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    Le istituzioni Ue dovranno discutere del ritiro delle misure contro il Kosovo dopo le nuove elezioni locali

    Bruxelles – Dopo mesi di misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo scarsamente giustificate dalla Commissione Europea per gli episodi di violenza dello scorso anno nel nord del Paese – mentre sono rimaste lettera morta le sanzioni contro la Serbia, non meno responsabile per gli stessi eventi – ora le istituzioni Ue sono chiamate a prendere seriamente in considerazione la necessità di ritirarle, visto l’impegno di Pristina nel mettere a terra tutti i passi richiesti dal piano per la de-escalation tracciato l’estate scorsa da Bruxelles. “Il Consiglio discuterà le misure dell’Ue sulla base di una relazione dell’alto rappresentante sull’adempimento delle richieste dell’Unione“, ha ricordato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, commentando a Eunews i prossimi passi dopo le elezioni anticipate nei quattro comuni del nord del Kosovo al centro da un anno di una controversia diplomatica che ha scatenato l’ondata di violenza tra maggio e settembre.Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono i quattro comuni in cui sono andate in scena domenica scorsa (21 aprile) le elezioni anticipate per ripetere il voto contestato dell’aprile 2023. Così come richiesto dal Consiglio Affari Generali il 12 dicembre dello scorso anno, il governo di Pristina ha fatto in modo che la componente etnica serba potesse partecipare “attivamente, senza alcuna condizione preliminare”. Tuttavia, proprio come accaduto nella primavera 2023, il maggiore partito serbo-kosovaro Lista Srpska ha deciso di boicottare le elezioni, determinando “una serie di difficoltà, tra cui la costituzione di alcune commissioni elettorali senza alcun membro serbo del Kosovo”, ha ricordato il portavoce Stano, ponendo l’accento sull’accusa di Bruxelles all’indirizzo di Lista Srpska per aver “perso l’opportunità di esercitare il diritto di voto e di eleggere sindaci realmente rappresentativi”. Un risultato che, di nuovo, “non contribuisce a disinnescare le tensioni e a spianare la strada per il ritorno dei serbi nelle istituzioni” del Kosovo, tappa “essenziale per la normalizzazione delle relazioni” all’interno del Paese e con la vicina Serbia (il cui presidente, Aleksandar Vučić, controlla indirettamente Lista Srpska).Allo stesso tempo però le istituzioni Ue devono fare ora i conti con le richieste pressanti da Pristina di ritirare le misure “temporanee e reversibili” imposte a fine giugno dello scorso anno a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione scaturita dopo l’insediamento dei quattro sindaci. Queste misure – che sono attualmente in vigore – prevedono la sospensione del lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione e delle visite bilaterali (fatta eccezione per quelle del dialogo Pristina-Belgrado), il congelamento della programmazione dei fondi per il Kosovo nell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024 (Strumento di assistenza pre-adesione) e delle proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif). Per eliminare queste misure era stata concordata il 12 luglio una tabella di marcia con quattro tappe, che prevedeva anche il ritorno alle urne anticipato nei quattro comuni nel nord del Paese.“Il Kosovo ha dimostrato ancora una volta maturità, organizzazione esemplare e pieno rispetto delle leggi e della Costituzione, offrendo a tutte le comunità, senza distinzioni, l’opportunità di scegliere i propri rappresentanti”, ha rivendicato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, esortando Bruxelles a “revocare immediatamente le misure ingiuste contro il Kosovo” dopo aver “soddisfatto tutte le condizioni richieste dall’Ue”. Sulla stessa linea il primo ministro, Albin Kurti: “Ogni fase del processo necessario per rendere possibile il voto è stata intrapresa dal nostro governo”, ha messo in chiaro in un post su X, ricordando non solo che “anche questo voto è stato boicottato e la soglia minima legale per le dimissioni dei sindaci non è stata quindi raggiunta”, ma soprattutto che “abbiamo rispettato i nostri obblighi“. Al momento il portavoce del Seae non ha saputo ancora fornire indicazioni precise su quando l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, presenterà la relazione ai 27 ministri Ue responsabili per gli Affari europei ma – se sarà prima delle elezioni del 6-9 giugno – si dovrà fare attenzione al Consiglio Affari Generali informale del 29-30 aprile e a quello ordinario del 21 maggio.Le tensioni tra Kosovo e SerbiaÈ da quasi un anno che la relazione tra Serbia e Kosovo è entrata in una delle fasi più difficili e violente dalla dichiarazione (unilaterale) di indipendenza di Pristina da Belgrado nel febbraio 2008. Proprio a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica (gli stessi comuni in cui si sono tenute la scorsa settimana le nuove elezioni) il 26 maggio 2023 sono scoppiate violentissime proteste da parte delle frange estremiste della minoranza serba, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.(credits: Armen Nimani / Afp)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza).Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo. Il tutto mentre procede – e sembra ormai inarrestabile nonostante l’opposizione serba – il processo di adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa, che costituirebbe il primo ingresso del suo Paese balcanico in un’organizzazione internazionale dalla dichiarazione di indipendenza nel 2008.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Una schiacciante maggioranza al Consiglio d’Europa sta sostenendo l’ingresso del Kosovo

    Bruxelles – Una maggioranza schiacciante, che avvicina sempre di più il Kosovo verso l’ingresso nel Consiglio d’Europa. Con 131 voti a favore, 29 contrari e 11 astensioni, l’Assemblea parlamentare dell’organizzazione internazionale con sede a Strasburgo (che non è tra le istituzioni dell’Unione Europea) ha dato il via libera ieri (16 aprile) alla raccomandazione della relatrice greca Dora Bakoyannis che sottolinea come l’adesione di Pristina porterebbe al “rafforzamento degli standard dei diritti umani garantendo l’accesso alla Corte europea dei diritti umani a tutti coloro che sono sotto la giurisdizione del Kosovo”.Un voto che non mette in dubbio l’orientamento dell’Assemblea parlamentare in vista della decisione finale del Comitato dei Ministri (l’organo esecutivo dell’organizzazione composto dai ministri degli Esteri dei 46 Paesi membri) prevista nel mese di maggio, ma che fornisce alcune indicazioni interessanti sull’approccio di diversi Paesi membri anche dell’Unione Europea alla questione dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia e della sua possibile adesione alle organizzazioni internazionali (secondo quanto previsto dall’accordo di Bruxelles del 27 febbraio 2023). Tra i cinque Paesi membri Ue che non riconoscono la sovranità di Pristina, Cipro e Spagna mostrano ancora una dura opposizione (rispettivamente due delegati su due, e otto su nove contrari), Romania e Grecia sono le più aperturiste (due su due, e quattro su cinque a favore), mentre la Slovacchia non ha partecipato al voto. Da rilevare anche il voto contrario di tutti e quattro i membri ungheresi, a dimostrazione del sostegno incondizionato di Budapest a Belgrado (proprio il premier ungherese, Viktor Orbán, è il più stretto alleato del presidente serbo, Aleksandar Vučić, all’interno dell’Unione).“La voce degli europei è stata ascoltata“, ha esultato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, commentando il “nuovo passo avanti” verso il primo ingresso del suo Paese in un’organizzazione internazionale dalla dichiarazione di indipendenza nel 2008. Così come rilevato poche settimane fa in occasione del parere positivo della Commissione per gli affari politici e la democrazia dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, l’adesione del Kosovo come 47esimo Paese membro sarebbe “il culmine di un dialogo che si è sviluppato nell’arco di due decenni“, anche se “non dovrebbe in alcun modo essere vista come la fine di un processo”. Al contrario dovrebbe “catalizzare lo slancio per continuare a fare progressi nel rafforzamento dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto”. Di particolare rilevanza è anche il modo in cui si potrebbe aiutare il Paese balcanico ad “affrontare le sfide e le questioni in sospeso”, in particolare per quanto riguarda l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo (a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative): “Dovrebbe figurare nel futuro esame da parte del Comitato dei Ministri della domanda di adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa, come impegno post-adesione”.La sede del Consiglio d’Europa a StrasburgoA proposito di Kosovo e Serbia, vale la pena ricordare che le massime autorità politiche a Belgrado hanno minacciato che un ingresso del Kosovo nel Consiglio d’Europa potrebbe implicare un’uscita della Serbia. Un ricatto che, ancora una volta, è in violazione del punto 4 dell’accordo di Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi: “La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“. Ma in ogni caso, secondo l’articolo 4 dello Statuto, “ogni Stato europeo che sia ritenuto in grado e disposto ad adempiere alle disposizioni dell’articolo 3 [accettare i principi dello Stato di diritto e del godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ndr] può essere invitato a diventare membro del Consiglio d’Europa dal Comitato dei Ministri”. Tutti i sette delegati serbi si sono opposti alla raccomandazione votata ieri all’Assemblea parlamentare, ma senza più la Federazione Russa – espulsa/uscita dall’organizzazione dopo la decisione del Comitato dei Ministri del 16 marzo 2022 per l’invasione dell’Ucraina – Belgrado ha perso un potente alleato al Consiglio d’Europa per continuare a tenere in stallo la questione dell’adesione di Pristina.Le tensioni tra Kosovo e SerbiaIl primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo è andato in scena il 26 maggio 2023. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    (credits: Armen Nimani / Afp)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    La raccomandazione sul Kosovo nel Consiglio d’Europa torna a esacerbare i rapporti con la Serbia

    Bruxelles – Meno di un mese e il Consiglio d’Europa potrebbe tornare a contare 47 membri. Oppure ancora 46, con una nuova adesione e la seconda defezione in tre anni. Dopo la raccomandazione positiva della Commissione per gli affari politici e la democrazia dell’Assemblea parlamentare a Strasburgo, la sessione plenaria si riunirà il 18 aprile per votare sull’invito al Kosovo a diventare membro del Consiglio d’Europa. L’ultimo passo prima della conta dei voti tra i 46 Paesi membri dell’organizzazione internazionale per i diritti umani, che sta continuando a esacerbare i rapporti con la Serbia (in violazione degli accordi assunti da Belgrado nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’Ue).Dopo il via libera dal Comitato dei Ministri alla richiesta di Pristina di diventare il 47esimo membro del Consiglio d’Europa (presentata il 12 maggio 2022), la relazione a firma della greca Dora Bakoyannis ha accolto con favore “un ampio elenco di impegni presi per iscritto dalle autorità kosovare”, sottolineando che l’adesione “porterebbe al rafforzamento degli standard dei diritti umani garantendo l’accesso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a tutti coloro che sono sotto la giurisdizione del Kosovo”. Anche a seconda dell’esito del voto del 18 aprile, sarà poi il Comitato dei Ministri a pronunciarsi definitivamente a maggio. Non passa inosservato dalle motivazioni della Commissione il deterioramento dell’ultimo anno della situazione di sicurezza nel nord del Paese: “Il rischio di violenza aperta in Kosovo è fin troppo reale“, dal momento in cui dipende dalla “protezione dei diritti della comunità serba, dalla riduzione delle tensioni e dalla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”. Per questo motivo nella relazione compare la richiesta di un “impegno post-adesione” per Pristina di istituire l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative.La relazione è passata ieri (27 marzo) con 31 voti a favore, 4 contrari (due rappresentanti della Serbia, più Montenegro e Bosnia ed Erzegovina) e 1 astensione (Grecia), ma ha comunque evidenziato le “circostanze senza precedenti” della candidatura – dal momento in cui diversi Stati membri del Consiglio d’Europa non riconoscono il Kosovo come Stato sovrano (tra cui Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna tra quelli Ue) – e ha invitato il Comitato dei Ministri a garantire che l’adesione “non pregiudichi le posizioni dei singoli Stati membri in merito alla statualità del Kosovo”. Questo non ha però evitato di scatenare di nuovo le ire di Belgrado, che ha definito “vergognosa e scandalosa” la decisione di Strasburgo secondo le parole del primo ministro ad interim, Ivica Dačić. Nei giorni scorsi sia il presidente serbo, Aleksandar Vučić, sia l’ex-premier e oggi presidente del Parlamento, Ana Brnabić, hanno minacciato che un ingresso del Kosovo nel Consiglio d’Europa potrebbe implicare un’uscita della Serbia. Un ricatto che, ancora una volta, è in violazione del punto 4 dell’accordo di Bruxelles del 27 febbraio 2023 sulla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi: “La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale“.In ogni caso le possibilità per l’adesione di Pristina all’organizzazione internazionale (che non è tra le istituzioni dell’Unione Europea) sono aumentate dopo l’espulsione/uscita della Federazione Russa, arrivata a seguito della decisione del Comitato dei Ministri del 16 marzo 2022 per l’invasione dell’Ucraina. Mosca è uno degli alleati più stretti della Serbia, in particolare sulla controversia diplomatica con il Kosovo indipendente, e anche al Consiglio d’Europa ha contribuito a tenere in stallo la questione dell’adesione di Pristina. Secondo l’articolo 4 dello Statuto, “ogni Stato europeo che sia ritenuto in grado e disposto ad adempiere alle disposizioni dell’articolo 3 [accettare i principi dello Stato di diritto e del godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ndr] può essere invitato a diventare membro del Consiglio d’Europa dal Comitato dei Ministri”.Le tensioni tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    (credits: Armen Nimani / Afp)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’Ue cerca ancora una via d’uscita alla crisi Pristina-Belgrado sull’uso esclusivo dell’euro in Kosovo

    Bruxelles – Quando si avvicina la fine del periodo di transizione per l’utilizzo esclusivo dell’euro in Kosovo per i pagamenti ufficiali, la crisi tra Pristina e Belgrado sull’ennesima questione che ha esacerbato i rapporti non ha ancora trovato una soluzione. L’Unione Europea, attraverso il suo rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sta cercando di spingere per cercare una via d’uscita – dopo aver espresso a inizio anno “preoccupazioni” per l’impatto sulla comunità serba in Kosovo – ma per il momento non sembra esserci alcun passo in avanti da parte dei due governi per rimettere il dialogo sui giusti binari.

    La riunione tra i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo a Bruxelles nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado mediato dal rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák (25 marzo 2024)“Le nostre lunghe discussioni hanno contribuito a chiarire dettagli importanti, la prossima settimana abbiamo concordato di riunirci nuovamente con l’ambizione di trovare una soluzione“, è quanto reso noto ieri (25 marzo) dallo stesso rappresentante speciale Ue al termine della riunione con i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo (rispettivamente Petar Petković e Besnik Bislimi). Lajčák non rinuncia a una visione ottimistica del dialogo Pristina-Belgrado, anche se a un anno dall’accordo di Ohrid c’è molto poco per cui esultare anche per quanto riguarda il confronto sulle “proposte su come procedere per le persone interessate dal Regolamento della Banca centrale del Kosovo sulle operazioni in contanti”.Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro per le transazioni private, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si sono mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Per permettere alla minoranza serba nel nord del Paese di adattarsi alle nuove disposizioni, il governo di Albin Kurti ha definito un periodo di transizione di tre mesi per l’entrata in vigore delle regole, ha offerto conti bancari in euro gratuiti e ha previsto facilitazioni alla Banca Nazionale di Serbia per la conversione dei dinari in euro. Ma da Belgrado l’unica risposta – oltre al non-riconoscimento della sovranità di Pristina – riguarda la necessità di creare l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo, ovvero la comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative (inclusa l’operatività della Banca, della Cassa di risparmio e delle Poste serbe).Un anno di escalation tra Kosovo e SerbiaSono passati dieci mesi da quando il 26 maggio 2023 è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier kosovaro Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Oltre all’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari, il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    A un anno dall’accordo di Ohrid è scarso l’impegno di Kosovo e Serbia per l’implementazione

    Bruxelles – È passato un anno, ma i rapporti tra Kosovo e Serbia non sono migliorati. Al contrario. “È deplorevole che, nonostante gli sforzi profusi dall’Ue e dalla più ampia comunità internazionale, i progressi compiuti dal Kosovo e dalla Serbia nell’attuazione degli obblighi assunti con l’Accordo di Ohrid siano stati finora molto limitati“, è il secco commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sul primo anniversario di quello che – il 18 marzo 2023 – veniva considerato un punto di svolta assolutamente positiva per la regione balcanica e per la risoluzione delle controversie tra Pristina e Belgrado.

    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)Nelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, un anno fa era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Accordo e relativo allegato di attuazione sono diventati così parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue dei due Paesi balcanici, rendendo di fatto vincolante l’implementazione di tutte le misure messe nero su bianco. “L’Ue ha ricordato più volte che l’Accordo è vincolante nella sua interezza ai sensi del diritto internazionale”, ha ricordato Borrell, ribadendo che “la mancata attuazione non solo mette a rischio l’integrazione europea delle parti, ma danneggia anche la loro reputazione di partner credibili e affidabili“.A oggi non si registrano progressi se non su quei tre elementi già menzionati nell’ultima riunione di alto livello a Bruxelles il 14 settembre dello scorso anno nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. “È giunto il momento per il Kosovo e la Serbia di interrompere l’attuale circolo vizioso di crisi e tensioni e di entrare in una nuova era, quella europea“, ha continuato l’affondo l’alto rappresentante Ue, rilanciando il dialogo di alto livello con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti: “Ci aspettiamo che i leader diano prova di responsabilità, visione e leadership facendo progressi nell’attuazione senza ulteriori ritardi”.L’annus horribilis tra Kosovo e SerbiaA soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

    L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Le autorità del Kosovo vogliono chiudere le istituzioni temporanee serbe nonostante il monito dell’Ue

    Bruxelles – L’Unione Europea guarda con “con grande preoccupazione” agli ultimi sviluppi in Kosovo, con “due esempi di azioni non coordinate, unilaterali e prese senza il necessario livello di consultazioni preventive“. È il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, a spiegare alla stampa europea oggi (5 febbraio) il clima che si respira a Bruxelles sulle recenti decisioni delle autorità di Pristina nei confronti della minoranza serbo-kosovara. Dopo il Regolamento che ha introdotto l’uso esclusivo dell’euro come valuta nazionale, sono le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo a mettere in allerta le istituzioni comunitarie e i partner internazionali.

    Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti (credits: Michal Cizek / Afp)“Queste azioni non contribuiscono alla de-esclation, a calmare la situazione e a garantire alle persone che la loro vita andrà a migliorare”, ha avvertito Stano, approfondendo le ragioni della “grande preoccupazione” espresse nella nota di ieri (4 febbraio) del Seae a proposito delle operazioni di polizia nei comuni di Dragash, Pejë, Istog e Klinë e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina. “L’improvvisa chiusura di questi uffici avrà effetti negativi sulla vita quotidiana e sulle condizioni di vita delle comunità serbo-kosovare”, si legge nel comunicato coordinato con i partner internazionali dell’Unione, Stati Uniti inclusi: “Limiterà il loro accesso ai servizi sociali di base, data l’apparente assenza di alternative in questo momento“. Il portavoce Stano ha aggiunto anche che le conseguenze di queste decisioni unilaterali del governo di Pristina “potrebbero portare a qualcosa che non vogliamo vedere, cioè il deterioramento della situazione sul campo”.Dal 2008 – anno della dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – Belgrado ha continuato a finanziare proprie istituzioni temporanee nel Paese confinante al servizio della minoranza serba. Comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali finanziati direttamente dal governo serbo, ma illegali secondo la Costituzioni del Kosovo. Il ministro degli Interni del Kosovo, Xhelal Sveçla, ha dichiarato “l’era dell’illegalità è giunta al termine” con la chiusura delle istituzioni temporanee serbe e ora “l’unica istituzione della Serbia in Kosovo sarà la sua ambasciata a Pristina“. Un’opzione al momento inaccettabile per le autorità di Belgrado, che ancora si rifiutano di riconoscere l’indipendenza e la sovranità di Pristina. Tecnicamente un accordo sull’abolizione è stato raggiunto nell’aprile 2013 nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue, ma non è mai stato messo in pratica. È proprio su questo punto che Bruxelles cerca di forzare la mano: “È importante ritornare a impegnarsi più seriamente” nel dialogo Pristina-Belgrado, entro i cui negoziati “si prevede che lo status di queste strutture sarà risolto con l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba“, ha ribadito Stano, parlando di uno dei punti più delicati di tutta la mediazione dell’Ue. Senza poter anticipare ancora una data, il portavoce del Seae si è detto speranzoso di poter annunciare “presto” un nuovo dialogo di alto livello, a quasi cinque mesi dall’ultimo infruttuoso incontro a Bruxelles tra il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić.Tutti i motivi di tensione tra Serbia e KosovoDopo le due riunioni estive del 2021 tra il premier Kurti e il presidente Vučić a Bruxelles, a metà settembre dello stesso anno è scoppiata per la prima volta nel nord del Kosovo la cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘. Inizialmente si è trattata di una controversia diplomatica tra Pristina e Belgrado, legata alla decisione di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro, usate in larga parte dalla minoranza serba nel Paese. L’assenza di una soluzione definitiva ha infiammato il luglio/agosto 2022, con blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara e due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles.

    Manifestazioni dei serbo-kosovari nel nord Kosovo del Kosovo, 5 novembre 2022 (credits: Armend Nimani / Afp)La situazione si è aggravata quando Lista Sprska ha preso in mano le redini della protesta popolare nel nord del Kosovo. Il 5 novembre sono andate in scena dimissioni di massa dei rappresentanti serbi delle istituzioni nazionali in protesta contro il piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe: a Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavić si è reso necessario tornare alle urne a causa delle dimissioni dei quattro sindaci. Parallelamente è stata raggiunta una soluzione di compromesso sulle targhe nella notte tra il 23 e il 24 novembre a Bruxelles, anche se il presidente serbo ha minacciato di boicottare il vertice Ue-Balcani Occidentali a Tirana a causa della nomina di Nenad Rašić nel governo kosovaro (al posto del leader di Lista Srpska, Goran Rakić), come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi. Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado.

    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)Il 2022 si è chiuso con una nuova escalation di tensione ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per sopperire alla mancanza di agenti dimessisi sempre a novembre. L’appuntamento alla nuova crisi doveva attendere solo cinque mesi, il 26 maggio 2023. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

    (credits: Armen Nimani / Afp)Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto.Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado (8 luglio 2021)L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari. Il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il presidente serbo Vučić ha avvertito che utilizzerà “tutti i mezzi disponibili contro il divieto del dinaro in Kosovo” (anche se si tratta di un’interpretazione non fattuale della realtà), coinvolgendo la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Ho chiesto che usi tutte le sue forze ed energie per fare in modo che una cosa del genere non accada”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il nuovo capitolo dei rapporti tra Ue e Kosovo può iniziare con la liberalizzazione del regime dei visti

    Bruxelles – Inizia un nuovo viaggio per i cittadini del Kosovo, finalmente senza restrizioni. Dal primo gennaio, con l’entrata in vigore del regime di visti liberi, anche l’ultimo Paese europeo (fatta eccezione per Russia e Bielorussia post-invasione dell’Ucraina) ha visto aprirsi le frontiere Schengen con il solo utilizzo del passaporto nazionale. Ciò che per i cittadini dell’Unione Europea ormai è un modo di viaggiare dato pressoché per scontato, ora è una realtà anche per quelli del Kosovo resa possibile dal successo politico delle istituzioni europee dello scorso anno.La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (14 giugno 2023)“I nostri cittadini hanno ora la possibilità di visitare la famiglia o di perseguire opportunità educative, culturali e commerciali a un breve volo di distanza: un passo fuori dall’isolamento, un passo più vicino all’Unione Europea“, ha esultato su X il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, che proprio il primo gennaio ha salutato i suoi concittadini in partenza sul primo volo Pristina-Vienna ‘visa free’. Parole confermate dalla presidente del Kosovo, Vjosa Osmani: “Questa tappa storica non è un risultato solo per il Kosovo, ma un importante passo avanti verso il nostro obiettivo comune: un’Europa più vicina, più forte e più unita“. I leader kosovari hanno anche voluto ricordare quali sono “le condizioni che il regime di esenzione dal visto impone”, vale a dire la possibilità di viaggiare e soggiornare liberamente nei Paesi Ue e Schengen ma non oltre 90 giorni in un periodo complessivo di 180 in assenza di un permesso di lavoro o di studio. “Otteniamo maggiori diritti esercitando responsabilmente quelli che ci siamo guadagnati”, ha sottolineato il premier Kurti.Si respira grande soddisfazione anche a Bruxelles, in particolare da parte del relatore del dossier per il Parlamento Europeo nei negoziati con i co-legislatori del Consiglio dell’Ue, Thijs Reuten: “Finalmente! Dopo anni di ritardi assolutamente inutili, l’esenzione dal visto per tutti i cittadini del Kosovo è effettiva”, ha commentato in occasione dell’entrata in vigore della liberalizzazione dei visti concordata nel 2023. Lo stesso eurodeputato olandese – che in occasione del via libera dalla sessione plenaria aveva rilasciato un’intervista a Eunews – ha messo in chiaro che il prossimo passo dovrà essere “l’elaborazione della domanda di status di candidato, il Kosovo è Europa”. Il riferimento è alla richiesta di Pristina di aderire all’Unione Europea, presentata ufficialmente il 15 dicembre 2022. Il dossier è però fermo in Consiglio, dove 5 membri ancora non riconoscono la sovranità del Kosovo (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e stanno bloccando i lavori dei Ventisette. A proposito di stalli, la Spagna è l’unico Paese Ue che ha deciso di non riconoscere nemmeno i passaporti nazionali del Kosovo, di fatto non rispettando la decisione delle istituzioni comunitarie di consentire viaggi liberi su tutto il continente per i cittadini kosovari dal primo gennaio.Oltre il Kosovo, gli altri regimi di visti liberiLe decisioni sulla liberalizzazione dei visti per il Kosovo hanno aggiornato i due elenchi annessi al Regolamento del 2018: quello dei ‘Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne’ e quello dei ‘Paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo’. Del primo elenco fanno parte tutti gli Stati del mondo con cui non sono in vigore accordi per la liberalizzazione dei visti, sia quelli per cui il visto è sempre necessario per entrare o transitare in qualsiasi Paese Schengen (Afghanistan, Bangladesh, Eritrea, Etiopia, Ghana, Iran, Iraq, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo e Somalia), sia quelli per cui non è richiesto in tutti i Paesi Schengen. I cittadini di Stati appartenenti a questo elenco devono rispettare le regole nazionali sui visti richieste da ciascun membro Ue o Schengen.Il secondo elenco contiene 64 membri, comprese anche due regioni amministrative speciali della Cina (Hong Kong e Macao) e Taiwan (autorità territoriale non riconosciuta come Stato da tutti i membri Ue). Gli accordi con Bielorussia, Russia e Vanuatu sono stati invece sospesi. Per tutti questi Paesi extra-Ue ed extra-Schengen – come il Kosovo – è prevista l’esenzione dal dover fare richiesta per ottenere il visto d’ingresso per accedere allo spazio Schengen, ovvero l’area che ha abolito le frontiere interne. I cittadini di questi Stati possono utilizzare semplicemente il proprio passaporto nazionale – senza ulteriori requisiti richiesti – per viaggiare e soggiornare fino a 90 giorni (in un periodo complessivo di 180 giorni) nei Paesi Ue e Schengen.Tutti i cittadini dei Paesi membri Ue possono attraversare liberamente le frontiere interne con la propria carta d’identità – anche quelli che non fanno parte dello spazio Schengen, cioè Cipro, Bulgaria, Irlanda e Romania – così come i cittadini dei territori esterni appartenenti ai 27 Paesi Schengen (Groenlandia, Isole Svalbard, Guyana Francese, Nuova Caledonia e altri territori d’oltremare). All’area che ha abolito le frontiere interne aderiscono anche quattro Stati extra-Ue: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. I cittadini di un qualsiasi altro Paese nel mondo solitamente devono fare richiesta di un visto (di lavoro, turistico, di studio), che è l’atto con il quale uno Stato concede a un individuo straniero il permesso di accedere nel proprio territorio. Tuttavia l’Ue ha istituito una politica di visti comune per soggiorni di breve durata, transito nel territorio o negli aeroporti internazionali degli Stati Schengen.Sulla base di una valutazione caso per caso la Commissione può proporre ai co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue una decisione per la liberalizzazione dei visti. La valutazione si basa su una serie di criteri pre-stabiliti: migrazione irregolare, ordine pubblico e sicurezza, vantaggi economici (turismo e commercio estero), diritti umani, libertà fondamentali, implicazioni di coerenza regionale e reciprocità. Le nuove decisioni sull’esenzione devono essere adottate da entrambi i co-legislatori, dopo i negoziati bilaterali con il Paese interessato.

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    I leader Ue incontrano quelli di Serbia e Kosovo: “Mettete in opera gli accordi di Bruxelles”

    Bruxelles – Qualche soddisfazione dopo i colloqui c’è, a voce i leader dell’Unione europea la mostrano, ma nei documenti ufficiali emerge la fragilità della situazione tra Serbia e Kosovo.Ieri (26 ottobre), in occasione della prima giornata del Consiglio europeo, si è tenuto un incontro tra il primo ministro Albin Kurti (Kosovo) e il presidente Aleksandar Vučić (Serbia), con alcuni leader europei. Presenti il presidente della Francia Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, insieme al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, l’Alto rappresentante Josep Borrell e l’Alto rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado Miroslav Lajčák. “La bozza di statuto che abbiamo presentato e che appoggiamo pienamente comprende un modo moderno ed europeo di affrontare la delicata questione della tutela delle minoranze in linea con le migliori pratiche e standard europei, all’interno dei parametri definiti dalle Parti”, si legge nella dichiarazione congiunta diffusa questa sera. Ma c’è anche la richiesta, reiterata, che il Kosovo avvii la procedura per la creazione dell’Associazione dei Comuni a maggioranza serba nei suoi confini, come previsto dalla bozza di Statuto, e che la Serbia proceda al riconoscimento del piccolo Stato.Il presidente francese questa sera incontrando i giornalisti sembra soddisfatto della posizione dei leader della Serbia e del Kosovo: “Abbiamo ottenuto un impegno dalle due parti molto chiaro: mettere in opera gli accordi di Bruxelles e l’attuazione di un’associazione di municipalità serbe (a maggioranza serba nel Kosovo, ndr.) il prima possibile”. Accordi, questi, raggiunti nell’aprile 2013 con lo scopo di normalizzare i rapporti tra i due Stati.“Entrambi vogliono far parte dell’Unione europea, pertanto devono diventare dei vicini migliori“, ha sottolineato Scholz. Che guarda alla situazione con ottimismo: “Il concetto di avere un’associazione di municipalità a maggioranza serba nel Kosovo sarà attuato”, ha dichiarato oggi (27 ottobre), alla fine del Consiglio europeo. “La questione è garantire un futuro ai cittadini e le cittadine in Kosovo e in Serbia, in prospettiva pacifica”, ha aggiunto il cancelliere. “La fase di attuazione dovrebbe procedere con l’adempimento parallelo dei rispettivi obblighi da parte di entrambe le Parti, in modo graduale, sulla base del principio che entrambe le Parti devono fare qualcosa per ottenere qualcosa. L’attenzione dovrebbe ora concentrarsi sull’avanzamento della piena attuazione dell’accordo senza precondizioni o ritardi“, si legge ancora nella dichiarazione congiunta.Anche Michel ha mostrato un apprezzamento verso l’apertura al dialogo di Vučić e Kurti: “La questione principale riguardo l’incontro di ieri è l’impegno espresso dai due leader a mettere in atto gli accordi che sono sul tavolo”, ha dichiarato al termine del Consiglio europeo. Ribadendo, però, che l’Europa è ferma sulle sue richieste: “Noi chiediamo istantaneamente che questi accordi siano attuati, perché siamo convinti che sia il cammino verso la normalizzazione”. Meloni ha invece affidato a una nota diffusa da palazzo Chigi la sua posizione: “Il presidente ha reiterato il continuo e convinto sostegno del Governo italiano al percorso europeo di Serbia e Kosovo e di tutti gli altri Paesi dei Balcani occidentali, nell’ottica di una necessaria riunificazione del Continente europeo“.Ma dai documenti ufficiali sembrano trapelare più timori. “Il Consiglio europeo è profondamente preoccupato per la situazione della sicurezza nel nord del Kosovo. Condanna fermamente il violento attacco contro la polizia del Kosovo il 24 settembre 2023 – si legge nelle conclusioni finali a firma dei Ventisette -. L‘Unione europea si aspetta che i responsabili siano arrestati e consegnati rapidamente alla giustizia e che la Serbia cooperi pienamente e adotti tutte le misure necessarie al riguardo”.La richiesta unanime degli Stati membri è che Pristina e Belgrado allentino la tensione e garantiscano lo svolgimento di nuove elezioni nel nord del Kosovo il prima possibile, con la partecipazione attiva dei serbi kosovari. “Il mancato allentamento delle tensioni avrà delle conseguenze. Il Consiglio europeo – afferma il comunicato finale diramato dopo i due giorni di incontro a Bruxelles – si rammarica della mancata attuazione da parte di entrambe le parti dell’accordo sul percorso verso la normalizzazione e del relativo allegato di attuazione, nonché di altri accordi raggiunti nel dialogo facilitato dall’Ue, guidato dall’Alto Rappresentante e sostenuto dal Rappresentante speciale dell’Ue”, si legge nel documento.
    Scholz: “Se vogliono entrare nell’Ue, devono diventare dei vicini migliori”