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    Gaza, l’Ue certifica le violazioni dei diritti umani da parte di Israele. Ma non è ancora il momento di agire

    Bruxelles – A venti mesi dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas, il Servizio europeo di Azione esterna (Seae) mette nero su bianco che “vi sono indicazioni che Israele violerebbe i propri obblighi in materia di diritti umani ai sensi dell’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele”. A dire il vero, è la seconda volta che il rappresentante speciale dell’Ue per i diritti umani, Olof Skoog, trae le stesse conclusioni: la prima già nel novembre scorso, su richiesta dell’allora Alto rappresentante Josep Borrel. Come allora però, il rischio è che il rapporto venga dimenticato in un cassetto senza alcuna conseguenza.“Le misure a disposizione ci sono, ma la domanda è: su cosa siamo in grado di concordare?”, ha affermato oggi (23 giugno) Kaja Kallas, che ha ereditato il difficile ruolo di capo della diplomazia europea. I ministri degli Esteri dei 27 hanno ricevuto il rapporto di Skoog già nel fine settimana e ne hanno discusso questa mattina con Kallas a Bruxelles. Lo scorso 20 maggio, 19 Stati membri avevano finalmente chiesto all’Alta rappresentante di avviare un esercizio di revisione del vasto accordo politico-commerciale che lega l’Unione europea a Israele, le cui disposizioni “si basano sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici”.Dopo oltre 55 mila vittime palestinesi, le uccisioni di giornalisti e operatori umanitari, il blocco totale dell’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia e i raid durante la distribuzione del cibo – tutto documentato e denunciato da media, organizzazioni e tribunali internazionali -, le conclusioni del rapporto erano facilmente prevedibili. Quasi quanto l’impasse che arriva ora che i 27 dovranno decidere se sospendere l’Accordo con Israele, o se prendere altre misure o sanzioni nei confronti dello Stato ebraico, oppure se limitarsi ad avvertimenti verbali, richieste o appelli senza conseguenze concrete.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)“Quello di oggi è stato solo l’inizio del dibattito, non la sua conclusione”, ha spiegato Kallas a margine dell’incontro. La prima mossa sarebbe valutare se quanto denunciato dal rapporto faccia sì che Israele modifichi spontaneamente il proprio modo di condurre la guerra. L’Alta rappresentante ha confermato di aver già ricevuto la diplomatica risposta di Israele al rapporto: “Oltraggioso e indecente”, secondo quanto riportato dalla testata Politico.“Se la situazione non migliora, potremo discutere ulteriori misure a luglio“, durante il prossimo Consiglio Affari Esteri previsto il 15 del mese, ha proseguito Kallas. Per rivedere tutti gli aspetti del partenariato con Israele legati alla politica commerciale, i Paesi membri potrebbero decidere a maggioranza qualificata. Per imporre sanzioni, sospendere il dialogo politico o l’intero accordo, serve l’unanimità dei 27. Una chimera, quest’ultima, a rileggere le dichiarazioni del vicepremier italiano, Antonio Tajani, che già a fine maggio si oppose alla revisione dell’articolo 2 dell’accordo: “La nostra posizione è di andare avanti con il rapporto con Israele, pur non condividendo le scelte fatte a Gaza, cioè la sproporzione della reazione, l’uso eccessivo della forza che ha provocato migliaia di morti in quella parte della Palestina”, ha affermato.All’opposto, la Spagna ha reiterato la richiesta di “una sospensione immediata dell’accordo di associazione, un embargo sulle vendite di armi da parte dell’Unione europea ad Israele e sanzioni individuali contro tutti coloro che vogliono minare definitivamente la soluzione a due Stati”. Richieste che Tajani ha bollato come “velleitarie e utili per la politica interna”. In mezzo a questi due estremi, si collocano tutti gli altri Stati membri.Le conclusioni del rapporto redatto da Skoog finiranno giovedì sul tavolo del vertice dei capi di stato e di governo dei 27. “È inevitabile che i leader si troveranno di fronte al risultato della relazione”, ha confermato un alto funzionario dell’Ue. Ma il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, “non intende affatto sottoporre la questione ai leader per una decisione. Anche perché, siamo realistici, probabilmente non si raggiungerebbe l’unanimità”.

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    Medio Oriente: mentre Bruxelles chiede “moderazione”, l’Iran inizia a colpire le basi Usa in risposta agli attacchi di Washington sui suoi siti nucleari

    Bruxelles – All’indomani dei bombardamenti condotti dagli Stati Uniti contro gli impianti nucleari iraniani, i ministri degli Esteri dei Ventisette si sono riuniti per esortare nuovamente tutte le parti alla de-escalation e alla diplomazia. Ma proprio alla fine dell’incontro, mentre l’Alta rappresentante Kaja Kallas non riesce a condannare le azioni militari di Washington e Tel Aviv in Medio Oriente, da Teheran starebbe partendo la prima rappresaglia diretta contro le basi statunitensi in Qatar e in Iraq, in quella che potrebbe essere la temuta escalation capace di estendere il conflitto all’intera regione.Accanto alla revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele, a tenere banco durante il Consiglio Affari esteri svoltosi oggi (23 giugno) a Bruxelles è stata soprattutto l’aggravarsi della crisi mediorientale, scatenata dallo Stato ebraico con l’aggressione dello scorso 13 giugno. Ai bombardamenti statunitensi sui siti nucleari iraniani avvenuti nel weekend, si sono aggiunti in giornata nuovi attacchi israeliani all’impianto sotterraneo di Fordo, costruito sotto le montagne a sud di Teheran, e contro altri obiettivi nella Repubblica islamica.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Mentre questo articolo viene pubblicato, le agenzie di stampa internazionali stanno segnalando esplosioni di missili iraniani in Qatar e in Iraq, in direzione delle basi militari statunitensi. Gli attacchi, rivendicati dalla Repubblica islamica come “una risposta potente e vincente delle forze armate iraniane all’aggressione americana”, costituiscono un ulteriore, grave salto di qualità nel conflitto tra Tel Aviv e Washington da un lato e Teheran dall’altro, che ora arriva a coinvolgere direttamente gli asset Usa nella regione e ha pertanto il potenziale di innescare una spirale di violenza incontrollabile. Il presidente Donald Trump si trova in questi istanti nella situation room della Casa Bianca.Eppure Bruxelles non riesce a richiamare né Washington né Tel Aviv alle loro responsabilità, anzi nemmeno a nominarle. “La nuova guerra è uno sviluppo pericoloso e le recenti azioni militari acuiscono le tensioni“, ha osservato Kaja Kallas al termine della riunione (conclusasi prima che partissero gli attacchi iraniani contro le basi Usa), notando che “le azioni militari sono sempre cariche di rischi e incertezze e quello che importa ora è minimizzare i rischi di escalation“.Il capo della diplomazia comunitaria si è tuttavia ben guardata dal condannare chi quelle azioni le sta conducendo da una decina di giorni, mettendo letteralmente a ferro e fuoco il Medio Oriente. Incalzata dai giornalisti su come l’Ue intenda agire concretamente per mettere pressione su Israele o gli Stati Uniti, oltre che sull’Iran, affinché si facciano tacere le armi e si dia spazio ai negoziati, Kallas si è nascosta dietro un vuoto giro di parole, assicurando che “stiamo parlando a tutti i partner regionali“, inclusi gli Usa, per segnalare che “quest’escalation non beneficia nessuno“.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)A sentire l’Alta rappresentante, dalla riunione odierna è emerso “un ampio consenso tra gli Stati membri sulla necessità di continuare le discussioni con l’Iran perché la diplomazia è l’unica strada per raggiungere un accordo” e arrivare ad una composizione politica della crisi, che nel frattempo peggiora di ora in ora. Pertanto, assicura, “rimaniamo sicuramente in contatto” con la leadership della Repubblica islamica.Per il momento, gli sforzi negoziali della diplomazia europea non hanno portato ad alcun risultato. Lo scorso 20 giugno, Francia, Germania, Regno Unito e Ue – i membri europei del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), l’accordo del 2015 sul nucleare di Teheran, moribondo da quando Trump ha ritirato gli Usa nel 2018 – hanno incontrato a Ginevra il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, per cercare di riavviare il dialogo sulle velleità atomiche degli ayatollah.Ma quella timida iniziativa diplomatica (l’unica mai tentata dall’inizio della guerra) si è infranta contro la pioggia di ordigni anti-bunker rovesciata nelle ore successive dal Pentagono sugli stabilimenti di Fordo, Natanz e Isfahan. Da allora la Repubblica islamica ha irrigidito la propria posizione, rifiutandosi espressamente di sedersi al tavolo delle trattative sia con Israele sia con gli Stati Uniti (i suoi due più acerrimi nemici, che definisce notoriamente “piccolo Satana” e “grande Satana”).Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) accoglie al Cremlino il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (foto via Imagoeconomica)Araghchi si è recato oggi a Mosca, dove ha avuto un faccia a faccia con Vladimir Putin. Al termine del loro colloquio, l’inquilino del Cremlino ha riaffermato il sostegno della Russia all’alleato mediorientale, osservando che “l’aggressione assolutamente immotivata” degli Stati Uniti contro l’Iran “non ha alcuna base né alcuna giustificazione” e lamentando il mancato preavviso da parte dell’amministrazione a stelle e strisce.Una visione diametralmente opposta a quella espressa, sempre in giornata, dal capo della Nato Mark Rutte. Alla vigilia dell’importante summit dell’Aia, dal quale dovrebbe arrivare il disco verde dai membri dell’Alleanza all’aumento delle spese militari al 5 per cento del Pil (con l’unica eccezione, forse, della Spagna di Pedro Sánchez), l’ex premier olandese ha detto di non ritenere che “quello che hanno fatto gli Stati Uniti vada contro il diritto internazionale”.Linea condivisa anche dal cancelliere tedesco Friedrich Merz, secondo il quale “non c’è ragione di criticare quello che l’America ha fatto durante il weekend“. “Certo, non è senza rischi” a livello di potenziali conseguenze, ha concesso, “ma lasciare le cose com’erano non era un’opzione“. Parole che suonano tristemente profetiche. E chissà che, all’Aia, non si parli di un altro 5: non la percentuale del Pil, ma l’articolo della Carta atlantica che sancisce il principio di difesa collettiva.

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    L’Ue tenta di mantenere aperto il dialogo con l’Iran dopo l’attacco degli Usa. Ma la strada è strettissima

    Bruxelles – Dopo i bombardamenti statunitensi sui siti nucleari iraniani, che aveva sperato di poter scongiurare, l’Ue cerca di tenere aperta la porta dei negoziati con Teheran. Ma rimane appiattita sulla linea dettata da Washington, mentre la clamorosa fuga in avanti dell’inquilino della Casa Bianca rischia di far precipitare l’intero Medio Oriente nell’ennesima escalation incontrollabile.Con l’operazione “martello di mezzanotte” ordinata da Donald Trump nelle primissime ore di domenica (22 giugno), i B-2 Spirit del Pentagono hanno fatto piovere 14 bombe bunker buster sugli impianti nucleari di Fordo, Natanz e Isfahan. Non è ancora chiaro quale sia la reale entità dei danni alle strutture e al programma di arricchimento dell’uranio della Repubblica islamica, ma a sentire il tycoon si è trattato di un attacco mirato a cui non dovranno seguirne di nuovi, a patto che Teheran decida di abbandonare le sue velleità atomiche.È chiaro, invece, che quell’azione ha aumentato drammaticamente la tensione in un Medio Oriente già in fiamme e rischia di far saltare definitivamente i pochi argini rimasti ancora in piedi. “Non c’è una linea rossa che (gli Stati Uniti, ndr) non abbiano superato“, ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi immediatamente dopo i bombardamenti.pic.twitter.com/wu9mMkxtUg— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 21, 2025“L’amministrazione fuorilegge e guerrafondaia di Washington è l’unica e completa responsabile per le pericolose conseguenze e le implicazioni di vasta portata del suo atto di aggressione”, ha aggiunto, sottolineando che la “porta della diplomazia” in questo momento non può che rimanere chiusa da parte iraniana e addossando sull’attacco degli Stati Uniti (denunciato come un affronto “imperdonabile” alla Carta delle Nazioni Unite) il deragliamento delle delicate trattative che erano in corso con gli europei.La principale vittima collaterale dei bombardamenti di ieri notte rischia così di essere la pista negoziale, quella faticosamente aperta dagli europei a Ginevra lo scorso venerdì (20 giugno) quando i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito avevano incontrato Araghchi alla presenza dell’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas.Arrivando al Consiglio Affari esteri in corso oggi (23 giugno) a Bruxelles, l’ex premier estone ha riconosciuto che “l’Iran stava aprendo alle discussioni” sul suo programma nucleare. “Dobbiamo assolutamente continuare su questa strada“, ha avvertito, perché “dev’esserci una soluzione diplomatica per avere una prospettiva di lungo termine” e risolvere la crisi che continua ad avvitarsi.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Secondo la responsabile della diplomazia a dodici stelle, “l’Europa ha un ruolo molto concreto” nel quadro degli accordi multilaterali sul programma atomico di Teheran, il Joint comprehensive plan of action del 2015: “L’Europa ha sempre avuto un ruolo – sostiene – e quando l’Iran è pronto a parlarci dobbiamo sfruttare questa opportunità“.Il Jcpoa, aggiunge Kallas, prevede “il meccanismo snapback per rimettere in piedi tutte le sanzioni se non ci sono progressi” da parte della Repubblica islamica, che dieci anni fa si è formalmente impegnata a limitare il proprio programma atomico a soli scopi civili. “Tutti sono d’accordo che l’Iran non deve possedere armi nucleari e stiamo lavorando verso quell’obiettivo”, ha ribadito ai giornalisti.Un messaggio condiviso anche dai ministri degli Esteri dei Ventisette. Antonio Tajani ha annunciato di aver contattato direttamente Araghchi “per cercare di riattivare un dialogo tra l’Iran e gli Stati Uniti“, proponendo di ospitare i negoziati a Roma come già avvenuto nel recente passato. Secondo il responsabile della Farnesina, Teheran “può procedere con la ricerca sul nucleare civile ma non col nucleare militare”: “Ho trovato orecchi attenti”, ha detto, garantendo tra l’altro che “le basi italiane non sono state utilizzate” per l’attacco condotto dallo zio Sam.Il ministro degli Esteri e vicepremier italiano Antonio Tajani (foto: Samuel Corum/Afp)Il vicepremier forzista ha inoltre dichiarato di aver chiesto all’Iran di non colpire le basi militari statunitensi come rappresaglia e di aver espresso “preoccupazione” per la minacciata chiusura dello stretto di Hormuz, il collo di bottiglia che separa il Golfo Persico dall’Oceano Indiano da cui passa circa un quinto del commercio globale di petrolio e gnl (eventualità definita dalla stessa Kallas “estremamente pericolosa”).A ritagliarsi una posizione relativamente più critica nei confronti della Casa Bianca è Parigi. Il titolare degli Esteri Jean-Noël Barrot ha tenuto il punto sul fatto che il “rischio esistenziale” di una Repubblica islamica dotata di un ordigno nucleare va scongiurato attraverso il dialogo e non coi bombardamenti: “Non esiste una soluzione duratura” alla questione “con mezzi militari, solo la negoziazione consentirà di inquadrare in modo rigoroso e duraturo il programma nucleare iraniano e di fornire risposte durature a queste questioni”, ha spiegato.Per Barrot, inoltre, vanno respinti senza indugio “tutti i tentativi di organizzare un cambio di regime con la forza”, come ripetutamente ventilato negli scorsi giorni tanto da Trump quanto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Crediamo nel diritto dei popoli all’autodeterminazione e confidiamo nel popolo iraniano che ha eroicamente resistito al regime“, ha ragionato, ma “sarebbe illusorio e pericoloso pensare che con la forza e con le bombe possiamo realizzare un tale cambiamento“.Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot (foto: Benedikt von Loebell via Imagoeconomica)D’accordo anche lo spagnolo José Manuel Albares: “L’Europa deve avere il coraggio di issare la bandiera della pace, di difendere il diritto internazionale, di dire no alla guerra e sì alla diplomazia e al negoziato”, ha dichiarato.Ma il diritto internazionale, per avere un senso, dev’essere rispettato da tutti: non solo da nemici ed avversari, ma anche da amici ed alleati. Una considerazione che non sembra condivisa tra i corridoi del potere di Bruxelles, almeno a giudicare dalle comunicazioni pubbliche dei vertici comunitari.Ursula von der Leyen, ad esempio, sottolinea che “il rispetto per il diritto internazionale è critico” e che “il tavolo negoziale è l’unico posto per porre fine a questa crisi”. Peccato che la presidente dell’esecutivo Ue chieda solo all’Iran di “impegnarsi in una soluzione diplomatica credibile”, senza menzionare l’attacco statunitense sulle strutture nucleari di un Paese sovrano. Per risolvere il problema, il presidente del Consiglio europeo António Costa evita direttamente di fare nomi, ed esorta “tutte le parti a dare prova di moderazione“.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    A Ginevra la diplomazia europea cerca di salvare l’accordo sul nucleare iraniano

    Bruxelles – La diplomazia inizia a muoversi, seppur timidamente, per provare a ricomporre la crisi mediorientale. Ad una settimana esatta dall’avvio dell’aggressione israeliana contro l’Iran, i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino, Londra e Teheran si stanno incontrando a Ginevra insieme all’Alta rappresentante Ue per cercare di mantenere aperta la pista negoziale. Nel frattempo, gli Usa prendono tempo prima di scendere in campo a fianco dello Stato ebraico, mentre la Russia prova (almeno a parole) a fissare dei paletti all’escalation.Esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra scatenata da Benjamin Netanyahu contro l’Iran, i titolari degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito e Iran – Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul, David Lammy e Abbas Araghchi – si sono dati appuntamento oggi (20 giugno) a Ginevra, alla presenza anche del capo della diplomazia a dodici stelle, Kaja Kallas.L’incontro, che si sta svolgendo in queste ore presso la sede della rappresentanza tedesca alle Nazioni Unite, ha l’obiettivo di aprire un canale negoziale formale per cercare di fornire una risposta politica alla pericolosissima escalation che sta infiammando il Medio Oriente. Nessuno si aspetta svolte eclatanti dai colloqui, ma è sicuramente incoraggiante vedere che la diplomazia multilaterale prova a crearsi uno spazio e a mantenere attivo il dialogo mentre continuano a cadere le bombe da una parte e dall’altra.We, Europeans, are engaging in dialogue with Iran to de-escalate the situation.The only possible way forward is dialogue. pic.twitter.com/JjRA6E1ZV3— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) June 20, 2025Per ora, questo è il massimo che si può ottenere. È lo stesso Araghchi, del resto, a ribadire che Teheran non accetterà di negoziare con Washington finché lo Stato ebraico continua le sue operazioni, bollandole come un “tradimento” del processo diplomatico in corso tra Iran e Stati Uniti.Gli europei stanno cercando tra mille difficoltà di far ripartire le trattative sul binario, che sembrava morto, del Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), lo storico accordo del 2015 stipulato da Usa e Iran con la mediazione di Francia, Germania e Regno Unito (il cosiddetto formato E3) più Unione europea, Russia e Cina. Nel 2018, fu Donald Trump a ritirare Washington dall’accordo: da quel momento le trattative entrarono in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Le cancellerie del Vecchio continente provano così a smarcarsi e a definire una propria posizione autonoma dalla Casa Bianca, dopo essersi appiattiti per anni sulla linea dello zio Sam. Ma l’Iran non è un cliente facile per nessuno e in ogni caso gli ayatollah percepiscono gli europei come troppo vicini allo Stato ebraico.Difficile contestare quest’ultimo punto, se si considera la fatica che stanno facendo i Ventisette a rimettere in discussione l’accordo di associazione con Tel Aviv, per non parlare delle sanzioni ai membri più estremisti del governo israeliano o, addirittura, dell’arresto di Netanyahu in ottemperanza al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)Del resto, la posizione ufficiale di Bruxelles rimane sempre la stessa: lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi – seppur entro i limiti del diritto internazionale, come è recentemente riuscita ad ammettere la stessa Kallas dopo sette mesi in carica – e l’Iran non può in alcun modo mettere le mani sull’arma atomica.Sull’altra sponda dell’Atlantico, intanto, Trump non ha ancora deciso se entrare in guerra al fianco del suo storico alleato e dice di voler rimandare la questione di un paio di settimane. Da un lato, il tycoon starebbe aspettando di vedere se quello di Ginevra è un bluff, sostenendo di voler lasciare spazio alla pista negoziale. Dall’altro, non vuole rischiare di perdersi per strada l’ala più oltranzista del popolo Maga, ferocemente contraria a qualunque intervento militare all’estero.Per il momento, il Pentagono ha iniziato a muovere i propri asset nell’Oceano Indiano, ottenendo da Londra l’autorizzazione ad utilizzare le basi militari di Sua Maestà nell’eventualità di dover impiegare i bombardieri B-2 Spirit, gli unici in grado di sganciare le bombe bunker buster per colpire gli impianti di arricchimento sotterranei di Fordo, protetti dalle montagne a sud di Teheran.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Il Cremlino nel frattempo indica la sua linea rossa. Se Israele procederà ad assassinare il leader supremo della Repubblica islamica Ali Khamenei (come suggerito dal ministro degli Esteri Israel Katz, per essere smentito nel giro di qualche ora dal capo dello Stato Isaac Herzog), ammonisce Vladimir Putin, verrà scoperchiato il “vaso di Pandora” e la situazione precipiterà in maniera incontrollabile. Lo zar, almeno stando alle ultime indiscrezioni mediatiche, avrebbe presentato alle dirigenze israeliana e iraniana delle proposte alternative a quelle in discussione a Ginevra per una soluzione negoziata della crisi.Sulla carta, la Russia è uno degli alleati più stretti dell’Iran, dal quale compra i famigerati droni suicidi Shahed con cui attacca quotidianamente l’Ucraina. Ma diversi osservatori mettono in dubbio la reale intenzione di Mosca – al netto delle sue concrete capacità – di scendere in campo in aiuto degli ayatollah se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente.Non è detto, ad esempio, che la difesa dell’alleato sciita valga più del mantenimento di rapporti tutto sommato buoni con Tel Aviv, così come sarebbe problematico per Putin inimicarsi il presidente statunitense in una fase in cui si sta dimostrando particolarmente indulgente nei confronti della Federazione.

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    Medio Oriente, l’Europa tenta la carta negoziale. Convocati a Ginevra colloqui diretti con l’Iran sul programma nucleare

    Bruxelles – La diplomazia prova a battere un colpo. A una settimana dall’inizio della guerra di Israele contro l’Iran, gli europei cercano di far ripartire le trattative sul nucleare di Teheran, convocando a Ginevra un round di negoziati con gli emissari della Repubblica islamica. È una corsa contro il tempo per scongiurare il rischio, sempre più reale, che l’intero Medio Oriente esploda nuovamente in un’escalation incontrollabile.La notizia è arrivata nel cuore della notte, nelle prime ore di oggi (19 giugno): i ministri degli Esteri di Parigi, Berlino e Londra (rispettivamente Jean-Noël Barrot, Johann Wadephul e David Lammy) hanno dato appuntamento al loro omologo iraniano Abbas Araghchi per domani a Ginevra, nel tentativo di riportare la Repubblica islamica al tavolo delle trattative e ridare vita al processo negoziale sul suo programma nucleare. Ai colloqui, confermati da Teheran in mattinata, prenderà parte anche Kaja Kallas, la responsabile dell’azione esterna dell’Ue.L’Europa cerca uno spazio diplomaticoSi tratta della prima iniziativa diplomatica dall’inizio della guerra, innescata dall’aggressione israeliana dello scorso 13 giugno. “La diplomazia europea è completamente mobilitata“, affermano i portavoce dell’esecutivo comunitario, i quali fanno sapere che l’Alta rappresentante è in contatto costante con tutti gli interlocutori regionali, inclusi i Paesi arabi del Golfo. “L’Ue contribuirà a tutti gli sforzi diplomatici volti a ridurre le tensioni e a trovare una soluzione duratura alla questione nucleare iraniana, che potrà essere raggiunta solo attraverso un accordo negoziato”, ripetono dal Berlaymont.Kallas, insieme ai suoi omologhi francese, tedesco e britannico, ha sentito al telefono Araghchi lunedì (16 giugno) per ribadirgli le “preoccupazioni di lunga data” riguardo al programma di arricchimento dell’uranio degli ayatollah, che “supera ampiamente qualsiasi scopo civile credibile, e al continuo mancato rispetto da parte dell’Iran dei suoi obblighi” nel quadro degli accordi multilaterali cui si è vincolato, nello specifico il Joint comprehensive plan of action (Jcpoa) e il trattato di non-proliferazione nucleare.Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (foto: Anwar Amro/Afp)Il confronto è avvenuto il giorno prima del Consiglio Affari esteri straordinario dedicato specificamente all’escalation in Medio Oriente. Secondo l’ex premier estone una composizione politica della crisi è l’unica possibilità, poiché una continuazione delle operazioni militari – o peggio ancora un loro allargamento, nel caso di un coinvolgimento statunitense – diventerebbe incontrollabile e “non è nell’interesse di nessuno”. La posizione ufficiale di Bruxelles rimane dunque la stessa: no ad un Iran con la bomba atomica, sì alla de-escalation.Il dialogo sul programma atomico di Teheran procedeva con alti e bassi da un paio di decenni – dopo che la guida spirituale iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, vietò tramite fatwa lo sviluppo di ordigni nucleari – e sembrava essere giunto ad una svolta storica nel 2015, quando gli Stati Uniti di Barack Obama stipularono con la Repubblica islamica il Jcpoa, mediato dagli europei (Francia, Germania e Regno Unito, nel cosiddetto formato E3, più l’Ue) insieme a Russia e Cina. Fu proprio Donald Trump, nel 2018, a ritirare Washington dall’accordo. Le trattative con l’Iran entrarono a quel punto in una fase di stallo prolungato, dalla quale il tycoon stava cercando di uscire prima dell’attacco israeliano.Il fattore TrumpIn questa fase, tuttavia, Trump non sembra particolarmente interessato a riprendere il dialogo con Teheran. Stando alle ricostruzioni mediatiche circolate nelle ultime ore, il presidente (trinceratosi nella situation room della Casa Bianca per una serie di incontri col suo Stato maggiore) starebbe valutando un potenziale intervento militare al fianco di Israele.Sarebbe dubbioso, pare, circa l’utilizzo degli ordigni cosiddetti bunker buster (nome tecnico GBU-57A/B MOP) per colpire gli impianti sotterranei di Fordo, ad una sessantina di metri di profondità in mezzo alle montagne a sud di Teheran. Gli Usa sono i soli al mondo a possederli e a poterli trasportare, tramite i bombardieri stealth B-2 Spirit, quelli già visti in azione in Iraq nel 2003.Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)Per ora si tiene strette le sue carte, il tycoon, mantenendo l’ambiguità strategica attraverso una comunicazione volutamente contraddittoria. Del resto, lo stesso popolo Maga è spaccato sulla questione. Ma il tempo stringe e aumenta la pressione sull’uomo più potente del mondo perché prenda una decisione. “Potrei farlo, potrei non farlo. Nessuno sa cosa farò“, ha tagliato corto Trump rispondendo ai giornalisti che ieri gli chiedevano se intendesse unirsi ai bombardamenti dello Stato ebraico.D’altra parte, la dirigenza iraniana ha minacciato cruenti rappresaglie contro le basi Usa nella regione se Washington prenderà parte al conflitto: “Se gli Stati Uniti intendono entrare in campo al fianco del regime sionista”, ha ammonito il viceministro degli Esteri Kazem Gharibabadi, Teheran “insegnerà una lezione agli aggressori e difenderà la propria sicurezza nazionale”. Un’altra opzione sul tavolo della Repubblica islamica potrebbe essere la chiusura dello Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa circa un quinto del commercio globale di petrolio e gnl, ma sarebbe probabilmente un’extrema ratio che finirebbe per danneggiare la stessa economia iraniana.Teheran verso la bomba?Per il sesto giorno di fila, intanto, i due belligeranti continuano a scambiarsi missili colpendo obiettivi militari, infrastrutture strategiche e strutture civili. La fine delle ostilità non appare in vista, mentre il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Israel Katz, esce allo scoperto e conferma esplicitamente che l’eliminazione del leader supremo Khamenei “fa parte della campagna militare” dello Stato ebraico: “Quest’uomo, che intende attaccarci, non deve restare vivo“, ha detto.Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha giustificato l’attacco preventivo – una pratica estremamente controversa sotto il profilo del diritto internazionale – sostenendo che l’Iran, acerrimo nemico di Israele, fosse prossimo a costruire (almeno) un ordigno nucleare, senza fornire alcuna prova. Richiamando pertanto il parallelo con la fialetta di antrace agitata all’Onu 22 anni fa dall’allora segretario di Stato Usa Colin Powell, mentre accusava l’Iraq di Saddam Hussein di possedere armi chimiche di distruzione di massa. Che in realtà, come si scoprì in seguito, non erano mai esistite.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Rafael Grossi, il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), si sta sperticando da giorni precisando di non aver mai asserito che l’Iran stesse assemblando testate atomiche. “Non abbiamo prove di un programma sistematico per una bomba”, ha dichiarato. Gli ispettori Onu avevano rilevato che la percentuale di arricchimento dell’uranio stava superando il 60 per cento e si avvicinava al 90 per cento (la soglia fatidica per produrre le testate nucleari), ha concesso Grossi, “ma per l’arma servono altri passaggi”. “Non è questione di giorni, ma di anni, forse non pochi“, osserva.Peraltro, le dichiarazioni del premier israeliano erano state smentite mesi fa dagli stessi servizi a stelle e strisce. La direttrice dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard aveva riferito lo scorso marzo di non essere a conoscenza di piani operativi della Repubblica islamica per costruire la bomba, e che se anche ci fossero stati ci sarebbero voluti, appunto, diversi anni per realizzarli. Trump, che ha spalleggiato Netanyahu sulla questione, ha liquidato il rapporto di Gabbard in questi termini: “Non m’interessa cos’ha detto, io credo che (gli iraniani, ndr) fossero molto vicini” a confezionare l’ordigno.

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    Alla fine Kallas critica Netanyahu: “Israele deve difendersi, ma è andato oltre”

    dall’inviato a Strasburgo – “Quando è troppo è troppo. Israele ha il diritto di difendersi, ma quanto vediamo va al di là di questo diritto“. Alla fine Kaja Kallas riconosce pubblicamente le responsabilità dello Stato ebraico nella gestione della risposta agli attacchi di Hamas. L’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue critica l’operato del governo di Benjamin Netanyahu nell’Aula di un Parlamento europeo che su questo l’ha incalzata, costringendola di fatto a esprimersi. All’orizzonte, c’è il Consiglio Ue Affari Esteri del prossimo 23 giugno, in cui Kallas svelerà le conclusioni sulla possibile revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele.Il dibattito tematico sulla situazione a Gaza è stato chiesto e ottenuto dal gruppo de laSinistra, che da Kallas ottiene quelle parole dure poco udite finora. Sì, l’Alta rappresentante ribadisce che “Israele ha il diritto di vivere, ma nessuno deve vivere nel terrore”. Una critica ad Hamas, che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica, e dunque, sì, parole a sostegno dello Stato ebraico. “Dobbiamo fare pressione su Hamas, e in tal senso il mondo arabo può giocare un ruolo” importante, continua Kallas, attenta a usare toni comunque concilianti nei confronti del partner israeliano, a cui comunque non risparmia critiche e condanne.Il re di Giordania critica Israele e sprona l’Ue: “A Gaza una versione vergognosa dell’umanità”“Fermare gli aiuti mina decenni di impegni per il diritto umanitario”, scandisce. E’ questa una censura al governo di Netanyahu per il blocco di ciò che serve per la popolazione civile. “C’è un inaccettabile numero di morti”, continua l’Alta rappresentante. Che critica ancora: “Israele ha dichiarato che vuole il completo controllo della Striscia di Gaza, e questo è violazione del diritto internazionale, e va chiamato con il suo nome“. Vanifica anche gli sforzi diplomatici della stessa Ue per una pace duratura in Medio Oriente. “La soluzione a due Stati è l’unica possibile“.C’è poi la questione del fanatismo ebraico, che a detta di Kallas non viene affrontato da chi di dovere, vale a dire il capo di governo israeliano e il collegio dei ministri. “La violenza dei coloni sta aumentando, e questo è inaccettabile”, affonda ancora, e ricorda che “la distruzione delle case sta portando a sfollati” palestinesi. “Israele deve contrastare i suoi stessi estremisti“.Gli affondi di Kallas contro l’attuale leadership israeliana non impediscono all’Alta rappresentante di uscire dall’emiciclo senza critiche. Al contrario, si abbattono su di lei con forza. Inizia Manon Aubry, la co-presidente de laSinistra, che apre il dibattito in quanto rappresentante del gruppo che ha richiesto la discussione. “Genocidio. Genocidio. Lo ripeto perché in questi mesi non avete mai usato questo termine”, l’esordio della francese, che quindi accusa: “Basta con questa complicità, perché lei è complice di tutto questo, con il suo silenzio“. In realtà, precisa immediatamente dopo la stessa Aubry, “l’Ue e i leader europei sono direttamente complici di genocidio”, e responsabili di ipocrisia: “Contro la Russia sono stati adottati 17 pacchetti di sanzioni, contro Israele, che sta compiendo genocidio, neanche un pacchetto. Questo è il doppio standard dell’Ue”.L’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas [Strasburgo, 18 giugno 2025]Per i socialisti è l’occasione per tornare a chiedere interventi seri. “Netanyahu deve smetterla con questa carneficina. Dobbiamo imporre sanzioni a tutti i membri del governo”, sostiene Evin Incir. Richieste di sanzioni arrivano, con altri toni, dal collega di partito Nacho Amor Sanchez: “Si possono chiudere gli occhi davanti a tutto quello che sta accadendo? Il doppio standard è il cancro di questa Unione”.Anche i liberali europei non risparmiano critiche, che sono per Kallas e la linea morbida dell’esecutivo comunitario di cui l’Alta rappresentante fa parte. “Ogni giorno che passa l’Ue diventa complice di un genocidio“, lamenta Hilde Vautmans (Re). “Si, Israele può usare la forza per liberare gli ostaggi, ma Netanyahu sta punendo tutti i palestinesi, la fame è usata come strategia. Questa non è difesa. E’ tempo per sanzioni mirate sul governo, su chi impedisce agli aiuti di entrare, sospende l’accordo con Israele”. Si unisce Tieneke Strik (Verdi) a ricordare a Kallas che “Netanyahu commette crimini di guerra, e attacca l’Iran”, ed evidenziando che “questa non è difesa, è prevaricazione del diritto internazionale”. Chiede “azioni concrete”, che vuol dire sanzioni, contro Israele. Persino il Ppe chiede un cambio di passo: “Non possiamo essere l’Europa dei valori solo a parole”, incalza Sean Kelly, anch’egli convinto che “ignorare quanto accade a gaza sarebbe tradire tutto ciò per cui l’Ue è stata creata”.Kallas ascolta tutti gli interventi, e attende il momento della replica. Innanzitutto ricorda all’intera Aula che “non rappresento me stessa, ma 27 Stati membri“. Lo ricorda a quanti invocano misure restrittive. “Sulle sanzioni decidono gli Stati all’unanimità”, ricorda, e nel farlo spiega che prima di promettere qualcosa occorre avere la certezza che esistano le condizioni per potersi esporre. “Perché dovrei spingere per qualcosa che poi non avverrà?”, chiede, a proposito di un’unità che non c’è. “Fate pressione sui vostri governi”, l’invito agli europarlamentari. Quindi prova a difendere sé stessa: “Non sono mai stata in silenzio. Ho lavorato per alleviare le sofferenze di quanti vivono in Palestina”.