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    Da Macron a Merz, fino a Orbán. La vicinanza dei leader europei a Netanyahu e la sconfitta del diritto internazionale

    Bruxelles – Mercoledì 2 aprile il premier israeliano Benjamin Netanyahu metterà piede per la prima volta sul territorio europeo da quando è oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Icc). Sarà ospite di Viktor Orbán, che come altre volte rompe tabù che a ben vedere stanno stretti anche ai suoi omologhi europei. Dal futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz al presidente francese Emmanuel Macron e al ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, sono già diversi i Paesi Ue che hanno messo in dubbio – se non proprio respinto – la possibilità di perseguire Netanyahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza.Nel weekend, ci ha pensato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a varcare la prima linea rossa, incontrando Netanyahu a Gerusalemme, proprio mentre – nel primo giorno dell’Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan – i raid israeliani su Gaza avrebbero ucciso almeno 64 palestinesi. I due hanno “ribadito la relazione strategica tra Grecia e Israele” e discusso “l’ulteriore approfondimento della cooperazione bilaterale, in particolare nel campo della difesa”.Kyriakos Mitsotakis e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, 30/3/25 [Credits: Account X Kyriakos Mitsotakis]Dal 21 novembre scorso, quando il Tribunale de L’Aia ha emesso il mandato di cattura per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, nessun leader europeo aveva ancora incontrato di persona il capo del governo israeliano. Ma in realtà, nessuno dei 27 ha veramente tagliato i ponti con l’uomo accusato di crimini di guerra, come invece è stato fatto con il presidente russo Vladimir Putin, su cui pende lo stesso mandato d’arresto internazionale. Ieri sera, Macron ha diffuso un resoconto di una telefonata con Netanyahu, in cui ha ribadito che “la liberazione di tutti gli ostaggi e la sicurezza di Israele sono una priorità per la Francia” e ha chiesto “al primo ministro israeliano di porre fine agli attacchi su Gaza e di tornare al cessate il fuoco, che Hamas deve accettare”.Parigi era stata tra le prime capitali Ue a mettere in discussione la legittimità del mandato d’arresto, chiamando in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – che garantirebbe un’immunità agli Stati che non fanno parte dell’Icc. Il ministero degli Esteri francese è stato seguito a ruota da quello italiano, con Tajani che ha sostenuto che il mandato d’arresto non può essere applicato almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu e ribadito poi in differenti occasioni che l’Italia non arresterebbe il premier israeliano. Roma la sua picconata al diritto internazionale l’ha già data, scegliendo di riaccompagnare in Libia con un volo di Stato il torturatore e capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Najim Osama Al Masri, ricercato dal Tribunale de l’Aia per crimini di guerra, omicidio, tortura e trattamenti crudeli.Berlino aveva invece  sottolineato che la posizione tedesca non poteva che essere frutto “della storia tedesca” e della “grande responsabilità” che la Germania sente nei confronti di Israele dopo lo sterminio degli ebrei perpetrato dal regime nazista. Il cancelliere eletto Friedrich Merz ha poi sfidato apertamente la Corte, definendo “completamente assurda” l’idea che un primo ministro israeliano non possa visitare la Germania e invitando espressamente Netanyahu nella Repubblica Federale.Viktor Orban e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme nel febbraio 2019 (Photo by Ariel Schalit / POOL / AFP)Berlino, Roma e Parigi, così come tutti i 27 Paesi Ue, fanno parte della Corte Penale Internazionale e sono quindi tenuti ad applicare le sue decisioni. Alla fine, ad ospitare per primo Netanyahu in questa inquietante gara a violare il diritto internazionale sarà Orbán, che dall’inizio aveva definito il mandato d’arresto “vergognoso” e annunciato che non l’avrebbe eseguito. Anzi, dopo la decisione americana di imporre sanzioni contro l’Icc, Orbán ha annunciato l’intenzione di “rivedere l’impegno” dell’Ungheria nei confronti di un tribunale “degradato a strumento politico di parte”.I due dovrebbero discutere del piano per il futuro di Gaza. Netanyahu – nonostante il supporto della comunità internazionale per il piano elaborato dai Paesi arabi – è convinto di poter allargare il consenso sulla controversa e fumosa proposta di Trump, che prevede la “migrazione volontaria” della popolazione locale e la trasformazione della Striscia di Gaza in una lussuosa riviera aperta al turismo internazionale.Il sostegno di Orbán al piano di Trump e Netanyahu va contro la posizione presa dall’Unione europea, che appoggia invece l’iniziativa araba e si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di emigrazione forzata della popolazione gazawi. A ben vedere, il viaggio di Netanyahu in Ungheria va letto anche come un’ennesima provocazione del premier magiaro nei confronti di Bruxelles, che a parole continua a sostenere la Corte Penale. “Come affermato nelle Conclusioni del Consiglio del 2023, il Consiglio invita tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti, e a stipulare accordi volontari”, ha dichiarato ancora a proposito della vicenda un portavoce della Commissione europea.

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    Kallas a Israele, “riprendete i negoziati per il cessate il fuoco” a Gaza. E stop ad attacchi “inutili” in Siria

    Bruxelles – Per la prima volta da quando siede a capo della diplomazia europea, Kaja Kallas prova ad alzare la voce sulle atrocità israeliane a Gaza. E lo fa dopo che – solo pochi giorni fa – il Consiglio europeo non è riuscito nemmeno a partorire una condanna per la ripresa dei bombardamenti sulla popolazione civile che hanno decretato la fine della tregua tra Israele e Hamas. Da Gerusalemme, l’Alta rappresentante Ue sottolinea “la pericolosa escalation” che sta causando “insopportabili incertezze per gli ostaggi” e “orrore e morte per il popolo palestinese“.In questi mesi Kallas è sembrata quasi disinteressarsi del conflitto in Medio Oriente di fronte agli sviluppi in Ucraina. Ha mantenuto un basso profilo, uscendo spesso in ritardo e con estrema cautela, scegliendo di non criticare apertamente l’alleato israeliano. Ha presieduto un controverso Consiglio di Associazione Ue-Israele, in cui la questione delle violazioni dei diritti umani a Gaza è passata in secondo piano rispetto a quanto avevano chiesto alcuni Stati membri e lo stesso predecessore di Kallas, Josep Borrell. Ora, di fronte alla fallimentare iniziativa personale da 40 miliardi per l’Ucraina – bocciata dai Paesi membri – e al precipitare della situazione a Gaza – dove le vittime palestinesi in 18 mesi di conflitto avrebbero toccato quota 50 mila -, Kallas si è imbarcata in un delicato viaggio tra Egitto, Israele e Cisgiordania nel tentativo di rilanciare la credibilità sua e dell’Unione europea.Gideon Sa’ar e Kaja Kallas a Bruxelles in occasione del Consiglio di Associazione Ue-Israele, 24/02/25Ieri sera (23 marzo) al Cairo, a margine dell’incontro con il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty, l’Alta rappresentante ha dichiarato che l’Ue “si oppone fermamente alla ripresa delle ostilità da parte di Israele, che ha causato una spaventosa perdita di vite umane a Gaza”. Promettendo che Bruxelles “utilizzerà gli strumenti che ha a disposizione” per fare pressione sul governo di Benjamin Netanyahu. Oggi – in una conferenza stampa congiunta con il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, in cui è apparsa a tratti imbarazzata – Kallas  ha ribadito “che riprendere i negoziati è l’unico modo fattibile per porre fine alle sofferenze di entrambe le parti”, perché “la violenza alimenta altra violenza”.Dall’altra parte però, c’è sempre il muro di gomma del governo di estrema destra israeliano. Sa’ar, che ha sostituito pochi mesi fa quell’Israel Katz, ora ministro delle Finanze, che pochi giorni fa ha minacciato la popolazione palestinese di punizione collettiva, ha dichiarato che per Israele “è naturale aspettarsi più sostegno dall’Europa“. Ha accusato Hamas di aver respinto per due volte la proposta americana di estendere la prima fase del cessate il fuoco – che avrebbe previsto la liberazione degli ostaggi israeliani ma senza il ritiro delle truppe di Tel Aviv da Gaza -, e soprattutto ha affermato che “Israele sta agendo in conformità con il diritto internazionale“, in barba a decine di rapporti delle agenzie delle Nazioni Unite, di organizzazioni per i diritti umani e di media internazionali.EDITORS NOTE: Vittime dei bombardamenti israeliani nel nord di Gaza, 20/03/25 (Photo by BASHAR TALEB / AFP)Sa’ar ha ricordato che durante le sei settimane di cessate il fuoco Israele “ha permesso a 25 mila camion di aiuti umanitari l’ingresso a Gaza”. Ma l’ultimo è entrato più di venti giorni fa e medici e operatori umanitari sul campo avvertono che la malnutrizione si sta nuovamente diffondendo nella martoriata enclave palestinese. Il ministro israeliano ha citato l’articolo 23 della quarta Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempi di guerra, che afferma l’obbligo di concedere il libero passaggio degli aiuti sussiste quando “la Parte contraente sia sicura di non aver alcun serio motivo di temere che gli invii possano essere sottratti alla loro destinazione (…) o che il nemico possa trarne evidente vantaggio per i suoi sforzi militari o la sua economia”.E “Hamas utilizza gli aiuti per finanziare le proprie operazioni e ripristinare le proprie capacità”, ha proseguito il ministro. Rispondendo a una domanda sull’eventuale dispiegamento di forze israeliane per distribuire gli aiuti, ha affermato: “Quando rinnoveremo la concessione degli aiuti, dovremo assicurarci che ciò avvenga in modo diverso”.Insomma, Israele continua a essere nel giusto e “sta combattendo la battaglia del mondo libero” contro “l’Iran, gli Houthi, Hamas e Hezbollah”. Una guerra “contro la civiltà occidentale”, ha insistito il ministro. Da qui l’imbarazzo di Kallas, le cui parole è evidente che per “il partner commerciale e di investimento molto importante” non hanno alcun valore. L’Alta rappresentante ha ricordato che “Israele ha il diritto di difendersi dagli attacchi terroristici, ma le azioni militari devono essere proporzionate”. Non solo a Gaza, ma anche “gli attacchi israeliani in Siria e in Libano rischiano di provocare un’ulteriore escalation”. In particolare, i raid sulle capacità militari siriane e su presunte cellule di Hezbollah a Damasco “sono azioni inutili, perché la Siria non sta attaccando Israele e questo non farà che alimentare la radicalizzazione”.Nel pomeriggio l’Alta rappresentante è attesa a Ramallah, dove incontrerà Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese, e Mohammad Mustafa, primo ministro e ministro degli Esteri palestinese.

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    Israele rompe la tregua, è di nuovo strage di civili a Gaza. L’Onu: “Inconcepibile”

    Bruxelles – Con le prime luci dell’alba, è ricominciato l’incubo per la popolazione civile di Gaza. Dopo gli attriti sempre più forti tra Israele e Hamas per negoziare la seconda fase del cessate il fuoco, Tel Aviv ha rotto gli indugi e – con il lasciapassare della Casa Bianca – ha lanciato un pesantissimo attacco aereo su diverse località dell’enclave palestinese. Le vittime sarebbero già più di 400. Mentre l’Onu chiede di “ripristinare immediatamente” la tregua, Netanyahu promette raid sempre più intensi.L’operazione è stata ribattezzata dalle Forze di difesa israeliane (Idf) “Forza e spada”. Sono stati segnalati bombardamenti in diverse località della Striscia, da nord a sud, nei centri di Gaza City, Khan Younis e Rafah. Secondo il ministero della Salute di Gaza molte delle vittime sarebbero – come dall’inizio del conflitto – donne e bambini. In un comunicato, il premier israeliano ha dichiarato di aver ordinato gli attacchi a causa della mancanza di progressi nei colloqui in corso per estendere il cessate il fuoco. Ha accusato Hamas di “rifiutarsi ripetutamente di rilasciare i nostri ostaggi” e di respingere le proposte dell’inviato Usa in Medio Oriente, Steve Witkoff.A rileggere i termini e le modalità con cui si arrivò al cessate il fuoco lo scorso 18 gennaio, lo stallo nei negoziati in vista della seconda fase della tregua era preventivabile. Il sì strappato in extremis da Joe Biden a Netanyahu, prima dell’insediamento di Trump, prevedeva appunto ulteriori colloqui dopo la prima fase di sei settimane e la possibilità che Israele riprendesse le operazioni militari se l’avesse ritenuto necessario. Così, la nuova amministrazione americana e Tel Aviv hanno forzato la mano, presentando un piano per estendere la prima fase della tregua fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, chiedendo in sostanza di proseguire il rilascio degli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza (come previsto dalla fase 2).Il tavolo delle trattative era già saltato lo scorso 2 marzo, con i negoziatori di Hamas che avevano declinato il piano di Witkoff e Netanyahu che in tutta risposta aveva annunciato un nuovo blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Washington ha confermato di essere stata informata in anticipo dell’attacco di Israele a Gaza e di aver dato il suo benestare alla ripresa delle ostilità: “Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per prolungare il cessate il fuoco, ma ha invece scelto il rifiuto e la guerra”, ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca Brian Hughes.Il quartiere intorno all’ospedale Al-Shifa, a Gaza City, raso al suolo dai bombardamenti israeliani lo scorso 3 aprile  (Photo by AFP)In realtà, la tregua era già stata più volte violata in questi due mesi, ma i bombardamenti a tappeto di oggi sono stati di portata molto più ampia rispetto alla serie regolare di attacchi con droni che l’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto contro singoli individui o piccoli gruppi di sospetti militantinell’ultimo periodo. Secondo quanto riportato da Reuters, le Idf avrebbero dichiarato che gli attacchi continueranno per tutto il tempo necessario e che potrebbero estendersi oltre gli attacchi aerei. “Non smetteremo di combattere finché gli ostaggi non saranno restituiti a casa e tutti i nostri obiettivi di guerra non saranno raggiunti”, ha confermato il ministro della Difesa, Israel Katz.In risposta, un alto funzionario di Hamas ha dichiarato che la decisione di Netanyahu di riprendere gli attacchi su larga scala nella Striscia equivale a una “condanna a morte” per gli ostaggi del 7 ottobre ancora nelle mani del gruppo terroristico palestinese. In cattività a Gaza ci sarebbero ancora circa una sessantina di cittadini israeliani. Il Families Forum, associazione che riunisce i familiari degli ostaggi, ha rilasciato una dichiarazione in cui sostiene che “l’affermazione secondo cui la guerra è stata ripresa per il rilascio degli ostaggi è una completa menzogna” e chiede di “tornare al cessate il fuoco”. L’ufficio politico di Hamas ha accusato di aver fatto saltare i negoziati e ripreso la guerra per salvare la sua coalizione di governo di estrema destra.“È inconcepibile”, ha dichiarato Muhannad Hadi, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. In una nota, Hadi ha chiesto di “ripristinare immediatamente il cessate il fuoco”, ricordando che “la popolazione di Gaza ha sopportato sofferenze inimmaginabili”. Di fronte all’ennesima strage, in un conflitto che ha già causato la morte di quasi 49 mila palestinesi di Gaza, l’Autorità Nazionale Palestinese ha chiesto “un intervento internazionale urgente“. Durante il briefing quotidiano con la stampa, il portavoce della Commissione europea, Anouar El Anouni, ha affermato che “l’Ue deplora vivamente la ripresa delle ostilità e il decesso di civili, tra cui bambini, durante i raid aerei israeliani” e ribadito l’appello “ad Hamas affinché rilasci tutti gli ostaggi” e ad Israele “perché dia prova di moderazione” e “ristabilisca l’accesso umanitario senza condizioni”.

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    L’Ue sostiene il piano arabo per Gaza. Costa: “No a modifiche demografiche e territoriali”

    Bruxelles – Da un lato il piano di Donald Trump per Gaza, indigeribile per tutti tranne che per Israele, dall’altro la proposta messa sul piatto dall’Egitto, che ha ricevuto l’endorsement dei vertici delle Nazioni Unite e dell’Unione europea. Dal summit della Lega araba a Il Cairo arriva un segnale forte in direzione di Washington e Tel Aviv: come ha detto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, non c’è spazio per alcun “tentativo di cambiamento demografico o territoriale” a Gaza.Un mese dopo l’idea shock di “trasformare Gaza nella riviera del Medio Oriente”, i Paesi arabi della regione rispondono alla provocazione di Trump. Il presidente egiziano al-Sisi ha presentato un piano per il futuro della Striscia, che prevede l’istituzione di un comitato amministrativo “composto da esperti palestinesi indipendenti e tecnocrati“, responsabile della supervisione degli aiuti e dell’amministrazione a Gaza “in vista del ritorno dell’Autorità Palestinese”.Nella bozza del piano, secondo quanto riporta Reuters, è prevista un’amministrazione provvisoria di sei mesi, descritta come un passo verso la ripresa completa del controllo di Gaza da parte dell’Autorità Palestinese. Egitto e Giordania sarebbero incaricate di formare le forze di sicurezza palestinese. Nel piano sarebbe però menzionata anche la possibilità del dispiegamento di un contingente internazionale di pace a Gaza e in Cisgiordania, da ottenere attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (e quindi con il via libera degli Stati Uniti).I leader al vertice della Lega Araba a Il CairoNiente più Hamas, ma nessuno sfollamento forzato della popolazione gazawi. Al vertice, il presidente palestinese Abu Mazen si è detto pronto a indire nuove elezioni entro l’anno prossimo. Ma per ricostruire un territorio ridotto in macerie, secondo l’Onu serviranno circa 53 miliardi. Nel piano egiziano, la ricostruzione durerebbe cinque anni. Dopo una prima fase incentrata sulla rimozione delle macerie, la bonifica dagli ordigni inesplosi e la fornitura di alloggi temporanei, prevederebbe la creazione di un fondo supervisionato a livello internazionale per finanziare con un budget di 20 miliardi di dollari fino al 2027 per la ricostruzione delle infrastrutture essenziali, tra cui strade, reti di distribuzione e impianti di servizi pubblici. Nell’ultima fase – fino al 2030 e con un costo stimato di 30 miliardi di dollari – a Gaza sorgerebbero progetti infrastrutturali e la creazione di zone industriali, un porto per la pesca, un porto commerciale e un aeroporto.Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha sposato il piano presentato dal presidente al-Sisi e ha assicurato che le Nazioni Unite sono “pronte a collaborare pienamente a questo sforzo”. Così come il presidente del Consiglio europeo, António Costa, che ha ringraziato l’Egitto e i Paesi arabi e messo sul piatto “un sostegno concreto” da parte dei 27 Paesi membri. “Dovremmo attuare questo piano insieme, l’Unione Europea, i suoi partner nel mondo arabo e la comunità internazionale“, ha dichiarato.Il leader Ue ha lanciato un messaggio alla nuova amministrazione americana, oltre che al premier israeliano Netanyahu: “Vorrei essere chiaro. L’Unione Europea respinge fermamente qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale. A Gaza e in altre parti del mondo. Ovunque”. In un momento di stallo del negoziato per la continuazione del cessate il fuoco nell’enclave palestinese, Costa ha ribadito l’importanza del successo dei colloqui per l’inizio della seconda fase, che Israele e gli Stati Uniti hanno proposto di rinviare. Il leader Ue ha anche affermato che l’Unione europea starebbe già “utilizzando tutti gli strumenti possibili” per sostenere il ruolo cruciale dell’Autorità Palestinese nel futuro di Gaza, “compresi gli sforzi diplomatici nei confronti di Israele e Palestina”.

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    A Gaza salta la tregua e Israele ricomincia a affamare la popolazione. L’Ue condanna Hamas

    Bruxelles – La fragile tregua siglata a metà gennaio tra Israele e Hamas è durata 42 giorni. Scaduta la prima delle tre fasi previste, l’accordo è saltato nella notte tra sabato e domenica e ieri (2 marzo) il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato nuovamente il blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Mentre le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie sul campo lanciano “l’allarme” per le conseguenze della decisione di Tel Aviv su quasi due milioni di civili, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, attribuisce interamente le responsabilità al gruppo armato palestinese.L’Ue “condanna il rifiuto di Hamas di accettare la proroga della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe potenzialmente avere conseguenze umanitarie”, dichiara il portavoce di Kallas, Anouar el Anouni. In questa prima fase di sei settimane, insieme al rilascio di una parte degli ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, Tel Aviv ha garantito l’ingresso nell’enclave di un maggiore flusso di aiuti umanitari, necessari per assistere una popolazione a cui per diversi tratti del conflitto sono stati negati anche i bisogni primari.L’accordo dello scorso 15 gennaio prevedeva poi il passaggio ad una seconda fase in cui Hamas avrebbe dovuto concludere la liberazione di tutti gli ostaggi ancora in vita e le truppe israeliane il completo ritiro dalla Striscia di Gaza. Ma i dettagli di questa delicata fase, si era detto a Doha, avrebbero potuto essere soggetti a ulteriori negoziati durante la prima fase. Nelle ultime settimane, di fronte alle provocazioni della nuova amministrazione americana, all’intensificarsi delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e ad alcuni episodi di potenziali attentati nelle città israeliane, le trattative sono naufragate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)In sostanza, Tel Aviv ha appoggiato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti nominato da Trump, Steve Witkoff, per estendere la prima fase del cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, e continuare così a rilasciare gli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza. Una bozza di nuovo accordo che Hamas ha invece declinato. Tel Aviv nega di aver violato i termini dell’accordo di gennaio, che prevedeva appunto ulteriori negoziazioni e addirittura che Israele potesse tornare a combattere dopo il 42esimo giorno “se ha l’impressione che i negoziati siano stati inefficaci”.Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, ong con sede a Ginevra, durante le sei settimane di tregua l’esercito israeliano avrebbe ucciso almeno 115 civili a Gaza. Netanyahu però ha accusato Hamas di aver violato “ripetutamente” i termini del cessate il fuoco, in particolare su tempistiche e modalità del rilascio degli ostaggi del 7 ottobre. Alla riunione del consiglio dei ministri convocata per discutere i nuovi sviluppi, Netanyahu ha dichiarato: “Non ci saranno più pranzi gratis. Se Hamas pensa che sarà possibile continuare il cessate il fuoco o beneficiare dei termini della prima fase, senza che noi riceviamo ostaggi, si sbaglia di grosso”.Una famiglia palestinese prepara la colazione prima del digiuno imposto dal Ramadan al campo profughi di Bureij nella Striscia di Gaza, 1/3/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)In una nota, il gabinetto del premier ha precisato che Israele “cesserà ogni ingresso di merci e rifornimenti nella Striscia di Gaza“. Nella giornata di ieri, il portavoce di Netanyahu, Omer Dostri, ha confermato: “Nessun camion è entrato a Gaza questa mattina, né lo farà in questa fase”. Si tratta di uno dei capi d’accusa con cui la Corte Penale Internazionale ha già emesso un mandato d’arresto contro il premier israeliano e l’ex ministro della Difesa, Noav Gallant: i due sono già ritenuti responsabili di aver affamato la popolazione civile palestinese come metodo di guerra, di aver causato intenzionalmente “grandi sofferenze, gravi lesioni al corpo o alla salute o trattamenti crudeli”, di “dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile“.L’Egitto e il Qatar, che insieme agli Stati Uniti sono i principali mediatori tra il governo di Netanyahu e Hamas, hanno accusato Israele di violare l’accordo raggiunto faticosamente a gennaio. Il ministero degli Esteri del Cairo ha affermato che Israele usa la fame “come arma contro il popolo palestinese”, mentre Doha ha aggiunto:  “Il Qatar condanna fermamente la decisione del governo di occupazione israeliano di interrompere l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la considera una palese violazione dell’accordo di cessate il fuoco (e) del diritto internazionale umanitario“.Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto che “gli aiuti umanitari tornino immediatamente a Gaza”, mentre il sottosegretario dell’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari, Tom Fletcher, ha descritto la mossa come “allarmante”. Di fronte alla palese violazione del diritto umanitario da parte di Netanyahu – tralasciando il rispetto dei termini del cessate il fuoco da entrambe le parti – la nota del capo della diplomazia europea appare quanto meno debole, se non accondiscendente nei confronti di Tel Aviv. Oltre alla condanna ad Hamas per non aver accettato la proroga della prima fase, l’Ue “ribadisce la richiesta di un accesso completo, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari su larga scala per i palestinesi bisognosi”. Ma non c’è alcun accenno alla gravità estrema della decisione presa come rappresaglia su tutta una popolazione civile da parte di un governo democratico alleato.

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    Il cessate il fuoco a Gaza sembra sul punto di saltare

    Bruxelles – Sembra già scricchiolare il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Tra piani surreali di deportazioni di massa e ostaggi che non vengono rilasciati, si moltiplicano i dubbi sulla capacità (o la volontà) di entrambe le parti coinvolte di tenere fede ai termini dell’accordo che ha posto temporaneamente fine a più di un anno di devastazione nell’enclave palestinese controllata da Hamas. Mentre Tel Aviv minaccia di riprendere le ostilità, a Gerusalemme Est la polizia israeliana fa irruzione nelle librerie, innescando le condanne degli eurodeputati.La fragilità della treguaNon è passato neanche un mese dalla stipula dello storico cessate il fuoco in tre fasi, siglato lo scorso 15 gennaio tra Israele e Hamas ed entrato in vigore quattro giorni dopo, che ha permesso la sospensione delle ostilità a Gaza – dove durava da oltre 15 mesi la sanguinosa offensiva scatenata da Tel Aviv in risposta agli attacchi del 7 ottobre 2023 – che già comincia a traballare pericolosamente.Ieri (10 febbraio) il gruppo militante palestinese ha annunciato l’intenzione di ritardare a tempo indeterminato il rilascio degli ostaggi israeliani ancora vivi, citando “violazioni” dell’accordo da parte dello Stato ebraico. Hamas si è dichiarato disponibile a proseguire con il prossimo scambio tra ostaggi e prigionieri, previsto per sabato (15 febbraio), e sostiene che l’annuncio di ieri serviva per mettere pressione su Tel Aviv “affinché adempia ai suoi obblighi”.אם חמאס לא יחזיר את חטופינו עד שבת בצהריים – הפסקת האש תיפסק, וצה”ל יחזור ללחימה עצימה עד להכרעה סופית של החמאס pic.twitter.com/4Cx30kHGvN— Benjamin Netanyahu – בנימין נתניהו (@netanyahu) February 11, 2025Per tutta risposta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sul cui capo pende un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale) ha ammonito oggi che, se gli ostaggi non saranno rilasciati entro sabato a mezzogiorno, “il cessate il fuoco finirà e l’Idf (l’esercito israeliano, ndr) riprenderà i combattimenti pesanti finché Hamas non verrà sconfitto”.Già ieri il titolare della Difesa Israel Katz aveva messo “in massima allerta” le forze armate con l’ordine di prepararsi a “qualunque scenario a Gaza”, mentre il responsabile delle Finanze Bezalel Smotrich ha ripetutamente minacciato di staccare la spina al governo di coalizione se la guerra non riprenderà dopo la restituzione degli ostaggi.Il ruolo di TrumpDel resto, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca le posizioni di Washington sulla crisi in corso nel Levante si sono nettamente irrigidite – basti pensare al surreale piano di trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”, in quella che è suonata come l’invocazione di una vera e propria pulizia etnica – e a Bibi non sembra vero di poter contare su un tale livello di intransigenza da parte dell’onnipotente alleato a stelle e strisce.Giusto ieri, Trump ha esplicitamente rifiutato di riconoscere a quasi 2 milioni di profughi gazawi il diritto di tornare sulla propria terra, suggerendo al contrario di deportarli permanentemente in Egitto e Giordania, mentre gli Stati Uniti prenderebbero il controllo della Striscia per costruirci la Las Vegas del Mediterraneo.Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto: Imagoeconomica)Sabotaggio dei negoziati?Anche per questo, Hamas ritiene poco credibile l’impegno di Washington nel garantire il rispetto del cessate il fuoco da parte di Tel Aviv, a sua volta sospettata di non avere realmente intenzione di attuare il piano concordato faticosamente in sede negoziale. Gli stessi mediatori qatarioti stanno suonando l’allarme da giorni circa il pericolo che salti il banco a causa della retorica incendiaria di Netanyahu e dell’approccio eccessivamente muscolare adottato dalla delegazione israeliana nel concordare i dettagli della seconda fase (che dovrebbe prevedere la restituzione di tutti gli ostaggi ancora in vita e il ritiro completo dell’Idf da Gaza).Abu Obeida, portavoce del gruppo militante, ha accusato lo Stato ebraico di ostacolare il ritorno dei palestinesi nel nord della Striscia, di bloccare l’arrivo degli aiuti umanitari e di attaccare indiscriminatamente i civili. Non saranno rilasciati altri ostaggi finché Israele “non si adeguerà e non compenserà le scorse settimane”, ha dichiarato.Una lettura, quella del sabotaggio volontario da parte di Bibi, condivisa anche da alcuni tra i parenti degli ostaggi stessi: “La deliberata procrastinazione e le inutili dichiarazioni provocatorie di Netanyahu hanno interrotto l’attuazione dell’accordo“, sostiene Einav Zangauker, madre di un giovane ancora in prigionia. In base agli accordi, durante la prima fase del cessate il fuoco Hamas dovrebbe restituire 33 ostaggi. Di questi, 16 sono già stati liberati e otto sarebbero deceduti.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Charly Triballeau/Afp)Il raid a Gerusalemme EstE non va certo nella direzione di una distensione dei rapporti il raid, compiuto domenica (9 febbraio) dalle forze di polizia israeliane nella libreria palestinese Educational bookshop a Gerusalemme Est, con tanto di distruzione della merce in vendita, sequestro di un numero imprecisato di libri perché potenzialmente “inneggianti al terrorismo” e arresto del titolare Mahmoud Muna e del nipote Ahmed, infine rilasciati oggi pomeriggio.“Un fatto di emblematica gravità“, hanno commentato alcuni eurodeputati Pd (Lucia Annunziata, Annalisa Corrado, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada e Marco Tarquinio). “La distruzione dei libri evoca inevitabilmente episodi simili di un’inaccettabile storia del passato“, prosegue il comunicato dei dem in riferimento ai roghi di libri nel Terzo Reich, per sottolineare ancora che si tratta di “un’azione incredibile”, come ne avvengono solo negli “Stati fascisti”.

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    “Gaza parte essenziale del futuro stato palestinese”. L’Ue, alla fine, risponde a Trump

    Bruxelles – “Gaza è una parte essenziale di un futuro stato palestinese“. Alla fine la Commissione europea si esprime pubblicamente. E’ Anouar El Anouni, portavoce della Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, a chiarire la linea e rispondere alle provocazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, deciso a calpestare decenni di faticosi processi di una pace in Medio Oriente che l’Ue vuole. “L’Ue sostiene pienamente la soluzione dei due stati, che riteniamo sia l’unico modo per raggiungere una pace sostenibile sia per gli israeliani che per i palestinesi”, aggiunge il portavoce di Kaja Kallas.La risposta però è tardiva. La Commissione europea impiega qualcosa come 36 ore per commentare le uscite di Trump. Alle parole riecheggiate in Europa nella mattina di mercoledì, 5 febbraio, la prima replica ufficiale e pubblica è affidata a un portavoce poco dopo le 12 del giorno dopo, giovedì 6 febbraio. Una ‘calma’ che offre la riprova dell’incapacità ad agire sui grandi temi e tradendo una volta di più le aspirazioni geopolitiche morte e sepolte comunque da anni.Anouar El Anouni, portavoce dell’Alta rappresentante Ue [Bruxelles, 6 febbraio 2025]Nel frenetico attivismo delle alte sfere Ue, sempre pronte a commentare qualunque cosa e sempre smaniose di apparire, comparire e presenziare, sui mezzi d’informazione e ancor più sui social, si nota l’assenza di commenti da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, incapaci anche di esprimersi sulla volontà dichiarata di Trump di spostare la popolazione di Gaza.La questione è grossa. In Parlamento europeo non mancano malumori tra le file dei gruppi che hanno stretto alleanza con il Ppe. Si vede in von der Leyen e nella sua Commissione “assenza di leadership”. Così riferiscono fonti parlamentari. Prima della ‘questione Gaza’ si imputava all’esecutivo comunitario la mancata reazione all’imperversare di Elon Musk e le sue ingerenze nelle questioni dell’Unione europea tramite il suo social X. Adesso si aggiunge una reazione tardiva sulla questione arabo-israeliana, con la Commissione che, parole del portavoce El Anouni, “prende nota delle dichiarazioni del presidente Trump”. Non proprio una figura delle migliori per chi vorrebbe un ruolo di peso nel mondo e una politica estera europea.

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    Trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”. Il piano shock che Trump ha esposto a Netanyahu

    Bruxelles – Donald Trump vuole mettere le mani su Gaza e trasformarla nella “Riviera del Medio Oriente”. In una conferenza stampa alla Casa Bianca con il primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu (su cui pende un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale), il presidente degli Stati Uniti ha esposto un piano che ha tutti i contorni di una vera e propria pulizia etnica. Acclamato immediatamente dall’élite politica israeliana, respinto dai principali alleati di Washington e dai suoi più importanti rivali, Russia e Cina. Da Bruxelles invece, per ora, non trapela nulla.Sono ripresi da pochissimo i negoziati tra Israele e Hamas per limare i dettagli della seconda fase della tregua, che dovrebbe portare alla liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e al ritiro completo dell’esercito di Tel Aviv dalla Striscia, ma già il presidente americano rimescola le carte. E l’idea – finora – piace soltanto a Israele. Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti “prenderanno il controllo” della Striscia di Gaza: “Ne saremo proprietari e saremo responsabili dello smantellamento di tutte le pericolose bombe inesplose e di altre armi presenti sul posto”, ha affermato ai cronisti, aggiungendo inoltre che Washington “spianerà” gli edifici distrutti e “creerà uno sviluppo economico che fornirà un numero illimitato di posti di lavoro e di alloggi per la popolazione dell’area”.Di quale popolazione parla Trump non è dato sapere, ma sicuramente non i gazawi: Trump ha affermato che i quasi 2 milioni di palestinesi di Gaza dovrebbero trasferirsi nei Paesi vicini con “cuori umanitari” e “grandi ricchezze”. Ma né la Giordania, né l’Egitto, né tanto meno le monarchie del Golfo hanno mai aperto all’accoglienza della popolazione palestinese di Gaza. Nello scioccante piano della Casa Bianca, da “simbolo di morte e distruzione” la Striscia di Gaza diventerebbe una “Riviera del Medio Oriente”, dove “la gente del mondo” potrebbe andare a vivere.Sfollati palestinesi nella spiaggia di Deir el-Balah, nel centro della Striscia di Gaza (Photo by AFP) Il tycoon newyorkese non ha escluso l’invio di truppe statunitensi per mettere in sicurezza l’enclave palestinese. “Per quanto riguarda Gaza, faremo ciò che è necessario. Se sarà necessario, lo faremo”, ha risposto ad un cronista. Trump ha inoltre annunciato che il prossimo mese prenderà una posizione sulla sovranità israeliana sulla Cisgiordania, aggiungendo che intende visitare la Striscia di Gaza, Israele e l’Arabia Saudita. Il supporto al trasferimento forzato degli abitanti dall’enclave palestinese e l’eventuale riconoscimento dei territori israeliani occupati nella West Bank costituirebbero un drastico cambiamento nell’approccio che Washington – seppur strettissimo alleato di Israele – ha tenuto per decenni. Quello del sostegno per la soluzione dei due Stati, secondo i confini tracciati dalla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e con Gerusalemme Est capitale dello Stato di Palestina. Trump ha smentito in modo confuso: “Non significa nulla riguardo a due Stati o a uno Stato o a qualsiasi altro Stato. Significa che vogliamo dare alle persone una possibilità di vita, che non hanno mai avuto perché la Striscia di Gaza è stata un inferno per le persone che vi abitano”.Dalla Cina all’Egitto, il “sud del mondo” respinge il piano di TrumpPer quanto Trump abbia sostenuto che “tutti quelli con cui ho parlato amano l’idea che gli Stati Uniti possiedano quel pezzo di terra”, le reazioni alla proposta dell’uomo a capo dell’esercito più potente del mondo sembrano di tutt’altro tenore. A partire da Hamas, che l’ha definito “ridicolo”: il portavoce Sami Abu Zuhri ha dichiarato che “la nostra gente nella Striscia di Gaza non permetterà che questi piani vengano approvati”, ribadendo che “ciò che è richiesto è porre fine all’occupazione e all’aggressione contro la nostra gente, non espellerla dalla sua terra”.Il governo saudita, in una dichiarazione, ha minacciato che non ci sarà alcuna normalizzazione delle relazioni con Israele senza la creazione di uno Stato palestinese indipendente. L’Arabia saudita ha respinto “qualsiasi tentativo di sfollare i palestinesi dalla loro terra”. Il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, dopo aver discusso con il premier dell’Autorità palestinese, Mohamed Mostafa, ha sottolineato la necessità che “i palestinesi rimangano a Gaza, visto il loro fermo attaccamento alla loro patria e il rifiuto di abbandonarla”.Per la Turchia il piano è “inaccettabile”: il ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan, ha ricordato a Trump che “la guerra è iniziata proprio per questo motivo: la sottrazione di terra ai palestinesi” e assicurato che “non c’è nessuno spiraglio per una discussione su questo tema”. Contrari al trasferimento forzato dei palestinesi anche la Cina, che “ha sempre sostenuto che il dominio dei palestinesi sui palestinesi è il principio di base della governance post-bellica di Gaza”, e la Russia, secondo cui  “la soluzione in Medio Oriente può avvenire solo sulla base della presenza di due Stati”.L’Ue rimane in silenzio. Francia, Germania e Regno Unito: “Gaza è dei palestinesi”Se dalle istituzioni europee non trapela nulla, dalle capitali cominciano ad arrivare reazioni preoccupate. Il ministro degli Esteri del Regno Unito, David Lammy, ha dichiarato da Kiev che Londra rimane convinta che i palestinesi debbano “vivere e prosperare nelle loro terre d’origine a Gaza e in Cisgiordania”, mentre per Parigi l’avvenire di Gaza passa per “un futuro stato palestinese” e non dal controllo “di un paese terzo”. Il Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri francese, ha ribadito “la sua contrarietà a qualsiasi trasferimento forzato della popolazione palestinese di Gaza, che rappresenterebbe una violazione grave del diritto internazionale, un attacco alle aspirazioni legittime dei palestinesi, ma anche un forte ostacolo alla soluzione a due stati e un fattore di destabilizzazione per i nostri partner vicini che sono l’Egitto e la Giordania, oltre che l’insieme della regione”.Perfino Annalena Baerbock, la ministra degli Esteri tedesca che qualche mese fa aveva dichiarato che la popolazione civile “perde il proprio status di protezione” quando è utilizzata come scudo umano, si è opposta con fermezza: “È chiaro che Gaza, come la Cisgiordania e Gerusalemme est, appartiene ai palestinesi. Esse costituiscono la base per un futuro stato palestinese”, ha affermato. Il vicepremier italiano, Antonio Tajani, ha sottolineato il no di Giordania ed Egitto che rendono “un po’ difficile” il piano di Trump. Ben più duro il capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo, Nicola Zingaretti, che ha definito la “folle proposta” di Trump “un insulto alla pace e ai diritti del popolo palestinese”.Dall’estrema destra all’opposizione, Israele con TrumpDa Netanyahu, agli esponenti dell’estrema destra sionista, al leader dell’opposizione israeliana Benny Gantz, Israele ha invece applaudito il piano di trasformazione della Striscia di Gaza suggerito da Trump. Un piano che “potrebbe cambiare la storia”, ha affermato il premier israeliano durante la conferenza stampa congiunta a Washington, definendo Trump “il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca” ed elogiandolo per aver “pensato fuori dagli schemi con idee nuove”. Netanyahu ha inoltre ringraziato l’amministrazione americana per aver interrotto i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi (Unrwa).Il piano di Trump rinvigorisce i leader dell’estrema destra. Itamar Ben-Gvir, ex ministro per la Sicurezza nazionale che si è dimesso dopo la firma della tregua con Hamas, ha rivendicato la paternità del piano e affermato che questa “è l’unica soluzione al problema di Gaza”, mentre Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, ha promesso che farà di tutto per “seppellire definitivamente” l’idea di uno Stato palestinese. Il piano è piaciuto anche al leader del partito di opposizione israeliano Unita’ nazionale, Benny Gantz, che ha elogiato le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti definendole “creative, originali e interessanti”.