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    È stato inaugurato in Polonia il nuovo hub rescEu per l’assistenza energetica d’emergenza all’Ucraina

    Bruxelles – Poco più di un mese per allestire un hub energetico a sostegno dell’Ucraina, per fronteggiare i sempre più ricorrenti attacchi russi alle infrastrutture civili nel Paese. Il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha inaugurato ufficialmente questa mattina (26 gennaio) il nuovo hub rescEu in Polonia, “un centro logistico per la fornitura di assistenza energetica di emergenza all’Ucraina”, che permetterà a tutti i partner internazionali di Kiev, pubblici e privati, di mettere a disposizione del Paese sotto attacco strumenti per garantire i mezzi di sopravvivenza della popolazione civile.

    Today I am in Poland to meet the 🇵🇱 PM @MorawieckiM and inaugurate the new #rescEU hub in Poland, a logistical centre for delivering emergency energy assistance to 🇺🇦. This new EU hub will also allow the international partners and private sector to channel their donations to 🇺🇦. https://t.co/5O30y9QU9m
    — Janez Lenarčič (@JanezLenarcic) January 26, 2023

    “La Polonia è in prima linea nei progetti attivi attuati nell’ambito dello strumento di protezione civile dell’Ue rescEU”, è quanto sottolinea il portavoce del governo polacco, Piotr Müller. Oltre all’hub energetico inaugurato oggi, Varsavia sta realizzando “un progetto di donazione di energia raccogliendo attrezzature e generatori di corrente che saranno trasferiti in Ucraina”, un’iniziativa “particolarmente importante quando l’invasore russo prende di mira le infrastrutture critiche del Paese e le interruzioni di corrente in Ucraina sono regolari”. All’inaugurazione dell’hub energetico il commissario Lenarčič ha voluto sottolineare che “sin dal primo giorno di guerra abbiamo lavorato fianco a fianco con le autorità polacche per garantire una consegna rapida e organizzata di aiuti salvavita da tutta Europa all’Ucraina” e ora, attraverso l’hub energetico, “partner internazionali e settore privato potranno incanalare le loro donazioni all’Ucraina” in modo più rapido.
    Il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič (26 gennaio 2023)
    Nell’hub energetico strategico saranno convogliati generatori di emergenza, per cui Bruxelles ha stanziato 114 milioni di Europa per l’acquisto da parte di Varsavia: da quelli di piccole dimensioni per alimentare singole abitazioni, a quelli più grandi adatti a mantenere in funzione gli edifici pubblici e i servizi essenziali. Saranno immediatamente consegnati a Kiev mille nuovi generatori provenienti dalla riserva rescEu in Polonia, che si aggiungono agli oltre 800 già inviati in tutto il Paese dall’inizio dell’invasione russa (gli ultimi 40 sono stati convogliati a 30 ospedali nelle regioni di Donetsk, Zaporizhzhia, Mykolaiv e Kherson). Attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue sono stati inviati anche 100 generatori di piccola e media potenza dalla Francia, 19 dalla Slovacchia, 23 dalla Germania, 52 trasformatori dalla Lituania e 4 sistemi di alimentazione di emergenza dalla Polonia.
    L’hub energetico e il supporto Ue all’Ucraina
    A dimostrazione dell’importanza dell’hub energetico e del sostegno su questo fronte da parte dell’Unione Europea, lo scorso 9 gennaio il vicepresidente della Commissione Ue per il Green Deal, Frans Timmermans, ha incontrato a Kiev il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro, Denys Shmyhal, per un confronto sui bisogni immediati di fronte agli attacchi intensificati della Russia contro le infrastrutture critiche del Paese e sulle potenzialità di azioni coordinate per ridurre l’influenza di Mosca nel settore energetico dell’Ue.
    L’incontro tra il vicepresidente della Commissione Europea per il Green Deal, Frans Timmermans, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 gennaio 2023)
    Lo stesso tema sarà portato sul tavolo del vertice Ue-Ucraina in programma il 3 febbraio a Kiev, come confermato al termine della conversazione telefonica tra il presidente Zelensky e la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, del 2 gennaio. Sul piano del sostegno immediato entro la fine del mese arriverà il primo lotto di 15 milioni di lampade a Led finanziate dall’Ue. Un primo passo dell’impegno a sborsare 30 milioni di euro per l’acquisto di 30 milioni di lampade al led, “che sono oggi vitali per portare luce all’Ucraina” aveva spiegato la stessa presidente von der Leyen alla conferenza internazionale di solidarietà di Parigi lo scorso 13 dicembre: “Si potrà così risparmiare un gigawatt di elettricità, che è equivalente alla produzione annuale di una centrale nucleare”.

    Il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha dato il via alle operazioni ufficiali del centro logistico per il trasferimento di aiuti rapidi in caso di attacco alle infrastrutture energetiche da parte dell’esercito russo. Servirà anche convogliare donazioni private e internazionali a Kiev

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    I premier di Slovenia, Polonia e Repubblica Ceca in visita a Kiev con il benestare dei leader UE

    Bruxelles – Si iniziano a muovere i leader dell’Unione Europea per spingere il canale diplomatico nella risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina. Anche sfidando le bombe di una Kiev sempre più sotto assedio. I primi ministri di Slovenia, Janez Janša, Polonia, Mateusz Morawiecki, e Repubblica Ceca, Petr Fiala, hanno iniziato oggi (martedì 15 marzo) la propria visita nella capitale ucraina per incontrare il presidente, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro, Denys Šmihal’.
    La visita in Ucraina è stata organizzata in consultazione con il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e della Commissione, Ursula von der Leyen, a margine del vertice informale di Versailles della scorsa settimana e la comunicazione è stata finalizzata ieri sera. I tre leader hanno qualificato la loro presenza a Kiev come “rappresentanti del Consiglio Europeo”, con l’obiettivo sia di “confermare il sostegno inequivocabile di tutta l’Unione Europea alla sovranità e all’indipendenza dell’Ucraina”, sia di “presentare un ampio pacchetto di sostegno del popolo ucraino”.
    Fonti del Consiglio precisano però che “non c’è un mandato dei leader UE, perché nessuna conclusione è stata formalmente adottata dai 27 Stati membri” a Versailles, a proposito di una visita in Ucraina. In ogni caso è stato ribadito il “pieno sostegno” all’iniziativa da parte dei presidenti di Commissione e Consiglio, che hanno sottolineato i “rischi per la sicurezza di un tale viaggio”. Questo potrebbe essere il motivo principale per cui i due leader non si sono ancora esposti su un possibile viaggio in Ucraina per portare un messaggio di sostegno concreto al presidente Zelensky, anche se le fonti non si sono esposte sulla spiegazione.
    Il portavoce dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, ha voluto però tenere la porta aperta: “Al momento non abbiamo commenti su una visita della presidente von der Leyen, siamo coscienti dei rischi in un Paese dove è in atto una brutale aggressione“. Durante il punto quotidiano con la stampa di Bruxelles, Mamer ha ricordato che “nonostante supportiamo tutti i contatti con Zelensky, la Commissione non può decidere quali canali gli Stati membri devono usare”, rimbalzando al Consiglio la responsabilità di decidere una futura azione collettiva dei Ventisette nel Paese sotto assedio russo.

    Today, we are going together with PM of Poland Mateusz Morawiecki, deputy PM Jarosław Kaczyński and PM of Slovenia Janez Janša to Kiev as representatives of the European Council to meet with president Zelensky and PM Shmyhal.https://t.co/Q52Ur8hybu
    — Petr Fiala (@P_Fiala) March 15, 2022

    I primi ministri Janša, Morawiecki e Fiala sono partiti per portare il sostegno al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, nella Kiev assediata: “Pieno sostegno dal Consiglio UE, ma non c’è nessun mandato dei Ventisette”

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    Quattro migranti sono morti assiderati sul confine tra Polonia e Bielorussia

    Bruxelles – Sono i primi decessi ufficiali lungo la rotta bielorussa. Con la stagione fredda che è ancora alle porte, quattro migranti sono morti assiderati sul confine tra Polonia e Bielorussia negli ultimi tre giorni. La notizia è stata confermata dalle autorità di Varsavia, le uniche ad avere accesso alla frontiera da quando è stato introdotto lo stato di emergenza lo scorso 2 settembre. Da allora, giornalisti e attivisti per i diritti umani non possono soggiornare, registrare e ottenere informazioni sulle attività svolte in una striscia di terra larga tre chilometri lungo il confine orientale del Paese.
    In una conferenza stampa tenuta dal primo ministro, Mateusz Morawiecki, e dal ministro degli Interni, Mariusz Kamiński, il governo polacco ha reso noto di aver trovato tre persone prive di vita in luoghi diversi sul lato polacco del confine, mentre altre due sono in cura in un ospedale nei pressi del villaggio di Dworczysko, affette da ipotermia. Il quarto corpo è stato invece ritrovato sul lato bielorusso: si tratta di una donna irachena, precedentemente respinta dalle autorità polacche in Bielorussia mentre cercava di attraversare la frontiera con la sua famiglia.
    In particolare la morte della donna solleva sempre più preoccupazioni sui pushback operati dalle guardie di frontiera polacche (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea). Da episodi sporadici potrebbero essere diventate azioni sistematiche, nel quadro di una politica di contrasto alla “guerra ibrida” del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko. Il 17 settembre, il Sejm (la camera bassa del Parlamento polacco) ha adottato un disegno di legge che autorizza i respingimenti: nonostante il progetto legislativo debba ancora essere adottato dal Senato e firmato dal presidente della Repubblica, Andrzej Duda, si tratte di una palese violazione del diritto internazionale.
    Ma il governo di Varsavia sembra essere interessato esclusivamente a dare una risposta forte a Minsk. Il premier polacco ha accusato il regime bielorusso di aver agevolato quasi 4 mila tentativi di attraversamento illegale del confine solo nei primi 20 giorni di settembre – che salgono a 7 mila considerando anche il mese di agosto – come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles.
    Dopo la notizia dei quattro migranti morti ritrovati sul confine tra Polonia e Bielorussia, a rincarare la dose contro Lukashenko è stato il portavoce del ministero degli Esteri, Stanisław Żaryn. In una dichiarazione scritta ha denunciato il “tentativo di usare una rotta migratoria artificiale per destabilizzare prima il confine bielorusso-lituano e ora quello bielorusso-polacco”. Da Varsavia arriva l’allarme di una crisi per i mesi che arriveranno: “Sono almeno 10 mila i migranti portati in Bielorussia da Lukashenko, che sta cercando nuove direzioni per inviarli nell’Unione Europea”, ha aggiunto Żaryn.

    Si tratta dei primi decessi lungo la rotta bielorussa confermati dalle autorità di un Paese membro UE. Varsavia punta il dito contro Minsk, ma preoccupano i respingimenti illegali che potrebbero essere autorizzati da un disegno di legge polacco

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    Migranti, Polonia dichiara stato di emergenza sul confine bielorusso. Vietato l’accesso ad attivisti e giornalisti

    Bruxelles – Con lo stato di emergenza dichiarato di ieri (2 settembre) dal presidente polacco, Andrzej Duda, si apre un nuovo capitolo della controversa vicenda della rotta bielorussa. Per i prossimi 30 giorni sarà vietato l’accesso ai non autorizzati a una striscia di terra larga tre chilometri lungo il confine orientale con la Bielorussia. Il decreto è già in vigore e, nonostante possa ancora essere impugnato dal Parlamento di Varsavia, non dovrebbe incontrare grossi ostacoli nella votazione di lunedì prossimo (6 settembre) per il via libera del Sejm, la Camera bassa.
    La decisione è senza precedenti nella storia post-comunista della Polonia ed è stata presa “in relazione a una particolare minaccia alla sicurezza dei cittadini e all’ordine pubblico, legata all’attuale situazione al confine di Stato della Polonia con la Bielorussia”, si legge nella dichiarazione ufficiale dell’ufficio del presidente della Repubblica. Si tratta del flusso migratorio irregolare di migliaia di persone verso l’Unione Europea, agevolato dal presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles.
    Secondo le guardie di frontiera polacche, dall’inizio dell’anno sono stati registrati 3 mila tentativi di attraversare il confine in modo irregolare, in particolare dopo l’inizio della costruzione del muro tra Lituania e Bielorussia e i primi respingimenti operati dalle autorità di frontiera lituane. In tutto il 2020 le persone migranti fermate al confine polacco sono state 122. Per rispondere a questa crisi migratoria, Varsavia ha emulato il vicino baltico e ha iniziato la costruzione di una barriera lungo i 399 chilometri di confine.
    Operazioni di allestimento della recinzione di filo spinato sul confine tra Polonia e Bielorussia
    Con lo stato di emergenza lo scenario però cambia e mette in allarme i difensori dei diritti umani. Non è previsto solo il divieto di “soggiornare in luoghi, strutture e aree designati in orari specifici”, ma anche di “registrare con mezzi tecnici l’aspetto o altre caratteristiche di determinati luoghi, oggetti o aree”. Se non bastasse, sarà imposta la “limitazione dell’accesso alle informazioni pubbliche sulle attività svolte nell’area coperta dallo stato di emergenza”, ovvero una fascia larga tre chilometri dal confine. In questo modo, gli attivisti saranno impossibilitati a portare cibo e primo soccorso alle persone migranti, mentre ai giornalisti sarà negato il diritto di cronaca e di indagine sulla situazione alla frontiera. C’è allarme tra gli addetti ai lavori sugli episodi di pushback, i respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea.
    Il portavoce presidenziale, Błażej Spychalski, ha riferito che la situazione al confine è “difficile e pericolosa” e Varsavia, “essendo responsabile non solo dei confini nazionali, ma anche di quelli dell’Unione Europea”, deve prendere misure “per garantire la sicurezza della Polonia e dell’intera Unione“. Tuttavia, attivisti e parlamentari polacchi dell’opposizione al governo di Mateusz Morawiecki hanno riportato casi di respingimenti illegali alla frontiera per tutto il mese di agosto: ultimi in ordine cronologico i 30 migranti dall’Afghanistan bloccati nei pressi del villaggio di Usnarz Gorny.
    Lo stato di emergenza è stato già disposto anche nelle zone di confine con la Bielorussia in Lituania (il 7 luglio) e in Lettonia (dall’11 agosto al 10 novembre). Il governo lettone ha vietato di presentare domande per lo status di rifugiato nelle regioni dove è in vigore il decreto e tutti i migranti sono stati respinti in Bielorussia prima di poter fare richiesta per la protezione internazionale. Vilnius ha invece rigettato tutte le richieste di asilo ricevute dal primo agosto e ha adottato una strategia di respingimento sistematico: larga parte dell’opinione pubblica lituana sta avallando queste misure contrarie al diritto internazionale.

    Con l’entrata in vigore del decreto (che dovrà essere approvato dal Parlamento) per i prossimi 30 giorni è disposto il divieto di riprese e la limitazione alle informazioni in una striscia di terra larga tre chilometri lungo la frontiera. Preoccupano i respingimenti illegali operati dalla guardia di frontiera

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    Migranti, la soluzione di Polonia e Paesi baltici per fermare la rotta bielorussa è innalzare muri e sanzionare Minsk

    Bruxelles – Si sta trasformando sempre più in una polveriera il confine dell’Unione Europea con la Bielorussia. Lituania e Polonia sono sul piede di una guerra diplomatica con il regime di Alexander Lukashenko a causa di quello che dai funzionari europei viene definito un “attacco ibrido”. Il presidente bielorusso da mesi agevola il flusso irregolare di migliaia di persone migranti verso l’Unione Europea, come ritorsione alle sanzioni economiche imposte da Bruxelles.
    Dopo la pubblicazione dei dati sul flusso di immigrazione irregolare da parte del dipartimento di Statistica del governo lituano, il ministro degli Esteri, Gabrielius Landsbergis, ha fatto sapere ieri (24 agosto) durante una conferenza stampa che Vilnius ha proposto all’Unione Europea di imporre sanzioni ai bielorussi che stanno aiutando i migranti ad attraversare la frontiera. Il ministro lituano ha presentato al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) una lista di cittadini e aziende bielorusse “coinvolte nei flussi migratori illegali”.
    Il valico di frontiera di Padvaronys, tra Lituania e Bielorussia
    Dal primo gennaio a oggi (25 agosto) le statistiche ufficiali del governo riportano 4.140 tentativi di attraversamento illegale della frontiera lituana dal territorio bielorusso. A inizio luglio erano 672, in tutto lo scorso anno 81 (tra il 2017 e il 2020 complessivamente 303). Nel solo mese di luglio l’entità del flusso migratorio è aumentata esponenzialmente, oltre sei volte quella registrata nei primi sei mesi dell’anno.
    “Dobbiamo mandare un segnale molto chiaro non solo alla Bielorussia, ma anche a qualsiasi dittatore che decida di usare un tale strumento contro l’Unione Europea o uno dei suoi Stati”, ha minacciato Landsbergis. Ma le sanzioni sono solo l’ultimo tra gli strumenti proposti dal governo di Vilnius. Il 9 luglio la Lituania ha annunciato la costruzione di una barriera di filo spinato di 550 chilometri – sui 678 totali – di confine con la Bielorussia, che prevede di completare entro settembre del prossimo anno. Rispetto alle previsioni di spesa (41 milioni di euro), il costo stimato è lievitato e si attesta ora a 152 milioni di euro. Estonia, Slovenia e Danimarca hanno già aiutato la Lituania, inviando materiale per la costruzione della prima barriera di filo spinato.
    Muri, sanzioni e finanziamenti
    Costruire muri per proteggere le frontiere esterne dell’UE costa e, come la Lituania, anche gli altri Paesi membri della regione sono alla ricerca di sostegno economico per intraprendere lo stesso tipo di operazioni. In primis la Polonia, da dove è arrivata la notizia che sarà costruita una recinzione simile a quella lituana lungo i 399 chilometri di confine con la Bielorussia. Ad annunciarlo è stato il ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak, su Twitter: si tratterà di una recinzione di 2,5 metri di altezza, mentre “più soldati saranno coinvolti per aiutare la guardia di frontiera”.
    Nel frattempo il premier Mateusz Morawiecki ha accusato Lukashenko di “cercare sistematicamente e in modo organizzato di destabilizzare la situazione politica” in Polonia. Morawiecki ha riferito di essere a conoscenza di “pubblicità che incoraggiano gli iracheni a viaggiare in Bielorussia” e di lì sarebbero poi “scortati al confine e costretti da ufficiali bielorussi ad attraversare la frontiera“.
    Il governo polacco è stato però criticato da diverse organizzazioni per i diritti umani per essersi reso responsabile di episodi di pushback (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea), come nel caso di un gruppo di migranti nei pressi del villaggio di Usnarz Gorny. “Questi non sono rifugiati, sono migranti economici portati dal governo bielorusso“, ha risposto in modo inquietante ai giornalisti il viceministro degli Esteri, Marcin Przydacz, giustificando implicitamente possibili azioni illegali da parte della guardia di frontiera polacca.

    Na granicy z Białorusią powstanie nowy, solidny płot o wysokości 2,5 m. Więcej żołnierzy będzie zaangażowanych w pomoc Straży Granicznej. Wkrótce przedstawię szczegóły dotyczące dalszego zaangażowania Sił Zbrojnych RP. pic.twitter.com/uTQ0lKYIb4
    — Mariusz Błaszczak (@mblaszczak) August 23, 2021

    Come la Lituania, anche la Polonia e la Lettonia hanno visto aumentare il numero di attraversamenti illegali, mentre l’Estonia teme ripercussioni sulla stabilità interna e di tutta la regione. Per questo motivo i primi ministri dei quattro Paesi (rispettivamente Ingrida Šimonytė, Mateusz Morawiecki, Arturs Krišjānis Kariņš e Kaja Kallas) hanno firmato una dichiarazione congiunta per portare all’attenzione dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “la questione degli abusi dei migranti sul territorio bielorusso”.
    I quattro premier hanno sollecitato l’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a “prendere misure attive per facilitare la soluzione di questa situazione”, dal momento in cui “la crisi in corso è stata pianificata e sistematicamente organizzata dal regime di Alexander Lukashenko“. Il fatto di “usare gli immigrati per destabilizzare i Paesi vicini costituisce una chiara violazione del diritto internazionale”, da qualificarsi come “attacco ibrido”.
    In quest’ottica all’Unione Europea è stato chiesto di “ripensare l’approccio alla protezione dei nostri confini”. Non si tratterebbe solo di “un’adeguata attenzione politica a livello europeo”, ma soprattutto di “stanziare fondi sufficienti” ai singoli Stati membri, essendo questa una “responsabilità comune” dell’intera Unione. Lituania, Polonia, Lettonia ed Estonia hanno messo nero su bianco che “prenderemo tutte le azioni necessarie, compreso il patrocinio di eventuali nuove misure restrittive da parte dell’UE, per prevenire qualsiasi ulteriore immigrazione illegale orchestrata dallo Stato bielorusso”. Allo stesso tempo, è stata ribadita la volontà di “fornire tutta la protezione necessaria alle persone che entrano nei nostri Paesi alle condizioni previste dal diritto internazionale dei rifugiati”.
    La risposta dell’Unione
    “Non possiamo accettare alcun tentativo da parte di Paesi terzi di incitare alla migrazione illegale”, ha commentato ieri il portavoce per la Giustizia della Commissione UE, Christian Wigand, durante il punto giornaliero con la stampa. “Respingiamo fermamente i tentativi di strumentalizzare le persone per scopi politici”. L’esecutivo comunitario starebbe comunque “monitorando da vicino gli sviluppi al confine per la gestione ordinata delle frontiere e il pieno rispetto dei diritti fondamentali dei migranti”.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, durante la sua visita al valico di frontiera di Padvaronys (2 agosto 2021)
    Una replica attendista, soprattutto in ottica di possibili nuovi pushback alle frontiere dell’Unione Europea (dopo quelli in Ungheria, Croazia e Grecia). Il portavoce dell’esecutivo non si è voluto sbilanciare, richiamandosi piuttosto alle dichiarazioni che hanno seguito la riunione straordinaria dei ministri degli Interni di mercoledì scorso (18 agosto). “Questo comportamento aggressivo è inaccettabile ed equivale a un attacco diretto e mirato a mettere sotto pressione l’Unione“, aveva spiegato alla stampa la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    Ora che si innesta anche la questione di nuovi flussi migratori provenienti da un’Afghanistan destabilizzato, “l’Unione Europea dovrà considerare ulteriormente la sua risposta a queste situazioni, per scoraggiare qualsiasi tentativo di strumentalizzare l’immigrazione illegale“, ha aggiunto la commissaria Johansson. Dalla settimana prossima, quando l’esecutivo UE tornerà a lavorare a pieno regime, si capirà quale sarà la linea che verrà seguita sia a livello di ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, sia sul piano di eventuali finanziamenti europei per l’innalzamento di nuovi muri alle frontiere esterne dell’Unione.

    La Lituania chiede all’UE di imporre sanzioni a chi agevola il flusso irregolare nel Paese, mentre Varsavia annuncia la costruzione di una barriera di confine. Denunciato il regime di Lukashenko in una dichiarazione congiunta con Estonia e Lettonia

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    Polonia, sfida al governo in difesa della legge sull’aborto. Le donne non cedono

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    Polonia, per sopprimere le proteste il premier Morawiecki chiama l’esercito

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