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    Da Macron a Merz, fino a Orbán. La vicinanza dei leader europei a Netanyahu e la sconfitta del diritto internazionale

    Bruxelles – Mercoledì 2 aprile il premier israeliano Benjamin Netanyahu metterà piede per la prima volta sul territorio europeo da quando è oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Icc). Sarà ospite di Viktor Orbán, che come altre volte rompe tabù che a ben vedere stanno stretti anche ai suoi omologhi europei. Dal futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz al presidente francese Emmanuel Macron e al ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, sono già diversi i Paesi Ue che hanno messo in dubbio – se non proprio respinto – la possibilità di perseguire Netanyahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza.Nel weekend, ci ha pensato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a varcare la prima linea rossa, incontrando Netanyahu a Gerusalemme, proprio mentre – nel primo giorno dell’Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan – i raid israeliani su Gaza avrebbero ucciso almeno 64 palestinesi. I due hanno “ribadito la relazione strategica tra Grecia e Israele” e discusso “l’ulteriore approfondimento della cooperazione bilaterale, in particolare nel campo della difesa”.Kyriakos Mitsotakis e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, 30/3/25 [Credits: Account X Kyriakos Mitsotakis]Dal 21 novembre scorso, quando il Tribunale de L’Aia ha emesso il mandato di cattura per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, nessun leader europeo aveva ancora incontrato di persona il capo del governo israeliano. Ma in realtà, nessuno dei 27 ha veramente tagliato i ponti con l’uomo accusato di crimini di guerra, come invece è stato fatto con il presidente russo Vladimir Putin, su cui pende lo stesso mandato d’arresto internazionale. Ieri sera, Macron ha diffuso un resoconto di una telefonata con Netanyahu, in cui ha ribadito che “la liberazione di tutti gli ostaggi e la sicurezza di Israele sono una priorità per la Francia” e ha chiesto “al primo ministro israeliano di porre fine agli attacchi su Gaza e di tornare al cessate il fuoco, che Hamas deve accettare”.Parigi era stata tra le prime capitali Ue a mettere in discussione la legittimità del mandato d’arresto, chiamando in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – che garantirebbe un’immunità agli Stati che non fanno parte dell’Icc. Il ministero degli Esteri francese è stato seguito a ruota da quello italiano, con Tajani che ha sostenuto che il mandato d’arresto non può essere applicato almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu e ribadito poi in differenti occasioni che l’Italia non arresterebbe il premier israeliano. Roma la sua picconata al diritto internazionale l’ha già data, scegliendo di riaccompagnare in Libia con un volo di Stato il torturatore e capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Najim Osama Al Masri, ricercato dal Tribunale de l’Aia per crimini di guerra, omicidio, tortura e trattamenti crudeli.Berlino aveva invece  sottolineato che la posizione tedesca non poteva che essere frutto “della storia tedesca” e della “grande responsabilità” che la Germania sente nei confronti di Israele dopo lo sterminio degli ebrei perpetrato dal regime nazista. Il cancelliere eletto Friedrich Merz ha poi sfidato apertamente la Corte, definendo “completamente assurda” l’idea che un primo ministro israeliano non possa visitare la Germania e invitando espressamente Netanyahu nella Repubblica Federale.Viktor Orban e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme nel febbraio 2019 (Photo by Ariel Schalit / POOL / AFP)Berlino, Roma e Parigi, così come tutti i 27 Paesi Ue, fanno parte della Corte Penale Internazionale e sono quindi tenuti ad applicare le sue decisioni. Alla fine, ad ospitare per primo Netanyahu in questa inquietante gara a violare il diritto internazionale sarà Orbán, che dall’inizio aveva definito il mandato d’arresto “vergognoso” e annunciato che non l’avrebbe eseguito. Anzi, dopo la decisione americana di imporre sanzioni contro l’Icc, Orbán ha annunciato l’intenzione di “rivedere l’impegno” dell’Ungheria nei confronti di un tribunale “degradato a strumento politico di parte”.I due dovrebbero discutere del piano per il futuro di Gaza. Netanyahu – nonostante il supporto della comunità internazionale per il piano elaborato dai Paesi arabi – è convinto di poter allargare il consenso sulla controversa e fumosa proposta di Trump, che prevede la “migrazione volontaria” della popolazione locale e la trasformazione della Striscia di Gaza in una lussuosa riviera aperta al turismo internazionale.Il sostegno di Orbán al piano di Trump e Netanyahu va contro la posizione presa dall’Unione europea, che appoggia invece l’iniziativa araba e si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di emigrazione forzata della popolazione gazawi. A ben vedere, il viaggio di Netanyahu in Ungheria va letto anche come un’ennesima provocazione del premier magiaro nei confronti di Bruxelles, che a parole continua a sostenere la Corte Penale. “Come affermato nelle Conclusioni del Consiglio del 2023, il Consiglio invita tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti, e a stipulare accordi volontari”, ha dichiarato ancora a proposito della vicenda un portavoce della Commissione europea.

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    Medio Oriente, Della Valle (M5s): Missione di Kallas in Israele un flop totale

    Bruxelles – “La missione di ieri in Israele dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri Kaja Kallas è stata un flop totale. Kallas ha chiesto di di fermare gli attacchi in Siria e stamattina l’esercito israeliano ha colpito due basi militari proprio sul territorio siriano, Kallas ha chiesto di riprendere i negoziati per il cessate il fuoco e il governo di Netanyahu in risposta sta pensando di invadere e occupare militarmente la striscia di Gaza. Kallas tragga le conclusioni del suo fallimento politico e diplomatico”, così Danilo Della Valle, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, in una nota.“Anziché assistere impotente al delirio di onnipotenza di Netanyahu e del suo governo di fanatici, l’Unione europea dovrebbe approvare immediatamente un embargo di armi e sospendere l’accordo di associazione siglato nel 2000 con Israele. In Medio Oriente servono pace e dialogo e non collaborazionismo con pericolosi personaggi che praticano il genocidio di Stato da oltre un anno e mezzo”, conclude Della Valle.

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    Kallas a Israele, “riprendete i negoziati per il cessate il fuoco” a Gaza. E stop ad attacchi “inutili” in Siria

    Bruxelles – Per la prima volta da quando siede a capo della diplomazia europea, Kaja Kallas prova ad alzare la voce sulle atrocità israeliane a Gaza. E lo fa dopo che – solo pochi giorni fa – il Consiglio europeo non è riuscito nemmeno a partorire una condanna per la ripresa dei bombardamenti sulla popolazione civile che hanno decretato la fine della tregua tra Israele e Hamas. Da Gerusalemme, l’Alta rappresentante Ue sottolinea “la pericolosa escalation” che sta causando “insopportabili incertezze per gli ostaggi” e “orrore e morte per il popolo palestinese“.In questi mesi Kallas è sembrata quasi disinteressarsi del conflitto in Medio Oriente di fronte agli sviluppi in Ucraina. Ha mantenuto un basso profilo, uscendo spesso in ritardo e con estrema cautela, scegliendo di non criticare apertamente l’alleato israeliano. Ha presieduto un controverso Consiglio di Associazione Ue-Israele, in cui la questione delle violazioni dei diritti umani a Gaza è passata in secondo piano rispetto a quanto avevano chiesto alcuni Stati membri e lo stesso predecessore di Kallas, Josep Borrell. Ora, di fronte alla fallimentare iniziativa personale da 40 miliardi per l’Ucraina – bocciata dai Paesi membri – e al precipitare della situazione a Gaza – dove le vittime palestinesi in 18 mesi di conflitto avrebbero toccato quota 50 mila -, Kallas si è imbarcata in un delicato viaggio tra Egitto, Israele e Cisgiordania nel tentativo di rilanciare la credibilità sua e dell’Unione europea.Gideon Sa’ar e Kaja Kallas a Bruxelles in occasione del Consiglio di Associazione Ue-Israele, 24/02/25Ieri sera (23 marzo) al Cairo, a margine dell’incontro con il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty, l’Alta rappresentante ha dichiarato che l’Ue “si oppone fermamente alla ripresa delle ostilità da parte di Israele, che ha causato una spaventosa perdita di vite umane a Gaza”. Promettendo che Bruxelles “utilizzerà gli strumenti che ha a disposizione” per fare pressione sul governo di Benjamin Netanyahu. Oggi – in una conferenza stampa congiunta con il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, in cui è apparsa a tratti imbarazzata – Kallas  ha ribadito “che riprendere i negoziati è l’unico modo fattibile per porre fine alle sofferenze di entrambe le parti”, perché “la violenza alimenta altra violenza”.Dall’altra parte però, c’è sempre il muro di gomma del governo di estrema destra israeliano. Sa’ar, che ha sostituito pochi mesi fa quell’Israel Katz, ora ministro delle Finanze, che pochi giorni fa ha minacciato la popolazione palestinese di punizione collettiva, ha dichiarato che per Israele “è naturale aspettarsi più sostegno dall’Europa“. Ha accusato Hamas di aver respinto per due volte la proposta americana di estendere la prima fase del cessate il fuoco – che avrebbe previsto la liberazione degli ostaggi israeliani ma senza il ritiro delle truppe di Tel Aviv da Gaza -, e soprattutto ha affermato che “Israele sta agendo in conformità con il diritto internazionale“, in barba a decine di rapporti delle agenzie delle Nazioni Unite, di organizzazioni per i diritti umani e di media internazionali.EDITORS NOTE: Vittime dei bombardamenti israeliani nel nord di Gaza, 20/03/25 (Photo by BASHAR TALEB / AFP)Sa’ar ha ricordato che durante le sei settimane di cessate il fuoco Israele “ha permesso a 25 mila camion di aiuti umanitari l’ingresso a Gaza”. Ma l’ultimo è entrato più di venti giorni fa e medici e operatori umanitari sul campo avvertono che la malnutrizione si sta nuovamente diffondendo nella martoriata enclave palestinese. Il ministro israeliano ha citato l’articolo 23 della quarta Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempi di guerra, che afferma l’obbligo di concedere il libero passaggio degli aiuti sussiste quando “la Parte contraente sia sicura di non aver alcun serio motivo di temere che gli invii possano essere sottratti alla loro destinazione (…) o che il nemico possa trarne evidente vantaggio per i suoi sforzi militari o la sua economia”.E “Hamas utilizza gli aiuti per finanziare le proprie operazioni e ripristinare le proprie capacità”, ha proseguito il ministro. Rispondendo a una domanda sull’eventuale dispiegamento di forze israeliane per distribuire gli aiuti, ha affermato: “Quando rinnoveremo la concessione degli aiuti, dovremo assicurarci che ciò avvenga in modo diverso”.Insomma, Israele continua a essere nel giusto e “sta combattendo la battaglia del mondo libero” contro “l’Iran, gli Houthi, Hamas e Hezbollah”. Una guerra “contro la civiltà occidentale”, ha insistito il ministro. Da qui l’imbarazzo di Kallas, le cui parole è evidente che per “il partner commerciale e di investimento molto importante” non hanno alcun valore. L’Alta rappresentante ha ricordato che “Israele ha il diritto di difendersi dagli attacchi terroristici, ma le azioni militari devono essere proporzionate”. Non solo a Gaza, ma anche “gli attacchi israeliani in Siria e in Libano rischiano di provocare un’ulteriore escalation”. In particolare, i raid sulle capacità militari siriane e su presunte cellule di Hezbollah a Damasco “sono azioni inutili, perché la Siria non sta attaccando Israele e questo non farà che alimentare la radicalizzazione”.Nel pomeriggio l’Alta rappresentante è attesa a Ramallah, dove incontrerà Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese, e Mohammad Mustafa, primo ministro e ministro degli Esteri palestinese.

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    Israele rompe la tregua, è di nuovo strage di civili a Gaza. L’Onu: “Inconcepibile”

    Bruxelles – Con le prime luci dell’alba, è ricominciato l’incubo per la popolazione civile di Gaza. Dopo gli attriti sempre più forti tra Israele e Hamas per negoziare la seconda fase del cessate il fuoco, Tel Aviv ha rotto gli indugi e – con il lasciapassare della Casa Bianca – ha lanciato un pesantissimo attacco aereo su diverse località dell’enclave palestinese. Le vittime sarebbero già più di 400. Mentre l’Onu chiede di “ripristinare immediatamente” la tregua, Netanyahu promette raid sempre più intensi.L’operazione è stata ribattezzata dalle Forze di difesa israeliane (Idf) “Forza e spada”. Sono stati segnalati bombardamenti in diverse località della Striscia, da nord a sud, nei centri di Gaza City, Khan Younis e Rafah. Secondo il ministero della Salute di Gaza molte delle vittime sarebbero – come dall’inizio del conflitto – donne e bambini. In un comunicato, il premier israeliano ha dichiarato di aver ordinato gli attacchi a causa della mancanza di progressi nei colloqui in corso per estendere il cessate il fuoco. Ha accusato Hamas di “rifiutarsi ripetutamente di rilasciare i nostri ostaggi” e di respingere le proposte dell’inviato Usa in Medio Oriente, Steve Witkoff.A rileggere i termini e le modalità con cui si arrivò al cessate il fuoco lo scorso 18 gennaio, lo stallo nei negoziati in vista della seconda fase della tregua era preventivabile. Il sì strappato in extremis da Joe Biden a Netanyahu, prima dell’insediamento di Trump, prevedeva appunto ulteriori colloqui dopo la prima fase di sei settimane e la possibilità che Israele riprendesse le operazioni militari se l’avesse ritenuto necessario. Così, la nuova amministrazione americana e Tel Aviv hanno forzato la mano, presentando un piano per estendere la prima fase della tregua fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, chiedendo in sostanza di proseguire il rilascio degli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza (come previsto dalla fase 2).Il tavolo delle trattative era già saltato lo scorso 2 marzo, con i negoziatori di Hamas che avevano declinato il piano di Witkoff e Netanyahu che in tutta risposta aveva annunciato un nuovo blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Washington ha confermato di essere stata informata in anticipo dell’attacco di Israele a Gaza e di aver dato il suo benestare alla ripresa delle ostilità: “Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per prolungare il cessate il fuoco, ma ha invece scelto il rifiuto e la guerra”, ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca Brian Hughes.Il quartiere intorno all’ospedale Al-Shifa, a Gaza City, raso al suolo dai bombardamenti israeliani lo scorso 3 aprile  (Photo by AFP)In realtà, la tregua era già stata più volte violata in questi due mesi, ma i bombardamenti a tappeto di oggi sono stati di portata molto più ampia rispetto alla serie regolare di attacchi con droni che l’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto contro singoli individui o piccoli gruppi di sospetti militantinell’ultimo periodo. Secondo quanto riportato da Reuters, le Idf avrebbero dichiarato che gli attacchi continueranno per tutto il tempo necessario e che potrebbero estendersi oltre gli attacchi aerei. “Non smetteremo di combattere finché gli ostaggi non saranno restituiti a casa e tutti i nostri obiettivi di guerra non saranno raggiunti”, ha confermato il ministro della Difesa, Israel Katz.In risposta, un alto funzionario di Hamas ha dichiarato che la decisione di Netanyahu di riprendere gli attacchi su larga scala nella Striscia equivale a una “condanna a morte” per gli ostaggi del 7 ottobre ancora nelle mani del gruppo terroristico palestinese. In cattività a Gaza ci sarebbero ancora circa una sessantina di cittadini israeliani. Il Families Forum, associazione che riunisce i familiari degli ostaggi, ha rilasciato una dichiarazione in cui sostiene che “l’affermazione secondo cui la guerra è stata ripresa per il rilascio degli ostaggi è una completa menzogna” e chiede di “tornare al cessate il fuoco”. L’ufficio politico di Hamas ha accusato di aver fatto saltare i negoziati e ripreso la guerra per salvare la sua coalizione di governo di estrema destra.“È inconcepibile”, ha dichiarato Muhannad Hadi, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. In una nota, Hadi ha chiesto di “ripristinare immediatamente il cessate il fuoco”, ricordando che “la popolazione di Gaza ha sopportato sofferenze inimmaginabili”. Di fronte all’ennesima strage, in un conflitto che ha già causato la morte di quasi 49 mila palestinesi di Gaza, l’Autorità Nazionale Palestinese ha chiesto “un intervento internazionale urgente“. Durante il briefing quotidiano con la stampa, il portavoce della Commissione europea, Anouar El Anouni, ha affermato che “l’Ue deplora vivamente la ripresa delle ostilità e il decesso di civili, tra cui bambini, durante i raid aerei israeliani” e ribadito l’appello “ad Hamas affinché rilasci tutti gli ostaggi” e ad Israele “perché dia prova di moderazione” e “ristabilisca l’accesso umanitario senza condizioni”.

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    A Gaza salta la tregua e Israele ricomincia a affamare la popolazione. L’Ue condanna Hamas

    Bruxelles – La fragile tregua siglata a metà gennaio tra Israele e Hamas è durata 42 giorni. Scaduta la prima delle tre fasi previste, l’accordo è saltato nella notte tra sabato e domenica e ieri (2 marzo) il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato nuovamente il blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Mentre le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie sul campo lanciano “l’allarme” per le conseguenze della decisione di Tel Aviv su quasi due milioni di civili, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, attribuisce interamente le responsabilità al gruppo armato palestinese.L’Ue “condanna il rifiuto di Hamas di accettare la proroga della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe potenzialmente avere conseguenze umanitarie”, dichiara il portavoce di Kallas, Anouar el Anouni. In questa prima fase di sei settimane, insieme al rilascio di una parte degli ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, Tel Aviv ha garantito l’ingresso nell’enclave di un maggiore flusso di aiuti umanitari, necessari per assistere una popolazione a cui per diversi tratti del conflitto sono stati negati anche i bisogni primari.L’accordo dello scorso 15 gennaio prevedeva poi il passaggio ad una seconda fase in cui Hamas avrebbe dovuto concludere la liberazione di tutti gli ostaggi ancora in vita e le truppe israeliane il completo ritiro dalla Striscia di Gaza. Ma i dettagli di questa delicata fase, si era detto a Doha, avrebbero potuto essere soggetti a ulteriori negoziati durante la prima fase. Nelle ultime settimane, di fronte alle provocazioni della nuova amministrazione americana, all’intensificarsi delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e ad alcuni episodi di potenziali attentati nelle città israeliane, le trattative sono naufragate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)In sostanza, Tel Aviv ha appoggiato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti nominato da Trump, Steve Witkoff, per estendere la prima fase del cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, e continuare così a rilasciare gli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza. Una bozza di nuovo accordo che Hamas ha invece declinato. Tel Aviv nega di aver violato i termini dell’accordo di gennaio, che prevedeva appunto ulteriori negoziazioni e addirittura che Israele potesse tornare a combattere dopo il 42esimo giorno “se ha l’impressione che i negoziati siano stati inefficaci”.Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, ong con sede a Ginevra, durante le sei settimane di tregua l’esercito israeliano avrebbe ucciso almeno 115 civili a Gaza. Netanyahu però ha accusato Hamas di aver violato “ripetutamente” i termini del cessate il fuoco, in particolare su tempistiche e modalità del rilascio degli ostaggi del 7 ottobre. Alla riunione del consiglio dei ministri convocata per discutere i nuovi sviluppi, Netanyahu ha dichiarato: “Non ci saranno più pranzi gratis. Se Hamas pensa che sarà possibile continuare il cessate il fuoco o beneficiare dei termini della prima fase, senza che noi riceviamo ostaggi, si sbaglia di grosso”.Una famiglia palestinese prepara la colazione prima del digiuno imposto dal Ramadan al campo profughi di Bureij nella Striscia di Gaza, 1/3/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)In una nota, il gabinetto del premier ha precisato che Israele “cesserà ogni ingresso di merci e rifornimenti nella Striscia di Gaza“. Nella giornata di ieri, il portavoce di Netanyahu, Omer Dostri, ha confermato: “Nessun camion è entrato a Gaza questa mattina, né lo farà in questa fase”. Si tratta di uno dei capi d’accusa con cui la Corte Penale Internazionale ha già emesso un mandato d’arresto contro il premier israeliano e l’ex ministro della Difesa, Noav Gallant: i due sono già ritenuti responsabili di aver affamato la popolazione civile palestinese come metodo di guerra, di aver causato intenzionalmente “grandi sofferenze, gravi lesioni al corpo o alla salute o trattamenti crudeli”, di “dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile“.L’Egitto e il Qatar, che insieme agli Stati Uniti sono i principali mediatori tra il governo di Netanyahu e Hamas, hanno accusato Israele di violare l’accordo raggiunto faticosamente a gennaio. Il ministero degli Esteri del Cairo ha affermato che Israele usa la fame “come arma contro il popolo palestinese”, mentre Doha ha aggiunto:  “Il Qatar condanna fermamente la decisione del governo di occupazione israeliano di interrompere l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la considera una palese violazione dell’accordo di cessate il fuoco (e) del diritto internazionale umanitario“.Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto che “gli aiuti umanitari tornino immediatamente a Gaza”, mentre il sottosegretario dell’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari, Tom Fletcher, ha descritto la mossa come “allarmante”. Di fronte alla palese violazione del diritto umanitario da parte di Netanyahu – tralasciando il rispetto dei termini del cessate il fuoco da entrambe le parti – la nota del capo della diplomazia europea appare quanto meno debole, se non accondiscendente nei confronti di Tel Aviv. Oltre alla condanna ad Hamas per non aver accettato la proroga della prima fase, l’Ue “ribadisce la richiesta di un accesso completo, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari su larga scala per i palestinesi bisognosi”. Ma non c’è alcun accenno alla gravità estrema della decisione presa come rappresaglia su tutta una popolazione civile da parte di un governo democratico alleato.

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    Metsola visita Israele e i territori palestinesi occupati, inclusa Gaza

    Bruxelles – La presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola è in visita ufficiale in Israele e nei territori palestinesi occupati, dove sta intrattenendo colloqui con le principali autorità politiche locali.È iniziato oggi (13 febbraio) e si prolungherà fino a domani il viaggio di Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, nell’area più calda del Medio Oriente. “In questo momento critico per la regione e per il mondo, ho voluto venire qui per sottolineare e testimoniare in prima persona il ruolo cruciale dell’Europa nel far arrivare gli aiuti umanitari a Gaza“, ha dichiarato al suo arrivo.I partner europei sono pronti “a intensificare il nostro impegno e a fare tutto il possibile per far sì che l’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi regga“, ha aggiunto, anche se in queste ore il futuro del patto è più fragile che mai. L’Ue, dice, si impegna anche ad aumentare il volume degli aiuti umanitari al popolo palestinese, dopo 15 mesi di devastazione in una delle guerre più sanguinose nella storia mondiale recente.La presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola incontra il presidente della Knesset Amir Ohana, il 13 febbraio 2025 (foto: Daina Le Lardic/European Parliament)Nel primo pomeriggio di oggi, Metsola ha incontrato il suo omologo Amir Ohan, presidente della Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano), e il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar. Dopodiché si è recata al valico di frontiera di Kerem Shalom (non distante dal confine egiziano), dove ha assistito allo svolgimento delle operazioni di assistenza umanitaria.Da lì, è poi entrata nella Striscia, il lembo di terra che insieme alla Cisgiordania fa parte di quelli che oggi sono territori occupati ma che dovrebbero in futuro costituire lo Stato di Palestina. Striscia dove il presidente statunitense Donald Trump ha recentemente suggerito di condurre un’operazione di pulizia etnica per erigerci poi la “Riviera del Medio Oriente“.Ritornata in Israele, è stata aggiornata sui progressi della missione civile europea Eubam, che opera al valico di Rafah, lungo il confine con l’Egitto. Un altro sito visitato da Metsola è stato Re’im, che ospitava il festival Nova dove i commando di Hamas hanno fatto irruzione durante gli attacchi del 7 ottobre 2023.In programma per stasera c’è un faccia a faccia con il presidente dello Stato ebraico Isaac Herzog a Gerusalemme. Non è previsto invece alcun incontro con il primo ministro Benjamin Netanyahu, sul cui capo pende dallo scorso novembre un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.Incredibly proud of the work our EUBAM Rafah station is doing in Gaza.Grateful for their service. pic.twitter.com/Zj3zz522SC— Roberta Metsola (@EP_President) February 13, 2025Domani, invece, la presidente dell’Europarlamento si recherà a Ramallah, dove ha sede l’Autorità nazionale palestinese (Anp), di cui incontrerà la leadership. Lì incontrerà Hussein al-Sheikh, capo del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e Reem Al Hajajra, direttrice di Women of the Sun, un’associazione palestinese che lavora per l’emancipazione femminile candidata per le edizioni del 2024 sia del premio Sacharov sia del Nobel per la pace.La visita di Metsola fa parte degli sforzi che la presidente dell’Aula di Strasburgo sta sostenendo per promuovere la pace e la stabilità regionale in Medio Oriente, nei quali rientrano anche gli scambi (fisici o telefonici) con leader e funzionari di diversi Paesi arabi (tra cui Egitto e Giordania) e degli Stati Uniti, oltre a quelli israeliani e palestinesi.In una risoluzione del gennaio 2024, l’Eurocamera è stata la prima istituzione comunitaria a chiedere il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani, lo smantellamento di Hamas e la ripresa del processo di pace verso la costruzione di due Stati tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, uno ebraico e uno palestinese.

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    Il cessate il fuoco a Gaza sembra sul punto di saltare

    Bruxelles – Sembra già scricchiolare il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Tra piani surreali di deportazioni di massa e ostaggi che non vengono rilasciati, si moltiplicano i dubbi sulla capacità (o la volontà) di entrambe le parti coinvolte di tenere fede ai termini dell’accordo che ha posto temporaneamente fine a più di un anno di devastazione nell’enclave palestinese controllata da Hamas. Mentre Tel Aviv minaccia di riprendere le ostilità, a Gerusalemme Est la polizia israeliana fa irruzione nelle librerie, innescando le condanne degli eurodeputati.La fragilità della treguaNon è passato neanche un mese dalla stipula dello storico cessate il fuoco in tre fasi, siglato lo scorso 15 gennaio tra Israele e Hamas ed entrato in vigore quattro giorni dopo, che ha permesso la sospensione delle ostilità a Gaza – dove durava da oltre 15 mesi la sanguinosa offensiva scatenata da Tel Aviv in risposta agli attacchi del 7 ottobre 2023 – che già comincia a traballare pericolosamente.Ieri (10 febbraio) il gruppo militante palestinese ha annunciato l’intenzione di ritardare a tempo indeterminato il rilascio degli ostaggi israeliani ancora vivi, citando “violazioni” dell’accordo da parte dello Stato ebraico. Hamas si è dichiarato disponibile a proseguire con il prossimo scambio tra ostaggi e prigionieri, previsto per sabato (15 febbraio), e sostiene che l’annuncio di ieri serviva per mettere pressione su Tel Aviv “affinché adempia ai suoi obblighi”.אם חמאס לא יחזיר את חטופינו עד שבת בצהריים – הפסקת האש תיפסק, וצה”ל יחזור ללחימה עצימה עד להכרעה סופית של החמאס pic.twitter.com/4Cx30kHGvN— Benjamin Netanyahu – בנימין נתניהו (@netanyahu) February 11, 2025Per tutta risposta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sul cui capo pende un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale) ha ammonito oggi che, se gli ostaggi non saranno rilasciati entro sabato a mezzogiorno, “il cessate il fuoco finirà e l’Idf (l’esercito israeliano, ndr) riprenderà i combattimenti pesanti finché Hamas non verrà sconfitto”.Già ieri il titolare della Difesa Israel Katz aveva messo “in massima allerta” le forze armate con l’ordine di prepararsi a “qualunque scenario a Gaza”, mentre il responsabile delle Finanze Bezalel Smotrich ha ripetutamente minacciato di staccare la spina al governo di coalizione se la guerra non riprenderà dopo la restituzione degli ostaggi.Il ruolo di TrumpDel resto, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca le posizioni di Washington sulla crisi in corso nel Levante si sono nettamente irrigidite – basti pensare al surreale piano di trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”, in quella che è suonata come l’invocazione di una vera e propria pulizia etnica – e a Bibi non sembra vero di poter contare su un tale livello di intransigenza da parte dell’onnipotente alleato a stelle e strisce.Giusto ieri, Trump ha esplicitamente rifiutato di riconoscere a quasi 2 milioni di profughi gazawi il diritto di tornare sulla propria terra, suggerendo al contrario di deportarli permanentemente in Egitto e Giordania, mentre gli Stati Uniti prenderebbero il controllo della Striscia per costruirci la Las Vegas del Mediterraneo.Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Imagoeconomica)Sabotaggio dei negoziati?Anche per questo, Hamas ritiene poco credibile l’impegno di Washington nel garantire il rispetto del cessate il fuoco da parte di Tel Aviv, a sua volta sospettata di non avere realmente intenzione di attuare il piano concordato faticosamente in sede negoziale. Gli stessi mediatori qatarioti stanno suonando l’allarme da giorni circa il pericolo che salti il banco a causa della retorica incendiaria di Netanyahu e dell’approccio eccessivamente muscolare adottato dalla delegazione israeliana nel concordare i dettagli della seconda fase (che dovrebbe prevedere la restituzione di tutti gli ostaggi ancora in vita e il ritiro completo dell’Idf da Gaza).Abu Obeida, portavoce del gruppo militante, ha accusato lo Stato ebraico di ostacolare il ritorno dei palestinesi nel nord della Striscia, di bloccare l’arrivo degli aiuti umanitari e di attaccare indiscriminatamente i civili. Non saranno rilasciati altri ostaggi finché Israele “non si adeguerà e non compenserà le scorse settimane”, ha dichiarato.Una lettura, quella del sabotaggio volontario da parte di Bibi, condivisa anche da alcuni tra i parenti degli ostaggi stessi: “La deliberata procrastinazione e le inutili dichiarazioni provocatorie di Netanyahu hanno interrotto l’attuazione dell’accordo“, sostiene Einav Zangauker, madre di un giovane ancora in prigionia. In base agli accordi, durante la prima fase del cessate il fuoco Hamas dovrebbe restituire 33 ostaggi. Di questi, 16 sono già stati liberati e otto sarebbero deceduti.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Charly Triballeau/Afp)Il raid a Gerusalemme EstE non va certo nella direzione di una distensione dei rapporti il raid, compiuto domenica (9 febbraio) dalle forze di polizia israeliane nella libreria palestinese Educational bookshop a Gerusalemme Est, con tanto di distruzione della merce in vendita, sequestro di un numero imprecisato di libri perché potenzialmente “inneggianti al terrorismo” e arresto del titolare Mahmoud Muna e del nipote Ahmed, infine rilasciati oggi pomeriggio.“Un fatto di emblematica gravità“, hanno commentato alcuni eurodeputati Pd (Lucia Annunziata, Annalisa Corrado, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada e Marco Tarquinio). “La distruzione dei libri evoca inevitabilmente episodi simili di un’inaccettabile storia del passato“, prosegue il comunicato dei dem in riferimento ai roghi di libri nel Terzo Reich, per sottolineare ancora che si tratta di “un’azione incredibile”, come ne avvengono solo negli “Stati fascisti”.

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    Amnesty International: Israele sta commettendo un genocidio a Gaza

    Bruxelles – Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele “ha scatenato l’inferno e la distruzione sui palestinesi di Gaza in modo sfacciato, continuo e nella più totale impunità”. Amnesty International ha pubblicato oggi (5 dicembre) un rapporto in cui sostiene che Israele ha commesso e continua a commettere un genocidio nella Striscia di Gaza. Confermando le accuse già formulate mesi fa dalla relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese.Un tassello in più che si aggiunge all’orrore ampiamente documentato della controffensiva israeliana nell’enclave palestinese. Non solo crimini di guerra e contro l’umanità, di cui sono stati accusati dalla Corte Penale Internazionale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro per la Difesa Yoav Gallant. Dopo aver esaminato nel dettaglio le violazioni compiute da Israele nell’enclave palestinese tra l’ottobre 2023 e il luglio 2024, intervistato 212 persone a Gaza, analizzato prove visive e digitali e le dichiarazione di alti funzionari governativi e militari israeliani, Amnesty International “ha trovato basi sufficienti” per concludere che quello in corso a Gaza è un vero e proprio genocidio.Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, soggetti ad un mandato di arresto internazionale emesso dalla Cpi (Photo by Abir SULTAN / POOL / AFP)“Mese dopo mese, Israele ha trattato i palestinesi di Gaza come un gruppo subumano indegno di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha commentato Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, secondo cui i risultati “sconvolgenti” contenuti nel rapporto “devono servire da campanello d’allarme” per una comunità internazionale impotente di fronte alla tragedia di Gaza. Callamard ha sottolineato – in linea con le osservazioni della Corte Internazionale di Giustizia relative all’accusa di genocidio formulata dal Sudafrica ad Israele – che “gli Stati che continuano a trasferire armi a Israele stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di diventarne complici”.I dati citati nel rapporto sono quelli che le Agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio riportano ogni settimana nei loro bollettini. Secondo l’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha-Opt), si parla di almeno 44.502 palestinesi uccisi e 105.454 feriti dal 7 ottobre 2023. Nell’ultima settimana – dal 26 novembre al 3 dicembre – i bombardamenti israeliani avrebbero causato altre 253 vittime e 708 feriti. Va sottolineato che il rapporto di Amnesty International è stato redatto prendendo in considerazione gli eventi fino a luglio 2024, ed esclude quindi la terribile offensiva che l’esercito israeliano ha lanciato ad ottobre sul Nord di Gaza, sotto assedio permanente e dove l’assistenza umanitaria “è stata in gran parte negata per circa 60 giorni, lasciando tra le 65 mila e le 75 mila persone senza accesso a cibo, acqua, elettricità o assistenza sanitaria affidabile”.La distruzione deliberata e indiscriminata di intere città, infrastrutture critiche, terreni agricoli, siti culturali e religiosi, ha “reso inabitabili ampie zone di Gaza”. Ed è stata spesso preceduta da “funzionari che ne hanno sollecitato l’attuazione”. Amnesty ha esaminato 102 dichiarazioni rilasciate da funzionari governativi e militari israeliani che “disumanizzavano i palestinesi, invocavano o giustificavano atti di genocidio o altri crimini contro di loro”. Un linguaggio condiviso e rilanciato anche dai soldati israeliani sul campo, come dimostrano diversi contenuti audiovisivi che mostrano militari che celebrano la distruzione di case, moschee, scuole e università palestinesi.Una donna palestinese, sfollata da Beit Lahia, arriva a Jabalia nel nord della Striscia di Gaza, 4/12/24 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)Amnesty International si è concentrata su 15 attacchi aerei israeliani, che hanno ucciso almeno 334 civili, tra cui 141 minori, e ferito centinaia di altri. E per nessuno di questi raid ha trovato prove che fossero diretti ad obiettivi militari. Il rapporto ha identificato uno schema ricorrente nell’azione genocidaria di Israele: il danneggiamento e la distruzione di infrastrutture vitali, l’uso ripetuto di ordini di “evacuazione” di massa, arbitrari e confusi, per sfollare con la forza quasi tutta la popolazione di Gaza, la negazione e l’ostruzione della fornitura di servizi essenziali, di assistenza umanitaria e di altri rifornimenti salvavita a Gaza e al suo interno. Israele ha sfollato quasi 1,9 milioni di palestinesi – il 90 per cento della popolazione di Gaza – in sacche di terra sempre più piccole e insicure, in condizioni disumane.“Chiediamo all’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) di prendere urgentemente in considerazione l’aggiunta del genocidio all’elenco dei crimini su cui sta indagando e a tutti gli Stati di utilizzare ogni via legale per assicurare i responsabili alla giustizia”, conclude il rapporto di Amnesty International. Un appello rivolto anche a Bruxelles, dove regna il silenzio dopo l’avvicendamento tra Josep Borrell e Kaja Kallas a capo della politica estera dell’Ue, e alle capitali dei 27, troppo prudenti finora nel confermare la propria lealtà al Tribunale de l’Aia e al mandato d’arresto per il primo ministro di Israele.