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    L’Ue sostiene il piano arabo per Gaza. Costa: “No a modifiche demografiche e territoriali”

    Bruxelles – Da un lato il piano di Donald Trump per Gaza, indigeribile per tutti tranne che per Israele, dall’altro la proposta messa sul piatto dall’Egitto, che ha ricevuto l’endorsement dei vertici delle Nazioni Unite e dell’Unione europea. Dal summit della Lega araba a Il Cairo arriva un segnale forte in direzione di Washington e Tel Aviv: come ha detto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, non c’è spazio per alcun “tentativo di cambiamento demografico o territoriale” a Gaza.Un mese dopo l’idea shock di “trasformare Gaza nella riviera del Medio Oriente”, i Paesi arabi della regione rispondono alla provocazione di Trump. Il presidente egiziano al-Sisi ha presentato un piano per il futuro della Striscia, che prevede l’istituzione di un comitato amministrativo “composto da esperti palestinesi indipendenti e tecnocrati“, responsabile della supervisione degli aiuti e dell’amministrazione a Gaza “in vista del ritorno dell’Autorità Palestinese”.Nella bozza del piano, secondo quanto riporta Reuters, è prevista un’amministrazione provvisoria di sei mesi, descritta come un passo verso la ripresa completa del controllo di Gaza da parte dell’Autorità Palestinese. Egitto e Giordania sarebbero incaricate di formare le forze di sicurezza palestinese. Nel piano sarebbe però menzionata anche la possibilità del dispiegamento di un contingente internazionale di pace a Gaza e in Cisgiordania, da ottenere attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (e quindi con il via libera degli Stati Uniti).I leader al vertice della Lega Araba a Il CairoNiente più Hamas, ma nessuno sfollamento forzato della popolazione gazawi. Al vertice, il presidente palestinese Abu Mazen si è detto pronto a indire nuove elezioni entro l’anno prossimo. Ma per ricostruire un territorio ridotto in macerie, secondo l’Onu serviranno circa 53 miliardi. Nel piano egiziano, la ricostruzione durerebbe cinque anni. Dopo una prima fase incentrata sulla rimozione delle macerie, la bonifica dagli ordigni inesplosi e la fornitura di alloggi temporanei, prevederebbe la creazione di un fondo supervisionato a livello internazionale per finanziare con un budget di 20 miliardi di dollari fino al 2027 per la ricostruzione delle infrastrutture essenziali, tra cui strade, reti di distribuzione e impianti di servizi pubblici. Nell’ultima fase – fino al 2030 e con un costo stimato di 30 miliardi di dollari – a Gaza sorgerebbero progetti infrastrutturali e la creazione di zone industriali, un porto per la pesca, un porto commerciale e un aeroporto.Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha sposato il piano presentato dal presidente al-Sisi e ha assicurato che le Nazioni Unite sono “pronte a collaborare pienamente a questo sforzo”. Così come il presidente del Consiglio europeo, António Costa, che ha ringraziato l’Egitto e i Paesi arabi e messo sul piatto “un sostegno concreto” da parte dei 27 Paesi membri. “Dovremmo attuare questo piano insieme, l’Unione Europea, i suoi partner nel mondo arabo e la comunità internazionale“, ha dichiarato.Il leader Ue ha lanciato un messaggio alla nuova amministrazione americana, oltre che al premier israeliano Netanyahu: “Vorrei essere chiaro. L’Unione Europea respinge fermamente qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale. A Gaza e in altre parti del mondo. Ovunque”. In un momento di stallo del negoziato per la continuazione del cessate il fuoco nell’enclave palestinese, Costa ha ribadito l’importanza del successo dei colloqui per l’inizio della seconda fase, che Israele e gli Stati Uniti hanno proposto di rinviare. Il leader Ue ha anche affermato che l’Unione europea starebbe già “utilizzando tutti gli strumenti possibili” per sostenere il ruolo cruciale dell’Autorità Palestinese nel futuro di Gaza, “compresi gli sforzi diplomatici nei confronti di Israele e Palestina”.

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    A Gaza salta la tregua e Israele ricomincia a affamare la popolazione. L’Ue condanna Hamas

    Bruxelles – La fragile tregua siglata a metà gennaio tra Israele e Hamas è durata 42 giorni. Scaduta la prima delle tre fasi previste, l’accordo è saltato nella notte tra sabato e domenica e ieri (2 marzo) il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato nuovamente il blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Mentre le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie sul campo lanciano “l’allarme” per le conseguenze della decisione di Tel Aviv su quasi due milioni di civili, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, attribuisce interamente le responsabilità al gruppo armato palestinese.L’Ue “condanna il rifiuto di Hamas di accettare la proroga della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe potenzialmente avere conseguenze umanitarie”, dichiara il portavoce di Kallas, Anouar el Anouni. In questa prima fase di sei settimane, insieme al rilascio di una parte degli ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, Tel Aviv ha garantito l’ingresso nell’enclave di un maggiore flusso di aiuti umanitari, necessari per assistere una popolazione a cui per diversi tratti del conflitto sono stati negati anche i bisogni primari.L’accordo dello scorso 15 gennaio prevedeva poi il passaggio ad una seconda fase in cui Hamas avrebbe dovuto concludere la liberazione di tutti gli ostaggi ancora in vita e le truppe israeliane il completo ritiro dalla Striscia di Gaza. Ma i dettagli di questa delicata fase, si era detto a Doha, avrebbero potuto essere soggetti a ulteriori negoziati durante la prima fase. Nelle ultime settimane, di fronte alle provocazioni della nuova amministrazione americana, all’intensificarsi delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e ad alcuni episodi di potenziali attentati nelle città israeliane, le trattative sono naufragate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)In sostanza, Tel Aviv ha appoggiato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti nominato da Trump, Steve Witkoff, per estendere la prima fase del cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, e continuare così a rilasciare gli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza. Una bozza di nuovo accordo che Hamas ha invece declinato. Tel Aviv nega di aver violato i termini dell’accordo di gennaio, che prevedeva appunto ulteriori negoziazioni e addirittura che Israele potesse tornare a combattere dopo il 42esimo giorno “se ha l’impressione che i negoziati siano stati inefficaci”.Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, ong con sede a Ginevra, durante le sei settimane di tregua l’esercito israeliano avrebbe ucciso almeno 115 civili a Gaza. Netanyahu però ha accusato Hamas di aver violato “ripetutamente” i termini del cessate il fuoco, in particolare su tempistiche e modalità del rilascio degli ostaggi del 7 ottobre. Alla riunione del consiglio dei ministri convocata per discutere i nuovi sviluppi, Netanyahu ha dichiarato: “Non ci saranno più pranzi gratis. Se Hamas pensa che sarà possibile continuare il cessate il fuoco o beneficiare dei termini della prima fase, senza che noi riceviamo ostaggi, si sbaglia di grosso”.Una famiglia palestinese prepara la colazione prima del digiuno imposto dal Ramadan al campo profughi di Bureij nella Striscia di Gaza, 1/3/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)In una nota, il gabinetto del premier ha precisato che Israele “cesserà ogni ingresso di merci e rifornimenti nella Striscia di Gaza“. Nella giornata di ieri, il portavoce di Netanyahu, Omer Dostri, ha confermato: “Nessun camion è entrato a Gaza questa mattina, né lo farà in questa fase”. Si tratta di uno dei capi d’accusa con cui la Corte Penale Internazionale ha già emesso un mandato d’arresto contro il premier israeliano e l’ex ministro della Difesa, Noav Gallant: i due sono già ritenuti responsabili di aver affamato la popolazione civile palestinese come metodo di guerra, di aver causato intenzionalmente “grandi sofferenze, gravi lesioni al corpo o alla salute o trattamenti crudeli”, di “dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile“.L’Egitto e il Qatar, che insieme agli Stati Uniti sono i principali mediatori tra il governo di Netanyahu e Hamas, hanno accusato Israele di violare l’accordo raggiunto faticosamente a gennaio. Il ministero degli Esteri del Cairo ha affermato che Israele usa la fame “come arma contro il popolo palestinese”, mentre Doha ha aggiunto:  “Il Qatar condanna fermamente la decisione del governo di occupazione israeliano di interrompere l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la considera una palese violazione dell’accordo di cessate il fuoco (e) del diritto internazionale umanitario“.Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto che “gli aiuti umanitari tornino immediatamente a Gaza”, mentre il sottosegretario dell’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari, Tom Fletcher, ha descritto la mossa come “allarmante”. Di fronte alla palese violazione del diritto umanitario da parte di Netanyahu – tralasciando il rispetto dei termini del cessate il fuoco da entrambe le parti – la nota del capo della diplomazia europea appare quanto meno debole, se non accondiscendente nei confronti di Tel Aviv. Oltre alla condanna ad Hamas per non aver accettato la proroga della prima fase, l’Ue “ribadisce la richiesta di un accesso completo, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari su larga scala per i palestinesi bisognosi”. Ma non c’è alcun accenno alla gravità estrema della decisione presa come rappresaglia su tutta una popolazione civile da parte di un governo democratico alleato.

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    Il cessate il fuoco a Gaza sembra sul punto di saltare

    Bruxelles – Sembra già scricchiolare il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Tra piani surreali di deportazioni di massa e ostaggi che non vengono rilasciati, si moltiplicano i dubbi sulla capacità (o la volontà) di entrambe le parti coinvolte di tenere fede ai termini dell’accordo che ha posto temporaneamente fine a più di un anno di devastazione nell’enclave palestinese controllata da Hamas. Mentre Tel Aviv minaccia di riprendere le ostilità, a Gerusalemme Est la polizia israeliana fa irruzione nelle librerie, innescando le condanne degli eurodeputati.La fragilità della treguaNon è passato neanche un mese dalla stipula dello storico cessate il fuoco in tre fasi, siglato lo scorso 15 gennaio tra Israele e Hamas ed entrato in vigore quattro giorni dopo, che ha permesso la sospensione delle ostilità a Gaza – dove durava da oltre 15 mesi la sanguinosa offensiva scatenata da Tel Aviv in risposta agli attacchi del 7 ottobre 2023 – che già comincia a traballare pericolosamente.Ieri (10 febbraio) il gruppo militante palestinese ha annunciato l’intenzione di ritardare a tempo indeterminato il rilascio degli ostaggi israeliani ancora vivi, citando “violazioni” dell’accordo da parte dello Stato ebraico. Hamas si è dichiarato disponibile a proseguire con il prossimo scambio tra ostaggi e prigionieri, previsto per sabato (15 febbraio), e sostiene che l’annuncio di ieri serviva per mettere pressione su Tel Aviv “affinché adempia ai suoi obblighi”.אם חמאס לא יחזיר את חטופינו עד שבת בצהריים – הפסקת האש תיפסק, וצה”ל יחזור ללחימה עצימה עד להכרעה סופית של החמאס pic.twitter.com/4Cx30kHGvN— Benjamin Netanyahu – בנימין נתניהו (@netanyahu) February 11, 2025Per tutta risposta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sul cui capo pende un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale) ha ammonito oggi che, se gli ostaggi non saranno rilasciati entro sabato a mezzogiorno, “il cessate il fuoco finirà e l’Idf (l’esercito israeliano, ndr) riprenderà i combattimenti pesanti finché Hamas non verrà sconfitto”.Già ieri il titolare della Difesa Israel Katz aveva messo “in massima allerta” le forze armate con l’ordine di prepararsi a “qualunque scenario a Gaza”, mentre il responsabile delle Finanze Bezalel Smotrich ha ripetutamente minacciato di staccare la spina al governo di coalizione se la guerra non riprenderà dopo la restituzione degli ostaggi.Il ruolo di TrumpDel resto, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca le posizioni di Washington sulla crisi in corso nel Levante si sono nettamente irrigidite – basti pensare al surreale piano di trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”, in quella che è suonata come l’invocazione di una vera e propria pulizia etnica – e a Bibi non sembra vero di poter contare su un tale livello di intransigenza da parte dell’onnipotente alleato a stelle e strisce.Giusto ieri, Trump ha esplicitamente rifiutato di riconoscere a quasi 2 milioni di profughi gazawi il diritto di tornare sulla propria terra, suggerendo al contrario di deportarli permanentemente in Egitto e Giordania, mentre gli Stati Uniti prenderebbero il controllo della Striscia per costruirci la Las Vegas del Mediterraneo.Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Imagoeconomica)Sabotaggio dei negoziati?Anche per questo, Hamas ritiene poco credibile l’impegno di Washington nel garantire il rispetto del cessate il fuoco da parte di Tel Aviv, a sua volta sospettata di non avere realmente intenzione di attuare il piano concordato faticosamente in sede negoziale. Gli stessi mediatori qatarioti stanno suonando l’allarme da giorni circa il pericolo che salti il banco a causa della retorica incendiaria di Netanyahu e dell’approccio eccessivamente muscolare adottato dalla delegazione israeliana nel concordare i dettagli della seconda fase (che dovrebbe prevedere la restituzione di tutti gli ostaggi ancora in vita e il ritiro completo dell’Idf da Gaza).Abu Obeida, portavoce del gruppo militante, ha accusato lo Stato ebraico di ostacolare il ritorno dei palestinesi nel nord della Striscia, di bloccare l’arrivo degli aiuti umanitari e di attaccare indiscriminatamente i civili. Non saranno rilasciati altri ostaggi finché Israele “non si adeguerà e non compenserà le scorse settimane”, ha dichiarato.Una lettura, quella del sabotaggio volontario da parte di Bibi, condivisa anche da alcuni tra i parenti degli ostaggi stessi: “La deliberata procrastinazione e le inutili dichiarazioni provocatorie di Netanyahu hanno interrotto l’attuazione dell’accordo“, sostiene Einav Zangauker, madre di un giovane ancora in prigionia. In base agli accordi, durante la prima fase del cessate il fuoco Hamas dovrebbe restituire 33 ostaggi. Di questi, 16 sono già stati liberati e otto sarebbero deceduti.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Charly Triballeau/Afp)Il raid a Gerusalemme EstE non va certo nella direzione di una distensione dei rapporti il raid, compiuto domenica (9 febbraio) dalle forze di polizia israeliane nella libreria palestinese Educational bookshop a Gerusalemme Est, con tanto di distruzione della merce in vendita, sequestro di un numero imprecisato di libri perché potenzialmente “inneggianti al terrorismo” e arresto del titolare Mahmoud Muna e del nipote Ahmed, infine rilasciati oggi pomeriggio.“Un fatto di emblematica gravità“, hanno commentato alcuni eurodeputati Pd (Lucia Annunziata, Annalisa Corrado, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada e Marco Tarquinio). “La distruzione dei libri evoca inevitabilmente episodi simili di un’inaccettabile storia del passato“, prosegue il comunicato dei dem in riferimento ai roghi di libri nel Terzo Reich, per sottolineare ancora che si tratta di “un’azione incredibile”, come ne avvengono solo negli “Stati fascisti”.

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    “Gaza parte essenziale del futuro stato palestinese”. L’Ue, alla fine, risponde a Trump

    Bruxelles – “Gaza è una parte essenziale di un futuro stato palestinese“. Alla fine la Commissione europea si esprime pubblicamente. E’ Anouar El Anouni, portavoce della Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, a chiarire la linea e rispondere alle provocazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, deciso a calpestare decenni di faticosi processi di una pace in Medio Oriente che l’Ue vuole. “L’Ue sostiene pienamente la soluzione dei due stati, che riteniamo sia l’unico modo per raggiungere una pace sostenibile sia per gli israeliani che per i palestinesi”, aggiunge il portavoce di Kaja Kallas.La risposta però è tardiva. La Commissione europea impiega qualcosa come 36 ore per commentare le uscite di Trump. Alle parole riecheggiate in Europa nella mattina di mercoledì, 5 febbraio, la prima replica ufficiale e pubblica è affidata a un portavoce poco dopo le 12 del giorno dopo, giovedì 6 febbraio. Una ‘calma’ che offre la riprova dell’incapacità ad agire sui grandi temi e tradendo una volta di più le aspirazioni geopolitiche morte e sepolte comunque da anni.Anouar El Anouni, portavoce dell’Alta rappresentante Ue [Bruxelles, 6 febbraio 2025]Nel frenetico attivismo delle alte sfere Ue, sempre pronte a commentare qualunque cosa e sempre smaniose di apparire, comparire e presenziare, sui mezzi d’informazione e ancor più sui social, si nota l’assenza di commenti da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, incapaci anche di esprimersi sulla volontà dichiarata di Trump di spostare la popolazione di Gaza.La questione è grossa. In Parlamento europeo non mancano malumori tra le file dei gruppi che hanno stretto alleanza con il Ppe. Si vede in von der Leyen e nella sua Commissione “assenza di leadership”. Così riferiscono fonti parlamentari. Prima della ‘questione Gaza’ si imputava all’esecutivo comunitario la mancata reazione all’imperversare di Elon Musk e le sue ingerenze nelle questioni dell’Unione europea tramite il suo social X. Adesso si aggiunge una reazione tardiva sulla questione arabo-israeliana, con la Commissione che, parole del portavoce El Anouni, “prende nota delle dichiarazioni del presidente Trump”. Non proprio una figura delle migliori per chi vorrebbe un ruolo di peso nel mondo e una politica estera europea.

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    Trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”. Il piano shock che Trump ha esposto a Netanyahu

    Bruxelles – Donald Trump vuole mettere le mani su Gaza e trasformarla nella “Riviera del Medio Oriente”. In una conferenza stampa alla Casa Bianca con il primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu (su cui pende un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale), il presidente degli Stati Uniti ha esposto un piano che ha tutti i contorni di una vera e propria pulizia etnica. Acclamato immediatamente dall’élite politica israeliana, respinto dai principali alleati di Washington e dai suoi più importanti rivali, Russia e Cina. Da Bruxelles invece, per ora, non trapela nulla.Sono ripresi da pochissimo i negoziati tra Israele e Hamas per limare i dettagli della seconda fase della tregua, che dovrebbe portare alla liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e al ritiro completo dell’esercito di Tel Aviv dalla Striscia, ma già il presidente americano rimescola le carte. E l’idea – finora – piace soltanto a Israele. Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti “prenderanno il controllo” della Striscia di Gaza: “Ne saremo proprietari e saremo responsabili dello smantellamento di tutte le pericolose bombe inesplose e di altre armi presenti sul posto”, ha affermato ai cronisti, aggiungendo inoltre che Washington “spianerà” gli edifici distrutti e “creerà uno sviluppo economico che fornirà un numero illimitato di posti di lavoro e di alloggi per la popolazione dell’area”.Di quale popolazione parla Trump non è dato sapere, ma sicuramente non i gazawi: Trump ha affermato che i quasi 2 milioni di palestinesi di Gaza dovrebbero trasferirsi nei Paesi vicini con “cuori umanitari” e “grandi ricchezze”. Ma né la Giordania, né l’Egitto, né tanto meno le monarchie del Golfo hanno mai aperto all’accoglienza della popolazione palestinese di Gaza. Nello scioccante piano della Casa Bianca, da “simbolo di morte e distruzione” la Striscia di Gaza diventerebbe una “Riviera del Medio Oriente”, dove “la gente del mondo” potrebbe andare a vivere.Sfollati palestinesi nella spiaggia di Deir el-Balah, nel centro della Striscia di Gaza (Photo by AFP) Il tycoon newyorkese non ha escluso l’invio di truppe statunitensi per mettere in sicurezza l’enclave palestinese. “Per quanto riguarda Gaza, faremo ciò che è necessario. Se sarà necessario, lo faremo”, ha risposto ad un cronista. Trump ha inoltre annunciato che il prossimo mese prenderà una posizione sulla sovranità israeliana sulla Cisgiordania, aggiungendo che intende visitare la Striscia di Gaza, Israele e l’Arabia Saudita. Il supporto al trasferimento forzato degli abitanti dall’enclave palestinese e l’eventuale riconoscimento dei territori israeliani occupati nella West Bank costituirebbero un drastico cambiamento nell’approccio che Washington – seppur strettissimo alleato di Israele – ha tenuto per decenni. Quello del sostegno per la soluzione dei due Stati, secondo i confini tracciati dalla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e con Gerusalemme Est capitale dello Stato di Palestina. Trump ha smentito in modo confuso: “Non significa nulla riguardo a due Stati o a uno Stato o a qualsiasi altro Stato. Significa che vogliamo dare alle persone una possibilità di vita, che non hanno mai avuto perché la Striscia di Gaza è stata un inferno per le persone che vi abitano”.Dalla Cina all’Egitto, il “sud del mondo” respinge il piano di TrumpPer quanto Trump abbia sostenuto che “tutti quelli con cui ho parlato amano l’idea che gli Stati Uniti possiedano quel pezzo di terra”, le reazioni alla proposta dell’uomo a capo dell’esercito più potente del mondo sembrano di tutt’altro tenore. A partire da Hamas, che l’ha definito “ridicolo”: il portavoce Sami Abu Zuhri ha dichiarato che “la nostra gente nella Striscia di Gaza non permetterà che questi piani vengano approvati”, ribadendo che “ciò che è richiesto è porre fine all’occupazione e all’aggressione contro la nostra gente, non espellerla dalla sua terra”.Il governo saudita, in una dichiarazione, ha minacciato che non ci sarà alcuna normalizzazione delle relazioni con Israele senza la creazione di uno Stato palestinese indipendente. L’Arabia saudita ha respinto “qualsiasi tentativo di sfollare i palestinesi dalla loro terra”. Il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, dopo aver discusso con il premier dell’Autorità palestinese, Mohamed Mostafa, ha sottolineato la necessità che “i palestinesi rimangano a Gaza, visto il loro fermo attaccamento alla loro patria e il rifiuto di abbandonarla”.Per la Turchia il piano è “inaccettabile”: il ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan, ha ricordato a Trump che “la guerra è iniziata proprio per questo motivo: la sottrazione di terra ai palestinesi” e assicurato che “non c’è nessuno spiraglio per una discussione su questo tema”. Contrari al trasferimento forzato dei palestinesi anche la Cina, che “ha sempre sostenuto che il dominio dei palestinesi sui palestinesi è il principio di base della governance post-bellica di Gaza”, e la Russia, secondo cui  “la soluzione in Medio Oriente può avvenire solo sulla base della presenza di due Stati”.L’Ue rimane in silenzio. Francia, Germania e Regno Unito: “Gaza è dei palestinesi”Se dalle istituzioni europee non trapela nulla, dalle capitali cominciano ad arrivare reazioni preoccupate. Il ministro degli Esteri del Regno Unito, David Lammy, ha dichiarato da Kiev che Londra rimane convinta che i palestinesi debbano “vivere e prosperare nelle loro terre d’origine a Gaza e in Cisgiordania”, mentre per Parigi l’avvenire di Gaza passa per “un futuro stato palestinese” e non dal controllo “di un paese terzo”. Il Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri francese, ha ribadito “la sua contrarietà a qualsiasi trasferimento forzato della popolazione palestinese di Gaza, che rappresenterebbe una violazione grave del diritto internazionale, un attacco alle aspirazioni legittime dei palestinesi, ma anche un forte ostacolo alla soluzione a due stati e un fattore di destabilizzazione per i nostri partner vicini che sono l’Egitto e la Giordania, oltre che l’insieme della regione”.Perfino Annalena Baerbock, la ministra degli Esteri tedesca che qualche mese fa aveva dichiarato che la popolazione civile “perde il proprio status di protezione” quando è utilizzata come scudo umano, si è opposta con fermezza: “È chiaro che Gaza, come la Cisgiordania e Gerusalemme est, appartiene ai palestinesi. Esse costituiscono la base per un futuro stato palestinese”, ha affermato. Il vicepremier italiano, Antonio Tajani, ha sottolineato il no di Giordania ed Egitto che rendono “un po’ difficile” il piano di Trump. Ben più duro il capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo, Nicola Zingaretti, che ha definito la “folle proposta” di Trump “un insulto alla pace e ai diritti del popolo palestinese”.Dall’estrema destra all’opposizione, Israele con TrumpDa Netanyahu, agli esponenti dell’estrema destra sionista, al leader dell’opposizione israeliana Benny Gantz, Israele ha invece applaudito il piano di trasformazione della Striscia di Gaza suggerito da Trump. Un piano che “potrebbe cambiare la storia”, ha affermato il premier israeliano durante la conferenza stampa congiunta a Washington, definendo Trump “il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca” ed elogiandolo per aver “pensato fuori dagli schemi con idee nuove”. Netanyahu ha inoltre ringraziato l’amministrazione americana per aver interrotto i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi (Unrwa).Il piano di Trump rinvigorisce i leader dell’estrema destra. Itamar Ben-Gvir, ex ministro per la Sicurezza nazionale che si è dimesso dopo la firma della tregua con Hamas, ha rivendicato la paternità del piano e affermato che questa “è l’unica soluzione al problema di Gaza”, mentre Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, ha promesso che farà di tutto per “seppellire definitivamente” l’idea di uno Stato palestinese. Il piano è piaciuto anche al leader del partito di opposizione israeliano Unita’ nazionale, Benny Gantz, che ha elogiato le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti definendole “creative, originali e interessanti”.

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    Amnesty International: Israele sta commettendo un genocidio a Gaza

    Bruxelles – Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele “ha scatenato l’inferno e la distruzione sui palestinesi di Gaza in modo sfacciato, continuo e nella più totale impunità”. Amnesty International ha pubblicato oggi (5 dicembre) un rapporto in cui sostiene che Israele ha commesso e continua a commettere un genocidio nella Striscia di Gaza. Confermando le accuse già formulate mesi fa dalla relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese.Un tassello in più che si aggiunge all’orrore ampiamente documentato della controffensiva israeliana nell’enclave palestinese. Non solo crimini di guerra e contro l’umanità, di cui sono stati accusati dalla Corte Penale Internazionale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro per la Difesa Yoav Gallant. Dopo aver esaminato nel dettaglio le violazioni compiute da Israele nell’enclave palestinese tra l’ottobre 2023 e il luglio 2024, intervistato 212 persone a Gaza, analizzato prove visive e digitali e le dichiarazione di alti funzionari governativi e militari israeliani, Amnesty International “ha trovato basi sufficienti” per concludere che quello in corso a Gaza è un vero e proprio genocidio.Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, soggetti ad un mandato di arresto internazionale emesso dalla Cpi (Photo by Abir SULTAN / POOL / AFP)“Mese dopo mese, Israele ha trattato i palestinesi di Gaza come un gruppo subumano indegno di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha commentato Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, secondo cui i risultati “sconvolgenti” contenuti nel rapporto “devono servire da campanello d’allarme” per una comunità internazionale impotente di fronte alla tragedia di Gaza. Callamard ha sottolineato – in linea con le osservazioni della Corte Internazionale di Giustizia relative all’accusa di genocidio formulata dal Sudafrica ad Israele – che “gli Stati che continuano a trasferire armi a Israele stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di diventarne complici”.I dati citati nel rapporto sono quelli che le Agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio riportano ogni settimana nei loro bollettini. Secondo l’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha-Opt), si parla di almeno 44.502 palestinesi uccisi e 105.454 feriti dal 7 ottobre 2023. Nell’ultima settimana – dal 26 novembre al 3 dicembre – i bombardamenti israeliani avrebbero causato altre 253 vittime e 708 feriti. Va sottolineato che il rapporto di Amnesty International è stato redatto prendendo in considerazione gli eventi fino a luglio 2024, ed esclude quindi la terribile offensiva che l’esercito israeliano ha lanciato ad ottobre sul Nord di Gaza, sotto assedio permanente e dove l’assistenza umanitaria “è stata in gran parte negata per circa 60 giorni, lasciando tra le 65 mila e le 75 mila persone senza accesso a cibo, acqua, elettricità o assistenza sanitaria affidabile”.La distruzione deliberata e indiscriminata di intere città, infrastrutture critiche, terreni agricoli, siti culturali e religiosi, ha “reso inabitabili ampie zone di Gaza”. Ed è stata spesso preceduta da “funzionari che ne hanno sollecitato l’attuazione”. Amnesty ha esaminato 102 dichiarazioni rilasciate da funzionari governativi e militari israeliani che “disumanizzavano i palestinesi, invocavano o giustificavano atti di genocidio o altri crimini contro di loro”. Un linguaggio condiviso e rilanciato anche dai soldati israeliani sul campo, come dimostrano diversi contenuti audiovisivi che mostrano militari che celebrano la distruzione di case, moschee, scuole e università palestinesi.Una donna palestinese, sfollata da Beit Lahia, arriva a Jabalia nel nord della Striscia di Gaza, 4/12/24 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)Amnesty International si è concentrata su 15 attacchi aerei israeliani, che hanno ucciso almeno 334 civili, tra cui 141 minori, e ferito centinaia di altri. E per nessuno di questi raid ha trovato prove che fossero diretti ad obiettivi militari. Il rapporto ha identificato uno schema ricorrente nell’azione genocidaria di Israele: il danneggiamento e la distruzione di infrastrutture vitali, l’uso ripetuto di ordini di “evacuazione” di massa, arbitrari e confusi, per sfollare con la forza quasi tutta la popolazione di Gaza, la negazione e l’ostruzione della fornitura di servizi essenziali, di assistenza umanitaria e di altri rifornimenti salvavita a Gaza e al suo interno. Israele ha sfollato quasi 1,9 milioni di palestinesi – il 90 per cento della popolazione di Gaza – in sacche di terra sempre più piccole e insicure, in condizioni disumane.“Chiediamo all’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) di prendere urgentemente in considerazione l’aggiunta del genocidio all’elenco dei crimini su cui sta indagando e a tutti gli Stati di utilizzare ogni via legale per assicurare i responsabili alla giustizia”, conclude il rapporto di Amnesty International. Un appello rivolto anche a Bruxelles, dove regna il silenzio dopo l’avvicendamento tra Josep Borrell e Kaja Kallas a capo della politica estera dell’Ue, e alle capitali dei 27, troppo prudenti finora nel confermare la propria lealtà al Tribunale de l’Aia e al mandato d’arresto per il primo ministro di Israele.

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    Medio Oriente, l’ultimo appello di Borrell: “Rispettare l’Icc è l’unico modo per avere giustizia globale”

    Bruxelles – Un centinaio di rappresentanti di Stati e organizzazioni internazionali, insieme per il secondo incontro dell’Alleanza globale per l’attuazione della soluzione dei due Stati in Medio Oriente. Ospiti dell’Ue e del Belgio. È l’ultimo giorno di lavoro dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che da domani lascerà la scrivania all’ex premier estone Kaja Kallas. “Non volevo lasciare il mio lavoro prima di aver tenuto questo incontro”, ha affermato, a riprova dell’impegno profuso – spesso da solo – per trovare una via d’uscita al conflitto tra Israele e Hamas a Gaza.In un lungo intervento al suo arrivo a Palais d’Egmont, nel centro di Bruxelles, Borrell ha parlato con più schiettezza che mai, consapevole che da domani non dovrà più scontrarsi con 27 governi nazionali che da un anno a questa parte procedono a freni tirati nei confronti della devastante offensiva israeliana, prima a Gaza e poi anche in Libano. A partire dai fatti più recenti, il fragile accordo per un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah e il mandato d’arresto internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale (Icc) nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant.L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri Josep Borrell Fontelles a Palais d’EgmontSu quest’ultimo in particolare, si gioca la credibilità dell’Occidente e dell’Unione europea come difensori del diritto internazionale. Prima l’ambiguità di diverse cancellerie europee sul rispetto della decisione del Tribunale de L’Aia, poi ieri il duro colpo inferto dalla Francia, uno degli Stati fondatori dell’Icc. In un comunicato, il Ministero degli Esteri francese ha chiamato in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – secondo cui “uno Stato non può essere obbligato ad agire in modo incompatibile con i suoi obblighi di diritto internazionale per quanto riguarda le immunità degli Stati che non fanno parte dell’Icc”. Il Quai d’Orsay ha proseguito spiegando che “tali immunità si applicano al Primo Ministro Netanyahu e agli altri ministri interessati e dovranno essere prese in considerazione se l’Icc dovesse richiedere il loro arresto e la loro consegna“.In sostanza, dal momento che lo Stato ebraico non ha firmato lo Statuto di Roma, non avrebbe rinunciato alle immunità dei suoi attuali leader. E quindi, come dichiarato anche da Antonio Tajani al termine del G7 dei ministri degli Esteri di Fiuggi, la decisione del Tribunale non sarebbe applicabile almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu. Un cavillo giuridico, se non proprio un’escamotage, che stride con quanto invece sostenuto dagli stessi Paesi nei confronti di Vladimir Putin, anche lui soggetto ad un uguale mandato di cattura internazionale. Ed anche lui presidente eletto di uno Stato che non fa parte della Corte Penale Internazionale.Rivolgendosi “a tutti i membri della società internazionale e in particolare ai membri dell’Unione europea”, Borrell ha ribadito: “Non possiamo minare la Corte penale internazionale”. Le conseguenze sarebbero tremende: un mondo in cui non c’è più “modo di avere una giustizia globale”. Rispettare e implementare le decisioni dell’Icc è anche una questione di “onore”, ha dichiarato il capo della diplomazia europea. Perché oggi il procuratore capo de L’Aia ha chiesto una mandato d’arresto per il leader militare del Myanmar colpevole di crimini contro la popolazione dei Rohingya, e “sicuramente gli Stati Ue applaudono”.L’accordo mediato da Stati Uniti e Francia per una tregua di sessanta giorni tra Israele ed Hezbollah e per il ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano è “una luce di speranza”, ha proseguito Borrell, enfatizzando che “almeno domani sera non ci saranno più nuovi bambini ustionati negli ospedali di Beirut”. L’Alto rappresentante, in visita in Libano la scorsa settimana, è stato testimone di “un bombardamento di una postazione dell’esercito regolare libanese da parte di un carro armato israeliano”. Un attacco “senza motivo, senza discussioni, senza conseguenze”. Secondo quanto riportato da Reuters nel primo pomeriggio, entrambe le parti avrebbero già denunciato violazioni della tregua, e i carri armati israeliani avrebbero colpito sei aree nel sud del Libano, a pochi chilometri dal confine.General ViewL’incontro di oggi però guardava oltre, all’implementazione della soluzione dei due Stati. Che significa “l’implementazione di uno Stato per la popolazione palestinese”, ha evidenziato Borrell. Un orizzonte che resta lontano, come dimostrato dall’assenza di una delegazione israeliana ai lavori dell’Alleanza lanciata dallo stesso Borrell a margine dell’Assemblea delle Nazioni Unite a New York a settembre.“Oggi, purtroppo, la società israeliana è stata colonizzata dall’interno dall’estremismo e dai violenti”, ha affermato ancora il socialista spagnolo, e la “colonizzazione delle menti delle persone è la cosa più pericolosa”. Per Borrell, il 7 ottobre ha accelerato un processo di radicalizzazione del discorso politico di Israele che “sta minando le fondamenta della loro democrazia”. La comunità internazionale assiste impotente – se non complice – ad un governo che “calpesta e viola sistematicamente la legge internazionale umanitaria”. E “non lo nasconde nemmeno”.L’ultima iniziativa di Borrell è un lascito politico a Kaja Kallas, con la speranza che scelga di raccogliere il testimone e “continuare a lavorare duramente” per la soluzione dei due Stati. L’unica via percorribile per sconfiggere “un cancro”, che non rischia di uccidere solo il Medio Oriente, ma di “espandersi a dismisura nelle relazioni internazionali e nella stessa società europea”.

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    Al G7 Esteri tiene banco il rispetto del mandato d’arresto contro Netanyahu. Borrell: “Non è una scelta, ma un obbligo”

    Bruxelles – Dopo giorni di ambiguità da parte dell’Occidente, i sette grandi del mondo sono chiamati a lanciare un segnale chiaro sul mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penali internazionale (Icc) nei confronti di Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro per la Difesa di Israele, Yoav Gallant. A incalzarli, nella riunione del G7 Esteri a Fiuggi, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell: Per i 27 Ue “non si può scegliere”, attuare la decisione della Corte de l’Aia “è un obbligo”.Al suo arrivo al vertice, Borrell è stato chiaro: Washington può avere una posizione differente perché gli Stati Uniti non hanno mai ratificato lo Statuto di Roma, fondativo dell’Icc, ma “tutti i membri dell’Unione europea l’hanno fatto e non è qualcosa che si può scegliere”. Non esiste un diritto internazionale a intermittenza: “Non si può applaudire quando la Corte va contro Putin e rimanere in silenzio quando va contro Netanyahu“, ha proseguito Borrell. Le reazioni prudenti di diversi governi occidentali – se non proprio il silenzio, scelto ad esempio dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel – sono ” il tipico esempio di due pesi e due misure per cui siamo tanti criticati”, ha sbottato il capo della diplomazia europea uscente.Finora i tre Paesi Ue nel gruppo del G7 hanno dato risposte enigmatiche. Francia e Germania su tutte, mentre oggi il padrone di casa, Antonio Tajani, ha ammesso: “Siamo amici di Israele ma penso che dobbiamo rispettare il diritto internazionale“. L’obiettivo di Borrell è tornare a Bruxelles con un messaggio unitario: “Non c’è alternativa, spero che alla fine saremo in grado di dire chiaramente che gli europei rispetteranno gli obblighi del diritto internazionale”. In gioco c’è la credibilità stessa dell’Occidente, che non può permettersi di bollare come ‘politica’ la decisione giuridica di una Corte internazionale che per la prima volta sanziona i membri di un governo di una ‘democrazia occidentale’.Tregua tra Israele e Hezbollah in Libano, Borrell: “Non ci sono scuse”Josep Borrell e Antonio Tajani al G7 Esteri a Fiuggi, 26/11/24La due giorni dei ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Canada e Giappone a Fiuggi e Anagni si concentra inevitabilmente sulle due maggiori crisi internazionali. Ucraina e Medio Oriente. Su quest’ultimo, a tenere banco non è solo il mandato d’arresto emesso dall’Icc, ma anche la prospettiva di un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah in Libano.Gli occhi sono puntati sulla riunione del gabinetto di sicurezza di Tel Aviv, che già questa sera è chiamato a dare l’ok alla proposta di tregua franco-americana. La proposta “dà a Israele tutti gli impegni di sicurezza che ha chiesto”, ha sottolineato Borrell, “non ci sono scuse per rifiutarla”. Tutto dipenderà dalla volontà politica del governo di Netanyahu.Il piano mediato da Eliseo e Casa Bianca prevede una tregua di 60 giorni, durante la quale le forze israeliane si ritirerebbero dal Libano del sud e i militanti di Hezbollah si ritirerebbero a nord del fiume Litani, circa 25 km a nord del confine israeliano. L’accordo prevede la creazione di un comitato di implementazione presieduto da Washington e con la partecipazione di Parigi. In modo da garantire un equilibrio tra le parti. Beirut ha accettato che gli Stati Uniti presiedano il comitato di controllo dell’applicazione del cessate il fuoco, ma ha chiesto espressamente la presenza della Francia. È questo il punto ancora in discussione, perché Israele non vuole che la Francia partecipi.Ricordando le 4 mila vittime civili e le ampie porzioni del sud del Libano rase al suolo dai bombardamenti israeliani, Borrell ha intimato: “Basta combattimenti, basta altre richieste, spero che il governo Netanyahu accetti la proposta”. L’Alto rappresentante Ue chiede onestà intellettuale da parte del G7 anche su Gaza, dove “gli aiuti sono totalmente impediti” dall’esercito israeliano. “Dobbiamo dire la verità, diamo un nome alle cose”, ha concluso Borrell.