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    L’Ue “inorridita” dal massacro nel campo profughi a Rafah chiede di convocare un Consiglio di associazione con Israele

    Bruxelles – L’uccisione di almeno 45 sfollati palestinesi – tra cui diversi bambini – in un bombardamento israeliano sul campo profughi di Tal-Sultan, a Rafah, “dimostra che non esiste luogo sicuro a Gaza“. E “inorridisce” a tal punto le coscienze dei Paesi Ue, che i ministri degli Esteri dei 27 decidono all’unanimità che è ora di convocare un Consiglio di associazione con Israele per discutere del rispetto dei diritti umani previsto nell’accordo di associazione tra Bruxelles e Tel Aviv.Al termine di una due giorni dedicata al conflitto a Gaza, con l’incontro di ieri (26 maggio) con il neo-premier dell’Autorità nazionale palestinese, Mohammad Mustafa, e la riunione dei ministri degli Esteri Ue a cui oggi si sono uniti gli omologhi da Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Emirati Arabi e Qatar, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, si è presentato in conferenza stampa scuro in volto. “Voglio insistere sulle orribili notizie provenienti da Rafah“, ha esordito, sottolineando che l’attacco israeliano è arrivato poche ore dopo l’ordine della Corte di Giustizia Internazionale di astenersi da qualsiasi operazione militare a Rafah.“Per ora, quello che stiamo vedendo non è uno stop delle attività militari, ma al contrario un aumento di bombe e vittime civili”, ha constatato Borrell. La sfacciata noncuranza delle misure richieste dall’Aia con cui ha agito il governo di Netanyahu ha convinto i 27 a convocare un Consiglio di associazione Ue-Israele. Chiedere conto al partner del rispetto degli impegni presi nell’ambito dell’accordo di Associazione è il primo passo per una sua eventuale sospensione. Come avevano chiesto oltre tre mesi fa in una lettera a Ursula von der Leyen i governi di Spagna e Irlanda, ma la richiesta era stata finora rimasta inascoltata.Proprio Madrid e Dublino domani procederanno al riconoscimento formale dello Stato palestinese. Sulla reazione israeliana all’annuncio, Borrell ha commentato: “Con Spagna e Irlanda non la chiamerei escalation diplomatica, ma aggressione verbale assolutamente ingiustificata ed estrema da parte del governo Netanyahu”.La pazienza del capo della diplomazia europea nei confronti delle scelte del primo ministro israeliano è ai minimi storici. Addirittura, Borrell ha dichiarato che “d’ora in poi non dirò più Israele, ma governo Netanyahu”, per sottolineare ancora di più le responsabilità dell’esecutivo di estrema destra israeliano. Che ha deciso di bloccare l’esborso delle tasse che raccoglie in Cisgiordania per l’Autorità Nazionale Palestinese, risorse con cui l’ANP paga i salari ai dipendenti pubblici e garantisce un minimo di servizi in un territorio già “in ebollizione”. Una decisione pensata “per asfissiare economicamente e finanziariamente l’Anp”, ha denunciato ancora l’Alto rappresentante.Con i rappresentanti dei Paesi arabi, i 27 hanno provato a immaginare il day-after. I cinque mediorientali hanno “gettato il guanto sul tavolo – ha spiegato Borrell -, ora tocca a noi coglierlo”. Hanno cioè presentato una sorta di piano di pace, ipotizzando l’organizzazione di una conferenza di pace internazionale su “come implementare la soluzione dei 2 Stati”. Un impegno che Borrell vuole prendersi, ma “fino a quel giorno, la cosa più importante è sostenere l’Anp e l’Unrwa”.Sull’Agenzia Onu per il soccorso l’occupazione dei rifugiati palestinesi, la terza richiesta di Borrell al governo Netanyahu: “Basta chiamarla organizzazione terroristica”. Perché Tel Aviv non ha fornito prove alle sue accuse di complicità di membri dello staff con Hamas, e perché senza l’Unrwa la distribuzione degli aiuti a Gaza è impensabile. Questo l’ultimo punto toccato dall’Alto rappresentante: “L’unica cosa che possiamo fare per facilitare gli aiuti è riaprire la missione Ue a Rafah”, la missione con cui – dal 2005 al 2007 – l’Ue ha gestito il passaggio di merci e persone alla frontiera tra Gaza e l’Egitto. “Ci è stato chiesto, i ministri mi hanno dato il via libera politico per riattivare EUBAM Rafah, ma deve essere fatto in accordo con l’Anp, l’Egitto e ovviamente Israele”.

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    Gaza, l’Ue studia come riprendere la gestione del varco di Rafah. Cos’è la missione europea sospesa dal 2007

    Bruxelles – Sono in corso colloqui a vari livelli per approfondire le possibilità che l’Unione Europea riprenda in mano la gestione del passaggio di merci e persone dal varco di Rafah, come già aveva fatto con EUBAM Rafah dal 2005 al 2007. Ne stanno parlando gli operatori della missione Ue ancora sul posto con Egitto e Israele, ne stanno studiando la fattibilità Bruxelles e Washington. E, come confermato da un alto funzionario Ue, ne discuteranno i ministri dei 27 al prossimo Consiglio Affari Esteri, previsto lunedì 27 maggio.“Siamo ancora in una fase molto preliminare”, placa gli entusiasmi la fonte. Ma è vero che nelle ultime settimane l’Ue “ha ricevuto richieste da diverse parti, compreso Israele, per studiare le opportunità di riaprire” la missione avviata nel novembre del 2005, dopo il disimpegno di Israele da Gaza, al fine di assicurare una presenza come parte terza al valico di Rafah tra la striscia di Gaza e l’Egitto e creare un clima di fiducia tra il governo di Israele e l’Autorità palestinese.Personale Ue e palestinese al Rafah Crossing Point nel novembre 2005 (Photo by PEDRO UGARTE / AFP)Una missione che dal 25 novembre 2005 fino all’ultimo giorno di monitoraggio Ue, il 9 giugno 2007, secondo i dati registrati da EUBAM, favorì l’attraversamento di un totale di 443.975 persone, 229.429 da Gaza in territorio egiziano, 214.117 per il percorso inverso. Il personale europeo fece in fretta e furia le valigie il 13 giugno 2007, poche ore prima che Hamas prendesse il controllo della città di Rafah e inaugurasse così il suo governo nella Striscia di Gaza.Da quel giorno, la missione EUBAM Rafah è sospesa, ma ha attuato – attraverso il lavoro di 10 membri dello staff internazionale e 8 locali – un progetto di preparazione a lungo termine con le sue controparti palestinesi, vale a dire “attività di rafforzamento delle capacità per migliorare la loro capacità di ridispiegarsi presso il varco di Rafah quando le condizioni lo consentiranno“. Nel giugno 2023, il Consiglio dell’Ue ha deciso di prorogare la missione di un anno, fino al 30 giugno 2024, con possibilità di proroga per un ulteriore anno. E con un budget di 2,36 milioni di euro per il periodo dal primo luglio 2023 al 30 giugno 2024.Ecco perché, con l’aggravarsi della situazione nel sud della Striscia a causa dell’avvio delle operazioni militari israeliane a Rafah e la conseguente chiusura delle frontiere ai convogli umanitari, gli attori regionali e internazionali hanno intravisto la possibilità di chiamare nuovamente in causa l’Ue. Secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense Politico, funzionari dell’amministrazione Biden stanno lavorando da settimane dietro le quinte, mediando i colloqui tra Israele ed Egitto, per trovare un accordo che metta la missione europea a capo del varco di Rafah e migliori in modo significativo il flusso di aiuti nell’enclave.Un alto funzionario a stelle e strisce avrebbe dichiarato alla testata americana che – se le trattative in corso tra Israele e Egitto sulla riapertura della frontiera andassero a buon fine e se l’Unione europea sottoscrivesse l’idea – il varco di Rafah “potrebbe essere aperto nelle prossime settimane“.A Bruxelles sono più cauti, la fase è appunto ancora “preliminare”, ma a quanto si apprende l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, già il prossimo lunedì potrebbe chiedere ai ministri dei 27 di conferirgli un mandato per studiare a fondo la possibilità di rilanciare la missione.L’urgenza di trovare una soluzione è evidente. Ed è stata sottolineata una volta di più dalla Corte di Giustizia Internazionale, che nel pomeriggio si è pronunciata per la terza volta sul possibile genocidio a Gaza e ha imposto nuove misure provvisorie a Israele. Tra cui “interrompere immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possano infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica, totale o parziale” e “mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari”.

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    Spagna, Irlanda e Norvegia annunciano il riconoscimento dello Stato di Palestina. Israele: “Hanno scelto di premiare Hamas”

    Bruxelles – I due Paesi Ue più attivi in solidarietà del popolo palestinese rompono gli indugi e annunciano il riconoscimento dello Stato di Palestina. Spagna e Irlanda compiranno il passo formale il prossimo 28 maggio. Con loro anche la Norvegia: i tre vanno così ad aggiungersi ai 140 Paesi nel mondo che già attribuiscono alla Palestina lo status di entità statale. Ira di Israele: “Questi Paesi hanno scelto di premiare Hamas”. E richiama a Tel Aviv gli ambasciatori a Dublino e Oslo.Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, annuncia il riconoscimento della Palestina al Congresso dei deputati (Photo by Thomas COEX / AFP)I primi ministri di Spagna, Irlanda e Norvegia hanno annunciato il riconoscimento sulla base dei confini del 1967 in contemporanea: Pedro Sanchez si è presentato al Congresso dei deputati di Madrid, mentre il primo ministro irlandese Simon Harris e quello norvegese Jonas Gahr Støre hanno convocato due conferenze stampa. “E’ giunto il momento di passare dalla parole ai fatti. Per la pace, per la giustizia e per la coerenza”, ha dichiarato Sanchez in Aula. Per il premier norvegese la decisione è figlia del fatto che “non può esserci pace in Medioriente se non c’è riconoscimento“. Dello stesso avviso Harris: “Il riconoscimento dello Stato di Palestina rappresenta un sostegno inequivocabile alla soluzione dei due Stati” ed è “l’unica via credibile verso la pace tra Israele e Palestina”, ha dichiarato.Tutti e tre hanno poi auspicato che altri Paesi seguano la strada tracciata da Madrid, Dublino e Oslo. A partire dalla Slovenia, che nei mesi scorsi si è detta pronta a riconoscere unilateralmente la Palestina e che dovrebbe procedere entro il 13 giugno – quando il Parlamento di Lubiana voterà sulla questione -, ma anche Belgio, Lussemburgo e Portogallo, Paesi che tentennano tra l’azione unilaterale e la posizione ufficiale del blocco Ue, pronta a riconoscere Ramallah solo una volta che sarà inserita nel processo di una soluzione a due Stati. La mossa compiuta oggi dai due Paesi Ue e dalla Norvegia prova a invertire il ragionamento: la soluzione a due Stati non può che partire dal riconoscimento dello Stato palestinese.Il primo ministro irlandese Simon Harris (C), affiancato dal ministro degli Affari Esteri, Michel Martin (R), e dal ministro dei Trasporti, Eamon Ryan (L),  annunciano il riconoscimento della Palestina (Photo by Paul FAITH / AFP)Anche perché la posizione di Bruxelles – condivisa peraltro con gli Stati Uniti – è nei fatti sbarrata dalla riluttanza del governo israeliano di Benjamin Netanyahu, che ha ribadito a più riprese la propria opposizione alla soluzione a due Stati. “Con questo passo significativo, Spagna, Irlanda e Norvegia hanno dimostrato ancora una volta il loro incrollabile impegno per la soluzione a due Stati e per garantire al popolo palestinese la giustizia da tempo attesa”, ha commentato il ministero degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese, sottolineando inoltre come il riconoscimento della Palestina sia “in linea con il diritto internazionale e con tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite in materia”.Dei 27 Paesi Ue, la Svezia era stata finora l’unico ad aver proceduto al riconoscimento della Palestina mentre era membro del blocco, nel 2014. Mentre Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Malta, Romania, Polonia e Slovacchia hanno fatto questo passo prima di entrare nell’Unione. Con l’annuncio di Spagna e Irlanda, saranno ora 11 le capitali Ue a riconoscere Ramallah, ancora meno della metà. E soprattutto, alla conta mancano ancora Parigi, Berlino e Roma.Il primo ministro norvegese, Jonas Gahr Store (R), e il ministro per gli Affari esteri, Espen Barth Eide, annunciano il riconoscimento della Palestina (Photo by Erik Flaaris Johansen / NTB / AFP) / Norway OUTLa Francia di Emmanuel Macron ha già sostenuto di essere pronta a “contribuire” al riconoscimento di uno Stato palestinese, “sia in Europa che in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu”. Mentre Italia e Germania, seppur non ostili all’idea, la vincolano al contemporaneo riconoscimento da parte di Israele. Nulla di più lontano, a giudicare dalla reazione di Tel Aviv all’annuncio di Spagna, Irlanda e Norvegia: il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha già richiamato in patria gli ambasciatori a Dublino e Oslo, minacciando di fare lo stesso con il corpo diplomatico israeliano a Madrid.“Israele non rimarrà in silenzio di fronte a coloro che minano la sua sovranità e mettono in pericolo la sua sicurezza”, ha dichiarato Katz in una nota, sostenendo che in questo modo i tre Paesi “hanno scelto di premiare Hamas e l’Iran” nonostante “il più grande massacro di ebrei dai tempi dell’Olocausto“. Per il ministro il riconoscimento unilaterale della Palestina “mina le possibilità di pace e mette in discussione il diritto di Israele alla pace”. Katz va oltre, minacciando “ulteriori gravi conseguenze” nei confronti dei tre Paesi. Che altro non hanno fatto che uniformarsi ai 139 Paesi membri dell’Onu che già hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Circa il 70 per cento di chi siede all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

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    Gli atenei d’Europa si sollevano per fermare il genocidio a Gaza, la presidente dell’Eui: “Garantire spazio di discussione”

    Bruxelles – Dalle università americane agli atenei di tutta Europa. Le proteste studentesche contro la guerra di Israele a Gaza si sono propagate a macchia d’olio, fino a raggiungere l’Istituto universitario europeo (Eui) di Badia Fiesolana, alle porte di Firenze. E hanno costretto la presidente dell’ente di studio e di ricerca finanziato dagli Stati Ue, Patrizia Nanz, a prendere posizione: “Intendo garantire uno spazio in cui docenti e ricercatori possano porre tutte le domande“, ha assicurato la politologa tedesca in difesa dei manifestanti.Da Berlino a Roma, da Parigi a Barcellona, passando da Cambridge e Helsinki, numerosi gruppi studenteschi stanno protestando contro l’intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza e contro la presunta complicità dei Paesi del blocco Ue. A Bruxelles, la tensione rimane alta sia all’Université libre de Bruxelles (ULB), con alcuni studenti che hanno aggredito il leader del sindacato degli studenti ebrei durante un’azione di protesta, sia all’Università fiamminga (VUB), dove per giorni è stato occupato un edificio dell’ateneo.Proprio la VUB ha deciso di interrompere un progetto di ricerca sull’intelligenza artificiale con due organizzazioni israeliane. Seguita dall’Università di Ghent, il cui rettore ha annunciato di voler chiudere la cooperazione con tre organizzazioni israeliane partner dell’ateneo, coinvolte nella produzione di equipaggiamento militare o direttamente collegate al governo di Tel Aviv.A Firenze – e in diverse città italiane – è cominciata l’Intifada studentesca, con gli allievi delle università italiane e internazionali accampati in Piazza San Marco per chiedere di fermare il genocidio a Gaza. Nel manifesto, rilanciato anche dall’Unione dei ricercatori dell’Eui, gli studenti chiedono con urgenza che ogni università si esponga pubblicamente per il cessate il fuoco e contro l’invasione israeliana di Rafah. Ma non solo: pretendono che le università rendano pubbliche le proprie attività economiche, che “disinvestano e taglino i ponti con qualsiasi organizzazione complice del genocidio“, e che intraprendano nuove iniziative per ospitare e supportare l’istruzione e la ricerca a Gaza.La presidente dell’Eui, Patriza Nanz [Ph: European University Institute]Nella giornata di ieri (16 maggio), mentre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ne discuteva con gli studenti della Sapienza alla cerimonia per i laureati, il Consiglio Accademico dell’Eui – l’organo che rappresenta tutti i professori dell’istituto – ha pubblicato una dichiarazione di ferma condanna delle violenze contro i civili in Medio Oriente, in cui ha chiesto un cessate il fuoco immediato e la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Ma soprattutto, l’Eui si è impegnato a garantire che l’Istituto “rimanga uno spazio sicuro per tutti, in particolare i suoi studenti e ricercatori, per esprimere liberamente le proprie opinioni e intraprendere proteste pacifiche”.La stessa presidente si è poi esposta personalmente: “In qualità di Presidente dell’Istituto Universitario Europeo, intendo garantire uno spazio in cui docenti e ricercatori possano porre tutte le domande, anche quelle che mettono in discussione ciò che diamo per scontato, purché ciò avvenga con rigore intellettuale e rispetto della dignità delle persone coinvolte”, ha dichiarato Nanz. Spronando chi nel mondo politico e accademico si è immediatamente opposto alle proteste a “distinguere tra i vari appelli e slogan che emergono da queste proteste – alcuni dei quali possono non essere condivisi – e le loro profonde radici nella difesa della pace, dello Stato di diritto e della vita umana“.

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    Borrell avverte Israele, con l’operazione militare a Rafah mette “a dura prova” le relazioni con l’Ue

    Bruxelles – Delle linee rosse che la comunità internazionale ha indicato a Israele nella sua feroce risposta all’attacco terroristico di Hamas, l’ultima è stata quella di non intraprendere alcuna operazione militare a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dove in questi otto mesi si sono ammassati più di un milione di sfollati palestinesi. Ora che Tel Aviv ha già un piede e mezzo oltre questa linea, arriva l’ennesimo avvertimento dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell: a rischio – se Netanyahu continuerà per la sua strada – ci sono le relazioni stesse tra l’Ue e Israele.In una nota pubblicata oggi (15 maggio), il capo della diplomazia europea ha esortato Israele – a nome dei 27 – a “porre fine immediatamente all’operazione militare a Rafah”. Un’operazione che sta causando “ulteriori interruzioni” nella distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza, “nuovi sfollamenti interni, esposizione alla carestia e sofferenza”. Secondo l’Ufficio di coordinamento per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha), l’offensiva di terra israeliana continua a espandersi, in particolare nella parte orientale di Rafah e intorno ai varchi di Kerem Shalom e Rafah. “A causa delle attuali operazioni militari israeliane e dell’insicurezza”, le rotte terrestri critiche di Kerem Shalom e Rafah – da lì dovrebbe entrare la maggior parte degli aiuti umanitari – “sono state chiuse dal 6 al 10 maggio 2024”, conferma Ocha.Tendopoli sulla spiaggia di Deir el-Balah, nel centro della Striscia di Gaza, in cui si stanno riversando migliaia di sfollati da Rafah (Photo by AFP)Nelle ultime settimane circa 150 mila persone hanno deciso di lasciare Rafah, seguendo l’ordine di evacuazione emanato dalle autorità israeliane verso aree che – come ritenuto dalle Nazioni Unite e sottolineato ancora una volta da Borrell – “non possono essere considerate sicure”. Per l’Alto rappresentante l’offensiva a Rafah è un punto di non ritorno: se Israele dovesse continuare a ignorare gli appelli della comunità internazionale, “ciò metterebbe inevitabilmente a dura prova le relazioni con l’Ue“.Fino ad oggi, il governo di Netanyahu è rimasto sordo a qualsiasi appello – vincolante o meno – delle maggiori istituzioni multilaterali globali. Anzi, le ha attaccate frontalmente: l’ultimo scontro si è consumato dopo la Risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu che consentirà alla Palestina di divenire membro delle Nazioni Unite. Il governo israeliano l’ha respinta, e l’ufficio del primo ministro ha dichiarato che “non permetteremo loro di creare uno stato terrorista dal quale possano attaccarci ancora più forte”. Parallelamente – e non è la prima volta – l’ambasciatore israeliano presso l’Onu ha dichiarato alla radio dell’esercito che l’Onu è diventato “un’entità terroristica“.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep BorrellBorrell ha ribadito anche che “Israele deve consentire e facilitare il passaggio senza ostacoli dei soccorsi umanitari per i civili”. Come stabilito dalle misure provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia il 26 gennaio e il 28 marzo per impedire un genocidio a Gaza. Sempre secondo Ocha, nei primi 10 giorni di maggio solo 9 delle 32 missioni di aiuto umanitario nel nord di Gaza sono state agevolate dalle autorità israeliane. Cinque sono state negate, undici sono state ostacolate e sette sono state cancellate a causa di problemi logistici. Allo stesso modo, nel sud della Striscia, Tel Aviv ha facilitato solo 25 delle 46 missioni di aiuto. Nove missioni sono state negate, tre ostacolate e nove sono state cancellate a causa di problemi logistici.Ricordando che, con il lancio di razzi su Kerem Shalom del 5 maggio scorso, anche Hamas è responsabile di aver ostacolato la consegna di aiuti umanitari, Borrell ha rilanciato l’invito “a tutte le parti a raddoppiare gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco immediato e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas”.

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    Israele rompe gli indugi e muove l’esercito su Rafah. Borrell: “Ci saranno molte vittime civili, non esistono zone sicure a Gaza”

    Bruxelles – Nella notte tra il 6 e il 7 maggio, Israele ha mosso le prime pedine della temuta – e osteggiata dalla comunità internazionale – operazione militare a Rafah, città nel sud della Striscia di Gaza dove si sono rifugiati più di un milione di sfollati palestinesi. Proprio mentre Hamas aveva accettato l’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione di una parte degli ostaggi, ritenuto però da Tel Aviv “ben lontano da soddisfare le richieste di Israele”.A seguito dell’uccisione di quattro soldati israeliani in un attacco di gruppi armati palestinesi, le forze di difesa israeliane avrebbero chiuso in modo congiunto i due varchi al confine con l’Egitto, Rafah e Kerem Shalom, e – secondo quanto denunciato dall’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) – starebbero momentaneamente bloccando l’ingresso degli aiuti alla popolazione civile. Mentre l’Associated Press ha riportato che almeno 23 palestinesi, tra cui almeno sei donne e cinque bambini, sarebbero morti nella raffica di attacchi e bombardamenti a Rafah effettuata dall’esercito israeliano durante la notte.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, a Bruxelles il 7/5/24“L’ultima triste notizia è che non esiste un accordo per un cessate il fuoco. Hamas ha accettato, Israele ha rifiutato e l’offensiva terrestre contro Rafah è ricominciata, nonostante tutte le richieste della comunità internazionale”, ha commentato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, in un punto stampa a Bruxelles. Nonostante Israele abbia ordinato l’evacuazione della parte orientale di Rafah verso una cosiddetta “area umanitaria allargata” ad Al Mawassi, cittadina sulla costa meridionale della Striscia, Borrell teme che “ciò causerà nuovamente molte vittime, vittime civili, qualunque cosa si dica”. Perché – come già sottolineato dalle Nazioni Unite – “non esistono zone sicure a Gaza“.Oltretutto, Ocha spiega che l’area da evacuare comprende nove siti che ospitano sfollati, tre cliniche e sei magazzini per la distribuzione di aiuti umanitari. “Con gli ordini di evacuazione odierni, 277 chilometri quadrati o circa il 76 per cento della Striscia di Gaza sono stati posti sotto ordine di evacuazione”, sottolinea l’ufficio dell’Onu. A Rafah, dal 7 ottobre a oggi, si sono man mano rifugiati circa 1,4 milioni di sfollati. Ultimo grande centro abitato non ancora raso al suolo dai bombardamenti israeliani, da settimane è al centro di un braccio di ferro tra Tel Aviv e la comunità internazionale, con le Nazioni Unite e l’Unione europea in testa a chiedere con fermezza a Netanyahu di rinunciare all’invasione.Un giovane palestinese tra le rovine di un palazzo distrutto dai bombardamenti israeliani su Rafah, 7/5/24 (Photo by AFP)Ma secondo Israele la vittoria su Hamas è impossibile senza prendere anche la roccaforte dove si nasconderebbero migliaia di combattenti e dove sarebbero custoditi gli oltre cento ostaggi ancora in mano al gruppo terroristico palestinese. L’invasione di Rafah sarebbe “intollerabile” per le sue “devastanti conseguenze umanitarie e l’impatto destabilizzante nella regione“, ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a cui ha fatto eco anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič: “Un’offensiva di terra su Rafah è totalmente inaccettabile. Aggiungerebbe una catastrofe alla catastrofe”.La scorsa settimana, nel corso di un dibattito a Maastricht, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva definito “totalmente inaccettabile” un eventuale attacco a Rafah, affermando che la Commissione avrebbe preso misure concrete nel caso di un’invasione israeliana. Ora che Netanyahu sembra aver definitivamente forzato la mano, “rifletteremo con i Paesi membri sulla risposta più appropriata“, ha dichiarato il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Peter Stano. Alla prossima riunione dei ministri degli Esteri dei 27, il prossimo 27 maggio.

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    Il Belgio prova a convincere l’Ue a bandire il ‘made in Israel’ proveniente dai territori palestinesi occupati

    Bruxelles – Bandire i prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati. La presidenza belga del Consiglio dell’Ue prova a guidare quella che sarebbe una risposta senza precedenti al livello di Unione europea contro il partner della regione mediorientale. E’ il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, parlando ai media belgo-fiamminghi, a rivelare come si stia adoperando per convincere gli Stati membri dell’Ue a cancellare l’import ‘made in Israel’, con datteri, vino e olio d’oliva nel mirino.De Croo punta il dito contro la risposta dello Stato ebraico agli attacchi del 7 ottobre scorso. Dopo 35mila morti tra la popolazione palestinese e una violenza sta aumentando non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, “è difficile per i paesi europei dire che continueremo ad agire come se nulla stesse accadendo“, sostiene il primo ministro belga. Il Belgio, che ha sostenuto il procedimento del Sudafrica contro Israele avviato alla Corte di giustizia internazionale dell’Aia con l’accusa di genocidio, vorrebbe una risposta ferma e decisa, sa che un’azione unilaterale avrebbe “effetto zero”, e quindi cerca di compattare il blocco dei Ventisette.Immaginarsi di avere un consenso unanime su una decisione di sanzioni contro Israele è arduo, e l’obiettivo della presidenza belga è quello di avere “almeno un grande gruppo di paesi che sono disposti a fare questo passo”. De Croo si mostra fiducioso. “Ci sono un certo numero di paesi che sono aperti al nostro ragionamento“, sostiene. Partendo da questo gruppi di Paesi, che non nomina, si cerca di spingersi oltre. “Stiamo cercando di andare oltre quel gruppo di Paesi che la pensano allo stesso modo, penso che sia logico cercare di convincere altri Paesi”.La presa di posizione di De Croo si spiega anche con ragioni di governo. All’interno della coalizione i partiti Ecolo, Groen (verdi francofoni e fiamminghi), Vooruit (socialisti fiamminghi) e Cd&V (cristiano-democratici fiamminghi) avevano già chiesto lo stop all’acquisto di prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati, ma sono stati i liberali francofoni (Mr) a frenare su questa richiesta. Richiesta che non è caduta nel vuoto, e ora il premier belga ci prova.

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    Borrell: “Ue non considera sanzioni contro funzionari israeliani”

    Bruxelles – Niente linea dura nei confronti di Israele per come lo Stato ebraico sta gestendo la risposta agli attacchi del 7 ottobre nei territori palestinesi, niente sanzioni nei confronti di funzionari dell’esercito o del governo di Tel Aviv. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, respinge l’idea di azioni di questo tipo. “L’Unione europea non sta prendendo in considerazione misure restrittive nei confronti dei funzionari israeliani“, scandisce rispondendo a un’interrogazione parlamentare che arriva dai banchi de la Sinistra.Si chiedono lumi su come la Commissione intende fare pressione su Israele affinché vengano rispettati diritti umani e sentenze della Corte internazionale di giustizia, e la risposta che arriva da Bruxelles è all’insegna del dialogo e del convincimento. Neppure la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele è in discussione, ammette Borrell. Perché, spiega, così hanno deciso gli Stati membri dell’Ue. “Il Consiglio ha convenuto di continuare a seguire da vicino la questione e di invitare il ministro degli Esteri israeliano a una discussione” in merito alla gestione della risposta di Israele, considerata dall’Ue legittima per quanto sproporzionata.Che la situazione, soprattutto sul fronte umanitario, che si sta deteriorando sempre di più, continua a non essere motivo di linea dura da parte degli europei. Che si limitano a richiamo verbali. “L’Ue – continua l’Alto rappresentante – sottolinea costantemente l’importanza di garantire la protezione di tutti i civili in ogni momento, in linea con il diritto internazionale umanitario”. In tal senso “l’Ue ha costantemente chiesto pause umanitarie prolungate”.