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    Niente più mascherine, protesi e dispositivi medici dalla Cina: l’Ue esclude le imprese di Pechino dagli appalti pubblici

    Bruxelles – Nuovo bisticcio commerciale tra Bruxelles e Pechino: la Commissione europea ha deciso che escluderà le imprese cinesi dagli appalti pubblici dell’Ue per dispositivi medici di valore superiore a 5 milioni di euro. E lo fa come “risposta proporzionata alle barriere imposte dalla Cina”, che secondo l’esecutivo Ue discrimina sistematicamente le aziende europee nelle proprie gare d’appalto.Proprio mentre sono in corso i preparativi per il summit di fine luglio che celebrerà i 50 anni di relazioni diplomatiche tra l’Unione europea e la Cina, i due partner (e competitor e rivali, ndr) aggiungono benzina sul fuoco. Oltre agli attriti sul ruolo di Pechino nella guerra della Russia in Ucraina, c’è ancora da risolvere il nodo dei dazi aggiuntivi che Bruxelles ha imposto dallo scorso novembre alle importazioni di auto elettriche cinesi, in risposta ai sussidi che la Cina fornisce ai suoi produttori di veicoli a batteria.La chiusura dell’Ue a mascherine, protesi, apparecchiature e software per radiografie e diagnosi specialistiche prodotte in Cina fa seguito alle conclusioni di un’approfondita indagine avviata già ad aprile 2024 ai sensi del regolamento Ue per gli appalti internazionali (IPI). La Commissione europea accusa sostanzialmente il gigante asiatico di aver eretto “ostacoli giuridici e amministrativi significativi e ricorrenti al proprio mercato degli appalti”: secondo Bruxelles, l’87 per cento degli appalti pubblici per dispositivi medici in Cina è soggetto a misure e pratiche di esclusione e discriminazione nei confronti dei dispositivi medici fabbricati nell’Ue e dei fornitori dai 27 Paesi membri. Mentre d’altra parte, tra il 2015 e il 2023, le esportazioni cinesi di dispositivi medici verso l’Ue “sono più che raddoppiate”.Dopo aver “sollevato ripetutamente la questione con le autorità cinesi alla ricerca di una soluzione costruttiva ed equa”, l’Ue ha deciso di rispondere con la stessa moneta. Oltre a escludere le imprese cinesi dagli appalti dal valore superiore a 5 milioni di euro, il contenuto cinese delle offerte aggiudicatrici sarà limitato ad un massimo del 50 per cento. La Commissione europea assicura che la rappresaglia non metterà a rischio la disponibilità dei dispositivi necessari ai sistemi sanitari dei Paesi membri, e che in ogni caso “sono previste deroghe nei casi in cui non esistono fornitori alternativi“.Il commissario Ue per il Commercio, Maroš Šefčovič, ha riaffermato “l’impegno nel dialogo con la Cina per risolvere tali questioni”. In una nota, la Commissione precisa che “qualora la Cina offrisse soluzioni concrete, verificabili e soddisfacenti che affrontino efficacemente le preoccupazioni individuate, il quadro IPI consentirebbe la sospensione o la revoca delle misure”. Da Pechino, la risposta a caldo non è stata conciliante: il portavoce del Ministero degli Affari esteri cinese, Guo Jiakun, ha denunciato i “doppi standard” di Bruxelles, che “agisce in nome della concorrenza leale mentre pratica la concorrenza sleale”.

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    Niente più mascherine, protesi e dispositivi medici dalla Cina: l’Ue esclude le imprese di Pechino dagli appalti pubblici

    Bruxelles – Nuovo bisticcio commerciale tra Bruxelles e Pechino: la Commissione europea ha deciso che escluderà le imprese cinesi dagli appalti pubblici dell’Ue per dispositivi medici di valore superiore a 5 milioni di euro. E lo fa come “risposta proporzionata alle barriere imposte dalla Cina”, che secondo l’esecutivo Ue discrimina sistematicamente le aziende europee nelle proprie gare d’appalto.Proprio mentre sono in corso i preparativi per il summit di fine luglio che celebrerà i 50 anni di relazioni diplomatiche tra l’Unione europea e la Cina, i due partner (e competitor e rivali, ndr) aggiungono benzina sul fuoco. Oltre agli attriti sul ruolo di Pechino nella guerra della Russia in Ucraina, c’è ancora da risolvere il nodo dei dazi aggiuntivi che Bruxelles ha imposto dallo scorso novembre alle importazioni di auto elettriche cinesi, in risposta ai sussidi che la Cina fornisce ai suoi produttori di veicoli a batteria.La chiusura dell’Ue a mascherine, protesi, apparecchiature e software per radiografie e diagnosi specialistiche prodotte in Cina fa seguito alle conclusioni di un’approfondita indagine avviata già ad aprile 2024 ai sensi del regolamento Ue per gli appalti internazionali (IPI). La Commissione europea accusa sostanzialmente il gigante asiatico di aver eretto “ostacoli giuridici e amministrativi significativi e ricorrenti al proprio mercato degli appalti”: secondo Bruxelles, l’87 per cento degli appalti pubblici per dispositivi medici in Cina è soggetto a misure e pratiche di esclusione e discriminazione nei confronti dei dispositivi medici fabbricati nell’Ue e dei fornitori dai 27 Paesi membri. Mentre d’altra parte, tra il 2015 e il 2023, le esportazioni cinesi di dispositivi medici verso l’Ue “sono più che raddoppiate”.Dopo aver “sollevato ripetutamente la questione con le autorità cinesi alla ricerca di una soluzione costruttiva ed equa”, l’Ue ha deciso di rispondere con la stessa moneta. Oltre a escludere le imprese cinesi dagli appalti dal valore superiore a 5 milioni di euro, il contenuto cinese delle offerte aggiudicatrici sarà limitato ad un massimo del 50 per cento. La Commissione europea assicura che la rappresaglia non metterà a rischio la disponibilità dei dispositivi necessari ai sistemi sanitari dei Paesi membri, e che in ogni caso “sono previste deroghe nei casi in cui non esistono fornitori alternativi“.Il commissario Ue per il Commercio, Maroš Šefčovič, ha riaffermato “l’impegno nel dialogo con la Cina per risolvere tali questioni”. In una nota, la Commissione precisa che “qualora la Cina offrisse soluzioni concrete, verificabili e soddisfacenti che affrontino efficacemente le preoccupazioni individuate, il quadro IPI consentirebbe la sospensione o la revoca delle misure”. Da Pechino, la risposta a caldo non è stata conciliante: il portavoce del Ministero degli Affari esteri cinese, Guo Jiakun, ha denunciato i “doppi standard” di Bruxelles, che “agisce in nome della concorrenza leale mentre pratica la concorrenza sleale”.

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    Ue-Svizzera, passi avanti per il rinnovo degli accordi su mercato unico e cooperazione

    Bruxelles – Dopo negoziati lunghi quasi un anno, oggi (13 giugno) la Commissione europea ha messo sul tavolo dei Paesi membri un pacchetto di accordi che dovrebbero inquadrare il rapporto tra l’Ue e la Svizzera. Modernizzarlo, rafforzarlo e ampliarne la portata. Dall’accesso al mercato unico, alla cooperazione in materia di salute, sicurezza alimentare ed energetica, l’obiettivo è “liberare tutto il potenziale” delle relazioni tra i due partner “a chiaro vantaggio di entrambe le parti“.Parola di Maros Sefcovic, commissario europeo per il Commercio, che ha guidato le negoziazioni con la Repubblica federale. “L’Unione europea e la Svizzera sono più che semplici vicini: siamo partner economici, alleati geopolitici e ora ribadiamo il nostro impegno comune ad aprire un nuovo capitolo nelle nostre relazioni”, ha esultato Sefcovic. A livello politico, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e la presidente della Confederazione svizzera Viola Amherd avevano concluso i negoziati già a dicembre.Ursula von der Leyen e Viola Amherd, 20/12/25 [Ph European Commission]Il pacchetto ora al vaglio dei Paesi membri – e del Parlamento di Berna – per la ratifica, verte essenzialmente sulla modernizzazione di cinque accordi originariamente firmati nel 1999, che garantiscono alla Svizzera l’accesso al mercato interno dell’Ue nei settori dei trasporti aerei e terrestri, della libera circolazione delle persone, della valutazione della conformità e del commercio di prodotti agricoli.Inoltre, il pacchetto introduce un’intesa per istituire uno spazio comune per la sicurezza alimentare e un accordo in materia di salute, volto a rafforzare le risposte congiunte alle minacce transfrontaliere. Inoltre, quest’ultimo consentirà alla Svizzera di sedere al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e partecipare al sistema di allarme rapido e di reazione. Un nuovo accordo sull’elettricità garantirà invece alla Svizzera l’accesso al mercato elettrico dell’Ue.Berna ha garantito un contributo “regolare ed equo” alla coesione economica e sociale dell’Unione, messo nero su bianco da un accordo finanziario, e beneficerà della partecipazione ai programmi comuni su ricerca e formazione, energia, mobilità, salute e via dicendo. Una serie di disposizioni transitorie consentono già alle entità svizzere di partecipare ai bandi dal primo gennaio 2025. L’accordo finanziario prevede che la Svizzera versi un pagamento annuale di 375 milioni di euro per il periodo compreso tra l’entrata in vigore del pacchetto e il 2036. A ciò si aggiunge un pagamento annuale di circa 140 milioni di euro a partire dalla fine del 2024.Infine, il pacchetto prevede un accordo sulla cooperazione spaziale che consentirà alla Svizzera di partecipare alle attività del programma spaziale dell’Ue, in particolare quelle relative alle componenti Galileo ed EGNOS, tramite l’Agenzia spaziale dell’Ue.

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    Usa e Cina verso una tregua commerciale (che c’era già). L’Ue rimane alla finestra

    Bruxelles – Stati Uniti e Cina avrebbero trovato la quadra per sospendere l’escalation tariffaria che stava portando le due più grandi economie del mondo alla guerra commerciale aperta. Questa, almeno, è la lettura di Donald Trump. In realtà, Washington e Pechino hanno solo fatto enorme fatica per tornare al punto in cui si trovavano un mese fa, mentre non appare vicina una soluzione strutturale e duratura. L’unica cosa certa, per ora, è che l’Europa continua a rimanere alla finestra, nell’attesa che il presidente statunitense cambi idea sui dazi.Fumata bianca da Londra“Il nostro accordo con la Cina è concluso“, ha scritto ieri (11 giugno) Donald Trump sul suo social Truth, specificando che manca ora solo “l’approvazione finale” da parte sua e del presidente cinese Xi Jinping. Parlando alla stampa, il tycoon newyorkese ha successivamente definito come “ottimo” l’accordo raggiunto: “Abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno e ne trarremo grandi vantaggi. Speriamo che anche loro ne traggano beneficio”, ha dichiarato.Non sono stati resi noti molti dettagli dell’intesa preliminare raggiunta tra le squadre negoziali, emerse ieri da una maratona di due giorni a Londra. Per ora si sa solo che Pechino si è impegnata a riprendere le esportazioni verso gli States di magneti e terre rare senza limitazioni, mentre Washington ha fatto retromarcia sulle minacce di sospendere i visti per gli studenti provenienti dalla Repubblica popolare.Sul versante dazi, l’amministrazione a stelle e strisce ha mantenuto una pressione tariffaria complessiva del 55 per cento (rispetto al 145 per cento in vigore precedentemente) sui prodotti cinesi, così composta: 10 per cento di dazi “reciproci” imposti durante il Liberation Day, un ulteriore 20 per cento comminato al Dragone (insieme a Canada e Messico) come punizione per gli sforzi giudicati insufficienti nel contrasto alla diffusione del fentanyl e, infine, il 25 per cento introdotto da Trump durante il suo primo mandato e mai rimosso dal suo successore Joe Biden. Viceversa, i dazi cinesi sulle merci statunitensi si abbasseranno dal 125 al 10 per cento.I lati oscuri dell’accordoSecondo molti osservatori, tuttavia, l’entusiasmo dell’inquilino della Casa Bianca sarebbe eccessivo. Da un lato, le discussioni nella capitale britannica non hanno portato a progressi reali nei negoziati tra Washington e Pechino per evitare uno scontro a tutto campo. Tale eventualità non sarà scongiurata definitivamente finché non verrà stipulato il famigerato “accordo commerciale globale” tra i due colossi economici (Trump vorrebbe siglarlo entro la fine dell’estate).In effetti, i due Paesi si ritrovano ora nella medesima posizione in cui si erano lasciati il mese scorso, quando a Ginevra avevano concordato un compromesso che, di fatto, è tale e quale quello di ieri. Nelle settimane che sono intercorse, le due parti si sono reciprocamente accusate di aver violato i termini pattuiti in quell’occasione, dando il via ad una rapida escalation tariffaria che rischiava di danneggiare pesantemente entrambe.La Repubblica popolare aveva mancato di rimuovere alcune restrizioni sull’export di terre rare e magneti, e gli Usa avevano reagito limitando la vendita di semiconduttori, software, prodotti chimici e minacciando di sospendere i visti per studenti e ricercatori cinesi.Il segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent (sinistra), e il vicepremier cinese He Lifeng a Londra, il 9 giugno 2025 (foto: Li Ying via Afp)Come sottolineato dal viceministro al Commercio di Pechino Li Chenggang, quello concordato nei colloqui di Londra non è niente più che un “accordo quadro” valido “in linea di principio”, che dovrà servire a tradurre in concreto “il consenso raggiunto dai due capi di Stato durante la telefonata del 5 giugno e il consenso raggiunto durante l’incontro di Ginevra“.A sentire il segretario al Commercio Usa, Howard Lutnick, la due giorni londinese – che alcune indiscrezioni giornalistiche hanno descritto come tesa, a riprova del clima di sfiducia tra le rispettive squadre negoziali – ha “messo ordine” rispetto alle priorità delle parti: “Siamo sulla strada giusta”, dice, ma è una strada che rimane in salita. Anche per il titolare del Tesoro, Scott Bessent, il processo per giungere ad un accordo complessivo sarà “molto più lungo“.D’altra parte, notano diversi analisti, Trump avrebbe fatto il passo più lungo della gamba anche da un punto di vista strategico e geopolitico. Sarebbe stato un azzardo alzare così tanto la voce con la Repubblica popolare sia perché, a conti fatti, la Cina ha più alternative rispetto agli Usa se gli scambi tra le due superpotenze dovessero ridursi ulteriormente (o addirittura interrompersi), sia perché la leadership comunista ha uno spazio di manovra sconosciuto a qualunque governo democratico.Il presidente cinese Xi Jinping (foto: Photo by Tingshu Wang via Afp)Battere i pugni sul tavolo e ricattare, innescando una spirale incontrollabile di rappresaglie commerciali, potrebbe non essere il modo più lungimirante per trattare con Pechino, soprattutto per chi – come Washington – tratta da una situazione di sostanziale dipendenza dalle materie prime critiche su cui la Cina detiene virtualmente un monopolio planetario.E senza le quali le industrie a stelle e strisce (quella pesante, quella automobilistica, quella tecnologica e soprattutto quella militare) andrebbero a schiantarsi, con buona pace dei deliri di onnipotenza in salsa Maga. Insomma, Trump potrebbe aver ingaggiato un braccio di ferro che, semplicemente, gli Stati Uniti non sono oggi in grado di vincere.L’Ue rimane al paloAd ogni modo, il presidente Usa ha suggerito oggi (12 giugno) che nelle prossime settimane sentirà i partner commerciali di Washington per negoziare nuovi dazi unilaterali, prima che scadano le sospensioni temporanee concesse ad alcuni Paesi e all’Ue. La data fatidica è il 9 luglio, ma la finestra potrebbe allungarsi anche oltre: è “altamente probabile” che “posticiperemo la data per continuare i negoziati in buona fede“, ha pronosticato Bessent.Per il momento, a Bruxelles, l’esecutivo comunitario non si sbottona. Quelle arrivate da Londra sono “buone notizie per il mondo intero”, sostiene la portavoce Paula Pinho, ma “dobbiamo aspettare per saperne di più, vedere se e come (l’intesa tra Usa e Cina, ndr) avrà effetti sull’Ue”. Le trattative tra la Commissione – rappresentata dal titolare del Commercio Maroš Šefčovič – e la Casa Bianca continuano a porte chiuse, mentre rimangono in vigore i dazi del 50 per cento su acciaio e alluminio made in Europe.Il commissario al Commercio, Maroš Šefčovič, e la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen (foto: Christophe Licoppe/Commissione europea)Verosimilmente, a questo punto, la matassa potrà essere sbrogliata solo da un incontro al massimo livello tra Trump e Ursula von der Leyen. Tutti gli occhi sono puntati sul G7 che si terrà a Kananaskis, in Canada, dal 15 al 17 giugno, ma dal Berlaymont non trapela alcuna conferma su un bilaterale tra i due leader.Che qualche giorno dopo, il 24 e il 25, si incontreranno nuovamente all’Aia in occasione del summit della Nato, durante il quale i membri dell’Alleanza dovrebbero dare il disco verde ai nuovi obiettivi di spesa militare al 5 per cento del Pil. Dopo tutto, si tratta di una richiesta avanzata dallo stesso Trump: e chissà che, se gli europei accetteranno di mettere mano al portafoglio, anche il tycoon non possa ridursi a più miti consigli sulle tariffe che stanno strangolando l’economia del Vecchio continente.

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    Ue e Regno Unito trovano l’intesa post-Brexit su Gibilterra

    Bruxelles – Niente più controlli di terra, cooperazione tra forze di polizia, regole sui visti per chi non è residente in rispetto dell’area Schengen e delle regole di libera circolazione: Spagna e Regno Unito trovano l’intesa su Gibilterra, eliminando così gli ultimi aspetti della Brexit rimasti in sospeso. L’intesa è stata raggiunta in occasione dell’incontro tra le parti a Bruxelles (il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares e il ministro degli Esteri britannico David Lammy, insieme al primo ministro di Gibilterra Fabian Picardo, con la mediazione del commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič).Niente più controlli alle frontiere di terraUno dei punti principali dell’accordo politico riguarda la libera circolazione delle persone e delle merci. C’è l’impegno di garantirlo per la frontiera terrestre, per tutti i flussi in entrata e uscita tra Spagna e Gibilterra. Si stima che ogni giorno circa 15mila persona attraversino la frontiera terrestre ispano-britannica di Gibilterra, tra cui migliaia di transfrontalieri, lavoratori che vivono in Spagna ma che svolgono la professione oltre confine.“Con questo accordo, la barriera scomparirà”, enfatizza il ministro spagnolo Albares. “È l’ultimo muro sull’Europa continentale” che viene rimosso, aggiunge. I controlli si applicheranno al porto e in aeroporto, e saranno doppi: per l’Ue saranno effettuati dalla Spagna, mentre per il Regno Unito, le verifiche saranno condotte dalle autorità di Gibilterra come avviene attualmente. Gibraltar’s economy and way of life was under threat.We have secured a practical solution which safeguards sovereignty, jobs and growth.Working in lockstep with @FabianPicardo we have ensured Gibraltar’s interests – as part of the UK family – are at the heart of this… https://t.co/efngUyhQ2X— David Lammy (@DavidLammy) June 11, 2025Regno Unito, un piede in Schengen e uno nell’unione doganaleL’intesa politica non incide in alcun modo sulla sovranità britannica sulla rocca, punto centrale che per Londra rappresenta un elemento indispensabile per il futuro. Gibilterra è e resta del Regno Unito, ma per i cittadini di Sua Maestà non residenti a Gibilterra che vi arrivano saranno applicate le norme di Schengen: ciò significa che potrebbero essere respinti dagli agenti di polizia di frontiera spagnola, con sede presso il porto e l’aeroporto di Gibilterra, se hanno già trascorso 90 giorni nell’area Schengen su un periodo di 180 giorni. Un elemento, questo, che potrebbe non essere gradito ai conservatori britannici. La presenza e l’autorità della corona spagnola nel porto e nell’aeroporto gibilterriani, britannici, possono essere considerati come una riduzione della sovranità britannica.José Manuel Albares Bueno e Maroš Šefcovic, 11/06/25Inoltre, per quanto riguarda le merci, sul possedimento britannico sulle ‘colonne d’Ercole’ c’è l’intesa per una tassazione indiretta da applicare a Gibilterra, anche sul tabacco, che eviterà distorsioni e contribuirà alla prosperità dell’intera regione. E’ questo un ingresso del territorio britannico nell’unione doganale. Il ministro degli Esteri britannico, Lammy, parla di vittoria: “Abbiamo ottenuto una soluzione pratica che salvaguarda la sovranità, l’occupazione e la crescita”.Per Sefcovic l’intesa scrive “un nuovo capitolo nelle relazioni tra Ue e Regno Unito”. Ora servirà tempo per tradurre tutto questo nei testi giuridici, ma per il commissario europeo quanto deciso “è una pietra miliare davvero storica per l’Unione Europea, inclusa la Spagna, così come per il Regno Unito”.

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    Commercio, trapela ottimismo sui negoziati Usa-Cina. Ma la svolta è ancora lontana

    Bruxelles – Prove di disgelo tra Stati Uniti e Cina, ad un paio di mesi dopo l’avvio della guerra commerciale scatenata da Donald Trump. I negoziatori di Washington e Pechino si stanno incontrando a Londra per il secondo giorno di fila per discutere di terre rare e semiconduttori, centrali per l’economia e le capacità strategiche statunitensi. Ma per quanto il clima sia generalmente positivo, è ancora presto per una svolta decisiva. Nel frattempo, l’Europa subisce i danni collaterali dello scontro tra i due giganti globali.Dopo un primo giorno di colloqui ieri, continuano anche oggi (10 giugno) le trattative tra le delegazioni di Stati Uniti e Cina a Londra. L’obiettivo è disinnescare la guerra dei dazi avviata da Donald Trump, o per lo meno le sue conseguenze più disastrose per le due superpotenze economiche mondiali.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)La squadra negoziale a stelle e strisce comprende il titolare del Tesoro Scott Bessent, il segretario al Commercio Howard Lutnick e il rappresentante del governo Usa per il commercio estero Jamieson Greer. Le controparti cinesi sono il vicepremier He Lifeng, il ministro al Commercio Wang Wentao e il consigliere Li Chenggang. In mattinata, l’inquilino della Casa Bianca ha dichiarato di aver ricevuto “solo buoni resoconti” dai suoi emissari, sostenendo che “stiamo lavorando bene con la Cina, la Cina non è facile“. Ma non ha voluto scoprire del tutto le sue carte: “Vedremo” se rimuovere i controlli sulle esportazioni, ha detto il tycoon.Cosa c’è sul tavoloLe misure restrittive imposte reciprocamente da Washington e Pechino sui propri export sono il fulcro delle discussioni in corso nella capitale britannica, e rappresentano una delle minacce più serie all’intera economia mondiale determinate dall’escalation tariffaria di questi mesi. Nello specifico, il nodo principale riguarda le esportazioni di terre rare, minerali critici e una serie di tecnologie avanzate (soprattutto i semiconduttori) dalla Cina verso gli Usa.Si tratta di materiali cruciali per un’ampia gamma di applicazioni fondamentali, dall’elettronica di consumo come gli smartphone agli F-35 passando per l’energia rinnovabile. Il punto è che la loro catena del valore a livello globale è in massima parte nelle mani di Pechino: anche dove non ha il monopolio dell’estrazione, il Dragone detiene comunque il controllo della lavorazione.Per questo, almeno stando alle indiscrezioni della stampa statunitense, Trump avrebbe autorizzato il team a stelle e strisce a negoziare una potenziale rimozione delle restrizioni sulla vendita di software per la produzione di chip, parti di motore a reazione ed etano. In cambio, gli Usa si aspettano che la Repubblica popolare allenti i controlli sulle terre rare. Tuttavia, al netto dei proclami altisonanti, nessuno si aspetta una svolta decisiva dalle discussioni odierne.ll presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping (foto via Imagoeconomica)La posta in palio nei negoziati, dopo tutto, è pur sempre il primato di uno dei due colossi globali nell’economia del XXI secolo: le tecnologie di cui si discute a Londra sono alla base degli scambi d’informazione, dell’intelligenza artificiale, dell’economia dei big data, dell’hi-tech, ma anche dell’industria pesante, dell’automotive e della difesa.L’incontro londinese, deciso da Trump e dal leader cinese Xi Jinping durante una telefonata la scorsa settimana (la prima da gennaio), dovrebbe servire a rimettere in carreggiata il “consenso” raggiunto a inizio maggio a Ginevra. Lì, i rappresentanti di Washington e Pechino avevano concordato una pausa di 90 giorni sui maxi-dazi reciproci: abbassando quelli statunitensi dal 145 al 30 per cento e quelli cinesi dal 125 al 10 per cento. Ma da allora, entrambe le parti si sono accusate a vicenda di aver violato i termini della tregua: gli Usa criticano la lentezza di Pechino nell’allungare la lista dei minerali critici esenti da restrizioni, venendo a loro volta redarguiti per i controlli sull’export di chip e per le restrizioni sui visti degli studenti cinesi.L’Europa nel mezzoDel resto, nella guerra commerciale tra le due superpotenze si contano anche pesanti danni collaterali. L’Ue è rimasta schiacciata nel mezzo e sta cercando di correre ai ripari da quando, un paio di mesi fa, il presidente statunitense ha annunciato i suoi dazi “reciproci” durante quello che ha ribattezzato Liberation Day. Tra i settori che pagano maggiormente il costo dell’imprevedibilità in cui il tycoon newyorkese ha piombato il commercio globale ci sono quello della difesa – dove Bruxelles sta tentando di darsi un tono tramite il piano ReArm Europe e, nello specifico, il fondo Safe da 150 miliardi – e quello dell’industria automobilistica, già in crisi nera da un paio d’anni.L’esecutivo comunitario sta provando a dialogare tanto con Washington quanto con Pechino. Il titolare del Commercio, Maroš Šefčovič, è possibilista nonostante i nuovi dazi del 50 per cento su acciaio e alluminio imposti dalla Casa Bianca, ma la verità è che non si vede ancora la luce in fondo al tunnel. Come ammesso in mattinata dal portavoce del Berlaymont Olof Gill, i negoziati con gli Usa sono “in corso”, e per il momento non è stato programmato alcun bilaterale tra Trump e Ursula von der Leyen al vertice Nato dell’Aia tra due settimane.Il commissario Ue al Commercio, Maroš Šefčovič (foto: Consiglio europeo)Allo stesso modo non pare prossima a sbloccarsi nemmeno l’impasse con la Repubblica popolare, con cui pure l’Ue ha in calendario un summit di alto livello per il mese prossimo. Šefčovič, che ha incontrato la sua controparte cinese la scorsa settimana a Parigi, ha definito “allarmante” la situazione attuale. Per il portavoce Gill, alla Commissione sono “felici di vedere che il nostro approccio sta dando risultati“.Ma non sembrano esserci grandi risultati di cui gioire, almeno per ora. I negoziati sui veicoli elettrici cinesi, colpiti dalle misure restrittive a dodici stelle, sono tutt’ora in corso. Ed è verosimile che i controlli introdotti da Pechino sulle esportazioni delle materie prime critiche – non solo verso gli Usa, ma anche verso i Ventisette – sia una rappresaglia per le indagini e le restrizioni dell’Ue. Oltre che una mossa deliberata per incrinare ulteriormente l’unità transatlantica, o quello che ne resta.L’Ue sta inoltre guardando altrove per ridurre la propria dipendenza da Pechino, ma non è un risultato che si ottiene dall’oggi al domani. La scorsa settimana, il commissario all’Industria Stéphane Séjourné ha annunciato l’approvazione di 13 nuovi progetti strategici in Paesi terzi nel quadro del Critical raw materials act, secondo il quale nessuno Stato estero dovrebbe fornire all’Ue più del 65 per cento di determinati minerali. Il problema di fondo, però, rimane lo stesso: controllando quasi il 90 per cento del mercato globale, la Cina mantiene saldamente il coltello dalla parte del manico.

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    Von der Leyen chiama Trump, nuova giravolta sui dazi: sospesi fino al 9 luglio

    Bruxelles – Nuovo passo indietro di Donald Trump sui dazi alle merci Ue. Dopo la minaccia, arrivata come un fulmine a ciel sereno, di tariffe del 50 per cento su tutte le importazioni a partire dal primo giugno, ieri (25 maggio) il presidente americano ha ricevuto la telefonata di Ursula von der Leyen. La leader Ue l’avrebbe convinto – il condizionale ormai è d’obbligo – a congelare i dazi reciproci e mantenere aperto il dialogo fino al 9 luglio, riconfermando la proroga di 90 giorni decisa lo scorso 9 aprile.“Una buona telefonata”, l’ha definita von der Leyen. La prima, da quando il tycoon è tornato alla Casa Bianca. “L’Unione europea e gli Stati Uniti intrattengono il rapporto commerciale più stretto e importante al mondo. L’Europa è pronta a far avanzare i colloqui con rapidità e decisione. Per raggiungere un buon accordo avremmo bisogno di tempo fino al 9 luglio“, ha affermato la presidente della Commissione europea in un post su X. Dall’altro capo della cornetta, Trump ha “acconsentito alla proroga” chiesta da von der Leyen. “È stato un privilegio per me farlo. La presidente della Commissione ha affermato che i colloqui inizieranno rapidamente. Grazie per l’attenzione dedicata a questa questione!”, ha scritto sul suo social Truth. In realtà, i Paesi Ue continuano comunque a essere soggetti a tariffe reciproche del 10 per cento su tutto l’export negli Stati Uniti, e a dazi del 25 per cento sull’export di acciaio, alluminio e derivati, auto e componenti.Di buono c’è che per la prima volta Washington e Bruxelles hanno stabilito un confronto diretto al massimo livello sulla questione. “È grazie all’Italia se si è avuto questo rapporto diretto von der Leyen-Trump”, si è affrettato a dire questa mattina il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Nel tentativo di mantenere il ruolo di mediatore abilmente ritagliatosi – e minacciato dal ponte diretto tra i due leader -, Giorgia Meloni starebbe accelerando il lavoro diplomatico per orchestrare un vertice europeo prima del D-Day.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)Ruolo effettivo o presunto di Roma a parte, la telefonata e le dichiarazioni immediatamente successive di Trump e von der Leyen portano una ventata di ottimismo. Lo confermano le borse europee, che oggi si sono svegliate in deciso rialzo, con il Dax di Francoforte al +1,76 per cento, il Cac40 di Parigi al +1,36 per cento e il Ftse Mib di Milano al +1,53 per cento.Ora la palla torna nelle mani di Maroš Šefčovič, il commissario europeo per il commercio, che guida i complessi negoziati con le controparti americane. Finora, il socialista slovacco sta tornando da Washington ogni volta a mani vuote: venerdì scorso (23 maggio), l’ultimo round di negoziati ha portato all’annuncio furioso di Trump – che ha addirittura raddoppiato l’onere delle tariffe sull’import Ue rispetto a quanto previsto nel ‘Liberation Day‘ – accompagnato dal commento: “Le nostre discussioni con loro non stanno andando da nessuna parte!“.Lo stesso Šefčovič aveva dichiarato piccato, dopo i colloqui con il rappresentante commerciale americano Jamieson Greer e il segretario al Commercio Howard Lutnick, che il commercio tra Ue e Stati Uniti “deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce“. Aggiungendo che Bruxelles è “pronta a difendere i nostri interessi”. Il piano B svelato dalla Commissione europea, in caso le trattative naufragassero, prevede contromisure su una lunga lista di prodotti americani, dal valore di 95 miliardi di euro, e una procedura formale contro Washington all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma anche Bruxelles ha un asso nella manica con cui minacciare Trump: lo strumento anti-coercizione, con cui potrebbe tassare pesantemente i profitti delle big tech americane nel vecchio continente. La Commissione europea ha fatto sapere che già oggi pomeriggio Šefčovič avrà un nuovo contatto telefonico con Lutnick.

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    Guerra Russia-Ucraina, niente compensazioni Ue agli agricoltori sui fertilizzanti azotati

    Bruxelles – Guerra russa in Ucraina e sanzioni Ue ai fertilizzanti ‘made in Russia’, la Commissione europea non contempla interventi a sostegno degli agricoltori europei. Il motivo è la possibilità di mercato di reperire alternative ai prodotti che arrivano da est, e non ci sono dunque condizioni né, ancora meno, per dare indennizzi agli operatori del settore primario. A mettere in chiaro le cose è Maros Sefcovic, commissario per il Commercio, nella risposta all’interrogazione parlamentare che arriva dal Ppe.La popolare spagnola Esther Herranz García, vicepresidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, guarda con preoccupazione le ultime sanzioni annunciate contro la Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina, nello specifico per le parte che riguarda dazi alle importazioni di fertilizzanti azotati nell’UE da Russia e Bielorussia. “Di conseguenza, si prevede un aumento del prezzo di tali fertilizzanti, aumentando la pressione sugli agricoltori dell’Ue”, lamenta l’europarlamentare, che non trova però sponde dalla Commissione europea.“Sono disponibili forniture alternative, e i dati di mercato indicano che queste alternative entrano nel mercato dell’UE a livelli di prezzo paragonabili a quelli dei fertilizzanti russi”, replica Sefcovic. Nella sua risposta alle manovre del presidente russo Vladimir Putin, perciò, l’esecutivo comunitario prevede che la misura restrittiva contro i fertilizzanti azotati russi “comporti una sostituzione graduale e ordinata con alternative, compresi quelli di produzione nazionale, a condizioni di mercato analoghe e in volumi e qualità comparabili, senza modificare gli attuali impatti ambientali”. Di conseguenza, la Commissione non prevede la necessità di compensare gli agricoltori dell’Ue o di concedere deroghe ai sensi della direttiva sui nitrati“.La questione dei fertilizzanti russa non è nuova, con la Commissione consapevole della dipendenza da quelli al fosforo che non intende colpire con sanzioni proprio perché più difficili da sostituire con produttori e fornitori alternativi. Viceversa, i fertilizzanti azotati possono essere rimpiazzati e per questo l’Ue li ha messi nel mirino.