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Migranti, la soluzione di Polonia e Paesi baltici per fermare la rotta bielorussa è innalzare muri e sanzionare Minsk

Bruxelles – Si sta trasformando sempre più in una polveriera il confine dell’Unione Europea con la Bielorussia. Lituania e Polonia sono sul piede di una guerra diplomatica con il regime di Alexander Lukashenko a causa di quello che dai funzionari europei viene definito un “attacco ibrido”. Il presidente bielorusso da mesi agevola il flusso irregolare di migliaia di persone migranti verso l’Unione Europea, come ritorsione alle

Dopo la pubblicazione dei dati sul flusso di immigrazione irregolare da parte del dipartimento di Statistica del governo lituano, il ministro degli Esteri, Gabrielius Landsbergis, ha fatto sapere ieri (24 agosto) durante una conferenza stampa che Vilnius ha proposto all’Unione Europea di imporre sanzioni ai bielorussi che stanno aiutando i migranti ad attraversare la frontiera. Il ministro lituano ha presentato al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) una lista di cittadini e aziende bielorusse “coinvolte nei flussi migratori illegali”.

Il valico di frontiera di Padvaronys, tra Lituania e Bielorussia

Dal primo gennaio a oggi (25 agosto) le statistiche ufficiali del governo riportano 4.140 tentativi di attraversamento illegale della frontiera lituana dal territorio bielorusso. A inizio luglio erano 672, in tutto lo scorso anno 81 (tra il 2017 e il 2020 complessivamente 303). Nel solo mese di luglio l’entità del flusso migratorio è aumentata esponenzialmente, oltre sei volte quella registrata nei primi sei mesi dell’anno.

Dobbiamo mandare un segnale molto chiaro non solo alla Bielorussia, ma anche a qualsiasi dittatore che decida di usare un tale strumento contro l’Unione Europea o uno dei suoi Stati”, ha minacciato Landsbergis. Ma le sanzioni sono solo l’ultimo tra gli strumenti proposti dal governo di Vilnius. Il 9 luglio la Lituania ha annunciato la costruzione di una barriera di filo spinato di 550 chilometri – sui 678 totali – di confine con la Bielorussia, che prevede di completare entro settembre del prossimo anno. Rispetto alle previsioni di spesa (41 milioni di euro), il costo stimato è lievitato e si attesta ora a 152 milioni di euro. Estonia, Slovenia e Danimarca hanno già aiutato la Lituania, inviando materiale per la costruzione della prima barriera di filo spinato.

Muri, sanzioni e finanziamenti

Costruire muri per proteggere le frontiere esterne dell’UE costa e, come la Lituania, anche gli altri Paesi membri della regione sono alla ricerca di sostegno economico per intraprendere lo stesso tipo di operazioni. In primis la Polonia, da dove è arrivata la notizia che sarà costruita una recinzione simile a quella lituana lungo i 399 chilometri di confine con la Bielorussia. Ad annunciarlo è stato il ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak, su Twitter: si tratterà di una recinzione di 2,5 metri di altezza, mentre “più soldati saranno coinvolti per aiutare la guardia di frontiera”.

Nel frattempo il premier Mateusz Morawiecki ha accusato Lukashenko di “cercare sistematicamente e in modo organizzato di destabilizzare la situazione politica” in Polonia. Morawiecki ha riferito di essere a conoscenza di “pubblicità che incoraggiano gli iracheni a viaggiare in Bielorussia” e di lì sarebbero poi “scortati al confine e costretti da ufficiali bielorussi ad attraversare la frontiera“.

Il governo polacco è stato però criticato da diverse organizzazioni per i diritti umani per essersi reso responsabile di episodi di pushback (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea), come nel caso di un gruppo di migranti nei pressi del villaggio di Usnarz Gorny. “Questi non sono rifugiati, sono migranti economici portati dal governo bielorusso“, ha risposto in modo inquietante ai giornalisti il viceministro degli Esteri, Marcin Przydacz, giustificando implicitamente possibili azioni illegali da parte della guardia di frontiera polacca.

Come la Lituania, anche la Polonia e la Lettonia hanno visto aumentare il numero di attraversamenti illegali, mentre l’Estonia teme ripercussioni sulla stabilità interna e di tutta la regione. Per questo motivo i primi ministri dei quattro Paesi (rispettivamente Ingrida Šimonytė, Mateusz Morawiecki, Arturs Krišjānis Kariņš e Kaja Kallas) hanno firmato una dichiarazione congiunta per portare all’attenzione dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “la questione degli abusi dei migranti sul territorio bielorusso”.

I quattro premier hanno sollecitato l’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a “prendere misure attive per facilitare la soluzione di questa situazione”, dal momento in cui “la crisi in corso è stata pianificata e sistematicamente organizzata dal regime di Alexander Lukashenko“. Il fatto di “usare gli immigrati per destabilizzare i Paesi vicini costituisce una chiara violazione del diritto internazionale”, da qualificarsi come “attacco ibrido”.

In quest’ottica all’Unione Europea è stato chiesto di “ripensare l’approccio alla protezione dei nostri confini”. Non si tratterebbe solo di “un’adeguata attenzione politica a livello europeo”, ma soprattutto di “stanziare fondi sufficienti” ai singoli Stati membri, essendo questa una “responsabilità comune” dell’intera Unione. Lituania, Polonia, Lettonia ed Estonia hanno messo nero su bianco che “prenderemo tutte le azioni necessarie, compreso il patrocinio di eventuali nuove misure restrittive da parte dell’UE, per prevenire qualsiasi ulteriore immigrazione illegale orchestrata dallo Stato bielorusso”. Allo stesso tempo, è stata ribadita la volontà di “fornire tutta la protezione necessaria alle persone che entrano nei nostri Paesi alle condizioni previste dal diritto internazionale dei rifugiati”.

La risposta dell’Unione

“Non possiamo accettare alcun tentativo da parte di Paesi terzi di incitare alla migrazione illegale”, ha commentato ieri il portavoce per la Giustizia della Commissione UE, Christian Wigand, durante il punto giornaliero con la stampa. “Respingiamo fermamente i tentativi di strumentalizzare le persone per scopi politici”. L’esecutivo comunitario starebbe comunque “monitorando da vicino gli sviluppi al confine per la gestione ordinata delle frontiere e il pieno rispetto dei diritti fondamentali dei migranti”.

La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, durante la sua visita al valico di frontiera di Padvaronys (2 agosto 2021)

Una replica attendista, soprattutto in ottica di possibili nuovi pushback alle frontiere dell’Unione Europea (dopo quelli in Ungheria, Croazia e Grecia). Il portavoce dell’esecutivo non si è voluto sbilanciare, richiamandosi piuttosto alle dichiarazioni che hanno seguito la riunione straordinaria dei ministri degli Interni di mercoledì scorso (18 agosto). “Questo comportamento aggressivo è inaccettabile ed equivale a un attacco diretto e mirato a mettere sotto pressione l’Unione“, aveva spiegato alla stampa la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.

Ora che si innesta anche la questione di nuovi flussi migratori provenienti da un’Afghanistan destabilizzato, “l’Unione Europea dovrà considerare ulteriormente la sua risposta a queste situazioni, per scoraggiare qualsiasi tentativo di strumentalizzare l’immigrazione illegale“, ha aggiunto la commissaria Johansson. Dalla settimana prossima, quando l’esecutivo UE tornerà a lavorare a pieno regime, si capirà quale sarà la linea che verrà seguita sia a livello di ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, sia sul piano di eventuali finanziamenti europei per l’innalzamento di nuovi muri alle frontiere esterne dell’Unione.

La Lituania chiede all’UE di imporre sanzioni a chi agevola il flusso irregolare nel Paese, mentre Varsavia annuncia la costruzione di una barriera di confine. Denunciato il regime di Lukashenko in una dichiarazione congiunta con Estonia e Lettonia

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