More stories

  • in

    Ucraina, i Ventisette al lavoro sul 17esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca

    Bruxelles – Mentre la Russia continua a bombardare l’Ucraina, l’Ue non ha ancora trovato la quadra per imporre nuove sanzioni su Mosca, mentre il sostegno a Kiev procede ancora a singhiozzo. Le cancellerie stanno lavorando al 17esimo pacchetto di misure restrittive, che potrebbe essere pronto il mese prossimo, ma le difficoltà maggiori si riscontrano ancora sull’utilizzo dei proventi dai capitali russi congelati.È di almeno 34 morti e oltre 110 feriti il bilancio dell’ultimo attacco russo sulla città ucraina di Sumy, poco distante dal confine con la Federazione, condotto ieri (13 aprile) mentre la cittadinanza era riunita per celebrare la domenica delle Palme, ad appena un paio di giorni dalla visita a Mosca dell’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff. L’ennesima strage di civili ha aumentato la pressione politica sui ministri degli Esteri dei Ventisette, riuniti stamattina a Lussemburgo, ma non è stata sufficiente per imprimere una svolta decisiva. Il 17esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca è ancora in preparazione e non sarà ultimato prima del mese prossimo, come sottolineato dalla stessa Kaja Kallas.Sanzioni e beni congelati“Tutti gli Stati membri vogliono la pace e tutti appoggiano il cessate il fuoco” accettato dall’ex repubblica sovietica quasi un mese fa, ha dichiarato l’Alta rappresentante (alla sua prima missione nel Granducato). Ma il bombardamento di Sumy “dimostra che i russi non vogliono la pace“, e dunque “l’unico modo per portare la Russia a negoziare è aumentare la pressione“. L’ultimo round di misure restrittive contro la Russia è stato approvato lo scorso febbraio in occasione del terzo anniversario dell’invasione su larga scala dell’Ucraina del 2022.“Stiamo lavorando all’imposizione di sanzioni sul petrolio e sul gas“, ha aggiunto l’ex premier estone auspicando “un pacchetto il più forte possibile“. Stavolta, tra le maglie delle sanzioni potrebbero finire intrappolate anche le navi della cosiddetta “flotta ombra” della Federazione (utilizzata fin qui per aggirare le sanzioni già esistenti) e le importazioni di gas naturale liquefatto (gnl), nonché la società atomica statale Rosatom. Questi, almeno, sarebbero i desiderata dei baltici e degli scandinavi, i più vocali sostenitori dell’Ucraina e i più accaniti detrattori della Russia.Una volta confezionate, ad ogni modo, le nuove misure restrittive dovranno passare per le Forche Caudine dell’unanimità tra le cancellerie. Che, in termini pratici, significa esporle al veto del primo ministro ungherese Viktor Orbán, il cavallo di Troia del Cremlino in seno all’Ue che si è sempre messo di traverso per quanto riguarda il sostegno a Kiev, tanto da far parlare il ministro lituano Kęstutis Budrys di “un’umiliazione per tutti coloro che si impegnano diplomaticamente per fermare questa guerra”.Il primo ministro ungherese Viktor Orbán (foto: European Council)Una questione ancora più spinosa è quella relativa all’utilizzo degli extraprofitti generati dagli interessi sui capitali russi immobilizzati nella giurisdizione dell’Unione (un tesoretto che ammonta a qualcosa come 210 miliardi di euro) per finanziare la resistenza ucraina e la futura ricostruzione del Paese aggredito. La ministra svedese Maria Palmer Stenergard, ad esempio, vorrebbe spingersi fino a sequestrare gli stessi beni congelati.La faccenda è complessa tanto dal punto di vista politico quanto da quello giuridico e in Ue se ne discute da parecchio tempo, ma il tema ha guadagnato nuova urgenza dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, data la prospettiva di una chiusura dei rubinetti a stelle e strisce e l’alleggerimento delle sanzioni a Mosca ventilato recentemente dal tycoon newyorkese.Aiuti militariSul tavolo dei titolari degli Esteri c’erano anche gli aiuti militari a Kiev. “Abbiamo discusso dell’espansione delle missioni già in corso“, ha spiegato il capo della diplomazia a dodici stelle, ma anche di quella “forza di rassicurazione” di cui si sta occupando la coalizione dei volenterosi a egida franco-britannica. In termini finanziari, ha osservato Kallas “quest’anno gli Stati membri hanno già contribuito oltre 23 miliardi di euro”, una cifra superiore a quella versata dai Ventisette nel 2024 (circa 20 miliardi).Ad oggi, ha annunciato, sono stati consegnati circa due terzi dei 2 milioni di proiettili (per un valore totale di 5 miliardi) promessi all’Ucraina dagli Stati membri in quello che resta dell’ambizioso “piano Kallas” da 40 miliardi affossato qualche settimana fa da Italia, Francia e Spagna. L’Alta rappresentante spera di poter arrivare al 100% “nel più breve tempo possibile”.È peraltro di stamattina la notizia che il cancelliere tedesco in pectore, il conservatore Friedrich Merz, sarebbe propenso ad inviare all’ex repubblica sovietica i missili Taurus a lunga gittata, superando il netto rifiuto del Bundeskanzler uscente Olaf Scholz e innescando la risposta del Cremlino che condanna l’ennesima “pericolosa escalation”.Following yesterday’s horrific Russian attack on Sumy, I addressed the EU Foreign Affairs Council online upon @kajakallas invitation.This weekend was Passover and Palm Sunday, and now the Holy Week begins. This should have been a time for peace, but Putin made it a time of… pic.twitter.com/2VVTXzSAPp— Andrii Sybiha (@andrii_sybiha) April 14, 2025Stamattina, il ministro degli Esteri ucraino Andrij Sybiha (collegato da remoto al Consiglio in corso a Lussemburgo) ha invitato i suoi omologhi Ue a recarsi a Kiev in occasione della giornata dell’Europa il prossimo 9 maggio. Da un paio d’anni, l’Ucraina ha anticipato le celebrazioni per la fine della Seconda guerra mondiale dal 9 maggio – data in cui si festeggiava nell’Urss e si festeggia ancora in Russia – all’8, mentre il giorno successivo ricorda la dichiarazione Schuman del 1950 (considerato l’avvio del progetto comunitario) come fanno i Ventisette.Ma sul punto Kallas è stata evasiva: “Ho chiesto a tutti gli Stati membri e alle istituzioni dell’Unione di visitare Kiev quanto più possibile per mostrare la nostra solidarietà”, ha dichiarato ai giornalisti rispondendo ad una domanda sul tema, specificando invece che “non vogliamo che nessun Paese candidato partecipi alle celebrazioni del 9 maggio a Mosca“.

  • in

    Le incomprensioni tra gli alleati di Kiev fanno il gioco di Mosca

    Bruxelles – Mentre l’inviato speciale della Casa Bianca incontra Putin a Mosca, in Europa gli alleati dell’Ucraina continuano a discutere su come garantire il mantenimento della pace nell’ex repubblica sovietica quando si raggiungerà una pausa nei combattimenti. Ma non tutti sono sulla stessa lunghezza d’onda, né tra le due sponde dell’Atlantico e nemmeno, a quanto pare, all’interno del Vecchio continente.Ad esempio, non sembrava esserci grande sintonia questa mattina (11 aprile) tra Kaja Kallas e John Healey, almeno a giudicare dalle riflessioni condivise separatamente dai due con la stampa. L’Alta rappresentante Ue per la politica estera ha sostenuto di non aver ottenuto la “chiarezza” che si aspettava dall’incontro dei ministri della Difesa della coalizione dei volenterosi, tenutasi ieri al quartier generale della Nato a Bruxelles. “Diversi Stati membri hanno opinioni diverse“, ha spiegato l’ex premier estone, “e le discussioni stanno andando avanti”.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: European Council)Un’osservazione che ha spinto il titolare della Difesa britannico a offrire una precisazione qualche ora più tardi: i piani in via di definizione a livello della coalizione sono “reali, sostanziali e in fase avanzata“, ha dichiarato Healey, aggiungendo che “l’Ue non fa parte di tale pianificazione“. In effetti, le redini del gruppo – composto da una trentina di Paesi di cui fanno parte molti membri dell’Ue (ma non tutti), e di cui non fanno parte gli Stati Uniti – sono saldamente in mano a Londra e Parigi.Quanto ai contenuti di tali piani, dalla riunione di ieri sono emersi i quattro punti cardine intorno a cui si dovranno imperniare le operazioni della cosiddetta “forza di rassicurazione” (che non sarà una forza di peacekeeping): sicurezza nei cieli, sicurezza nel Mar Nero, fine dei combattimenti terrestri e rafforzamento delle forze armate ucraine. Queste ultime, ripetono da settimane gli alleati di Kiev, costituiranno l’elemento centrale della deterrenza contro potenziali nuove aggressioni russe.Il principale problema, in questa fase, è che per procedere con la definizione dei dettagli occorre conoscere i termini di un potenziale cessate il fuoco. Mancando quest’ultimo, è difficile per i vertici militari elaborare piani precisi. Inoltre, tutti i “volenterosi” continuano a ribadire la necessità che Washington fornisca un qualche tipo di asset – condivisione dell’intelligence, copertura aerea o addirittura truppe di terra – per garantire ulteriormente il mantenimento della pace, ma finora l’amministrazione a stelle e strisce ha rifiutato categoricamente ogni coinvolgimento militare nell’ex repubblica sovietica.In Brussels today, Defence Ministers and military leaders came together to build the momentum and progress of our Coalition of the Willing.We stand by Ukraine in the fight, and we will stand by Ukraine in the peace. pic.twitter.com/Y0mJkTRH5u— John Healey (@JohnHealey_MP) April 10, 2025Sia come sia, Healey ha presieduto oggi la riunione di un’altra formazione, il cosiddetto Gruppo di contatto per l’Ucraina (altrimenti noto come gruppo Ramstein), che di membri ne conta una cinquantina inclusi gli Usa, anche se il meeting odierno è stato il primo in cui Washington non faceva da padrone di casa (il capo del Pentagono, Pete Hegseth, era collegato da remoto). Al termine dell’incontro, il segretario alla Difesa di Sua Maestà ha annunciato nuovi aiuti a Kiev per un totale di oltre 21 miliardi di euro, definiti “un aumento record nel finanziamento militare per l’Ucraina”.Nel frattempo, in queste stesse ore è arrivato al Cremlino Steve Witkoff – il capo-negoziatore designato da Donald Trump per condurre le trattative tra Washington, Kiev e Mosca (nonostante il suo titolo ufficiale sia quello di inviato speciale per il Medio Oriente) – per incontrare personalmente Vladimir Putin. Prima di atterrare nella capitale della Federazione, Witkoff ha incontrato a San Pietroburgo Kirill Dmitriev, l’inviato di Putin per gli investimenti.L’inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente, Steve Witkoff (foto: Mandel Ngan/Afp)Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dichiarato che durante il faccia a faccia i due “potrebbero discutere” di un prossimo incontro tra Putin e Trump, ma non ha fornito ulteriori dettagli e ha anticipato che dalla visita odierna “non ci si dovrebbe aspettare alcun passo avanti” significativo. Sul suo social Truth, intanto, l’inquilino della Casa Bianca ha scritto che “la Russia deve darsi una mossa“.Le trattative diplomatiche per un cessate il fuoco sono sostanzialmente congelate da quando il presidente russo ha posto una serie di condizioni massimaliste per accettare una pausa nelle ostilità, che di conseguenza non si sono mai interrotte, nonostante Kiev si fosse dichiarata disponibile (in linea di principio) ad una tregua. Sul campo, la situazione volge da tempo a favore dell’esercito di Mosca, al punto che diversi analisti concordano nel ritenere imminente il lancio di una nuova offensiva primaverile da parte della Federazione, per far avanzare ulteriormente la linea del fronte e presentarsi al tavolo negoziale da una posizione ancora più forte.

  • in

    L’alleanza Iran-Venezuela in chiave pro-Putin preoccupa l’Ue

    Bruxelles – Cooperazione militare, commercio di greggio, scambi volti ad aggirare le sanzioni contro la Russia: l’alleanza Iran-Venezuela inquieta, e non poco, il Parlamento europeo. L’intera delegazione spagnola del gruppo dei popolari (Ppe) non vede di buon occhio i legami sempre più stretto tra regime degli ayatollah e presidente venezuelano de facto, e la Commissione europea deve riconoscere che questi timori sono tutt’altro infondati.“Il riavvicinamento tra Caracas, Mosca e Teheran è motivo di preoccupazione“, riconosce ‘Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas. Il motivo di questa preoccupazione è “il potenziale impatto sulla stabilità democratica nella regione dell’America Latina e dei Caraibi e sul partenariato” tra l’Ue e i Paesi di questa regione. L’Unione europea ha già condannato l’assistenza industriale-commerciale dell’Iran alla Russia per la fornitura di tecnologia e prodotti militari, in particolare i droni. L’elemento nuovo di questa alleanza è l’estensione sudamericana al Venezuela di un Maduro mai riconosciuto dall’Ue come legittimo presidente, con quest’ultimo che ha dato il proprio via libera alla creazione di una base di produzione di droni iraniani su suolo nazionale, in Venezuela. L’Unione europea intende fermare tutto questo. Eccessivo parlare di un rovesciamento del governo di Maduro, ma l’agenda a dodici stelle prevede la delegittimazione del regime e l’erosione del consenso attraverso il sostegno agli oppositori. “E’ fondamentale continuare a sostenere le aspirazioni democratiche del popolo venezuelano, promuovere un ambiente favorevole per la società civile e sostenere i diritti umani”, sostiene Kallas, che chiama a raccolta gli alleati: “Lavorare insieme ai principali partner internazionali e regionali è essenziale”.

  • in

    Kallas a Israele, “riprendete i negoziati per il cessate il fuoco” a Gaza. E stop ad attacchi “inutili” in Siria

    Bruxelles – Per la prima volta da quando siede a capo della diplomazia europea, Kaja Kallas prova ad alzare la voce sulle atrocità israeliane a Gaza. E lo fa dopo che – solo pochi giorni fa – il Consiglio europeo non è riuscito nemmeno a partorire una condanna per la ripresa dei bombardamenti sulla popolazione civile che hanno decretato la fine della tregua tra Israele e Hamas. Da Gerusalemme, l’Alta rappresentante Ue sottolinea “la pericolosa escalation” che sta causando “insopportabili incertezze per gli ostaggi” e “orrore e morte per il popolo palestinese“.In questi mesi Kallas è sembrata quasi disinteressarsi del conflitto in Medio Oriente di fronte agli sviluppi in Ucraina. Ha mantenuto un basso profilo, uscendo spesso in ritardo e con estrema cautela, scegliendo di non criticare apertamente l’alleato israeliano. Ha presieduto un controverso Consiglio di Associazione Ue-Israele, in cui la questione delle violazioni dei diritti umani a Gaza è passata in secondo piano rispetto a quanto avevano chiesto alcuni Stati membri e lo stesso predecessore di Kallas, Josep Borrell. Ora, di fronte alla fallimentare iniziativa personale da 40 miliardi per l’Ucraina – bocciata dai Paesi membri – e al precipitare della situazione a Gaza – dove le vittime palestinesi in 18 mesi di conflitto avrebbero toccato quota 50 mila -, Kallas si è imbarcata in un delicato viaggio tra Egitto, Israele e Cisgiordania nel tentativo di rilanciare la credibilità sua e dell’Unione europea.Gideon Sa’ar e Kaja Kallas a Bruxelles in occasione del Consiglio di Associazione Ue-Israele, 24/02/25Ieri sera (23 marzo) al Cairo, a margine dell’incontro con il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty, l’Alta rappresentante ha dichiarato che l’Ue “si oppone fermamente alla ripresa delle ostilità da parte di Israele, che ha causato una spaventosa perdita di vite umane a Gaza”. Promettendo che Bruxelles “utilizzerà gli strumenti che ha a disposizione” per fare pressione sul governo di Benjamin Netanyahu. Oggi – in una conferenza stampa congiunta con il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, in cui è apparsa a tratti imbarazzata – Kallas  ha ribadito “che riprendere i negoziati è l’unico modo fattibile per porre fine alle sofferenze di entrambe le parti”, perché “la violenza alimenta altra violenza”.Dall’altra parte però, c’è sempre il muro di gomma del governo di estrema destra israeliano. Sa’ar, che ha sostituito pochi mesi fa quell’Israel Katz, ora ministro delle Finanze, che pochi giorni fa ha minacciato la popolazione palestinese di punizione collettiva, ha dichiarato che per Israele “è naturale aspettarsi più sostegno dall’Europa“. Ha accusato Hamas di aver respinto per due volte la proposta americana di estendere la prima fase del cessate il fuoco – che avrebbe previsto la liberazione degli ostaggi israeliani ma senza il ritiro delle truppe di Tel Aviv da Gaza -, e soprattutto ha affermato che “Israele sta agendo in conformità con il diritto internazionale“, in barba a decine di rapporti delle agenzie delle Nazioni Unite, di organizzazioni per i diritti umani e di media internazionali.EDITORS NOTE: Vittime dei bombardamenti israeliani nel nord di Gaza, 20/03/25 (Photo by BASHAR TALEB / AFP)Sa’ar ha ricordato che durante le sei settimane di cessate il fuoco Israele “ha permesso a 25 mila camion di aiuti umanitari l’ingresso a Gaza”. Ma l’ultimo è entrato più di venti giorni fa e medici e operatori umanitari sul campo avvertono che la malnutrizione si sta nuovamente diffondendo nella martoriata enclave palestinese. Il ministro israeliano ha citato l’articolo 23 della quarta Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempi di guerra, che afferma l’obbligo di concedere il libero passaggio degli aiuti sussiste quando “la Parte contraente sia sicura di non aver alcun serio motivo di temere che gli invii possano essere sottratti alla loro destinazione (…) o che il nemico possa trarne evidente vantaggio per i suoi sforzi militari o la sua economia”.E “Hamas utilizza gli aiuti per finanziare le proprie operazioni e ripristinare le proprie capacità”, ha proseguito il ministro. Rispondendo a una domanda sull’eventuale dispiegamento di forze israeliane per distribuire gli aiuti, ha affermato: “Quando rinnoveremo la concessione degli aiuti, dovremo assicurarci che ciò avvenga in modo diverso”.Insomma, Israele continua a essere nel giusto e “sta combattendo la battaglia del mondo libero” contro “l’Iran, gli Houthi, Hamas e Hezbollah”. Una guerra “contro la civiltà occidentale”, ha insistito il ministro. Da qui l’imbarazzo di Kallas, le cui parole è evidente che per “il partner commerciale e di investimento molto importante” non hanno alcun valore. L’Alta rappresentante ha ricordato che “Israele ha il diritto di difendersi dagli attacchi terroristici, ma le azioni militari devono essere proporzionate”. Non solo a Gaza, ma anche “gli attacchi israeliani in Siria e in Libano rischiano di provocare un’ulteriore escalation”. In particolare, i raid sulle capacità militari siriane e su presunte cellule di Hezbollah a Damasco “sono azioni inutili, perché la Siria non sta attaccando Israele e questo non farà che alimentare la radicalizzazione”.Nel pomeriggio l’Alta rappresentante è attesa a Ramallah, dove incontrerà Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese, e Mohammad Mustafa, primo ministro e ministro degli Esteri palestinese.

  • in

    I leader Ue confermano il loro impegno sull’Ucraina (di nuovo senza Orbán)

    Bruxelles – Sembrano finiti i giorni in cui i leader dell’Ue cercavano di mantenere l’unità tra le 27 cancellerie. L’Europa a geometria variabile è già qui, con l’esclusione di fatto sistematica dell’Ungheria di Viktor Orbán. Come accaduto al vertice straordinario di due settimane fa, anche stavolta i capi di Stato e di governo hanno adottato le loro conclusioni sull’Ucraina aggirando l’opposizione del premier magiaro, mettendolo – o meglio lasciandolo – all’angolo.Niente di nuovo né nel metodo né nel merito. Nel metodo, appunto, si registra di nuovo il ricorso all’approccio sperimentato dal presidente del Consiglio europeo, António Costa, per raggiungere un consenso a 26 laddove non si riesca ad ottenere l’unanimità (richiesta per le decisioni formali di politica estera). Detto, fatto. Per la seconda volta di fila, anziché essere inserite nel testo finale delle conclusioni del summit, le determinazioni dei leader riguardo al conflitto nell’ex repubblica sovietica sono state inserite in un documento separato, firmato da tutti meno che dal primo ministro ungherese. “Divergenza strategica“, la formula utilizzata a Budapest e a Bruxelles per giustificare la nuova dinamica.Il primo ministro ungherese Viktor Orbán e l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas (foto: European Council)Nel merito, la sessione durata un paio d’ore ha prodotto risultati sostanzialmente identici a quelli del vertice straordinario dello scorso 6 marzo. Si riafferma il “continuo e incrollabile sostegno all’indipendenza, alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale”, si ribadisce l’approccio di “pace attraverso la forza“, si ripete l’impegno “a fornire ulteriore supporto completo all’Ucraina e al suo popolo”, inclusa la fornitura di nuovi e consistenti aiuti finanziari e militari.E, naturalmente, il sostegno a “una pace globale, giusta e duratura” che sia “accompagnata da solide e credibili garanzie di sicurezza“, per monitorare la quale è benvenuto il contributo della cosiddetta coalizione dei volenterosi a egida franco-britannica (i cui capi di Stato maggiore si stanno riunendo proprio in queste ore a Londra). Infine, i leader hanno “sottolineato la necessità di accelerare i negoziati di adesione” dell’Ucraina al club a dodici stelle.C’è poi un passaggio sui colloqui in corso per giungere ad una tregua dei combattimenti. I leader dei Ventisette accolgono “con favore” la dichiarazione congiunta siglata da Ucraina e Stati Uniti dopo l’incontro di Gedda dello scorso 11 marzo, “comprese le proposte per un accordo di cessate il fuoco, gli sforzi umanitari” e soprattutto “la ripresa della condivisione di intelligence e dell’assistenza” da parte degli Usa. In altre parole, c’è sollievo a Bruxelles per il riavvio dei rapporti tra Kiev e Washington (e soprattutto degli aiuti militari) dopo l’epilogo burrascoso del bilaterale alla Casa Bianca di fine febbraio.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) accoglie l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky nello Studio ovale, il 28 febbraio 2025 (foto via Imagoeconomica)Ma l’entusiasmo delle cancellerie si ferma qui. Secondo fonti diplomatiche comunitarie, l’opinione condivisa al tavolo è che “al momento non sono in corso veri negoziati” tra Washington, Mosca e Kiev. Sembra che i Ventisei siano quantomeno contrariati dalla rapidità con cui si stanno susseguendo i contatti degli ultimi giorni (con Trump incollato al telefono per sentire gli omologhi russo e ucraino), dai quali si sentono esclusi. E infatti, sempre stando ad alti funzionari Ue, i leader si sarebbero “confrontati sui modi migliori per influenzare il processo“.Lo stesso Volodymyr Zelensky si è collegato da remoto coi capi di Stato e di governo, ringraziando i partner europei per il loro sostegno e accogliendo positivamente l’impegno a rifornire Kiev con munizioni per l’artiglieria per un valore di 5 miliardi di euro. Che poi è tutto quello che rimane della proposta ambiziosa – forse troppo – avanzata dall’Alta rappresentante Kaja Kallas, la quale aveva chiesto alle cancellerie uno sforzo dell’ordine dei 40 miliardi.Sempre sul tema della sicurezza del Vecchio continente, Zelensky ha descritto il piano ReArm Europe come “molto utile e lungimirante” e ha chiesto ai leader di metterlo in pratica rapidamente. “Sono necessari investimenti nella produzione di armi sia in Ucraina che nei vostri Paesi”, ha osservato. E bisogna arrangiarsi: “Tutto il necessario per difendere il continente dovrebbe essere prodotto qui in Europa“, ha aggiunto.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Maxim Shemetov/Afp)Dopo aver confermato che il suo team negoziale sta lavorando per “raggiungere un cessate il fuoco incondizionato e completo sulla terraferma” che vada oltre la tregua temporanea concordata (almeno sulla carta) con Washington e Mosca, il leader ucraino ha ribadito che “Putin deve smetterla di fare richieste inutili che non fanno altro che prolungare la guerra e deve iniziare a mantenere ciò che promette“. Non esattamente quello che si è visto nelle ultime ore.Il Consiglio europeo esorta dunque la Russia “a mostrare una reale volontà politica per porre fine alla guerra“. Come? Rendendosi disponibile ad aumentare gli sforzi umanitari, in particolare lo scambio di prigionieri e il rilascio dei civili (e dei bambini) deportati. Nel frattempo, i Ventisei si dicono pronti ad “aumentare la pressione” su Mosca, anche con nuovi pacchetti di sanzioni, come richiesto dallo stesso Zelensky almeno “finché la Russia non inizierà a ritirarsi dal nostro territorio e finché non avrà completamente compensato i danni causati dalla sua aggressione”.

  • in

    Siria, ora l’Ue teme il ritorno di combattenti islamici radicalizzati

    Bruxelles – Il nuovo corso in Siria porta con sé rischi per la sicurezza dell’Ue, a cominciare quelli legati al possibile ritorno di combattenti islamici radicalizzati. Un problema avvertito certamente in Parlamento europeo, dove non si parla apertamente di minaccia terroristica ma si fa comunque notare che la presa del potere da parte di Hayʼat Tahrir al-Sham (HTS), la milizia islamica che ha rovesciato il regime di Assad, abbia svuotato le carceri lasciano a piede libero miliziani dell’Isis e di Al-Qaeda. Si tratta non solo di cittadini siriani, ma, viene fatto notare, anche di persone che molto probabilmente hanno la nazionalità dell’Ue.La minaccia c’è, e lo riconosce anche l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, quando rispondendo all’interrogazione parlamentare in materia ammette che “la Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, continua a seguire il destino dei cittadini dell’Ue che si sono recati in zone di conflitto come la Siria per unirsi a organizzazioni terroristiche e non sono tornati o le cui morti rimangono non confermate“. Segno che la situazione preoccupa e quindi monitoraggio e controllo si rendono necessari. Se da una parte nell’Ue non si vogliono nuove ondate di rifugiati, dall’altra parte non si vuole neppure un nuovo livello di allerta di minaccia terroristica.Però, viene ricordato sempre dall’Alto rappresentante, in linea di principio ai cittadini dell’Ue non può essere impedito di tornare a meno che non venga revocata la loro nazionalità. Quindi il rientro in Europa di individui radicalizzati non può essere escluso. “Per coloro che tornano e costituiscono una minaccia per la sicurezza, l’azione penale è uno strumento primario”, sottolinea Kallas, la quale ricorda inoltre che in materia di sicurezza la responsabilità primaria è degli Stati membri. Spetta dunque ai governi tenere alta l’attenzione e verificare quanti attraversano la frontiera.Gli Stati membri possono comunque avvalersi della collaborazione di Frontex (l’agenzia di guardia costiera e di frontiera) per quanto riguarda il sostegno operativo alla gestione delle migrazioni, oltre a quella di Europol (la polizia europea) per ciò che riguarda la condivisione di informazioni di intelligence. “Insieme – conclude Kallas – queste misure mirano a impedire il rientro di individui ad alto rischio e a garantire la responsabilità delle loro azioni”.La Commissione europea, comunque, in nome della stabilità del Paese e della regione, ha deciso di intrattenere relazioni con il nuovo governo nonostante sia retto da HTS, la milizia islamica riconosciuta dall’Onu come terroristica, con l’Ue allineata alle decisioni delle Nazioni Unite.

  • in

    L’Ue sta scommettendo (al buio) sulla nuova leadership in Siria

    Bruxelles – L’Unione europea ha scelto di credere che una nuova Siria inclusiva e democratica possa rinascere dalle ceneri della sanguinaria dittatura di Assad e oltre un decennio di guerra civile. Ha cominciato a smantellare il durissimo regime di sanzioni in vigore contro Damasco, nonostante il suo nuovo leader, Ahmed al-Sharaa, fosse a capo di una milizia islamista riconosciuta come organizzazione terroristica dall’Onu, da Washington e dalla stessa Bruxelles. Ora, a pochi giorni dai massacri consumati nell’ovest del Paese fedele ad Assad, l’Ue si prepara ad ospitare la nona conferenza per il sostegno alla Siria. “C’è speranza, ma le sfide sono immense”, ammette un alto funzionario europeo.In effetti, dopo una prima fase di grande entusiasmo per il crollo del regime di Bashar al-Assad, gli ultimi giorni hanno dimostrato che la nuova leadership non è certo priva di contraddizioni. Venerdì scorso, nella regione a maggioranza alawita rimasta fedele al deposto presidente, nel nord-ovest del Paese, sono scoppiati dei feroci scontri tra le milizie pro-Assad e le forze governative. I combattimenti e le esecuzioni di massa di civili hanno causato quasi 1.500 morti in una settimana. Secondo l’ong Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 973 civili, in maggioranza alawiti, sono stati uccisi “in esecuzioni sommarie e operazioni di pulizia etnica“.Forze di sicurezza governative a Qardaha, villaggio d’origine della famiglia Assad, nella provincia occidentale di Latakia, 10/03/2025. (Photo by Abdulwajed HAJ ESTEIFI / AFP)Il presidente ad interim al-Sharaa si è impegnato “a perseguire i responsabili delle uccisioni di civili”. Ed oggi, al palazzo presidenziale di Damasco, ha firmato la dichiarazione costituzionale che sarà applicata durante il lungo periodo di transizione di cinque anni, al termine del quale la nuova leadership si è impegnata a indire elezioni e redigere una nuova Costituzione. Firmando il documento, al-Sharaa si è augurato che segni l’inizio di “una nuova storia per la Siria, dove sostituiamo l’oppressione con la giustizia”.Segnali contrastanti, di violenze e aperture democratiche. Come l’accordo raggiunto con i curdi delle Forze democratiche siriane (SDF) – che hanno deposto le armi per integrarsi nelle forze di sicurezza governative -, del quale però non si conoscono ancora le conseguenze sui territori amministrati autonomamente dai curdi nel nord-est del Paese. “Sappiamo tutti, e lo sapevamo fin dall’inizio, che la situazione è davvero fragile. Le atrocità dello scorso fine settimana hanno lanciato un forte allarme”, ha ammesso un alto funzionario dell’Ue. Ma per una serie di motivi – geopolitici, economici e non ultimo legati al rimpatrio dei rifugiati siriani – l’Unione europea ha scelto finora di accettare le contraddizioni e di esporsi nel sostegno ad al-Sahraa. La commissaria Ue per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, ha incontrato il leader siriano a Damasco lo scorso 17 gennaio.La commissaria Ue per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, e Ahmed al-Sahraa a Damasco, 17/01/25In un comunicato a nome dell’Ue, l’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas ha condannato “con la massima fermezza” gli attacchi delle milizie pro-Assad contro le forze di sicurezza e “gli orribili crimini commessi contro i civili, incluse le esecuzioni sommarie, molte delle quali presumibilmente perpetrate da gruppi armati che sostengono le forze di sicurezza delle autorità di transizione”. Kallas ha quindi “accolto con favore” l’impegno di al-Sahraa ad avviare un’indagine, chiedendo che sia “rapida, trasparente e imparziale”. Il capo della diplomazia Ue ha sottolineato l’importanza dell’accordo con i curdi delle SDF e l’avvio del dialogo nazionale, “determinante per garantire che la transizione soddisfi le aspirazioni di tutte le componenti della società siriana”.Lo scorso 24 febbraio i Paesi membri hanno deciso di sospendere le sanzioni contro la Siria in alcuni settori chiave, come energia, trasporti e banche. Una sospensione “graduale e reversibile”, ha ricordato Kallas, chiarendo al contempo che “l’Ue continuerà a esaminare possibili ulteriori sospensioni delle sanzioni sulla base di un attento monitoraggio della situazione nel paese”. Fonti Ue hanno ammesso che è “ancora troppo presto” per dire se lo stop alle sanzioni abbia già fatto una qualche differenza in termini di vitalità economica. “C’è chiaramente interesse” di aziende europee, turche e dei Paesi arabi ad esempio nel settore edile, ma finché la Siria non sarà riammessa al sistema di pagamenti internazionali SWIFT rimarrà “praticamente impossibile fare un pagamento”.L’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas A Ryiad per colloqui sul futuro della Siria (Ph: Account X Kaja Kallas]Anche gli eurodeputati si sono uniti all’appello per “cogliere questa opportunità storica per sostenere una transizione politica guidata dalla Siria al fine di unire e ricostruire il paese”, incoraggiando l’Ue e gli Stati membri, in una risoluzione approvata ieri a larghissima maggioranza a Strasburgo, ad aiutare le autorità siriane nella ricostruzione del paese. L’Eurocamera ha suggerito di valutare la possibilità di utilizzare i beni congelati del regime di Assad sul territorio dell’Ue per finanziare la ricostruzione, la riabilitazione e il risarcimento delle vittime.È in questo contesto che si terrà lunedì 17 marzo a Bruxelles la nona Conferenza sulla Siria, anticipata di qualche mese rispetto al solito proprio per l’urgenza di dare delle basi solide alla nuova Siria prima che risprofondi nel caos. L’obiettivo è “mobilitare il sostegno internazionale per una transizione pacifica e inclusiva e generare impegni per l’assistenza umanitaria e non”. Dalla Conferenza dello scorso anno, erano stati raccolti impegni per 7,5 miliardi di euro, di cui la metà – 3,8 miliardi – dall’Ue e dai Paesi membri. Quest’anno, confermano fonti Ue, sarà presente anche il ministro degli Esteri del governo di transizione di Damasco.Ora che si parla di ricostruzione, ne servono di più. Stiamo parlando di un Paese che è stato tagliato fuori da tutto per quasi 15 anni, in cui il tasso di distruzione è enorme, la disoccupazione si aggira intorno all’80 per cento, le infrastrutture energetiche e l’approvvigionamento idrico sono scarsissime. Un problema è che – afferma un alto funzionario Ue – il sistema di aiuti umanitari si è basato fino ad oggi “su due pilastri”: da un lato l’Ue e i Paesi membri, dall’altro gli Stati Uniti. E quest’ultimo, dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, “è stato tagliato molto, se non sospeso”. Le stesse fonti fanno sapere che Marco Rubio, segretario di Stato americano, non parteciperà alla Conferenza, ma Washington dovrebbe essere rappresentata dal sottosegretario di Stato per la regione.

  • in

    A Gaza salta la tregua e Israele ricomincia a affamare la popolazione. L’Ue condanna Hamas

    Bruxelles – La fragile tregua siglata a metà gennaio tra Israele e Hamas è durata 42 giorni. Scaduta la prima delle tre fasi previste, l’accordo è saltato nella notte tra sabato e domenica e ieri (2 marzo) il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato nuovamente il blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Mentre le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie sul campo lanciano “l’allarme” per le conseguenze della decisione di Tel Aviv su quasi due milioni di civili, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, attribuisce interamente le responsabilità al gruppo armato palestinese.L’Ue “condanna il rifiuto di Hamas di accettare la proroga della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe potenzialmente avere conseguenze umanitarie”, dichiara il portavoce di Kallas, Anouar el Anouni. In questa prima fase di sei settimane, insieme al rilascio di una parte degli ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, Tel Aviv ha garantito l’ingresso nell’enclave di un maggiore flusso di aiuti umanitari, necessari per assistere una popolazione a cui per diversi tratti del conflitto sono stati negati anche i bisogni primari.L’accordo dello scorso 15 gennaio prevedeva poi il passaggio ad una seconda fase in cui Hamas avrebbe dovuto concludere la liberazione di tutti gli ostaggi ancora in vita e le truppe israeliane il completo ritiro dalla Striscia di Gaza. Ma i dettagli di questa delicata fase, si era detto a Doha, avrebbero potuto essere soggetti a ulteriori negoziati durante la prima fase. Nelle ultime settimane, di fronte alle provocazioni della nuova amministrazione americana, all’intensificarsi delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e ad alcuni episodi di potenziali attentati nelle città israeliane, le trattative sono naufragate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)In sostanza, Tel Aviv ha appoggiato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti nominato da Trump, Steve Witkoff, per estendere la prima fase del cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, e continuare così a rilasciare gli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza. Una bozza di nuovo accordo che Hamas ha invece declinato. Tel Aviv nega di aver violato i termini dell’accordo di gennaio, che prevedeva appunto ulteriori negoziazioni e addirittura che Israele potesse tornare a combattere dopo il 42esimo giorno “se ha l’impressione che i negoziati siano stati inefficaci”.Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, ong con sede a Ginevra, durante le sei settimane di tregua l’esercito israeliano avrebbe ucciso almeno 115 civili a Gaza. Netanyahu però ha accusato Hamas di aver violato “ripetutamente” i termini del cessate il fuoco, in particolare su tempistiche e modalità del rilascio degli ostaggi del 7 ottobre. Alla riunione del consiglio dei ministri convocata per discutere i nuovi sviluppi, Netanyahu ha dichiarato: “Non ci saranno più pranzi gratis. Se Hamas pensa che sarà possibile continuare il cessate il fuoco o beneficiare dei termini della prima fase, senza che noi riceviamo ostaggi, si sbaglia di grosso”.Una famiglia palestinese prepara la colazione prima del digiuno imposto dal Ramadan al campo profughi di Bureij nella Striscia di Gaza, 1/3/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)In una nota, il gabinetto del premier ha precisato che Israele “cesserà ogni ingresso di merci e rifornimenti nella Striscia di Gaza“. Nella giornata di ieri, il portavoce di Netanyahu, Omer Dostri, ha confermato: “Nessun camion è entrato a Gaza questa mattina, né lo farà in questa fase”. Si tratta di uno dei capi d’accusa con cui la Corte Penale Internazionale ha già emesso un mandato d’arresto contro il premier israeliano e l’ex ministro della Difesa, Noav Gallant: i due sono già ritenuti responsabili di aver affamato la popolazione civile palestinese come metodo di guerra, di aver causato intenzionalmente “grandi sofferenze, gravi lesioni al corpo o alla salute o trattamenti crudeli”, di “dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile“.L’Egitto e il Qatar, che insieme agli Stati Uniti sono i principali mediatori tra il governo di Netanyahu e Hamas, hanno accusato Israele di violare l’accordo raggiunto faticosamente a gennaio. Il ministero degli Esteri del Cairo ha affermato che Israele usa la fame “come arma contro il popolo palestinese”, mentre Doha ha aggiunto:  “Il Qatar condanna fermamente la decisione del governo di occupazione israeliano di interrompere l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la considera una palese violazione dell’accordo di cessate il fuoco (e) del diritto internazionale umanitario“.Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto che “gli aiuti umanitari tornino immediatamente a Gaza”, mentre il sottosegretario dell’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari, Tom Fletcher, ha descritto la mossa come “allarmante”. Di fronte alla palese violazione del diritto umanitario da parte di Netanyahu – tralasciando il rispetto dei termini del cessate il fuoco da entrambe le parti – la nota del capo della diplomazia europea appare quanto meno debole, se non accondiscendente nei confronti di Tel Aviv. Oltre alla condanna ad Hamas per non aver accettato la proroga della prima fase, l’Ue “ribadisce la richiesta di un accesso completo, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari su larga scala per i palestinesi bisognosi”. Ma non c’è alcun accenno alla gravità estrema della decisione presa come rappresaglia su tutta una popolazione civile da parte di un governo democratico alleato.