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    Charles Michel: “Kiev non è sola, la Crimea è Ucraina”

    È iniziato a Kiev l’incontro internazionale Crimea Platform. Lo scopo del meeting è quello di coordinare gli sforzi internazionali per garantire il ritorno della Crimea all’Ucraina.
    All’evento prendono parte rappresentanti di tutti i Paesi UE, di Stati Uniti, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Svizzera, Turchia, Georgia e Moldova, nonché dell’Unione Europea e della NATO.
    Le autorità ucraine si aspettano che sia adottata una dichiarazione nella quale i partecipanti confermeranno la volontà di aderire alla politica di non riconoscimento dei tentativi di annessione della Crimea.
    Le parole di Charles Michel
    “L’Unione Europea continuerà a sostenere il popolo ucraino nel suo cammino per un futuro migliore. L’Ucraina non sarà mai sola e la Crimea è Ucraina”. Con queste parole nel suo discorso di apertura il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha chiarito quale sia la posizione dell’UE sulla vicenda.
    “Sfortunatamente, la Russia continua una politica che continua a moltiplicare gli impatti negativi dell’annessione della Crimea. La continua militarizzazione della penisola incide pesantemente sulla situazione della sicurezza nel Mar Nero. La situazione dei diritti umani, inoltre, resta grave: i tatari di Crimea continuano a essere perseguitati e sottoposti a pressioni”, ha concluso Michel.
    Le richieste dell’Ucraina
    Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha annunciato da parte sua l’inizio del “conto alla rovescia” per recuperare la Crimea. “Oggi annunciamo il conto alla rovescia per il giorno nel quale la Crimea non sarà più occupata”, ha detto Zelensky aprendo i lavori del summit. “Non si può perdere nemmeno un giorno: dobbiamo iniziare a scrivere una nuova pagina nella storia dell’Ucraina e nella storia della Crimea ucraina”.
    Per raggiungere questo obiettivo con mezzi politici, Kiev ha sviluppato una “strategia di deoccupazione” della penisola. Ma ha bisogno dello “sforzo congiunto” della comunità internazionale per fare fronte alla Russia.
    “L’occupazione della Crimea solleva dubbi sul sistema di sicurezza internazionale, in particolare per quel che riguarda l’inviolabilità delle frontiere”, ha proseguito il presidente ucraino, “nessuna nazione può sentirsi al sicuro”.
    “La sinergia dei nostri sforzi deve obbligare la Russia a sedersi al tavolo delle trattative per la restituzione della nostra penisola”, ha proseguito Zelensky. “L’Ucraina da sola non potrà recuperare la Crimea, abbiamo bisogno di un sostegno efficace a livello internazionale”, nello specifico, ha spiegato, “sanzioni più forti contro Mosca”.
    L’ira della Russia
    “Valutiamo questo evento come estremamente ostile nei confronti del nostro paese”, ha commentato Dmitry Peskov, il portavoce del presidente Vladimir Putin, secondo quanto riporta l’agenzia Interfax. Già venerdì scorso la Russia aveva sanzionato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, probabilmente proprio come “vendetta” per l’organizzazione del summit.
    La Russia ha annesso di fatto la Crimea nel 2014, strappandola all’Ucraina con un’invasione di uomini armati e senza insegne di riconoscimento e con un controverso referendum.
    In realtà i rapporti tra Russia e Ucraina sono tesi da tempo, non solo per la Crimea ma anche per il conflitto nel Donbass, dove il Cremlino è accusato di sostenere militarmente i separatisti.
    Il gasdotto Nord Stream 2
    C’è un’altra questione calda sul tavolo che ha caratterizzato le relazioni del meeting: il gasdotto Nord Stream 2.
    Kiev vorrebbe entrare nella NATO, ma a preoccupare la repubblica ex-sovietica è anche l’ormai quasi completato gasdotto Nord Stream 2, che dovrebbe raddoppiare il flusso di gas russo verso la Germania. L’Ucraina teme che Mosca possa portare il proprio metano in Europa aggirando i gasdotti ucraini e infliggendole un grave colpo economico.
    L’incontro tra Zelensky e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, è stato segnato dalla tensione su questo tema. Il presidente ucraino ha definito il gasdotto “una pericolosa arma geopolitica del Cremlino”. Da parte sua, la cancelliera tedesca ha cercato di rassicurare il governo di Kiev affermando che Berlino e Washington prevedono “sanzioni” se il gas dovesse in effetti essere “usato come un’arma”.
    Per questo motivo, a margine del Crimea Platform si è tenuto un incontro tra i ministri dell’Energia di Ucraina, Stati Uniti e Germania. I ministri hanno discusso di come fornire garanzie all’Ucraina sul suo futuro come Paese di transito in seguito alla costruzione del gasdotto russo Nord Stream 2.
    Il ministro tedesco dell’Economia e dell’Energia, Peter Altmaier, ha ribadito che Berlino vuole sostenere la transizione dell’Ucraina verso le energie rinnovabili.
    La posizione dell’Italia
    Per l’Italia, ha partecipato al meeting il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova. ”A oltre sette anni dall’annessione illegale della Crimea, siamo ancora preoccupati per il rispetto dei diritti umani e per i possibili impatti avversi sulla situazione regionale”, ha detto Della Vedova. “Siamo al corrente delle sofferenze che il popolo tartaro di Crimea affronta. Sottolineiamo l’importanza del rispetto pieno e della protezione dei diritti fondamentali e delle libertà di tutte le minoranze”.
    Della Vedova ha quindi reiterato il sostegno dell’Italia all’integrità territoriale dell’Ucraina e alla sua sovranità e indipendenza. Ferma è stata la condanna dell’annessione illegale della Crimea e la determinazione a mantenere la politica di non-riconoscimento concordata a livello UE. L’obiettivo è quello di una fine pacifica dell’occupazione.
    Gli stessi concetti, riferisce la Farnesina, Della Vedova li ha ribaditi negli incontri bilaterali avuti con il viceministro degli Esteri ucraino, Viktor Bodnar, e con il ministro degli Interni, Denys Monastyrskiy. Con loro è stato fatto anche il punto sull’eccellente rapporto bilaterale tra Italia e Ucraina e sulle opportunità per incrementare ulteriormente le già fruttuose relazioni economico-commerciali.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    Sui migranti Italia si sente nuovamente isolata, e cresce il risentimento nei confronti dell’UE

    Mentre tutti preparano i festeggiamenti per i primi soldi del Recovery Fund da Bruxelles ( 26 miliardi di euro), come tutte le estati si rinnova il problema degli sbarchi di migliaia di migranti sulle coste italiane. La Lega ha fatto sentire la sua voce di dissenso, attraverso il sottosegretario agli Interni Nicola Molteni, che ha criticato il suo ministro Lamorgese, in merito agli ultimi sbarchi di circa 800 migranti sulle coste siciliane. “Salvini ha dimostrato che bloccare l’immigrazione clandestina era ed è assolutamente possibile”, le sue parole. “La politica dei decreti sicurezza che qualcuno ha smantellato, e penso al governo Conte II, sta producendo più sbarchi più partenze e più morti e più costi di accoglienza”.
    Ma anche il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, ha lanciato tramite la sua pagina facebook un accorato appello a governo ed istituzioni europee perché si intervenga per fermare una situazione ormai insostenibile. “Non amo ripetermi – ha scritto sulla sua bacheca telematica – e neppure alimentare polemiche sterili. Dico con forza che la Sicilia continua a essere presa d’assalto dagli sbarchi e che le politiche nazionali non riescono a bloccare questo criminale commercio di carne umana”. I viaggi dei ministri degli Esteri e dell’Interno sull’altra sponda del Mediterraneo, lamenta, “non stanno raggiungendo gli obiettivi sperati”. In tutto questo “l’Europa guarda complice e silente”. La Sicilia, continua, “è la frontiera a Sud di un Continente che preferisce girarsi dall’altro lato, mentre la disperazione sale dall’Africa, cercando in Sicilia la porta di accesso a una vita che in queste condizioni non potrà mai essere migliore». Poi l’appello accorato al presidente del Consiglio: «Serve un segnale forte e ormai può venire solo da lui. Faccia quello che non ha voluto fare chi l’ha preceduto e dichiari lo stato di emergenza per gli sbarchi”.
    Secondo i dati dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNCHR) nei primi sette mesi del 2021 in Italia sono arrivati circa 29mila migranti, che rappresentano un aumento del 107% rispetto allo stesso periodo del 2020. La prima nazione di provenienza con il 24% è la Tunisia, seguita da Bangladesh ed Egitto. Solo a Luglio gli arrivi sono stati ottomila. Se si considera tutta la zona euro  gli arrivi sono stati circa 51mila contro i 39mila del 2020. Il nostro paese è il primo paese di approdo seguita dalla Spagna con circa 16mila arrivi e dalla Grecia con 4400.
    Sulla base di questi dati si pensava che al Consiglio Europeo di fine giugno si prendessero decisioni in merito. Il premier italiano Draghi era convinto, spalleggiato dal leader spagnolo Sanchez, di poter ottenere risultati concreti da parte della Ue sul tema migranti.
    Invece come al solito e come ha affermato, alla fine dei lavori, in Parlamento il presidente dell’Ecr Raffaele Fitto ” si è preferito non decidere rinviando ogni soluzione ad ottobre, quando invece avremmo avuto bisogno di progressi immediati, urgenti”. Aggiungendo che l’Europa sembra sorda alle richieste di Spagna Italia e Grecia per una redistribuzione equa dei migranti in tutti gli Stati dell’Unione.
    Il punto è che l’Europa nel senso di istituzioni comunitarie ha poca voce in capitolo. La Commissione europea già nella precedente legislatura con Jean-Claude Juncker ha messo sul tavolo la proposta di un meccanismo per la ripartizione tra Stati membri dei richiedenti asilo che arrivano nei Paesi di frontiera europea, come Italia e Grecia. La proposta è stata impallinata dai governi. Bruxelles ha cercato di giustificare la mossa come la risposta all’emergenza del 2015, ma la politica solidale legata all’emergenza non ha saputo trovare repliche.
    Gli Stati membri dell’UE proprio non vogliono sentire parlare di redistribuzione dei migranti, preferendo coprire di euro la Turchia per evitare di aprire un nuovo fronte, quello balcanico che potrebbe colpire direttamente Germania e Francia, solo a parole sono solidali con Italia, Spagna e Grecia. E la situazione complicata che si è aperta in Tunisia dal punto di vista politico, certo non può che preoccupare ulteriormente proprio chi come il nostro paese è in prima linea sul fronte sbarchi dai paesi del nord Africa.
    Ma a guardare i recenti dati dell’UNCHR il rischio che la situazione diventi presto incontrollabile è altissimo. Alla fine del 2020, erano 82,4 milioni le persone sfollate in tutto il mondo, il numero più alto mai registrato, e 235,4 milioni di persone, una su 33 in tutto il mondo, avevano bisogno di aiuti di emergenza.  L’Ufficio delle Nazioni Unite del Coordinatore per l’Assistenza Umanitaria attribuisce queste crescenti esigenze ai conflitti globali prolungati, alla crisi climatica e in particolare alle ricadute economiche della pandemia di COVID-19, che ha causato il più grande calo annuale del reddito pro capite globale su base percentuale da quando  1870.
    Gli accordi di Malta del 2020 si sono rivelati ennesimo fallimento di una politica europea che sul tema migranti continua a non decidere e a lasciare la patata bollente a Italia, Spagna e Grecia. Basti pensare che tra ottobre 2019 e marzo 2021, con gli accordi di Malta il nostro paese ha ricollocato circa 990 persone su 44.300 sbarcati, il 2,2% del totale, come ha osservato Matteo Villa, dell’Osservatorio migrazioni dell’ISPI.
    Il tempo delle discussioni sembra ormai finito e se l’Europa vuole dimostrare di essere una vera unione deve mettere in campo una strategia comune, chiara, decisa per porre un argine ad un fenomeno, che presto potrebbe divenire incontrollabile.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
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    In Sicilia aumentano gli arrivi e gli amministratori locali non si sentono sostenuti. Malumori anche nel governo. Ma l’Unione europea può poco, decidono gli Stati. Il governo ha bisogno di creare consensi e trovare alleanze in seno al Consiglio