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    L’ambasciatore di Israele in Italia: la soluzione “due popoli due Stati” è tra quelle possibili, ma Ue e Usa non tentino di imporre nulla

    Roma – Nei rapporti con Gaza “abbiamo tentato tutte le strade possibili”, ma alla fine la risposta militare all’attacco del 7 ottobre “non l’abbiamo scelta noi”. Mentre il conflitto tra Israele e Hamas è in uno dei suoi momenti più duri, abbiamo parlato con l’ambasciatore d’Israele in Italia Alon Bar, per capire, in particolare, quali sono i rapporti con i Paesi europei e, soprattutto quale può essere la strada da seguire nel “dopo Gaza” e che ruolo può avere l’Unione Europea, che non deve, spiega il diplomatico, tentare di “imporre” le sue soluzioni, ma deve avviare un dialogo aperto con tutti gli attori nella Regione.Eunews: Ambasciatore Bar, lei rappresenta Israele in Italia, conosce bene però la realtà europea più in generale. Che rapporti ha Israele con l’Europa?Bar: Siete una Regione amica, un importante partner politico, economico, scientifico e culturale per Israele. Abbiamo grandi relazioni commerciali, tanto che abbiamo anche adottato la gran parte delle regole interne dell’Unione Europea e partecipiamo a moltissimi strumenti UE. Le relazioni non sono le stesse con ogni Paese dell’Unione, è una realtà complessa, ma in generale, al di là delle relazioni commerciali, condividiamo molti valori politici e culturali, come la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle leggi internazionali.E.: In particolare con le istituzioni dell’Unione Europea quali sono le relazioni?B.: In questo momento difficile abbiamo trovato prevalentemente molta solidarietà e comprensione nel Parlamento europeo e nel Consiglio. Con la Commissione abbiamo avuto grande solidarietà, ma anche qualche disaccordo, abbiamo visto alcune dichiarazioni di Borrell (Josep Borrell, l’alto rappresentante per la Politica estera, ndr) molto critiche nei confronti di Israele, che però non necessariamente riflettono le posizioni di numerosi Stati Membri. Ci sono alcuni Paesi, come Spagna e Irlanda, che sembrano essere più solidali con le posizioni dei palestinesi, ma in generale posso affermare che c’è un dialogo e che lavoriamo per trovare intese positive.E.: E con l’Italia, qual è lo stato delle relazioni, come giudica le posizioni del governo, del Parlamento, e anche della società civile?B.: Abbiamo ottime relazioni con il governo, che ha mostrato grande solidarietà, sia da parte del primo ministro Giorgia Meloni sia da importanti ministri come Antonio Tajani o Guido Crosetto, che la settimana scorsa è andato in visita in Israele. Abbiamo trovato comprensione anche da parte di molti altri ministri, che hanno mostrato sostegno verso Israele anche partecipando alla recente manifestazione contro l’antisemitismo. Anche in Parlamento troviamo solidarietà, ed in Senato è stata approvata una mozione importante che condanna l’attacco di Hamas e le uccisioni compiute, lo riconosce come responsabile delle morti di civili israeliani e civili di Gaza usati come scudi umani, e riconosce il diritto di autodifesa di Israele. Vediamo anche critiche nei confronti di Israele nel vostro Paese, ovviamente, ma in generale devo dire che le relazioni sono molto buone.E.: Una domanda che in molti si fanno, dando le risposte più diverse, è perché Hamas abbia scatenato l’attacco del 7 ottobre, così violento, di dimensioni enormi. Lei che spiegazione ha?B.: Non esiste una ragione che possa giustificare quanto commesso da Hamas. E non è mio compito capire perché hanno fatto questa scelta. Stiamo parlando di terroristi fondamentalisti il cui obiettivo dichiarato nella Carta fondativa è distruggere Israele e gli ebrei. Hanno usato i soldi arrivati dalla solidarietà degli organismi internazionali e di Israele per Gaza per finanziare i loro attacchi, che vanno avanti da anni. Sono persone molto crudeli, che vogliono trasformare il territorio israeliano e quello palestinese in un califfato islamico.E.: Israele, uno Stato che vanta di appartenere al consesso degli Stati democratici, non aveva un’altra via per rispondere all’attacco del 7 ottobre?B.: Per quindici anni abbiamo provato di tutto. Siamo completamente usciti da Gaza, il loro confine con l’Egitto era aperto, decine di migliaia persone da Gaza venivano ogni giorno a lavorare in Israele, abbiamo provato a difenderci dai missili con il sistema Iron Dome e dalle penetrazioni fisiche con una barriera. Ma Hamas ha sempre preferito la strada dell’attacco militare, del lancio dei missili.Noi non abbiamo scelto questo tipo di risposta, negli anni, in particolare negli ultimi 15, abbiamo tentato ogni via alternativa di convivenza, ma non ha funzionato.Ora l’emergenza è eliminare la capacità di Hamas di attaccarci da Gaza. In questo sforzo noi facciamo tutto il possibile per distinguere i civili dai terroristi di Hamas, mentre questi ultimi non solo non fanno distinzioni, ma usano i civili di Gaza, compresi donne e bambini, come scudi umani per proteggere se stessi, si nascondono nelle le scuole, anche quelle dell’ONU, negli edifici degli organismi internazionali come l’UNRWA, negli ospedali, nelle moschee, tra la gente. E noi dobbiamo fermare la violenza di Hamas, che ha ucciso, mutilato, decapitato, stuprato e preso in ostaggio civili israeliani inermi. Non abbiamo altro obiettivo che questo.E.: Questo momento di guerra finirà. Cosa succederà dopo, ed in particolare, quale ruolo può avere l’Unione Europea nel futuro, quando si arriverà al momento della ricostruzione di Gaza?B.: Il punto di partenza è che l’Unione Europea ci deve consultare, noi israeliani come anche gli altri attori della regione – i Paesi arabi – e i rappresentanti dei palestinesi, ovviamente. L’obiettivo deve essere la ricostruzione di una Gaza che non sia una minaccia per Israele. Se l’Unione Europea è disponibile a partecipare a questo sforzo, noi saremmo molto lieti di cooperare con essa. Ma l’Unione europea non deve pensare che i suoi 27 membri possano decidere cosa succederà qui, e pretendere di imporlo né a noi né ai palestinesi. Bisogna che si avvii un dialogo nel quale non si imponga nulla a nessuno. Per questo l’Ue deve riconquistare la sua credibilità nella disponibilità a lavorare in coordinamento con noi, e diventerà un partner importante per creare un nuovo regime per una Gaza che viva in pace e che non abbia come obiettivo di essere una minaccia per Israele.E.: L’Unione ha ribadito la sua posizione dei “due popoli e due Stati”. Lei cosa ne pensa di questo obiettivo?B.: Il dibattito sulla questione è aperto in Israele. Alcuni dei nostri politici sono a favore, altri contro. Indubbiamente, noi non vogliamo controllare Gaza, e riteniamo debba esservi istituita un’amministrazione civile con la quale poter dialogare. Certamente non può essere con Hamas che si discute, anche perché loro sono contrari alla soluzione dei “due popoli due Stati”.Noi non possiamo accettare soluzioni imposte dagli Stati Uniti o dall’Unione Europea, ma quella due “due popoli e due Stati” è certamente una di quelle possibili. Dobbiamo parlarne, dobbiamo avere un confronto che possa portare a dei progressi. Una volta eliminato il pericolo costituito da Hamas e istituito un ambiente sicuro, sarà più facile fare progressi.

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    Una Nato “preoccupata” per l’escalation in Medio Oriente accoglie la tregua temporanea a Gaza e avverte l’Iran

    Bruxelles – Per la prima volta dallo scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas, i ministri degli Esteri della Nato hanno fatto il punto della situazione a Gaza e più in generale nel contesto della regione, considerate le “preoccupazioni per l’escalation di tensione in Medio Oriente” dei 31 Paesi membri. Così ha riassunto lo stato delle discussioni del vertice ministeriale a Bruxelles il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, parlando alla stampa al termine della prima giornata di lavori (28 novembre): “È essenziale che quello in corso non si trasformi in un conflitto regionale più grande”.Il vertice dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, 28 novembre 2023 (credits: Nato)“Gli alleati accolgono con favore l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi“, sono state le parole di speranza di Stoltenberg, dopo il via libera delle due parti in guerra al proseguo della tregua temporanea nella Striscia di Gaza in atto da quasi una settimana consecutiva: “C’è sollievo per la popolazione civile e anche per il fatto che gli aiuti umanitari possano essere consegnati, auspichiamo ulteriori proroghe“. Le notizie positive finiscono qui, anche perché il segretario generale della Nato ha un’idea precisa sull’origine di potenziali ulteriori minacce nel prossimo futuro: “L’Iran non deve complicare la crisi in Medio Oriente e deve tenere a freno i suoi delegati“, ovvero Hamas (in Palestina) e Hezbollah (in Libano).In ogni caso, come fatto notare dallo stesso Stoltenberg di fronte alle domande pressanti dei giornalisti internazionali, “è importante riconoscere che la Nato come alleanza non svolge un ruolo attivo nel conflitto israelo-palestinese“. È vero che alcuni dei 31 alleati sono attivi “in modi diversi” e soprattutto su fronti diversi – come Stati Uniti e Turchia – ma strettamente parlando di Alleanza Atlantica non si può affermare che ci sia un coinvolgimento diretto. Le preoccupazioni sorgono soprattutto per il fatto che esiste una presenza di ormai lunga data della Nato “nella più ampia regione del Medio Oriente“: attualmente è in corso una missione di addestramento in Iraq per aiutare l’esercito nazionale a combattere l’Isis, una “stretta collaborazione” con diversi Stati arabi del Golfo, del Nord Africa e del Medio Oriente, “inclusa un partenariato con la Giordania, dove svolgiamo alcune attività di rafforzamento delle capacità di difesa”, ha precisato Stoltenberg. Ecco perché una polveriera in Palestina non può lasciare l’Alleanza Atlantica indifferente.Il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg (credits: Nato)Eppure le discussioni tra i 31 ministri hanno anche riguardato il modo in cui Israele sta conducendo la guerra contro Hamas. “Il diritto internazionale e il diritto umanitario devono essere rispettati in tutte le guerre e la vita dei civili deve essere sempre tutelata ovunque nel mondo, a prescindere dal tipo di conflitto e dei rapporti con gli alleati”, ha messo in chiaro il segretario generale dell’Alleanza Atlantica. Interrogato a proposito del rapporto tra la situazione a Gaza e quella in Ucraina – altro tema caldo sul tavolo dei ministri – lo stesso Stoltenberg ha voluto sottolineare che “è diversa in molti modi, l’Ucraina non ha mai né provocato né attaccato la Russia, l’invasione russa non è stata provocata” da Kiev ed è stata “su larga scala contro un altro Paese” sovrano e indipendente. Ecco perché, passando ad analizzare anche il ruolo di supporto armato e operativo della Nato a Kiev, “gli ucraini hanno diritto di difendersi contro un attacco non provocato e per mantenere la propria integrità territoriale”, ha precisato Stoltenberg. “Sostenere l’Ucraina è qualcosa su cui tutti gli alleati concordano, non solo perché il diritto all’autodifesa è garantito dalla Carta delle Nazioni Unite”, ma anche per il fatto che “il diritto umanitario internazionale si applica in tutti gli scenari e noi abbiamo il dovere di proteggerlo”.
    Al vertice del ministri degli Esteri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sono state accolte con favore “l’estensione delle pause umanitarie e il rilascio degli ostaggi”. Il segretario generale, Jens Stoltenberg a Teheran: “Tenga a freno i suoi delegati” Hamas ed Hezbollah

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    “Un orrore non giustifica un altro orrore”. La visita in Israele e Palestina di Borrell per portare solidarietà e spingere la pace

    Bruxelles – Un viaggio in Israele e Palestina nel pieno della guerra tra Gerusalemme e Hamas nella Striscia di Gaza, per mettere in chiaro “le stesse cose” in entrambi i posti: “Un orrore non giustifica un altro orrore, l’attacco terroristico di Hamas ha cambiato il paradigma di una situazione fragile, ma ogni perdita di vita civile è deplorevole”. Si è presentato così l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nella sua doppia visita tra ieri e oggi (16-17 novembre) a Gerusalemme e Ramallah per spingere il messaggio dell’Ue di ricerca della pace quanto prima e di ricostruire la regione su basi nuove.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Stiamo assistendo a una tragedia, mi riferisco a ciò che sta succedendo a Gaza e in Israele”, ha messo in chiaro Borrell, aprendo oggi la conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh. Con oltre 11 mila vittime nella Striscia di Gaza per i bombardamenti israeliani e gli ospedali “al collasso”, secondo il capo della diplomazia Ue “Hamas ha attaccato anche la causa palestinese” il 7 ottobre. Se l’organizzazione definita terroristica dall’Unione “deve liberare immediatamente gli ostaggi” israeliani, allo stesso tempo “abbiamo anche sottolineato che il modo in cui Israele si difende è importante, perché deve rispettare le leggi umanitarie e il principio di proporzionalità“. Come spiegato ieri senza troppi giri di parole a Gerusalemme nel punto stampa con il presidente israeliano, Isaac Herzog, “gli amici di Israele sono quelli che vi chiedono di non commettere una tragedia”.Portando nella regione il messaggio condiviso dai Ventisette al Consiglio Affari Esteri di lunedì (13 novembre) di mettere in campo “pause umanitarie immediate, perché l’assistenza raggiunga i civili” della Striscia di Gaza, l’alto rappresentante Borrell a Gerusalemme si è detto “sconvolto dalla sofferenza umana del popolo israeliano, ma anche preoccupato per la sofferenza della popolazione di Gaza”. Nel “non farsi accecare dall’odio” per quanto accaduto il 7 ottobre nei kibbutz, la richiesta è quella di “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili”. Ma senza nascondere il mea culpa che coinvolge tutta la comunità internazionale: “È stato un fallimento politico e morale, e includo anche l’Unione Europea, perché non abbiamo preso abbastanza in considerazione la pace tra Palestina e Israele”. Ma come ricordato a Ramallah, “ora questi tragici eventi hanno portato la questione palestinese fuori dal limbo” ed è necessario uno sforzo da tutte le parti per raggiungere la pace e la stabilità futura.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente di Israele, Isaac Herzog, a Gerusalemme il 16 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Solo una soluzione politica può mettere fine a questo interminabile ciclo di violenza” che, nonostante stia passando sotto silenzio di fronte alla tragedia di Gaza, riguarda anche la Cisgiordania sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). L’alto rappresentante Borrell non ha taciuto “l’aumento del terrorismo dei coloni” israeliani post-attacco di Hamas: “Da inizio anno 421 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, ma dal 7 ottobre sono stati 202, cioè in un mese lo stesso numero dei dieci mesi precedenti”. Di fronte a una situazione di “occupazione illegale” del territorio palestinese, il capo della diplomazia Ue ha chiesto “a livello più alto possibile a Israele di affrontare la questione, per evitare il rischio di scoppio delle ostilità anche in Cisgiordania”.Il piano Ue per la Palestina post-guerraLo scopo della visita in Israele e Palestina – che continuerà nei prossimi giorni in Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania – è stata però anche l’occasione per iniziare a far sentire la presenza diplomatica europea, dopo un mese di polemiche e divisioni sul messaggio veicolato dai leader delle rispettive istituzioni (e anche all’interno delle stesse istituzioni). “La questione palestinese non può rimanere irrisolta“, ha messo in chiaro oggi Borrell di fronte al premier Shtayyeh, parlando della soluzione a due Stati “che è rimasta dimenticata per troppo tempo, è arrivato il momento per definire i passi concreti per implementarla”.La proposta di piano dell’Unione Europea – ancora in fase di definizione – portata nella regione è quella concordata a inizio settimana dai 27 ministri Ue degli Esteri. Si tratta di quello “schema mentale” presentato dall’alto rappresentante Borrell che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”. Per quanto riguarda i tre ‘no’, si parte dal fatto che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese“. E le stesse condizioni sono state ribadite anche a Gerusalemme.I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione per una pace strutturale e stabile. “A Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ma questa volta a Ramallah – a differenza di lunedì – Borrell ha fatto esplicitamente riferimento all’Autorità Nazionale Palestinese: “Avete la capacità di continuare questo lavoro, vi supporteremo”. La soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario e politico. E infine servirà “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“. Dopo la definizione delle sei condizioni del piano per il post-guerra, l’alto rappresentante Borrell ha incassato un primo successo, il “pieno sostegno” del governo palestinese. Tutto tace invece sul fronte israeliano.
    L’alto rappresentante Ue ha esortato Gerusalemme a “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili” a Gaza e a garantire “pause umanitarie immediate”. Presentato a Ramallah il piano dell’Unione per il post-guerra con “pieno supporto” dall’Autorità Nazionale Palestinese

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    I Ventisette chiedono “pause umanitarie immediate” a Gaza. E iniziano le discussioni sulla Palestina post-guerra

    Bruxelles – Uno sforzo diplomatico a livello immediato, un impegno che inizia già ora per trovare una soluzione a medio/lungo termine alla situazione “catastrofica” nella Striscia di Gaza. Sotto la guida dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, i 27 ministri degli Esteri hanno definito oggi (13 novembre) la posizione condivisa dell’Ue sulla necessità di “pause umanitarie immediate” per permettere la consegna degli aiuti internazionali alla popolazione sotto i bombardamenti israeliani, ma soprattutto per definire un piano – al momento solo abbozzato – che guardi al “giorno dopo” la fine della guerra tra Israele e Hamas.Jabalia, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Sul primo aspetto dell’analisi del conflitto, le discussioni si sono impostate sulla dichiarazione “unanime” pubblicata ieri (12 novembre) al termine di “un’intensa giornata di lavori, dopo la richiesta arrivata da diversi Stati membri”, ha spiegato l’alto rappresentante Borrell. Già al Consiglio Europeo del 26 ottobre era arrivata la richiesta di “pause umanitarie” ma, di fronte a una sempre più urgente necessità di portare soccorso, acqua, cibo, medicine e carburante alla popolazione della Striscia di Gaza, “la parola più importante è ‘immediate’“, ha rimarcato Borrell. È soprattutto la questione dei bombardamenti sugli ospedali a creare le preoccupazioni maggiori a Bruxelles: “L’Ue sottolinea che il diritto umanitario internazionale stabilisce che gli ospedali, le forniture mediche e i civili al loro interno devono essere protetti“, è il riferimento della dichiarazione sia ai limiti del diritto di autodifesa di Israele sia all’uso di ospedali e civili “come scudi umani” da parte di Hamas.“La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è catastrofica e sta solamente peggiorando con il passare delle ore“, è stata la sintesi del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, con cui i 27 ministri degli Esteri hanno fatto il punto tecnico delle conseguenze dei bombardamenti agli ospedali e più in generale della situazione del conflitto: “È urgente definire e rispettare le pause umanitarie, devono essere significative, con tempistiche certe, senza bombardamenti e annunciate con anticipo, perché le organizzazioni umanitarie possano prepararsi a sfruttarle”. I numeri della crisi umanitaria sono stati forniti dall’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa: “Le vittime sono oltre 11 mila, ci sono 1,5 milioni di sfollati, metà degli ospedali è al collasso per la mancanza di carburante, dal valico di frontiera con l’Egitto entrano in media 40 camion al giorno, meno del 10 per cento del necessario”. Se il valico di Rafah “non è sufficiente, bisogna aumentare le capacità di transito”, le soluzioni sono due: “O più punti terrestri o l’iniziativa cipriota per un corridoio marittimo“, ha spiegato Borrell, anche se la seconda opzione è più complessa considerato il problema infrastrutturale dell’assenza di porti sulla costa di Gaza.Il piano per il dopoguerra in Palestina e a GazaL’impegno diplomatico di Bruxelles per “evitare l’escalation nella regione e ai Paesi vicini” si connette con la soluzione sul medio/lungo termine post-conflitto per costruire la pace tra Israele e Palestina. Il capo della diplomazia Ue ha messo in chiaro che “questa drammatica crisi con costi immensi di vite umane deve essere l’occasione per far capire al mondo che la soluzione può essere basata solo su due Stati”. In altre parole, “non è solo questione di ricostruire Gaza, ma soprattutto di costruire lo Stato per i palestinesi“. Il piano presentato oggi per la prima volta da Borrell al Consiglio Affari Esteri richiede “parametri per iniziare a cercare una soluzione che propizi la pace” e al momento è una sorta di “schema mentale” che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”, da impostare con gli Stati Uniti e i Paesi arabi.Jabalia, Palestina (credits: Mahmud Hams / Afp)Per quanto riguarda i tre ‘no’, l’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese, va considerata nel suo complesso”. E questi sono i paletti iniziali anche per Gerusalemme. I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione più generale di una soluzione per una pace strutturale e stabile. In primis, “a Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ha spiegato Borrell, precisando che intende “non l’Autorità Nazionale Palestinese, ma una sorta di autorità palestinese”, e che in ogni caso “non si può ricostruire la Palestina né sull’occupazione israeliana né a partire da Hamas”. Come secondo punto, la soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario “ma soprattutto politico”. E infine dovrà mettersi in campo “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“, ha assicurato Borell in partenza per la missione in Israele, Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania: “Se non troviamo una soluzione politica, continuerà la spirale di violenza che si ripeterà di funerale in funerale”.
    Al Consiglio Affari Esteri intenso confronto sulle modalità per far arrivare gli aiuti alla popolazione sotto bombardamenti israeliani. L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha presentato un piano per cercare una soluzione a due Stati con Stati Uniti e Paesi arabi basata su “tre sì e tre no”

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    A Gaza 10 mila morti in un mese. L’Ue mobilita altri 25 milioni per gli aiuti umanitari: Israele “si sforzi di evitare vittime civili”

    Bruxelles – Trenta giorni dopo il risveglio più terribile della storia dello Stato d’Israele, quel 7 ottobre in cui Hamas ha ucciso 1.400 cittadini israeliani e ne ha presi oltre 200 in ostaggio, la risposta senza precedenti della forze di difesa di Tel Aviv è andata al di là delle più drammatiche previsioni: 10.022 morti in un mese nei bombardamenti sulla Striscia di Gaza, tra cui 4.104 minori e 2.641 donne.I bollettini diffusi dal Ministero della Sanità di Gaza (controllato da Hamas), sono rilanciati anche dall’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari (Ocha-Opt) e non fanno alcuna distinzione tra popolazione civile e combattenti. Ma sono sicuramente civili la maggior parte delle vittime dei raid su aree densamente popolate della Striscia, così come lo sono i 25.408 feriti e gli oltre un milione e mezzo di sfollati dal nord dell’enclave palestinese. Così come, d’altronde, le almeno 140 vittime nei territori occupati della Cisgiordania. E gli 88 lavoratori dell’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), il numero più alto di vittime delle Nazioni Unite mai registrato in un singolo conflitto. Il Times of Israel ha dato la notizia della morte di una poliziotta israeliana a Gerusalemme, accoltellata questa mattina da un sedicenne palestinese, poi ucciso da un secondo agente. Sono 59 gli agenti di polizia rimasti uccisi dal 7 ottobre.Numeri che raccontano la realtà di quella che in molti hanno definito una “risposta sproporzionata” da parte di Israele. In primo luogo le Nazioni Unite e diverse sue agenzie, e poi naturalmente gli Stati arabi e la maggior parte della comunità internazionale. Ma non l’Unione europea, che nella sua posizione unitaria affermata con non poca difficoltà dal Consiglio europeo, ha garantito il sostegno a Israele e al suo diritto di difendersi in linea con la legge internazionale umanitaria, e ha chiesto che vengano concesse delle “pause umanitarie” per permettere la distribuzione degli aiuti alla popolazione di Gaza stremata da un mese di bombardamenti e di assedio totale. Ma sull’evidente inottemperanza del diritto umanitario non si è ancora espressa, e nemmeno sull’altrettanto evidente, nei fatti, rifiuto di Tel Aviv – così come di Hamas – di interrompere le ostilità quanto meno per l’accesso di aiuti umanitari.I leader Ue alla Conferenza degli Ambasciatori. Von der Leyen indica quattro principi per una “pace duratura” a GazaUrsula Von der Leyen alla Conferenza degli Ambasciatori 2023, 06/11/23Oggi (6 novembre) la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alla Conferenza annuale degli ambasciatori Ue ha parlato di “terribile dilemma” nel dover contemporaneamente supportare Israele e aiutare i civili a Gaza. Perché il paradosso è che, mentre non condanna quella che il segretario generale dell’Onu ha chiamato “punizione collettiva contro i palestinesi”, l’Ue si adopera per consegnare aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. I fondi comunitari per l’emergenza umanitaria nella Striscia sono stati quadruplicati: prima dell’inizio del conflitto ne erano previsti 25 milioni per il 2023, ora sono stati portati a 100 milioni di euro. Dal 16 ottobre, 6 voli che trasportavano oltre 263 tonnellate di aiuti hanno raggiunto l’Egitto. Acqua e servizi igienico-sanitari, cibo e altri beni essenziali, che a poco a poco e con grande difficoltà stanno entrando dal varco di Rafah nel sud di Gaza. Giovedì 9 novembre, a Parigi, Emmanuel Macron ha organizzato una conferenza internazionale per discutere degli aiuti umanitari nella Striscia.Priva di peso specifico nell’evitare la tragedia che si sta consumando a Gaza, l’Ue prova a ridare slancio a un processo politico che possa prima o poi mettere fine ad un conflitto vecchio come lo Stato di Israele. Per “immaginare come potrebbe essere una pace duratura” e “ridare speranza a palestinesi e israeliani”, l’unica prospettiva è la soluzione dei due Stati. La presidente della Commissione europea ha proposto “alcuni principi fondamentali che potrebbero aiutare a trovare un terreno comune”: innanzitutto Gaza “non può essere un rifugio sicuro per i terroristi”, e per garantirlo von der Leyen ha suggerito l’istituzione di una missione di pace internazionale sotto mandato delle Nazioni Unite. Dopo di ché, va legittimata ancora di più l’Autorità Nazionale Palestinese come unica entità, che controlli sia la Cisgiordania che Gaza. I punti successivi sono tutti indirizzati all’alleato israeliano: “non può esserci una presenza di sicurezza israeliana a lungo termine a Gaza” e non può esserci “nessuno spostamento forzato dei palestinesi da Gaza“. Infine, Israele dovrà porre fine al “blocco prolungato di Gaza”, perché “qualsiasi futuro Stato palestinese deve essere vitale, anche dal punto di vista economico”.Josep Borrell FontellesInsieme a von der Leyen, sono intervenuti sul tema anche gli altri tre tenori delle istituzioni europee: il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, e l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell. Nelle loro dichiarazioni alternate va ricostruito il puzzle della posizione europea sulla crisi in Medio Oriente, anche se Michel ha ribadito che “è responsabilità del Consiglio europeo e degli Stati membri decidere la politica estera in linea con i trattati e con i valori fondamentali dell’Unione”. Metsola ha avvertito che “dobbiamo mettere fine al terrore (di Hamas, ndr), ma come Israele lo farà importa all’Ue e a tutto il mondo”, mentre Borrell ha voluto sottolineare un’altra volta che Israele “non dovrebbe farsi accecare dalla rabbia”. È il capo della diplomazia europea la voce più fuori dal coro tra i leader Ue, quella maggiormente critica nei confronti di Tel Aviv e che si avvicina di più alle posizioni espresse dal segretario Onu Antonio Guterres. Borrell non ha paura a dire che, a dispetto di quanto fu stabilito negli accordi di Oslo del 1993, “in Israele la colonizzazione della Westa Bank è continuata con impunità e sempre maggiore violenza contro i palestinesi“. Gli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania, che erano 270 mila 30 anni fa, ora sono più di 700 mila.È sempre Borrell ad ammettere che “la tragedia in corso è il risultato di un fallimento politico e morale collettivo”, di una “mancanza di volontà nel risolvere la questione” israelo-palestinese. L’Unione europea, “paladina della situazione a due Stati”- come dichiarato da von der Leyen – non ha mai proposto percorsi realistici e efficaci per arrivarci. Ma il problema, sostiene Borrell, “non è né etnico, né religioso, è nazionale”. È il problema di “due popolazioni che hanno lo stesso diritto di vivere nella stessa terra“. E che quindi, per forza di cose, dovranno condividerla.
    31 giorni di bombardamenti a tappeto in risposta all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre: nessun cessate il fuoco, inascoltato anche l’appello dell’Ue a “pause umanitarie” per distribuire gli aiuti internazionali nella Striscia di Gaza. Von der Leyen: “Missione di pace Onu dopo il conflitto”

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    Macron insiste per una coalizione internazionale contro Hamas: “Azioni militari mirate che non colpiscano i civili”

    Bruxelles – Il giorno dopo il compromesso a 27 al ribasso sulla necessità di “corridoi e pause per bisogni umanitari” a Gaza, il presidente della Repubblica francese esce dal coro e chiarisce la posizione di Parigi sul conflitto tra Israele e Hamas. Ed è una linea di supporto critico a Tel Aviv: “Per combattere i gruppi terroristici servono operazioni mirate, non un azione massiccia che mette in pericolo i civili“.L’appello a una “tregua umanitaria” fatto da Emmanuel Macron nella conferenza stampa a margine del Consiglio europeo va letto anche in questo senso. Non solo permettere l’ingresso e la distribuzione rapida e in sicurezza di aiuti umanitari, ma “organizzare veramente la protezione della popolazione civile, finalizzare la liberazione degli ostaggi e mirare meglio le operazioni contro i terroristi”. Se non fosse abbastanza esplicito, Macron spiega che – pur “riconoscendo totalmente il diritto di Israele e la sua volontà legittima di lottare contro il terrorismo”- per l’Eliseo “il blocco completo di Gaza, il bombardamento indifferenziato e ancora di più la prospettiva di un’operazione massiccia di terra non possano per natura proteggere la popolazione civile come si dovrebbe”, e così i funzionari dell’Onu, i medici, i volontari dell’assistenza ai civili.Palazzi sventrati dai bombardamenti israeliani a Gaza (Photo by Yahya HASSOUNA / AFP)Distinguere chiaramente tra “terroristi, autorità politica e popolazione” per Macron è indispensabile anche per la sicurezza stessa di Israele. Perché “se milioni di persone realizzano che i loro fratelli e sorelle sono stati uccisi nel nome della guerra contro Hamas, finiranno per aderire a quella causa”. Parigi chiede a Tel Aviv di “prendersi il tempo per preparare operazioni mirate”, e di farlo attraverso uno “scambio di informazioni tra i migliori eserciti”.E le forze militari francesi sono pronte a dare il proprio contributo, legittimate dal fatto di “aver perso 30 concittadini nell’attacco di Hamas” del 7 ottobre. Macron ha rilanciato ai 27 la sua proposta di replicare contro Hamas lo schieramento internazionale che ha combattuto Daesh in Siria: “Abbiamo sempre preso le nostre responsabilità contro i movimenti terroristici nella regione perché sono minacce per noi stessi – ha dichiarato in conferenza stampa -, nelle prossime settimane proporremo ai nostri partner di riunirci per strutturare questa iniziativa. E condivideremo l’approccio con tutti i partner della regione che lo desiderano”.Un invito che dovrà chiaramente essere accolto anche dalle autorità israeliane, a cui Macron ha chiesto inoltre di adoperarsi per “far cessare le violenze di alcuni coloni sui civili in Cisgiordania“. Il focus rimane chiaramente sul disastro umanitario di Gaza, e su una tregua necessaria per “coordinare bene le cose e evitare che ci siano vittime totalmente ingiustificate di una lotta legittima contro il terrorismo”, una lotta “che durerà”. Nell’approccio del presidente francese, oltre alla lotta alla lotta al terrorismo  “con azioni mirate” e l’aiuto umanitario che “protegga la popolazione di Gaza”, non si può prescindere da un terzo punto: la prospettiva politica, con “un rilancio deciso della soluzione dei due Stati“.
    Il presidente francese ha criticato “il blocco completo di Gaza e il bombardamento indifferenziato” attuato dalle forze di difesa israeliane, che rischia di ripercuotersi sulla sicurezza stessa di Israele: “Milioni di persone finiranno per aderire alla causa di Hamas”

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    Il politologo Morillas (Cidob): “L’Ue deve tenere conto della natura e della portata della risposta di Israele”

    Bruxelles – “L’Ue non può sostenere l’uso inappropriato della forza, deve tenere conto della natura e della portata della risposta di Israele”. La posizione di Pol Morillas, direttore del Barcelona Centre for International Affairs (Cidob), è chiara: sul conflitto che si è riacceso il 7 ottobre nella striscia di Gaza tra Hamas e Israele, l’Unione europea, nella sua ambiguità, ha sbagliato la risposta.Secondo Morillas, la risposta alla guerra in Medio Oriente non ha rispecchiato la posizione tradizionale dell’Ue. Il politologo si riferisce alla dichiarazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, affidata a un tweet pubblicato il giorno dopo l’attacco di Hamas, secondo la quale “Israele ha il diritto di difendersi – oggi e nei giorni a venire”. “La sua posizione non è in linea con il linguaggio concordato nelle storiche conclusioni del Consiglio europeo sul processo di pace in Medio Oriente“, afferma Morillas in uno commento pubblicato da Carnegie Europe. Il conflitto riapre un vecchio fronte di guerra, in un momento in cui l’Europa e il mondo sono già provati da due anni di guerra condotta dalla Russia in Ucraina, confine dell’Ue. “Le prospettive di una concentrazione globale per la pace e la sicurezza, sia attraverso la collaborazione tra grandi potenze sia attraverso istituzioni multilaterali, sono nulle. Questa non può essere una buona notizia per nessuno”, aggiunge Morillas.Nessuno può trarre vantaggio da una guerra che – si legge nel commento del direttore del Cidob – potrebbe potenzialmente portare a ulteriore instabilità locale, regionale e globale. Di certo non l’Unione europea, la quale “ha molto da perdere dal riaccendersi di un vecchio conflitto” in cui ha poco da dire e da fare in confronto ad altri attori, come gli Stati Uniti. Per questo, ricorda Morillas, l’ex capo della politica estera dell’Ue Javier Solana pensava che la cosa migliore che l’Unione potesse fare fosse costruire dei depositi per la pace: “In altre parole, avere azioni che l’Ue potrebbe proporre per sostenere la pace e il dialogo, pur mantenendo una posizione chiara basata sulla soluzione dei due Stati”, aggiunge il politologo.Dichiarazioni come quelle di von der Leyen portano Morillas a vedere delle ambiguità nella posizione dell’Ue, che dovrebbe stare attenta a non inviare segnali contraddittori sulla necessità di lavorare per la pace da un lato e sull’escalation dall’altro: “È necessario condannare con la massima fermezza gli attacchi terroristici“. Non solo: quello a cui bisogna stare ancora più attenti, secondo Morillas, è la posizione sugli aiuti umanitari: “L’Unione non dovrebbe inviare segnali contraddittori sulla cancellazione degli aiuti alla Palestina, perché è proprio su questo fronte che spesso si basa la sua credibilità come attore di politica estera”.
    Secondo lo studioso, le posizioni prese da von der Leyen allo scoppio della guerra “non sono in linea con le storiche conclusioni del Consiglio europeo sul processo di pace”

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    L’unità dell’Ue alla prova della crisi in Medio Oriente. Meloni: “Per sconfiggere Hamas va risolta la questione palestinese”

    Bruxelles – Doveva essere il tema cruciale del vertice dei capi di stato e di governo dell’Ue, il più urgente e potenzialmente il più divisivo. E dalle dichiarazioni dei leader all’ingresso al Consiglio europeo, nel primo pomeriggio di oggi (26 ottobre), la crisi in Medio Oriente è a tutti gli effetti in cima all’agenda. L’imperativo è trovare un linguaggio comune per condannare le violenze contro i civili da entrambe le parti – obiettivo più facile -, ma soprattutto per chiedere l’ingresso e la distribuzione in sicurezza di aiuti umanitari a Gaza.Nel corso di questa settimana le diplomazie Ue hanno limato più volte il paragrafo delle conclusioni del vertice relativo alla richiesta di una pausa umanitaria nell’enclave palestinese. Nell’ultima versione della bozza, quella finita oggi sul tavolo dei leader, si è scelta la formula del “continuo, rapido e sicuro accesso umanitario attraverso tutte le misure necessarie, inclusi corridoi e pause umanitarie“. Ed è stato aggiunto una significativa “condanna nei termini più forti di tutte le violenze e le ostilità contro tutti i civili”. Come spiegato da fonti diplomatiche, tutto sta nel “trovare un linguaggio che non abbia impatti al diritto di Israele a difendersi”. Se sul principio di garantire gli aiuti umanitari alla popolazione civile c’è un consenso generale, i leader hanno mostrato ancora una volta sensibilità differenti sulla questione. A conferma di ciò, la discussione sul primo tema in agenda, è ancora in corso dopo tre ore dall’inizio del vertice.Il primo ministro spagnolo Pedro SanchezDa un lato il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez – che detiene anche la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue -, ha dichiarato chiaramente di volere “un cessate il fuoco”, ma “se non ci sono le condizioni almeno una pausa umanitaria per consegnare gli aiuti”. Il suo omologo belga, Alexander De Croo, ha definito “inaccettabile” l’assedio israeliano a Gaza, perché il diritto di Israele a difendersi “non può mai essere una scusa per privare le persone del necessario per sopravvivere“. D’altra parte il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, seppur assicurando che i 27 “lavoreranno per dare sostegno umanitario ai cittadini di Gaza”, si è concentrato sull’importanza di “chiarire ancora una volta il sostegno a Israele contro il brutale attacco di Hamas”, che ha violato “tutti i principi dell’umanità”. Emblematica la posizione del primo ministro ungherese, Viktor Orban, sulla discussione intorno al cessate il fuoco: alla domanda di un giornalista, Orban ha risposto “Cessate il fuoco? Si, tra Ucraina e Russia si”.Una volta trovato un compromesso sulla richiesta a Israele di concedere delle interruzioni umanitarie per permettere la distribuzione di aiuti a Gaza, su cui il presidente del Consiglio europeo Charles Michel si è detto “fiducioso di arrivare a una buona decisione“, i 27 sono chiamati a ridare vigore all’impegno verso una futura convivenza pacifica nella regione. La presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha commentato con lucidità che “uno degli strumenti più efficaci per sconfiggere Hamas sia dare una concretezza e una tempistica alla soluzione della questione palestinese“, dando “maggiore peso all’Autorità nazionale palestinese”. Il vice-premier Antonio Tajani, dal pre-summit del Partito Popolare Europeo a Bruxelles, rilancia ancora più in là la linea del governo: “Bisogna avviare un percorso che porti alla creazione di uno Stato palestinese, che dia una prospettiva alla popolazione palestinese e che tagli l’erba sotto i piedi ad Hamas, che deve essere delegittimata sia da un punto di vista militare, attraverso una sconfitta, sia da un punto di vista politico”, ha dichiarato il ministro degli Esteri.La volontà di ridare vigore al dialogo con l’Autorità Nazionale Palestinese è espressa anche nella bozza delle conclusioni del vertice, oltre all’impegno a “contribuire al processo politico sulla base della soluzione a due Stati”. Un impegno chiarito già nella dichiarazione congiunta dei 27 Paesi Ue del 15 ottobre scorso. Quell’orizzonte, messo nero su bianco trent’anni fa negli accordi di Oslo, non è però mai stato seriamente puntato. Ma, come evidenziato da Meloni, è un “medio termine che non deve più essere considerato come un ‘ne parliamo dopo’”.
    Nell’ultima bozza delle conclusioni l’appello per un “continuo, rapido e sicuro accesso umanitario attraverso tutte le misure necessarie, inclusi corridoi e pause umanitarie”. Per il vicepremier Tajani “Bisogna avviare un percorso che porti alla creazione di uno Stato palestinese”