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    Iran, tra le aperture sul velo e la tolleranza zero: da oggi tre giorni di scioperi in tutto il Paese

    Bruxelles – Il popolo iraniano non ha più paura, non si accontenta e rilancia ancora. Da oggi (5 dicembre) al via una nuova mobilitazione, con tre giorni di scioperi a cui stanno aderendo i lavoratori di tutto il Paese: sui social network si moltiplicano testimonianze di serrande chiuse al Gran Bazar di Teheran, per le strade di Isfahan, così come nella provincia curda e nel Beluchistan.
    Il regime teocratico, nel tentativo di scoraggiare le proteste, ha annunciato la “tolleranza zero” verso i manifestanti: le Guardie della rivoluzione, il corpo militare istituito nel 1979 dall’ayatollah Khomeini, hanno dichiarato che “non esiteranno a fronteggiare duramente i rivoltosi, i criminali armati e i terroristi sostenuti dai servizi di intelligence stranieri”.
    Sembrano quindi archiviate le timide ipotesi di aperture, circolate nel fine settimana, da parte del governo iraniano: sabato 3 dicembre il Procuratore generale Mohamad Montazeri, in una conferenza stampa a margine di un incontro con l’establishment clericale nella città santa sciita di Qom, aveva paventato lo scioglimento “de facto” della Gasht-e Ershad, la polizia morale incaricata di vigilare sul rispetto dei precetti islamici e responsabile della morte della ventiduenne Mahsa Amini, che ha dato il via alle proteste lo scorso 16 settembre.
    In realtà, non c’è stata alcuna dichiarazione ufficiale sulla sospensione della polizia morale, confermata da alcuni quotidiani riformisti iraniani, ma smentita da diverse associazioni e da esponenti della società civile. Anche perché non è la magistratura a controllare la milizia, che fu creata nel 2005 dal governo di Mahmud Ahmadinejad e rinforzata dal presidente attuale, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi. A segnare un punto di non ritorno però, è stata un’altra comunicazione del Procuratore generale: Montazeri ha ammesso che si aprirà una commissione congiunta tra l’Assemblea islamica e il Consiglio supremo della rivoluzione per discutere le norme che regolano l’abbigliamento femminile.
    A prescindere dalle decisioni che prenderanno i mullah iraniani sul velo, ridiscutere l’obbligatorietà di uno dei simboli del regime teocratico è una concessione che potrebbe non bastare più, e che anzi potrebbe rappresentare un incentivo per insistere ulteriormente nelle proteste. Anche perché il costo sostenuto dai manifestanti, in termini di vite umane, va ben oltre la questione del velo: secondo l’ultimo bollettino dell’agenzia iraniana per i diritti umani Hrana, sarebbero almeno 471 le vittime dall’inizio delle proteste, tra cui 64 minori. E 18 mila arrestati, che rischiano la pena capitale.
    Abir Al-Sahlani
    I segni di cedimento del regime potrebbero essere cavalcati anche dalla Comunità internazionale, che finora non è riuscita a incidere in maniera significativa. È questo il pensiero dell’eurodeputata svedese di origini irachene, Abir Al-Sahlani, che lo scorso 5 ottobre si rese protagonista del gesto simbolo della mobilitazione delle donne iraniane, tagliandosi una ciocca di capelli nell’aula del Parlamento europeo di Strasburgo. Intervenuta a “Center Stage”, podcast del gruppo Renew di cui fa parte, Al-Sahlani ha affermato che “la comunità internazionale, guidata dall’Unione europea, deve prendersi maggiori responsabilità e isolare il regime iraniano”. Secondo l’eurodeputata, le sanzioni europee a 126 persone e 11 entità iraniane sono ancora troppo poche: “Sostanzialmente è solo il gabinetto del presidente. Bisogna isolare le Guardie della rivoluzione, la polizia morale, tutti i membri del Parlamento e le loro famiglie, che spesso vivono all’estero e godono dei diritti che gli verrebbero negati in patria”.
    Oltre alle sanzioni, un’altra via che l’Ue può percorrere è il supporto ai movimenti della società civile che si battono per i diritti umani: il programma Global Europe Human Rights and Democracy prevede budget specifici per sostenere associazioni per i diritti umani in Paesi terzi, che possono essere concessi senza il consenso dei rispettivi governi. Per “non distogliere lo sguardo da coloro che ci guardano dalle strade dell’Iran”, come ha dichiarato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, in apertura al dibattito tenutosi a Strasburgo lo scorso 23 novembre sulla risposta dell’Ue alla crescente repressione delle proteste in Iran, esiste anche questa possibilità.

    Al via una nuova mobilitazione, a cui le Guardie della Rivoluzione hanno annunciato che “reagiranno duramente”. Smentito lo scioglimento della polizia morale, rimane l’apertura del regime che ridiscuterà le norme sul velo obbligatorio

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    Sospesi i contatti tra il Parlamento europeo e Teheran, l’Ue respinge le sanzioni iraniane contro i deputati

    Bruxelles – “In risposta alle inaccettabili sanzioni ai membri di quest’aula, annuncio che non ci saranno contatti diretti tra le delegazioni del Parlamento europeo e le controparti ufficiali iraniane, fino a nuovo avviso”: nel suo discorso d’apertura della sessione plenaria all’emiciclo di Strasburgo, la presidente dell’eurocamera, Roberta Metsola, ha sancito la temporanea sospensione del dialogo tra gli europarlamentari e gli omologhi dell’assemblea islamica di Teheran.
    La rottura è stata confermata anche dal Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, Olivér Varhelyi, che nel dibattito di ieri sera (23 novembre) sulla “risposta dell’Ue alla crescente repressione delle proteste in Iran”, ha dichiarato che “le misure contro gli europarlamentari verranno respinte”.

    We will not look away from those who look to us from the streets of Iran.
    Iran must stop its oppression of legitimate protests.
    In response to Iran sanctioning MEPs, @Europarl_EN will no longer engage with Iranian authorities.
    زن زندگی آزادی pic.twitter.com/f6CKwilizQ
    — Roberta Metsola (@EP_President) November 21, 2022

    Le misure indirizzate dal governo islamico di Ebrahim Raisi a 6 eurodeputati e a diversi media, società e ONG europee, colpevoli di “azioni deliberate a sostegno del terrorismo che ha causato rivolte e violenze contro la nazione iraniana”, altro non sono che una mossa di ritorsione in seguito a quelle emesse a più riprese da Bruxelles, che lo scorso 14 novembre aveva aggiunto altre 29 persone e 3 entità all’elenco dei soggetti a misure restrittive in Iran, che conta ora 126 persone e 11 entità.
    Il Commissario Ue Oliver Varhelyi
    Nella rotta di collisione tra il Parlamento Ue e la Repubblica islamica, il dibattito tenutosi all’emiciclo di Strasburgo segna quindi un nuovo capitolo. Varhelyi ha sottolineato in aula che “nonostante le nostre richieste, l’uso di violenza sproporzionata continua e non c’è alcuna chiarezza sul numero di persone uccise e arrestate”: il regime continua a accusare gruppi terroristici della responsabilità delle stragi di piazza, ma secondo l’ultimo bollettino pubblicato da Iran Human Rights, le vittime per mano delle forze di sicurezza sarebbero 416, di cui 51 minori e 27 donne. Nell’ultima settimana i morti nelle manifestazioni sarebbero addirittura 72, dato che certificherebbe un inasprimento ancora maggiore delle proteste e della repressione governativa, soprattutto nelle aree a maggioranza curda, dove negli ultimi sette giorni avrebbero perso la vita 56 persone. A queste vittime vanno aggiunti i 6 manifestanti che la repubblica islamica ha condannato alla pena capitale perché “rivoltosi e perturbatori della sicurezza”.
    Domani (24 novembre), il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite terrà a Ginevra una sessione speciale sulla situazione in Iran, convocata in seguito a una richiesta ufficiale di Germania e Islanda e sostenuta da 44 Paesi. “L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, accoglie favorevolmente la riunione speciale”, ha dichiarato a proposito il commissario Varhelyi, che ha poi assicurato che il capo della diplomazia europea “utilizzerà tutte le opportunità nei suoi contatti diretti con le autorità iraniane per reiterare la posizione dell’Ue sulla pena capitale e sul rispetto dei diritti umani”.

    In seguito alle misure restrittive imposte a 6 europarlamentari e a diverse società europee, Metsola ha annunciato la sospensione del dialogo con le controparti ufficiali a Teheran. Dibattito in aula sulla risposta europea alla crescente repressione in Iran, dove l’ultimo bollettino racconta di 416 vittime tra i manifestanti

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    Ue “al fianco” del popolo iraniano, sanzionati altri 29 individui per la morte di Mahsa Amini e le violenze in piazza

    Bruxelles – Ferma condanna “dell’inaccettabile e violenta repressione” delle manifestazioni in Iran. Il Consiglio Affari Esteri riunito a Bruxelles ha deciso oggi (14 novembre) di sanzionare altre 29 persone e tre entità per il ruolo nella morte di Mahsa Amini, la 22enne morta lo scorso 16 settembre in carcere a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente l’hijab e nella repressione delle proteste che vanno avanti senza sosta da oltre un mese.
    Tra gli ultimi nomi aggiunti all’elenco di individui soggetti a misure restrittive (che si traducono in un divieto di viaggio e congelamento dei beni), come si legge in una nota del Consiglio Ue, c’è anche il ministro dell’Interno iraniano, Ahmad Vahidi, che è anche responsabile della LEF, le forze dell’ordine iraniane. Presi di mira altri quattro membri della squadra che ha arrestato arbitrariamente Mahsa Amini, i capi provinciali delle LEF e del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC), nonché il generale di brigata Kiyumars Heidari, il comandante della Le forze di terra dell’esercito iraniano, per il loro ruolo “nella brutale repressione delle recenti proteste”, scoppiate nel Paese a seguito dell’uccisione della donna. Bruxelles prende di mira anche l’emittente televisiva di Stato iraniana Press TV responsabile “della produzione e della trasmissione delle confessioni forzate dei detenuti” e Vahid Mohammad Naser Majid, il capo della polizia informatica iraniana per la sua responsabilità nell’arrestare arbitrariamente persone per aver espresso critiche online al regime iraniano.
    Il regime di sanzioni per i diritti umani applicato in Iran include anche il divieto di esportazione in Iran di apparecchiature che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna e di apparecchiature per il monitoraggio delle telecomunicazioni. Con l’aggiornamento della lista, l’elenco dei soggetti alle misure restrittive dell’UE sale a quota 126 persone e 11 entità. “L’UE condanna fermamente l’inaccettabile e violenta repressione dei manifestanti. Siamo con il popolo iraniano e sosteniamo il suo diritto a protestare pacificamente e ad esprimere liberamente le sue richieste e opinioni. Oggi stiamo imponendo ulteriori sanzioni ai responsabili della repressione dei manifestanti iraniani”, commenta l’alto rappresentato Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.

    Dal Consiglio Affari Esteri via libera a nuove restrizioni contro individui ed entità coinvolte con “la violenta repressione”. Nell’elenco anche il ministro dell’Interno iraniano, Ahmad Vahidi

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    Per von der Leyen è tempo di sanzioni Ue contro Teheran per la repressione delle donne iraniane

    Bruxelles – Difendere i valori in cui l’Europa crede e difendere chi si batte per proteggerli anche fuori dall’Europa. Come “le coraggiose” donne iraniane che attraverso settimane di proteste e manifestazioni “chiedono libertà e uguaglianza”. Per Ursula von der Leyen è arrivato il momento di sanzionare i responsabili della repressione delle donne iraniane.
    E’ durante il discorso alla Conferenza degli ambasciatori Ue, che la presidente della Commissione europea ha condannato la repressione di “migliaia di manifestanti pacifici che vengono picchiati e detenuti: uomini e donne, avvocati e giornalisti, attivisti e cittadini comuni” che protestano da settimane per la morte della 22enne Mahsa Amini, uccisa lo scorso 16 settembre in carcere a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa (la cosiddetta polizia della moralità) per non aver indossato correttamente l’hijab.
    “Questo è un grido per l’uguaglianza, è un grido per i diritti delle donne”, ha detto la presidente, precisando che il messaggio dell’Unione europea di fronte alla repressione deve essere dobbiamo chiedere che la violenza si fermi. Le donne devono avere la possibilità di scegliere. E dobbiamo ritenere responsabili coloro che sono responsabili della repressione delle donne”. Per questo, è arrivato il momento di sanzionare le persone che sono responsabili. “La scioccante violenza inflitta al popolo iraniano non può rimanere senza risposta e dobbiamo lavorare insieme sulle sanzioni”, ha dichiarato, aprendo di fatto all’idea che l’Ue possa imporre sanzioni contro i funzionari iraniani coinvolti nella repressione. Secondo quanto riportano fonti Ue a Bloomberg, il pacchetto di misure restrittive dovrebbe coinvolgere 15 tra persone ed entità iraniane legate alla morte di Amini e potrebbe essere adottato già la prossima settimana, se sarà raggiunto un accordo unanime tra i Ventisette.
    Un’idea che l’Europarlamento, per primo, ha sostenuto approvando lo scorso 6 ottobre a Strasburgo un atto di indirizzo per chiedere provvedimenti immediati contro il regime degli Ayatollah nell’ambito del regime globale di sanzioni dell’UE in materia di diritti umani. Gli europarlamentari hanno chiesto “un’indagine imparziale, efficace e soprattutto indipendente” sulle accuse di tortura e maltrattamento. Un invito rivolto a Nazioni Unite, e in particolare al Consiglio per i diritti umani. Per le autorità iraniane, invece, l’invito a rilasciare i manifestanti e ritirare ogni accusa nei loro confronti.

    Durante il discorso alla Conferenza degli ambasciatori Ue, la presidente della Commissione europea condanna la repressione di “migliaia di manifestanti pacifici” che vengono picchiati e detenuti in Iran per la morte della 22enne Mahsa Amini, uccisa lo scorso 16 settembre in carcere a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente l’hijab

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    Gli eurodeputati del Pd manifestano a sostegno delle donne iraniane con il taglio di una ciocca di capelli

    Bruxelles – Gli eurodeputati del Partito Democratico prendono una posizione netta e con un gesto simbolico ma tangibile a sostegno delle donne iraniane, dopo quasi un mese di proteste contro il regime teocratico provocate dall’omicidio di Mahsa Amini, 22enne morta lo scorso 16 settembre in carcere a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente l’hijab.
    Il taglio delle ciocche di capelli dei sei eurodeputati del Partito Democratico in solidarietà con le proteste delle donne iraniane (13 ottobre 2022)
    “Donna, vita, libertà”, hanno intonato Alessandra Moretti, Camilla Laureti, Elisabetta Gualmini, Patrizia Toia, Pietro Bartolo, Giuliano Pisapia e Pierfrancesco Majorino di fronte alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles oggi (giovedì 13 ottobre), in concomitanza con la manifestazione indetta a Roma dal segretario del Pd, Enrico Letta, davanti all’ambasciata iraniana. Dopo aver spiegato di voler “manifestare la solidarietà, fratellanza e sorellanza alle donne e al popolo iraniano per la loro libertà”, i sette eurodeputati si sono tagliati una ciocca di capelli ciascuno, emulando uno dei gesti più estremi mostrati dalle manifestanti durante le proteste di piazza a Teheran e in altre decine di città in Iran, oltre ai falò di hijab. Le ciocche sono state poi raccolte in una busta, che sarà spedita all’ambasciata iraniana a Bruxelles.
    I sette eurodeputati del Pd sono stati anche tra i firmatari dell’interrogazione parlamentare della settimana scorso all’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sull’attivazione dei canali diplomatici europei per liberare la travel blogger romana Alessia Piperno – insieme ad altri otto cittadini Ue – arrestata lo scorso 28 settembre a Teheran e di cui si hanno pochissime notizie, se non che è detenuta nel carcere di Evin nella capitale iraniana. Piperno non sarebbe stata l’obiettivo della retata della polizia, ma si sarebbe trovata nello stesso ostello frequentato da alcuni “sobillatori” – come li definiscono le autorità della Repubblica Islamica – delle proteste delle donne iraniane contro il regime teocratico.
    A proposito delle manifestazioni nel Paese mediorientale, la dura repressione da parte della polizia – che lancia lacrimogeni e spara ad altezza uomo durante le manifestazioni – ha già causato la morte di 201 persone (di cui 23 bambini), denuncia l’organizzazione non-governativa Iran Human Rights. Ecco perché la Commissione Europea è sempre più decisa a imporre nuove sanzioni all’Iran, per far pagare il prezzo economico dell’uso della violenza sistematica contro le donne e i giovani manifestanti pacifici. Secondo quanto riportano fonti Ue a Bloomberg, il pacchetto di misure restrittive dovrebbe coinvolgere 15 tra persone ed entità iraniane legate alla morte di Amini e potrebbe essere adottato già la prossima settimana, se sarà raggiunto un accordo unanime tra i Ventisette. “Credo che sia giunto il momento di sanzionare i responsabili della repressione contro le donne iraniane, la scioccante violenza inflitta non può rimanere senza risposta”, ha attaccato la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di ieri (mercoledì 12 ottobre) alla Conferenza degli ambasciatori.

    Sette membri della delegazione del Partito Democratico hanno mostrato solidarietà verso le rivendicazioni del popolo in Iran contro il regime teocratico, condividendo il gesto che sta animando le proteste di piazza nel Paese da quasi un mese dopo la morte di Mahsa Amini

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    Velo islamico, Parlamento Ue chiede sanzioni per il regime iraniano. Il gruppo ID critica l’Aula

    dall’inviato a Strasburgo – Sanzionare i funzionari iraniani coinvolti nella morte di Mahsa Amini e nelle violenze contro i manifestanti. Il Parlamento europeo si rivolge ai capi di Stato e di governo dell’Ue, riuniti a Praga e pronti a ritrovarsi a Bruxelles per il vertice di fine mese, per chiedere provvedimenti immediati contro il regime degli Ayatollah nell’ambito del regime globale di sanzioni dell’UE in materia di diritti umani. L’Aula approva, per alzata di mano, il testo di condanna per la morte della 22enne lo scorso 16 settembre in carcere a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente l’hijab, il velo islamico imposto alle donne. Gli europarlamentari chiedono “un’indagine imparziale, efficace e soprattutto indipendente” sulle accuse di tortura e maltrattamento. Un invito rivolto a Nazioni Unite, e in particolare al Consiglio per i diritti umani. Per le autorità iraniane, invece, l’invito a rilasciare i manifestanti e ritirare ogni accusa nei loro confronti.
    Nel giorno in cui il Parlamento Ue si schiera con la società civile e con le donne dell’Iran, si consuma lo strappo con le forze sovraniste. Al termine della sessione di voto il gruppo Identità e democrazia (Id), dove siede la Lega, denuncia e condanna l’atteggiamento degli altri gruppi, rei di aver compiuto “atti antidemocratici”. Quello che è accaduto, la denuncia del gruppo, è l’”averci impedito di firmare e sostenere la risoluzione comune” sulla morte di Mahsa Amini e la repressione delle donne manifestanti per i diritti in Iran. Per gli europarlamentari di Identità e democrazia si tratta di “un ultimo tentativo di mantenere il cordone sanitario attorno al gruppo ID” anche su una questione come quella del velo islamico e l’Iran, e la che bollano come “una vergogna”.
    Intanto il Parlamento lancia un messaggio ai capi di governo. Sulla proposta di sanzioni e condanna dovrà esprimersi a breve il nuovo esecutivo tricolore. Gli italiani del gruppo Id avranno modo di esprimersi in quell’occasione, in forza della coalizione con Forza Italia e Fratelli d’Italia.

    L’Eurocamera chiede indagini Onu sulla morte di Mahsa Amini, i sovranisti denunciano la negata possibilità di sottoscrivere la risoluzione. “Vergogna”.

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    Iran, gli Usa rispondono alle proposte di Teheran. UE fa da mediatore per rilanciare l’accordo sul nucleare

    Bruxelles – La resurrezione dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015 potrebbe essere vicina. La Commissione europea conferma a Eunews di aver ricevuto ieri la risposta degli Stati Uniti alla proposta di compromesso dell’UE per superare le divergenze tra  Washington e Teheran e salvare l’accordo sul programma nucleare iraniano sottoscritto ormai sette anni fa, e di averla trasmessa a Teheran e agli altri partecipanti dell’accordo JCPOA (‘Joint Comprehensive Plan of Action’), ovvero Gran Bretagna, Cina, Francia, Germania e Russia.
    Si riaccendendo dunque le speranze di un ritorno all’intesa sul programma nucleare di Teheran, che prevedeva una limitazione alla capacità dell’Iran di sviluppare la tecnologia utile alla creazione di armi nucleari, vedendo riconosciuto in cambio un alleggerimento delle sanzioni internazionali imposte all’economia iraniana. Un tentativo di placare il timore di molti Paesi occidentali che il governo di Teheran potesse usare il suo programma nucleare nazionali per lavorare armi nucleari, mettendo potenzialmente in pericolo la sicurezza internazionale. L’intesa è saltata appena tre anni dopo. Nel 2018, l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva annunciato l’uscita unilaterale dall’accordo e la ripresa di alcune sanzioni economiche da parte di Washington (anche nel settore petrolifero), che hanno spinto Teheran a venire meno agli obblighi dell’accordo circa un anno dopo, superando il tasso di arricchimento dell’uranio autorizzato e arrivando nel 2021 a produrre uranio arricchito (utile per la produzione di energia nucleare) al 60 per cento.
    Dopo oltre un anno di negoziati infruttuosi, i colloqui sono ripresi a inizio agosto e il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, aveva presentato alle due parti l’8 agosto scorso una “versione finale” di un accordo che prevedeva la revoca delle sanzioni economiche contro l’Iran, compresa la vendita di petrolio, in cambio di restrizioni al suo programma nucleare. Dopo la risposta degli USA potrebbe volerci ancora un po’ per superare le divergenze che rimangono tra le prima di raggiungere un accordo, ma una soluzione potrebbe essere vicina. 

    Bruxelles conferma di aver ricevuto la risposta di Washington alla bozza di intesa promossa dall’UE per salvare l’accordo del 2015, da cui Trump chiamò fuori gli Stati Uniti nel 2018

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    I tentativi dell’Unione europea per salvare l’accordo sul nucleare con l’Iran

    Bruxelles – Un accordo per superare le divergenze tra Stati Uniti e Iran e salvare l’accordo sul nucleare iraniano sembra più vicino. L’Unione europea “sta studiando, insieme ai suoi partner” internazionali la risposta che Teheran ha inviato ieri sera (15 agosto) al “testo finale” proposto da Bruxelles alla fine di luglio per salvare lo storico accordo sul nucleare del 2015. E superare oltre un anno di stallo nei negoziati tra Stati Uniti e Iran.
    La conferma che Bruxelles ha ricevuto la risposta del governo iraniano è arrivata questa mattina da un portavoce dell’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell. “Stiamo studiando (la risposta, ndr) e ci stiamo consultando con gli altri partecipanti al JCPOA (l’accordo del 2015, il ‘Joint Comprehensive Plan of Action’) e gli Stati Uniti sulla strada da percorrere”, ha chiarito il portavoce dell’esecutivo, senza commentare le tempistiche sulla risposta da parte dell’Ue o fornire dettagli sul contenuto della controproposta.
    Lo storico accordo risale al 2015 ed era stato concluso tra l’Iran da un lato e Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Francia, Germania e Russia, dall’altro. Si tratta di un accordo politico (non legalmente vincolante) e prevedeva una limitazione alla capacità dell’Iran di sviluppare la tecnologia utile alla creazione di armi nucleari, vedendo riconosciuto in cambio un alleggerimento delle sanzioni internazionali imposte all’economia iraniana. Un tentativo di placare il timore di molti Paesi occidentali che il governo di Teheran potesse usare il programma nucleare per lavorare armi nucleari. L’intesa è saltata appena tre anni dopo. Nel 2018, l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato l’uscita unilaterale dall’accordo e la ripresa di alcune sanzioni economiche da parte di Washington (anche nel settore petrolifero), che hanno spinto Teheran a venire meno agli obblighi dell’accordo circa un anno dopo, superando il tasso di arricchimento dell’uranio autorizzato e arrivando nel 2021 a produrre uranio arricchito (utile per la produzione di energia nucleare) al 60 per cento.
    “Ciò che può essere negoziato è stato negoziato ed è ora in un testo finale. Ma dietro ogni questione tecnica e ogni paragrafo si cela una decisione politica che deve essere presa nelle capitali”, scriveva l’alto rappresentante Borrell lo scorso 8 agosto, annunciando di aver consegnato il testo finale della proposta nelle mani di Usa e Iran, nel tentativo di mediare un accordo.

    What can be negotiated has been negotiated, and it’s now in a final text.
    However, behind every technical issue and every paragraph lies a political decision that needs to be taken in the capitals.
    If these answers are positive, then we can sign this deal.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) August 8, 2022

    Dopo mesi di stallo, i colloqui sono ripresi lo scorso 4 agosto in Austria, a Vienna, per salvare l’accordo sotto l’egida dell’UE. Se Washington si è detta pronta a siglare l’accordo mediato da Bruxelles in tempi rapidi, il ministro degli Esteri dell’Iran, Hossein Amirabdollahian, ha esortato Washington a mostrare “flessibilità” per risolvere tre questioni che per Teheran restano aperte sul tavolo e che, a detta del capo della diplomazia iraniana, sono imprescindibili per finalizzare un accordo politico. “Le differenze sono su tre punti, sui quali gli Stati Uniti hanno verbalmente espresso flessibilità in due casi, ma questo dovrebbe essere incluso nel testo”, ha riferito l’agenzia di stampa iraniana Irna, citando Amirabdollahian. Tra le questioni “aperte” da parte iraniana, la garanzia che l’accordo sia sostenibile e sul fatto che nessun futuro presidente degli Stati Uniti possa rinnegarlo, come fece Trump nel 2018.

    Bruxelles ha ricevuto la risposta di Teheran alla bozza di intesa promossa dall’UE per salvare l’accordo del 2015, da cui Trump chiamò fuori gli Stati Uniti nel 2018. “Stiamo studiando la risposta e ci stiamo consultando con gli altri firmatari dell’accordo e con gli Stati Uniti sulla strada da seguire”