche nel sud della Striscia. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell: “Quella di Hamas è stata una carneficina, ma quella a cui stiamo assistendo ora è un’altra carneficina”

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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah

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    A Gaza 10 mila morti in un mese. L’Ue mobilita altri 25 milioni per gli aiuti umanitari: Israele “si sforzi di evitare vittime civili”

    Bruxelles – Trenta giorni dopo il risveglio più terribile della storia dello Stato d’Israele, quel 7 ottobre in cui Hamas ha ucciso 1.400 cittadini israeliani e ne ha presi oltre 200 in ostaggio, la risposta senza precedenti della forze di difesa di Tel Aviv è andata al di là delle più drammatiche previsioni: 10.022 morti in un mese nei bombardamenti sulla Striscia di Gaza, tra cui 4.104 minori e 2.641 donne.I bollettini diffusi dal Ministero della Sanità di Gaza (controllato da Hamas), sono rilanciati anche dall’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari (Ocha-Opt) e non fanno alcuna distinzione tra popolazione civile e combattenti. Ma sono sicuramente civili la maggior parte delle vittime dei raid su aree densamente popolate della Striscia, così come lo sono i 25.408 feriti e gli oltre un milione e mezzo di sfollati dal nord dell’enclave palestinese. Così come, d’altronde, le almeno 140 vittime nei territori occupati della Cisgiordania. E gli 88 lavoratori dell’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), il numero più alto di vittime delle Nazioni Unite mai registrato in un singolo conflitto. Il Times of Israel ha dato la notizia della morte di una poliziotta israeliana a Gerusalemme, accoltellata questa mattina da un sedicenne palestinese, poi ucciso da un secondo agente. Sono 59 gli agenti di polizia rimasti uccisi dal 7 ottobre.Numeri che raccontano la realtà di quella che in molti hanno definito una “risposta sproporzionata” da parte di Israele. In primo luogo le Nazioni Unite e diverse sue agenzie, e poi naturalmente gli Stati arabi e la maggior parte della comunità internazionale. Ma non l’Unione europea, che nella sua posizione unitaria affermata con non poca difficoltà dal Consiglio europeo, ha garantito il sostegno a Israele e al suo diritto di difendersi in linea con la legge internazionale umanitaria, e ha chiesto che vengano concesse delle “pause umanitarie” per permettere la distribuzione degli aiuti alla popolazione di Gaza stremata da un mese di bombardamenti e di assedio totale. Ma sull’evidente inottemperanza del diritto umanitario non si è ancora espressa, e nemmeno sull’altrettanto evidente, nei fatti, rifiuto di Tel Aviv – così come di Hamas – di interrompere le ostilità quanto meno per l’accesso di aiuti umanitari.I leader Ue alla Conferenza degli Ambasciatori. Von der Leyen indica quattro principi per una “pace duratura” a GazaUrsula Von der Leyen alla Conferenza degli Ambasciatori 2023, 06/11/23Oggi (6 novembre) la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza annuale degli ambasciatori Ue ha parlato di “terribile dilemma” nel dover contemporaneamente supportare Israele e aiutare i civili a Gaza. Perché il paradosso è che, mentre non condanna quella che il segretario generale dell’Onu ha chiamato “punizione collettiva contro i palestinesi”, l’Ue si adopera per consegnare aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. I fondi comunitari per l’emergenza umanitaria nella Striscia sono stati quadruplicati: prima dell’inizio del conflitto ne erano previsti 25 milioni per il 2023, ora sono stati portati a 100 milioni di euro. Dal 16 ottobre, 6 voli che trasportavano oltre 263 tonnellate di aiuti hanno raggiunto l’Egitto. Acqua e servizi igienico-sanitari, cibo e altri beni essenziali, che a poco a poco e con grande difficoltà stanno entrando dal varco di Rafah nel sud di Gaza. Giovedì 9 novembre, a Parigi, Emmanuel Macron ha organizzato una conferenza internazionale per discutere degli aiuti umanitari nella Striscia.Priva di peso specifico nell’evitare la tragedia che si sta consumando a Gaza, l’Ue prova a ridare slancio a un processo politico che possa prima o poi mettere fine ad un conflitto vecchio come lo Stato di Israele. Per “immaginare come potrebbe essere una pace duratura” e “ridare speranza a palestinesi e israeliani”, l’unica prospettiva è la soluzione dei due Stati. La presidente della Commissione europea ha proposto “alcuni principi fondamentali che potrebbero aiutare a trovare un terreno comune”: innanzitutto Gaza “non può essere un rifugio sicuro per i terroristi”, e per garantirlo von der Leyen ha suggerito l’istituzione di una missione di pace internazionale sotto mandato delle Nazioni Unite. Dopo di ché, va legittimata ancora di più l’Autorità Nazionale Palestinese come unica entità, che controlli sia la Cisgiordania che Gaza. I punti successivi sono tutti indirizzati all’alleato israeliano: “non può esserci una presenza di sicurezza israeliana a lungo termine a Gaza” e non può esserci “nessuno spostamento forzato dei palestinesi da Gaza“. Infine, Israele dovrà porre fine al “blocco prolungato di Gaza”, perché “qualsiasi futuro Stato palestinese deve essere vitale, anche dal punto di vista economico”.Josep Borrell FontellesInsieme a von der Leyen, sono intervenuti sul tema anche gli altri tre tenori delle istituzioni europee: il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, e l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell. Nelle loro dichiarazioni alternate va ricostruito il puzzle della posizione europea sulla crisi in Medio Oriente, anche se Michel ha ribadito che “è responsabilità del Consiglio europeo e degli Stati membri decidere la politica estera in linea con i trattati e con i valori fondamentali dell’Unione”. Metsola ha avvertito che “dobbiamo mettere fine al terrore (di Hamas, ndr), ma come Israele lo farà importa all’Ue e a tutto il mondo”, mentre Borrell ha voluto sottolineare un’altra volta che Israele “non dovrebbe farsi accecare dalla rabbia”. È il capo della diplomazia europea la voce più fuori dal coro tra i leader Ue, quella maggiormente critica nei confronti di Tel Aviv e che si avvicina di più alle posizioni espresse dal segretario Onu Antonio Guterres. Borrell non ha paura a dire che, a dispetto di quanto fu stabilito negli accordi di Oslo del 1993, “in Israele la colonizzazione della Westa Bank è continuata con impunità e sempre maggiore violenza contro i palestinesi“. Gli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania, che erano 270 mila 30 anni fa, ora sono più di 700 mila.È sempre Borrell ad ammettere che “la tragedia in corso è il risultato di un fallimento politico e morale collettivo”, di una “mancanza di volontà nel risolvere la questione” israelo-palestinese. L’Unione europea, “paladina della situazione a due Stati”- come dichiarato da von der Leyen – non ha mai proposto percorsi realistici e efficaci per arrivarci. Ma il problema, sostiene Borrell, “non è né etnico, né religioso, è nazionale”. È il problema di “due popolazioni che hanno lo stesso diritto di vivere nella stessa terra“. E che quindi, per forza di cose, dovranno condividerla.
    31 giorni di bombardamenti a tappeto in risposta all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre: nessun cessate il fuoco, inascoltato anche l’appello dell’Ue a “pause umanitarie” per distribuire gli aiuti internazionali nella Striscia di Gaza. Von der Leyen: “Missione di pace Onu dopo il conflitto”

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    Tajani: “Creare lo Stato palestinese per delegittimare Hamas”

    Bruxelles – Creare uno Stato palestinese per delegittimare Hamas. DI fronte alla crisi in Medio Oriente l’Europa adesso deve approfondire il ragionamento geopolitico per il futuro della regione, già ribadito dopo il Consiglio informale del 15 ottobre. E’ Antonio Tajani a insistere esplicitamente sull’istituzione di uno nuovo Paese, vero, indipendente e sovrano. Il ministro degli Esteri, anche in qualità di segretario di Forza Italia e di vicepresidente del Ppe, porta la questione sul tavolo del Partito popolare europeo in occasione della tradizionale riunione dei leader del centro-destra europea che precede i vertici dei Consiglio europeo.“Senza negare il diritto di Israele a esistere“, sostiene Tajani, “bisogna avviare un percorso che porti alla creazione di uno Stato palestinese, che dia una prospettiva alla popolazione palestinese e che tagli l’erba sotto i piedi ad Hamas, che deve essere delegittimata sia da un punto di vista militare, attraverso una sconfitta, sia da un punto di vista politico”.Una dichiarazione più netta e più chiara di quella offerta dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Al suo arrivo in Consiglio per partecipare al vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue, Meloni afferma che “lo strumento più efficace per sconfiggere Hamas è dare concretezza e tempistica alla situazione palestinese e attribuire più peso all’Autorità nazionale palestinese”. Un concetto analogo a quello espresso dal suo ministro degli Esteri e alleato di maggioranza, ma espresso con toni forti. Manca però, nelle parole dell’inquilina di palazzo Chigi, l’esplicito riferimento allo Stato.Tajani, invece, tira dritto e ribadisce che “la nostra azione punta a costruire la pace con l’obiettivo due popoli e due Stati”. Ovviamente dialogando con il governo di Ramallah. In questo processo non semplice “l‘unica autorità che può essere l’interlocutore è l’Autorità nazionale palestinese (ANP). Non può essere Hamas”. Perché quest’ultima resta un’organizzazione terroristica agli occhi dell’Italia e dell’Unione europea. Per questa ragione “è difficile parlare di cessate il fuoco”. Un cessate il fuoco riguarda due eserciti, mentre in Medio Oriente si confrontano un esercito, quello di Israele, e un’organizzazione terroristica che non si vuole riconoscere in alcun modo. Meglio cercare una tregua umanitaria, come chiesto da 46 europarlamentari nella lettera inviata ai leader riuniti a Bruxelles.
    Il ministro degli Esteri al pre-vertice del Ppe rilancia la soluzione a due Stati. “Hamas va sconfitta militarmente e politicamente, nostro interlocutore è ANP”

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    L’inconsistenza dell’Unione europea in Medio Oriente e quella difficoltà a condannare l’assedio di Gaza

    Bruxelles – Sono passati ormai sei giorni dall’attacco terroristico senza precedenti sferrato da Hamas a Israele la mattina di sabato 7 ottobre e le ostilità continuano a crescere. Sarebbero già 1.200 le vittime israeliane, oltre 1.400 i morti a Gaza, in cui secondo le stime delle Nazioni Unite i raid di ritorsione di Tel Aviv avrebbero già causato 339 mila sfollati. Da entrambe le parti, chi sta pagando il prezzo più alto è la popolazione civile. L’Unione europea si è immediatamente schierata a fianco dell’amico e partner israeliano, “l’unica democrazia del Medio oriente”, e contro la barbarie del gruppo terrorista islamico. Ma è difficile non rilevare diverse criticità nell’atteggiamento che Bruxelles ha assunto di fronte al riaccendersi del conflitto israelo-palestinese.Prima di tutto, come ha sottolineato il diplomatico francese ed ex segretario generale del Servizio europeo d’azione esterna (Eeas), Pierre Vimont, la diplomazia europea “negli ultimi anni sta progressivamente scomparendo dalla geopolitica della regione”. Il lungo elenco di richiami ad Israele a porre fine alla politica degli insediamenti illegali e di appelli alla de-escalation a entrambe le parti è rimasto inascoltato. “Oggi, l’Europa è troppo emarginata nella regione per sperare di far sentire la propria voce nel contesto dello scontro in corso”, prosegue Vimont nel suo editoriale per Carnegie Europe. E infatti per ora nessuna iniziativa è stata lanciata dai 27, la cui linea comune sul conflitto può essere riassunta con la frase “Israele ha il diritto di difendersi”.Pierre Vimont (Photo by NICHOLAS KAMM / AFP)Un principio sacrosanto, ma che d’altra parte palesa la mancanza di volontà e di autorità per mediare tra le parti. Se a questo si somma la confusione manifestatasi negli ultimi due giorni in seguito all’annuncio del commissario europeo, Olivér Várhelyi, di una sospensione totale di ogni assistenza Ue al popolo palestinese, senza distinzione tra Striscia di Gaza e Cisgiordania, seguita da una forte opposizione da parte di diversi Stati membri , “è una chiara indicazione delle profonde divisioni all’interno dell’Unione”, scrive ancora l’esperto diplomatico francese.Se la polemica sui fondi europei per la popolazione palestinese sembra essere rientrata – con non poco imbarazzo -, con la Commissione europea che ha smentito Várhelyi e ha annunciato una revisione dell’assistenza a causa del rischio che le risorse Ue possano direttamente o indirettamente armare Hamas, a Bruxelles non sembrano aver ancora trovato una formula comune per condannare le atrocità sui civili palestinesi che sta compiendo Tel Aviv a Gaza. L’Ue ha denunciato con sdegno e determinazione il massacro di “neonati, bambini, donne e uomini innocenti” da parte dei terroristi di Hamas, ma pochissimo ha detto contro l’assedio totale all’enclave palestinese ordinato dal governo Netanyahu.O meglio, la differenza sta nella coralità dell’appello: ci ha provato Borrell, che dopo la riunione d’urgenza con i 27 ministri degli Esteri a Muscat, in Oman, ha dichiarato che “Israele ha il diritto di difendersi, ma deve essere fatto in conformità con il diritto internazionale, il diritto umanitario e alcune decisioni sono contrarie al diritto internazionale”. Perché tagliare l’acqua, l’elettricità, il cibo, l’assistenza medica a una popolazione intera è una violazione del diritto internazionale. Anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha rilanciato su X (ex Twitter) un messaggio del Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, secondo cui “i beni di prima necessità devono raggiungere Gaza”.Charles Michel, Roberta Metsola, Ursula von der Leyen e l’ambasciatore israeliano a Bruxelles, Haim Regev, commemorano le vittime di Hamas (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Ma la posizione presa dalle Nazioni Unite non sembra essere condivisa – quanto meno nei discorsi ufficiali – dalla presidente della Commissione europea. La stessa von der Leyen che un anno fa, davanti all’Eurocamera, dichiarava che “gli attacchi della Russia contro le infrastrutture civili sono crimini di guerra” e che “tagliare l’acqua, l’elettricità e il riscaldamento a uomini, donne e bambini sono atti di puro terrore”. A riascoltare queste parole, il silenzio di von der Leyen sull’assedio di Gaza è ancora più assordante. Lo stesso che ha portato Roberta Metsola, leader del Parlamento europeo, a indire un sacrosanto momento di raccoglimento per le vittime israeliane del terrorismo di Hamas, ma senza concedere alcun cenno alle vittime civili palestinesi.Legittimare la risposta massiva dell’esercito israeliano su una popolazione di 2 milioni e mezzo di persone, che dal 2007 vivono in una prigione a cielo aperto in una condizione di dipendenza pressoché totale dagli aiuti internazionali, potrà solamente alimentare un inasprimento delle tensioni in Medio Oriente. “Per il momento, qualsiasi mediazione – se ce n’è la possibilità – tra le parti in conflitto nella Striscia di Gaza proverrà dai Paesi della regione”, sostiene Pierre Vimont. Non da Bruxelles.
    Secondo l’ex segretario generale del Seae, Pierre Vimont, la diplomazia Ue è “progressivamente scomparsa dalla geopolitica della regione”. I 27 hanno condannato duramente il terrorismo di Hamas e difeso il diritto di Israele a difendersi, ma per ora non hanno profuso nessuno sforzo di mediazione. E non richiamare Tel Aviv sull’assedio a Gaza è un errore

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    Israele, l’Ue chiede un’indagine trasparente sulla morte del leader palestinese Khader Adnan

    Bruxelles – Fa discutere nell’Ue la morte in un carcere israeliano di Khader Adnan, figura di riferimento del Jihad Islamico Palestinese, dopo 86 giorni di sciopero della fame. Una morte sopraggiunta a seguito del recente deterioramento delle sue condizioni di salute denunciato dalla moglie e da diverse Ong locali e la determinazione con cui Adnan portava avanti il suo quinto sciopero della fame alla decima detenzione nelle prigioni di Israele.
    A poco sono serviti gli appelli della comunità internazionale, tra cui quelli dell’Unione Europea, che secondo quanto riferito dal portavoce del Servizio d’Azione Esterna dell’Ue (Seae), Peter Stano, avrebbe nei giorni scorsi “chiesto conto delle condizioni di salute” del prigioniero palestinese al ministro della Sanità di Tel Aviv, Yoav Ben-Tzur. A poche ore dalla morte, avvenuta nelle prime ore di questa mattina (2 maggio), Bruxelles interviene nuovamente chiedendo che venga aperta “un’indagine trasparente sulla sua morte e sulle circostanze che l’hanno causata”. Una richiesta che il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, potrebbe avanzare al ministro della Difesa israeliano, Eli Cohen, in visita proprio oggi nella capitale europea.
    Gli scioperi della fame di Adnan contro la detenzione amministrativa in Israele
    Khader Adnan aveva 45 anni ed era indicato da tempo come uno dei maggiori dirigenti del Jihad Islamico, formazione politica e militare che è ritenuta da Israele – ma anche da Stati Uniti e Unione Europea- un’organizzazione terroristica. Per la decima volta, lo scorso febbraio, era stato sottoposto a detenzione amministrativa, che permette alle autorità israeliane di imprigionare persone accusate di terrorismo o reati simili senza processo praticamente all’infinito, con rinnovi ogni sei mesi.
    Khader Adnan durante i 54 giorni di sciopero della fame nel 2014 (Photo by AHMAD GHARABLI / AFP)
    Il suo primo sciopero della fame risale al 2004, a cui negli anni ne sono seguiti altri quattro: nel 2012, nel 2014, nel 2021, fino all’ultimo che ne ha causato la morte.
    Già nel corso dei 54 giorni di sciopero del 2012, l’allora Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Catherine Ashton, aveva chiesto al governo di Israele “di fare tutto il possibile per preservare la salute di Adnan” e aveva ribadito “la preoccupazione di lunga data dell’Ue per l’ampio ricorso alla detenzione amministrativa senza accusa formale”. Secondo l’ong palestinese Addameer, che si occupa della tutela dei diritti dei detenuti politici in Israele, sarebbero però ancora quasi mille attualmente i prigionieri sottoposti a questa forma speciale di custodia cautelare.
    Il trattamento riservato ai prigionieri politici è uno dei motivi che avevano spinto Adnan a iniziare lo sciopero della fame e a rifiutare aiuti medici esterni e le visite dei medici della prigione. Come riportato da Afp, secondo la moglie le autorità israeliane hanno rifiutato  il trasferimento del detenuto dalla clinica della prigione di Nitzan in un ospedale civile, nonostante il grave peggioramento delle condizioni di salute.
    Alla notizia della sua morte, in mattinata dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati tre razzi sul territorio israeliano, che non avrebbero provocato danni né causato vittime. Il gruppo fondamentalista di Hamas ha immediatamente fatto sapere che “il popolo palestinese non lascerà che questo crimine passi sotto silenzio, e risponderà adeguatamente”, mentre il Jihad Islamico ha dichiarato in un comunicato che “la sua morte sarà una lezione per generazioni, e non ci fermeremo finché la Palestina rimarrà sotto occupazione”.
    L’Unione Europea ha definito “inaccettabili gli inviti alle rappresaglie” da parte dei gruppi armati palestinesi e il portavoce Peter Stano ha espresso parole di condanna per il lancio di razzi su Israele, lanciando l’ennesimo appello a entrambe le parti a evitare azioni unilaterali che portino a ulteriori escalation, dopo mesi di tensioni fortissime nella regione.

    Il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna ha dichiarato di aver chiesto conto al ministro della Sanità israeliana delle condizioni di salute di Khader Adnan nei giorni scorsi. Il dirigente del Jihad Islamico Palestinese è morto alle prime luci dell’alba dopo 86 giorni di sciopero della fame