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    Israele, la guerra a Gaza sempre più contestata in patria, e dall’estero

    Bruxelles – La guerra di Netanyahu a Gaza inizia a provocare contraccolpi pesanti per il governo israeliano. Crescono, e dilagano anzi, le proteste nelle strade del Paese, mentre la comunità politica ed economica internazionale, compresa quella europea, inizia a mandare pesanti segnali di allontanamento.Ieri, domenica (17 agosto) in quella che è stata la più grande giornata di mobilitazione nazionale, probabilmente un milione di persone si sono riversate nelle strade di varie città (solo a Tel Aviv sono state contati mezzo milione di partecipanti) per chiedere un reale negoziato per far tornare gli ostaggi ancora vivi, forse una ventina, ed avere i corpi di quelli oramai morti, e per chiedere la fine del massacro a Gaza. “Bring them home” (riportateli a casa), e “End this fucking war” (finiamo questa cazzo di guerra) i due slogan più visti nei cartelli e urlati dai manifestanti.La polizia ha reagito con i cannoni ad acqua per disperdere le persone, una quarantina di fermi sono stati eseguiti nei confronti di chi, secondo la polizia, compiva azioni violente, come bruciare i copertoni.Anche a livello internazionale, oltre ai frequenti incidenti che vedono vittime turisti israeliani che vengono cacciati da bar, ristoranti, o che vengono bloccati a bordo di navi da crociera, aumentano sempre più i governi che hanno deciso di riconoscere lo stato di Palestina, che bloccano o almeno limitano l’export di armi. Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito un “disastro” l’escalation annunciata dal governo di Israele, e il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha sostenuto che la politica israeliana verso Gaza “non è più giustificata”. Il primo ministro norvegese Jonas Gahr Store ha sottolineato come Israele “ha danneggiato la sua reputazione in Paesi che hanno sempre avuto simpatia per il Paese”. L’Unione europea chiede con insistenza che gli aiuti umanitari siano fatti entrare nella Striscia, anche se in realtà non riesce a dire molto di più. Oggi la Commissaria europea per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, in una dichiarazione per la Giornata mondiale per l’Aiuto Umanitario ha sottolineato che “Le crisi umanitarie provocate dall’uomo in Sudan, Gaza e Ucraina hanno giustamente suscitato l’indignazione mondiale“. Pur senza riferirsi esplicitamente a Istìraele e Gaza ha anche affermato che “in un momento in cui i bisogni umanitari stanno raggiungendo livelli senza precedenti, il rispetto del diritto internazionale umanitario è minacciato. Gli attacchi mirati contro civili e operatori umanitari, insieme agli attacchi contro ospedali, scuole e altri obiettivi civili, sono in aumento, mentre l’accesso agli aiuti salvavita è sempre più negato. Tuttavia – ha aggiunto -, le “regole di guerra” stabilite dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 rimangono invariate: violare il diritto umanitario è un crimine“.Il Financial Times oggi riporta anche come la comunità finanziaria internazionale cominci ad allentare i suoi legami con Israele. Il quotidiano britannico riporta che il Fondo sovrano norvegese da due trilioni di dollari ha detto di aver venduto un quinto dei suoi asset del Paese, mentre altri importanti operatori ebrei cominciano ad avere dei dubbi “morali” sull’investire in Israele.

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    Nuovo appello da Ue e altri Paesi: Israele lasci accedere gli aiuti umanitari a Gaza

    Bruxelles – Gli aiuti umanitari devono poter accedere a Gaza, senza condizioni. Lo chiede una coalizione di 26 Paesi e della Commissione Europea.“Chiediamo al governo israeliano di autorizzare tutte le spedizioni di aiuti delle Ong internazionali e di consentire agli operatori umanitari essenziali di operare senza ostacoli”, afferma il messaggio rivolto al governo di Tel Aviv, mentre si continuano a contare i morti per malnutrizione, per ferite causate dai bombardamenti israeliani a Gaza.Secondo questa coalizione “è necessario adottare misure immediate, permanenti e concrete per facilitare l’accesso sicuro e su larga scala delle Nazioni Unite, delle Ong internazionali e dei partner umanitari. Tutti i valichi e le rotte devono essere utilizzati per consentire l’afflusso di aiuti a Gaza, compresi cibo, forniture alimentari, ripari, carburante, acqua potabile, medicinali e attrezzature mediche”. I 26 Paesi e l’Ue ammoniscono che “non deve essere usata la forza letale nei luoghi di distribuzione e i civili, gli operatori umanitari e il personale medico devono essere protetti”.Ora serve “un cessate il fuoco che ponga fine alla guerra, affinché gli ostaggi siano liberati e gli aiuti possano entrare a Gaza via terra senza ostacoli”.La dichiarazione è stata firmata dai ministri degli Esteri di Australia, Belgio, Canada, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Giappone, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Per l’Ue hanno firmato Kaja Kallas, alta rappresentante per la Politica estera, Dubravka Šuica commissaria per il Mediterraneo e Hadja Lahbib, commissario per l’Aiuto umanitario.

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    S&D, Verdi e laSinistra all’Ue: “A Gaza è genocidio, è tempo di agire”

    Bruxelles – Violazione dei diritti umani a Gaza, “è tempo di agire”. I gruppi parlamentari socialista (S&D), Verdi e laSinistra esortano Commissione europea e Consiglio europea a prendere provvedimenti, una volta per tutte e come si deve. In una lettera indirizza ai presidenti delle due istituzioni (Ursula von der Leyen e Antonio Costa) e all’Alta rappresentante (Kaja Kallas), le tre formazioni parlamentari, che insieme rappresentano un terzo dell’Aula, dicono ‘basta’. “E’ evidente che si sta commettendo un genocidio a Gaza, con la Commissione e il Consiglio che finora hanno fallito nel rispondere con urgenza e fare ciò che i nostri trattati e i nostri valori richiedono“, denunciano e lamentano i presidenti dei gruppi, Iratxe Garcia Perez (S&D), Bas Eickhout e Terry Reintke (Verdi), Manon Aubry e Martin Schierdewan (laSinistra).I gruppi parlamentari contestano l’inazione dell’Ue anche di fronte alle dichiarate intenzioni israeliane di conquistare la striscia di Gaza, di fronte alle quali l’Unione europea non ha praticamente reagito. Nelle richieste avanzate ai ‘top jobs‘ dell’Ue viene quindi, non a caso, inserita la necessità di “riaffermare l’impegno per una soluzione a due Stati, con passi politici concreti”. Si attendono Commissione e Consiglio al varco, vale a dire alla riunione dell’Assemblea generale dell’Onu di settembre. E’ qui che socialisti, verdi e sinistra radicale vorrebbero vedere cambi di passo veri.It’s time for urgent action to end the massacre in Gaza.Presidents of @TheProgressives, @GreensEFA & @Left_EU today write to @vonderleyen, @eucopresident & @kajakallas:– Suspend the EU-Israel Association Agreement– Enforce a comprehensive arms embargo– Guarantee humanitarian… pic.twitter.com/tGIudRkqa1— S&D Group (@TheProgressives) August 5, 2025Per iniziare a dare un segnale vero si chiede la sospensione immediata e completa dell’accordo di associazione Ue-Israele, al pari dello stop della partecipazione di imprese israeliane al programma Horizon Europe per la ricerca. Richieste però di difficile realizzazione, visto che in entrambi i casi sono gli Stati membri a doversi esprimere, e sulla linea dura contro lo Stato ebraico i 27 sono divisi.Ciononostante si continua a fare pressione. “L’Unione europea deve assumersi responsabilità e agire ora”, insistono i leader di socialisti, verdi e sinistra radicale. Per questo si chiede di mandare più segnali alla leadership israeliana, a partire dal “ripristini del pieno finanziamento dell’Unrwa”, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. E’ l’Unione europea che si fa sentire, dopo il silenzio di un’altra parte dell’Unione europea.

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    Israele pensa all’annessione di Gaza, l’Ue risponde col silenzio

    Bruxelles – Un annuncio altisonante per una risposta silenziosa pressoché nulla. Israele e Unione europea, divisi sul futuro dello Stato palestinese ma alla fine concordi nel condannare la parte araba della questione israelo-palestinese. Israele e Unione europea, la forza e l’arroganza da una parte, la timidezza e la debolezza dall’altra. Il governo dello Stato ebraico guidato da Benjamin Netanyahu minaccia di annettere la Striscia di Gaza, e l’Ue reagisce non reagendo.Di fronte ad una pressione internazionale crescente che vede per la decisione politica di riconoscere la Palestina come Stato, la risposta di Tel Aviv è risolvere la questione cancellando dalla carta geografica territori che potrebbero tornare utili, in futuro, per uno stato palestinese. L’Ue, che ha sempre sostenuto la necessità di una soluzione a due Stati, tace. La sempre attiva Kaja Kallas, Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue molto attiva in termini di momenti stampa, dichiarazioni ufficiali e anche post social, non ha battuto ciglio. Nessun commento, nessun comunicato, e neppure nessun pensierino affidato a X, dove l’ultima cosa scritta è la condanna di Hamas, a cui intima il rilascio degli ostaggi.The images of Israeli hostages are appalling and expose the barbarity of Hamas. All hostages must be released immediately and unconditionally.Hamas must disarm and end its rule in Gaza.At the same time, large-scale humanitarian aid must be allowed to reach those in need.— Kaja Kallas (@kajakallas) August 3, 2025Deve essere pungolata, l’Alta rappresentante, perché si esprima sulla questione. Serve un’interrogazione parlamentare promossa da membri dei gruppi socialista (S&D), Verdi, sinistra radicale (laSinistra) e non iscritti per avere una risposta chiara in merito. “L’Ue respinge qualsiasi tentativo di cambiamenti demografici o territoriali nella Striscia di Gaza e sostiene l’unificazione della Striscia di Gaza con la Cisgiordania sotto l’Autorità Palestinese“, la linea della Commissione europea e di Kallas, e che nome del collegio tutto si esprime. In silenzio, discretamente, sommessamente, per non dare troppo fastidio al governo di Israele. Una coincidenza che la risposta scritta di Kallas arrivi i il 2 agosto, per un’interrogazione depositata il 27 maggio. Coincidenza fortuita, che almeno permette di sgombrare il campo da dubbi ed equivoci, ma che non cancella una Commissione europea impreparata a condannare quando serve un Paese ‘amico’. Ancora una volta l’Ue non fa una bella figura. Su Israele e la risposta all’eccesso di risposta israeliana agli attacchi di Hamas, l’Europa finisce col condannare il futuro della Palestina e del suo popolo. O ciò che ne resterà. Perché, è bene ricordarlo, Kallas condanna Hamas per il trattamento riservato agli ostaggi ma sorvola sulla strage di civili e il genocidio in corso a Gaza.

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    Anche Regno Unito e Malta verso il riconoscimento della Palestina. Dall’Onu la spinta per la soluzione a due Stati

    Bruxelles – Qualcosa, forse, si muove davvero sotto il cielo della diplomazia. Mentre volgeva al termine la conferenza Onu sulla Palestina, ieri sera anche il Regno Unito e Malta hanno annunciato che riconosceranno a breve lo Stato palestinese. La mossa del premier britannico sembra più una “minaccia” verso Israele che non una solida convinzione politica, ma potrebbe comunque produrre dei risultati.Erano in pochi ad aspettarsi l’annuncio fatto ieri sera (29 luglio) dal primo ministro di Sua Maestà, sir Keir Starmer, al termine di una riunione straordinaria del suo gabinetto sulla catastrofe umanitaria in corso nella Striscia di Gaza. L’inquilino di Downing Street ha dichiarato che “l’unico modo per porre fine a questa crisi umanitaria è attraverso un accordo a lungo termine“, sostenendo che “il nostro obiettivo rimane un Israele sicuro e protetto accanto a uno Stato palestinese sovrano e vitale, ma in questo momento tale obiettivo è sotto pressione come mai prima d’ora”.“Ora è il momento di agire“, ragiona Starmer, sulla scia della crescente pressione internazionale sullo Stato ebraico affinché fermi la strage di palestinesi che porta avanti da oltre 21 mesi (definita come genocidio dalle stesse ong israeliane) e faccia entrare nell’enclave costiera gli aiuti umanitari. “Vediamo bambini affamati, bambini troppo deboli per stare in piedi, immagini che rimarranno con noi per tutta la vita”, ha aggiunto.My statement on the humanitarian crisis in Gaza and our plan for peace including the recognition of a Palestinian State. pic.twitter.com/aMUCNwJb9z— Keir Starmer (@Keir_Starmer) July 29, 2025In realtà, il premier britannico ha posto la questione come una sorta di ultimatum al governo israeliano: Londra riconoscerà formalmente lo Stato palestinese “a meno che” Tel Aviv non adotti “misure concrete” per cessare immediatamente le ostilità a Gaza. L’autodeterminazione di un popolo e la sovranità di una nazione usati come minacce, insomma, anziché venire trattati con la dignità che, almeno teoricamente, prescrive il costume diplomatico.Sia come sia, la mossa di Starmer – che ha ceduto al fuoco di fila del suo esecutivo e di centinaia di deputati perché seguisse l’esempio di Emmanuel Macron – segnala comunque un importante cambio di passo del Regno Unito, che potrebbe diventare il secondo Paese G7 a muoversi in questa direzione.Dopo Parigi e Londra, anche La Valletta è salita sul carro. Intervenendo sui social, il primo ministro Robert Abela ha anticipato che anche Malta riconoscerà lo Stato palestinese alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in calendario dal 9 al 23 settembre.Immediata risposta del governo israeliano, col primo ministro Benjamin Netanyahu che grida all’appeasement e parla dell’ennesima “ricompensa per Hamas“. Un disco rotto che gracchia ogni qualvolta qualcuno prenda posizione a favore della causa palestinese, dei diritti umani e del diritto internazionale e contro i crimini ingiustificabili perpetrati da Israele (valsi al premier un mandato di cattura della Corte penale internazionale).Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Ma nelle ultime settimane lo Stato ebraico sembra sempre più isolato, criticato aspramente anche dai suoi storici alleati. Mentre in Ue le cancellerie dei Ventisette discutono sulla sospensione parziale dei fondi Horizon+ proposta dalla Commissione, i Paesi Bassi hanno bandito dal loro territorio Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, due ministri estremisti del sesto gabinetto Netanyahu.Giusto ieri, Smotrich ha ventilato la possibilità di costruire nuovi insediamenti a Gaza a guerra terminata, dando per scontato che Tel Aviv riprenderà il controllo della Striscia abbandonata nel 2005. La Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano) ha recentemente approvato una mozione non vincolante sull’annessione della Cisgiordania. Su entrambi questi territori dovrebbe sorgere il futuro Stato palestinese, attualmente riconosciuto da 147 Paesi sui 193 membri dell’Onu (inclusi 11 Paesi dell’Ue) ma nessun membro del G7.E proprio al Palazzo di vetro dell’Onu si conclude oggi la conferenza internazionale sulla Palestina, sponsorizzata da Francia e Arabia Saudita. Nella “dichiarazione di New York” sottoposta alle delegazioni dei governi mondiali si propongono “misure concrete, vincolate da scadenze temporali e irreversibili” per l’attuazione della soluzione a due Stati, a partire dal cessate il fuoco. L’Autorità nazionale palestinese (Anp) dovrà poi gestire la transizione verso uno Stato di Palestina sovrano e indipendente, che viva in pace affianco a Israele, anche grazie ad una missione internazionale di peacekeeping.

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    I Ventisette sono divisi sulla sospensione dei fondi Horizon per Israele

    Bruxelles – Mentre si moltiplicano le accuse di genocidio nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu, responsabile della carneficina in corso da oltre 21 mesi nella Striscia di Gaza, l’Unione europea fa fatica a mettere in campo azioni concrete per mettere pressione sull’alleato mediorientale. Gli Stati membri hanno discusso la proposta della Commissione di sospendere parzialmente i fondi Horizon+, il programma Ue che finanzia la ricerca accademica e industriale dentro e fuori l’Ue, ma sono già emerse divisioni.L’operato del governo di Benjamin Netanyahu (dallo scorso novembre ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità) sta ricevendo critiche sempre più pesanti sia dai partner internazionali di Tel Aviv – persino Donald Trump ha espresso dubbi sulle più recenti mosse dell’alleato mediorientale – sia dalle stesse ong israeliane, che ora parlano apertamente di genocidio contro i palestinesi di Gaza.Eppure, nonostante si proclami paladina dei diritti e del diritto, l’Ue non è ancora riuscita ad adottare misure concrete e realmente efficaci nei confronti dello Stato ebraico, per indurlo a porre fine alla strage dei palestinesi nell’enclave costiera. Un mese fa, il Servizio europeo di azione esterna (Seae) ha certificato la violazione dell’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele, che prescrive il rispetto dei diritti umani fondamentali e del diritto internazionale da parte di Tel Aviv.Le macerie dopo l’attacco israeliano a Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, il 10 novembre 2024 (foto: Omar Al-Qattaa/Afp)Il rapporto è arrivato mentre era già in corso il processo di revisione dell’accordo in questione. Come reazione a quella rilevazione, l’esecutivo a dodici stelle ha approvato ieri sera (28 luglio) una proposta interpretata soprattutto come un segnale politico, cioè la sospensione parziale dei fondi erogati a Israele nel quadro del programma Horizon+, con cui Bruxelles sostiene la ricerca accademica e industriale negli Stati membri e in alcuni Paesi terzi.Più che una dura sanzione, tuttavia, appare poco più che una misura cosmetica: se non altro perché, come confermano i funzionari del Berlaymont, non vengono toccati i fondi già stanziati nell’attuale bilancio comunitario per i progetti attualmente in corso, ma si parlerebbe di uno stop a partire dal 2028. Difficile vedere come Tel Aviv possa sentirsi sotto pressione per porre fine alle ostilità fin da ora.Oggi gli ambasciatori dei Ventisette hanno fatto un primo giro di tavolo per avviare la discussione sul tema, ma si sono già registrate le consuete divisioni. Stando a fonti comunitarie, un gruppo di Paesi, guidato dalla Germania, starebbe tirando il freno mentre almeno una decina sarebbe favorevole allo stop. Per approvarlo serve la maggioranza qualificata: almeno il 55 per cento degli Stati membri che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione Ue.La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (foto: Alexandros Michalidis via Imagoeconomica)Se mai questa verrà raggiunta, il divieto si applicherà alle aziende basate nello Stato ebraico che lavorano ad innovazioni dirompenti e tecnologie emergenti con potenziali applicazioni a duplice uso, alle quali non sarà concesso di chiedere sovvenzioni a Bruxelles nell’ambito del cosiddetto Acceleratore del Consiglio europeo dell’innovazione.L’esecutivo comunitario stima che, se lo stop fosse stato attivo già per l’attuale periodo di bilancio (2021-2027), i fondi “congelati” per Israele ammonterebbero oggi intorno ai 200 milioni di euro, cioè circa il 22 per cento dei 900 milioni che Tel Aviv ha ricevuto dal programma Horizon+ in cinque anni.La Commissione parla di una “misura appropriata e proporzionata” e sottolineano che si percepisce una “urgenza speciale” di reagire alla crescente devastazione a Gaza. Non ci sono precedenti storici analoghi di sospensioni totali o parziali dei fondi Horizon+. I casi di Regno Unito e Svizzera – che hanno visto chiudersi i rubinetti rispettivamente tra il 2020 e il 2023 e tra il 2021 e il 2024 – sono diversi perché quei congelamenti erano avvenuti mentre Londra e Berna non erano formalmente associate al programma.

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    Gaza, ora anche le ong israeliane accusano Tel Aviv di genocidio

    Bruxelles –  Dopo oltre 21 mesi di crimini di guerra commessi dall’esercito di Tel Aviv nella Striscia di Gaza, sono adesso le stesse ong israeliane a parlare esplicitamente di genocidio per descrivere l’immane massacro della popolazione palestinese orchestrato da Benjamin Netanyahu. Su tutte, è B’Tselem a inchiodare le autorità dello Stato ebraico alle proprie responsabilità, attraverso un elenco delle gravissime violazioni compiute ai danni dei gazawi sin dall’ottobre 2023.Non usa mezzi termini l’ong israeliana B’Tselem, che nelle scorse ore ha pubblicato un rapporto destinato a fare molto rumore, fuori e dentro lo Stato ebraico, dal titolo inequivocabile: “Il nostro genocidio“. Nelle 88 pagine della relazione viene accuratamente documentata una lunga serie di sistematiche violazioni dei diritti umani fondamentali e del diritto internazionale, perpetrate da Israele ai danni della popolazione palestinese nell’enclave costiera dove da quasi due anni si sta consumando una delle campagne militari più sanguinose della storia recente.La distruzione nel campo rifugiati palestinese di Nuseirat, nella Striscia di Gaza (foto: Eyad Baba/Afp)“Un’analisi della politica di Israele nella Striscia di Gaza e dei suoi terribili risultati, insieme alle dichiarazioni di alti funzionari politici e comandanti militari israeliani sugli obiettivi dell’attacco, porta alla conclusione inequivocabile che Israele sta intraprendendo un’azione coordinata e deliberata per distruggere la società palestinese“, sostiene l’associazione. Il tutto, peraltro, trasmesso quotidianamente in diretta sui social e sui mezzi d’informazione di tutto il mondo, almeno finché sopravvivono ancora giornalisti sul campo.In altre parole, dice B’Tselem, “Israele sta commettendo un genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza“, come reso evidente dal combinato disposto di “uccisioni di massa, sia dirette sia attraverso la creazione di condizioni di vita insostenibili, gravi danni fisici e mentali ad un’intera popolazione, distruzione delle infrastrutture di base in tutta la Striscia e lo sfollamento forzato su vasta scala, con la pulizia etnica che si aggiunge alla lista degli obiettivi di guerra ufficiali” del gabinetto guidato da Benjamin Netanyahu (sul cui capo pende un mandato di cattura spiccato lo scorso novembre dalla Corte penale internazionale).Ci sono poi “gli arresti di massa e gli abusi sui palestinesi nelle prigioni israeliane, che sono diventate di fatto campi di tortura, e lo strappo del tessuto sociale di Gaza, compresa la distruzione delle istituzioni educative e culturali palestinesi”, continua il rapporto. Il tutto, afferma l’ong, risulta in un deliberato “attacco all’identità stessa dei palestinesi“, dal momento che la risposta di Tel Aviv agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 si è trasformata in uno strumento di punizione collettiva del popolo palestinese, un altro reato proibito dal diritto internazionale.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Shaul Golan/Afp)L’Encyclopaedia Britannica definisce il genocidio come “la distruzione deliberata e sistematica di un gruppo di persone a causa della loro etnia, nazionalità, religione o razza“. La Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio è stata siglata in sede Onu nel 1948 ed è entrata in vigore nel 1951. Attualmente, ne fanno parte 149 Stati, tra cui tutti i 27 dell’Unione europea.Il termine è stato coniato durante la Seconda guerra mondiale dal giurista polacco di origini ebree Raphael Lemkin, per designare il tentativo scientifico di eliminare gli ebrei europei da parte del Terzo Reich di Adolf Hitler. Tra gli esempi storici più noti di genocidio (considerato “il crimine dei crimini”) c’è quello perpetrato ai danni degli armeni in Turchia a inizio Novecento, quello degli ucraini orchestrato dalla dirigenza sovietica nel 1932-1933 (l’Holodomor) e quello dei bosgnacchi a Srebrenica del 1995, di cui quest’anno è stato ricordato il 30esimo anniversario.“L’attuale offensiva contro il popolo palestinese, compresa la Striscia di Gaza, deve essere compresa nel contesto di oltre settant’anni in cui Israele ha imposto un regime violento e discriminatorio ai palestinesi“, spiega B’Tselem, riprendendo un suo precedente rapporto, risalente al 2021, in cui accusava lo Stato ebraico di aver messo in piedi un sistema di apartheid in piena regola non solo nei territori occupati – l’enclave costiera e la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est (cioè i martoriati pezzi di terra sui quali dovrebbe sorgere il futuro Stato di Palestina, del cui riconoscimento si sta parlando proprio in questi giorni al Palazzo di vetro dell’Onu) – ma in tutta l’area compresa tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.Il memoriale del genocidio di Srebrenica, in Bosnia-Erzegovina (foto: Elvis Barukcic/Afp)La voce autorevole di B’Tselem si aggiunge così ad un lungo elenco di allarmi che si stanno susseguendo negli ultimi anni a proposito della carneficina portata avanti da Tel Aviv nella Striscia, ma (in coppia con quella dell’associazione di medici Physicians for human rights) acquisisce una rilevanza particolare proprio perché proviene dall’interno di Israele. L’ong londinese Amnesty international parla di genocidio fin dal dicembre 2024.A gennaio 2024, quando la campagna israeliana nella Striscia era in corso “solo” da tre mesi, la Corte internazionale di giustizia aveva già lanciato un altolà al governo di Netanyahu sulla possibile commissione del crimine di genocidio, a partire dall’accusa del Sudafrica. Ad aprile dello stesso anno è stata la relatrice Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, a puntare il dito contro le ingiustificabili violazioni di Tel Aviv (una mossa che le è valsa l’imposizione di sanzioni da parte degli Stati Uniti di Donald Trump).Recentemente, la coalizione di giuristi Jurdi ha ricordato alle istituzioni comunitarie che, coi loro silenzi e le loro inerzie, si stanno di fatto rendendo complici di una delle peggiori catastrofi umanitarie degli ultimi decenni. Tutto quello che Bruxelles è riuscita a fare in oltre 21 mesi di eliminazione deliberata di un popolo da parte di una potenza alleata, nonostante abbia certificato nero su bianco le violazioni dei diritti umani di cui quest’ultima si è resa responsabile, è stato aprire la revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele e proporre la sospensione parziale dei fondi Horizon+ per la ricerca a partire dal 2028.

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    Gaza, l’Ue sospende la partecipazione di Israele dal programma Horizon per la ricerca

    Bruxelles – Stop alla partecipazione di Israele al programma europeo Horizon per la ricerca. La Commissione europea decide di prendere provvedimenti contro il governo di Benjamin Netanyahu per la risposta agli attacchi di Hamas e la situazione umanitaria a Gaza. Per lo Stato ebraico la sospensione al partenariato con l’Ue non p totale bensì parziale. La sospensione riguarda specificamente la partecipazione di entità con sede in Israele ad attività finanziate dal Consiglio europeo per l’innovazione (CEI) nell’ambito dell’Accelerator, programma per start-up e piccole imprese con innovazioni dirompenti e tecnologie emergenti con potenziali applicazioni a duplice uso, come la sicurezza informatica, i droni e l’intelligenza artificiale.Una mossa, quella dell’esecutivo comunitario, dal forte significato politico. L’Ue, seppur faticosamente e dopo molte incertezze, inizia davvero a mettere all’angolo la leadership israeliana. La decisione presa dal collegio dei commissari è il frutto della revisione condotta a Bruxelles sul rispetto da parte di Israele dell’articolo 2 del trattato di associazione Ue-Israele, quello che sancisce che la validità dell’intero trattato ruota attorno al rispetto dei diritti umani. L’Ue già a fine giugno ha stabilito che il governo di Netanyahu ha violato i diritti umani a Gaza, ma hah rimandato a oggi (28 luglio) il tempo della decisione.E’ stato dato tempo a un Paese tradizionalmente amico di cambiare rotta, ma a distanza di un mese è cambiato poco. Da qui la decisione di escludere Israele dal programma del Consiglio europeo per l’innovazione. Un primo passo, peraltro non definitivo. La decisione è reversibile, ma spetterà allo Stato ebraico convincere la Commissione europea a ritornare sui propri passi. Inoltra lo stop “non pregiudica la partecipazione di università e ricercatori israeliani” a progetti collaborativi e attività di ricerca nell’ambito di Horizon Europe, precisa la Commissione. Esclusione industriale, dunque, non accademico-scientifica.L’annuncio delle ‘sanzioni’ Ue contro Israele arriva a distanza di pochi giorni dall’annuncio della Francia di riconoscere lo Stato palestinese, e di chiedere in sede di Organizzazione delle Nazioni Unite di fare altrettanto ad altri attori. L’annuncio del presidente francese, Emmanuel Macron, è stato accolto tra le critiche e le aspre reazioni di Tel-Aviv, con cui l’Ue è sempre più ai ferri corti.