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    L’Unione Europea lavora a nuove misure contro il caro energia

    Bruxelles – La Commissione europea sta valutando se e come rafforzare la risposta europea al rialzo dei prezzi dell’energia, questa volta in maniera più strutturale. Secondo la sua ultima agenda provvisoria (che è sempre suscettibile a modifiche dell’ultima ora) dovrebbe presentare il 2 marzo una nuova comunicazione sull’energia per fare un punto della situazione e valutare se le misure pubblicate a sostegno degli Stati il 13 ottobre scorso possano essere ulteriormente rafforzate, potendo contare questa volta sulla valutazione del mercato energetico dell’UE dell’Agenzi per la cooperazione tra i regolatori dell’energia (ACER).
    Sono almeno 23 gli Stati membri che da ottobre hanno adottato misure per proteggere le famiglie e le imprese dai prezzi elevati di gas ed elettricità, mobilitando già oltre 21 miliardi di euro per circa 70 milioni di persone e di diversi milioni di imprese. Il pacchetto di linee guida mobilitato da Bruxelles è però solo una risposta a breve termine all’aumento eccezionale dei prezzi dell’energia, a dicembre il prezzo del gas all’ingrosso ha toccato il picco di 180 euro/MWh, poi sceso grazie a un aumento delle consegne di GNL (Gas naturale liquefatto) e condizioni climatiche più miti. Secondo diversi Paesi membri è un problema che va affrontato in maniera più strutturale vista anche l’incertezza che domina i rapporti dell’UE con la Russia, da cui dipende buona parte del gas in arrivo nel continente europeo.
    Nella sua iniziativa per decarbonizzare il mercato del gas pubblicata a dicembre, la Commissione ha messo sul tavolo la proposta di uno stoccaggio comune e di una riserva strategica di gas, come chiedevano diversi Stati membri tra cui l’Italia e la Spagna. La Commissione ha inoltre chiesto all’ACER di preparare un rapporto che analizza il funzionamento del mercato europeo dell’energia: studiare i benefici e gli svantaggi dell’attuale mercato potrebbe portare l’ACER a inviare a Bruxelles eventuali raccomandazioni e una delle opzioni possibili (richiesta da alcuni governi e mai esclusa dalla stessa presidente Ursula von der Leyen) potrebbe essere il disaccoppiamento dei prezzi di gas ed elettricità, in modo che non sia influenzati a vicenda.
    Lavorare sul piano interno non basta. La crisi energetica in cui si ritrova l’UE è in parte dovuta alla forte dipendenza dell’UE dalle fonti fossili e soprattutto da Paesi terzi, la Russia in primis. Bruxelles è preoccupata che un’ulteriore escalation di tensione in Ucraina possa abbattersi su ulteriori tagli alle forniture per l’Europa. Parlando in commissione parlamentare per l’Industria, la commissaria all’Energia Kadri Simson ha rivelato questa settimana che “i depositi di gas della (compagnia energetica russa) Gazprom in Europa sono pieni solo al 16 per cento”. E questo è uno dei motivi per cui il livello di stoccaggio del gas nell’UE “è in costante diminuzione”, si attesta a circa il 40 percento, ovvero il 10 per cento in meno rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti.
    L’UE sta già indagando sul comportamento sul mercato di Gazprom per comprendere la portata della pressione della Russia nella crisi energetica in corso: Mosca rispetta gli impegni di fornitura a lungo termine, ma ha rinunciato a rispondere alle richieste di ulteriori forniture da parte dei Paesi UE. Per questo, parallelamente, l’UE è alla ricerca di fonti alternative alla Russia per l’approvvigionamento e la fornitura di gas, in particolare di gas naturale liquefatto (GNL) che ha vantaggi sia dal punto di vista del trasporto sia di impatto ambientale. “La riduzione delle forniture di gas russo è in parte stata compensata dalle forniture di GNL” in Europa, ha chiarito Simson agli eurodeputati. Dopo aver cercato di rilanciare le discussioni con il Qatar, oggi la commissaria europea è a Baku, in Azerbaigian, per partecipare all’ottava riunione ministeriale del Consiglio consultivo del corridoio meridionale del gas. Un’occasione per “riaffermare il partenariato energetico strategico tra l’Unione Europea e l’Azerbaigian” ma anche per discutere nuove prospettive per rafforzarne le forniture all’Europa.

    Very good in depth discussion on #energy co-operation with @ParvizShahbazov, the Energy Minister of 🇦🇿
    We agreed to step-up our partnership, both in the gas sector, but also in the field of #renewables. pic.twitter.com/nOWPtxeguF
    — Kadri Simson (@KadriSimson) February 4, 2022

    La prossima settimana sarà la volta del Consiglio per l’energia UE-USA, che si terrà il 7 febbraio a Washington. Simson volerà oltreoceano per ringraziare il presidente statunitense Joe Biden per l’aumento di forniture di GNL all’Europa in questi tempi di crisi. L’intera Commissione Europea si sta muovendo velocemente sulla scena internazionale per arrivare prima dell’estate con una nuova strategia per un dialogo internazionale sull’energia, che Bruxelles punta a pubblicare (presumibilmente a maggio) per sostenere gli Stati membri nei loro contatti internazionali per le forniture energetiche che non siano con la Russia. In questo contesto preparatorio, Bruxelles sta lavorando contemporaneamente per un nuovo “partenariato multisettoriale” con i Paesi del Golfo Persico (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Oman, Qatar) che sono i principali fornitori internazionali di idrocarburi, i componenti essenziali del petrolio greggio, dei gas naturali e di altri combustibili. L’iniziativa è tesa “a vedere con occhi nuovi le relazioni tra l’UE e il Golfo” sostiene Bruxelles, soprattutto sul piano della sicurezza energetica dell’UE.

    La Commissione deciderà a marzo su possibili nuove misure per rafforzare la sua “cassetta degli attrezzi” per orientare gli Stati membri, mentre rafforza il dialogo con i partner internazionali, compresi i Paesi del Golfo, per ridurre la sua dipendenza dal gas russo

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    Soldati russi in Kazakistan per aiutare il regime a reprimere le proteste. L’UE temporeggia (e fa male)

    Bruxelles – In Kazakistan sono stati paracadutati i soldati russi dell’alleanza militare guidata da Mosca per aiutare il regime a reprimere le proteste in corso da sabato scorso (1 gennaio) e per l’UE è una notizia tutt’altro che rassicurante. Non lo è sotto due aspetti: per prima cosa, il caso dell’Ucraina dovrebbe aver dimostrato che quando la Russia invia soldati in un Paese confinante è per rispondere a mire egemoniche e territoriali. Ma soprattutto perché il Kazakistan rappresenta un attore geopolitico chiave sul piano energetico e in particolare per i piani (divisivi) di transizione verde dell’UE: non solo per l’estrazione di gas naturale – risorsa fondamentale nel pieno della crisi energetica globale – ma anche per le aspirazioni sul nucleare della Commissione Europea e di parte degli Stati membri. Senza dimenticare l‘accordo rafforzato di partenariato e cooperazione UE-Kazakistan, che fa di quella kazaka la repubblica ex sovietica con cui il blocco dei Ventisette vanta relazioni approfondite.
    Insomma, l’UE rischia di perdere il Kazakistan. Avrebbe tutti gli interessi per alzare la voce sul coinvolgimento russo nel Paese, ma al momento temporeggia. “Prendiamo nota della richiesta di assistenza al Trattato di Sicurezza Collettiva per un periodo di tempo limitato e per stabilizzare la situazione. Questo intervento deve rispettare la sovranità del Paese“, ha commentato oggi (giovedì 6 gennaio) la portavoce della Commissione UE, Nabila Massrali, durante il punto quotidiano con la stampa. “Continuiamo a seguire la situazione delicata in corso in Kazakistan, l’Unione Europea è pronta a sostenere il dialogo per arrivare a una risoluzione pacifica della situazione”.
    Proteste ad Almaty, Kazakistan
    L’UE monitora la situazione, ma intanto il Cremlino si è attivato attraverso l’alleanza composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. L’obiettivo è quello di sostenere il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev a riprendere il controllo del Paese, dopo l’ondata di violenze che ha travolto Almaty, la città più grande del Kazakistan, e la capitale Nur-Sultan (Astana, fino a marzo 2019). A scatenare il disordine è stata la decisione del governo di eliminare il limite massimo al prezzo del GPL, facendo lievitare i prezzi del carburante. Ad Almaty si stanno riunendo da giorni migliaia di manifestanti, con duri scontri con le forze dell’ordine: ieri (mercoledì 5 gennaio) è stata assaltata la sede del governo locale.
    La risposta del presidente Tokayev è stata particolarmente dura. Dopo aver sciolto l’esecutivo, ha dichiarato lo stato di emergenza – che prevede coprifuoco e limitazioni di libertà di assemblea – ha ordinato alle forze di sicurezza di reprimere proteste “nel modo più duro possibile”, ha bloccato l’accesso a Internet su tutto il territorio nazionale e infine ha assunto personalmente la guida del Consiglio di Sicurezza, (l’organo che si occupa di questioni militari e di sicurezza), togliendola a Nursultan Nazarbayev, l’ex-presidente kazako dal 1990 al 2019. Come gesto estremo ha invocato l’aiuto del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) contro le “azioni di terroristi e banditi”, subito approvato dall’alleanza e a cui ha dato una risposta sul campo la Russia di Vladimir Putin.
    A far temere interessi che vanno aldilà della solidarietà dell’alleanza in Asia centrale è la concomitanza di eventi con la crisi a un’altra frontiera della Russia, quella ucraina. A causa di un possibile intervento di Mosca nel Paese, l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è recato sulla frontiera orientale dell’Ucraina per ribadire il sostegno di Bruxelles alla sovranità dell’Ucraina, e anche l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si è mobilitata: per domani è previsto un vertice straordinario dei ministri degli Esteri NATO e mercoledì prossimo (12 gennaio) si terrà la riunione del Consiglio NATO-Russia.
    Il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev
    Mosca si muove su diversi scenari strategici e sembra essere preoccupata dall’incapacità del presidente kazako di tenere sotto controllo le proteste in un Paese alleato a livello militare ed economico (partner dell’Unione eurasiatica, con Bielorussia, Armenia e Kirghizistan), che dal crollo del regime sovietico non ha praticamente mai assistito a forme di dissenso organizzato di dimensioni rilevanti. Se l’ondata di violenze è scattata a causa dell’aumento dei prezzi del gas, è facile comprendere che si tratta solo dell’ultima goccia in un vaso ormai colmo dopo tre decenni di autoritarismo: come riportano fonti di The Guardian, i manifestanti chiedono riforme politiche, elezioni libere ed eque, opportunità di lavoro, migliori condizioni di vita e la fine del regime nepotista e corrotto. La stabilità politica che ha conosciuto il Kazakistan dal 1990 a oggi è stata frutto di un dominio incontrastato dell’ex presidente Nazarbayev (leader post-sovietico più longevo, a cui è stato dedicato il nuovo nome della capitale), che solo dal 2019 ha iniziato a passare il testimone del potere ai suoi uomini più fidati.
    Un ultimo parallelismo che si può facilmente delineare – e che ancora una volta coinvolge le mire egemoniche russe – è quello con la Bielorussia di Alexander Lukashenko. Anche in questo caso l’ultimo dittatore d’Europa è ininterrottamente al potere da decenni (dal 1995) e da agosto del 2020 sta reprimendo nel sangue le proteste dell’opposizione, grazie al sostegno militare e finanziario del Cremlino. Se in entrambi i Paesi le proteste sono scoppiate in modo dirompente dopo anni di autoritarismo e con rivendicazioni di diritti civili e politici, il Kazakistan presenta però alcune differenze che rischiano di far naufragare le speranze di democrazia.
    Prima di tutto la violenza delle proteste (mai verificatasi in Bielorussia) ha dato una scusa alla Russia per intervenire in modo formale, attraverso l’attivazione di una clausola dell’alleanza. In secondo luogo, l’eliminazione sistematica di qualsiasi astro nascente dell’opposizione ha lasciato il movimento di protesta privo di figure carismatiche attorno alle quali unirsi. L’opposizione bielorussa invece ha sempre potuto contare sulla voce forte e ascoltata a livello internazionale della presidente riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, che in queste ore ha preso posizione sulla questione kazaka: “L’invio di truppe è un’ingerenza militare negli affari di un altro Stato e Lukashenko non ha nessun mandato per inviare truppe bielorusse”.
    Infine, a differenza del caso bielorusso, nei confronti del Kazakistan l’UE sta mantenendo un atteggiamento attendista. “Pur riconoscendo il diritto a manifestazioni pacifiche, l’Unione Europea si aspetta che esse rimangano non violente ed evitino qualsiasi incitamento alla violenza”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Intanto però non viene rispettata quella richiesta di “proporzionalità nell’uso della forza” da parte delle autorità kazake e la Russia muove le proprie pedine nell’area centro-asiatica. Mentre i leader europei dovranno trovare una linea comune con la NATO sulla situazione sul confine ucraino e non dimenticare il sostegno all’opposizione bielorussa, per l’UE è già tempo di ragionare su come affrontare le ingerenze russe in Kazakistan, se non vuole già dire addio a una parte dei propri piani sulla transizione verde.

    Belarus troops deployed to 🇰🇿 participate in an armed intervention into internal affairs of a sovereign state. Lukashenka lost legitimacy & has no mandate to make such decisions, especially when they threaten the sovereignty of Belarus itself. We call for dialogue in 🇰🇿. pic.twitter.com/MelHdjID7f
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 6, 2022

    Si tratta di una nuova fonte di preoccupazione per Bruxelles, dopo la crisi in Ucraina: il Kazakistan è un attore geopolitico fondamentale per la transizione verde dell’UE, sia per il gas sia per il nucleare

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    Lukashenko minaccia l’UE: “Niente sanzioni oppure stop al gas”

    Bruxelles – “Noi riscaldiamo l’Europa e ora loro ci minacciano con la chiusura del confine. Cosa accadrebbe se bloccassimo il transito di gas naturale?”.  Aljaksandr Lukashneko torna ad attaccare l’UE in merito alla crisi dei migranti che in questi giorni ha scaldato la frontiera tra Polonia e Bielorussia.
    La minaccia del presidente bielorusso segue le notizie sul quinto pacchetto di sanzioni – ora confermate da fonti della Commissione europea – che i Paesi UE stanno discutendo. La Commissione ha ribadito che “le sanzioni sono solo uno degli strumenti che l’Unione ha a disposizione” e che una decisione in merito da parte degli Stati membri arriverà a breve.
    Non si conoscono con certezza i settori che potrebbero essere colpiti da eventuali sanzioni. Per il momento è possibile che ad essere interessate saranno quelle compagnie aeree colpevoli di trasportare illegalmente migranti dal Medio Oriente alla Bielorussia, dove vengono utilizzati per mettere sotto pressione le frontiere polacche e lituane. Anche in questo caso la Commissione non si è ancora espressa ma ha confermato di essere in contatto con le principali compagnie aeree per portare avanti delle indagini.
    Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, ha risposto che “non dovremmo sentirci intimiditi dalle minacce della Bielorussia”. Posizione ribadita dalla Commissione, che giudica il taglio alla fornitura di gas come “uno scenario estremamente ipotetico”, che “danneggerebbe in primis la Bielorussia”.
    Lukashenko minaccia l’UE, ma gli serve il permesso di Putin
    Il gas che attraversa il Paese per arrivare in Polonia, e da lì arriva in Europa, scorre attraverso il gasdotto Yamal che nel suo tratto bielorusso è di esclusiva competenza di Gazprom – la controllata statale russa. Anche la materia prima proviene esclusivamente dalla Federazione, che lo estrae principalmente nel mare di Kara.
    Interrompere le forniture significherebbe, come riferito dalla Commissione, “danneggiare i fornitori” e dunque la Russia, unico alleato di Lukashenko e partner insostituibile per preservare la stabilità del regime bielorusso.
    Per tagliare l’approvvigionamento di gas, Minsk dovrebbe innanzitutto avere il via libera da Mosca. Il consenso del Cremlino, tuttavia, trascinerebbe la Russia in una vicenda a cui vorrebbe rimanere estranea (almeno a livello ufficiale) – posizione che il presidente Vladimir Putin ha fatto intendere anche durante una recente telefonata con Angela Merkel.

    Il Presidente della Bielorussia risponde all’Unione europea, che in questi giorni pensa all’emissione di un quinto pacchetto di sanzioni contro il governo di Minsk per l’utilizzo come arma dei migranti. Adesso Lukashenko minaccia di interrompere il flusso dei gasdotti russi che, passando attraverso il Paese, riscaldano gli Stati europei

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    Norvegia al voto: la scelta tra transizione green e sicurezza economica

    Bruxelles – Si chiudono oggi 13 settembre alle 21 le urne in Norvegia per il rinnovo dello Storting, il Parlamento unicamerale del Paese. La primo ministro Erna Solberg, in carica dal 2013 e leader del partito di centro-destra Høyre, rischia di non essere riconfermata, in un’elezione che si gioca principalmente sul tema della transizione ecologica.
    Il dibattito elettorale
    Come negli altri Stati scandinavi, in Norvegia la questione ambientale è particolarmente sentita dalla popolazione: il 95 per cento dell’energia viene prodotto con l’idroelettrico e 7 automobili vendute su 10 sono elettriche. Tuttavia l’economia del Paese si basa quasi interamente sull’esportazione di petrolio e gas naturale, di cui è il maggior produttore dell’Europa Occidentale. Il settore dei combustibili fossili impiega oltre 200mila persone, più del 7 per cento della forza lavoro nazionale. Come gestire la futura transizione ecologica è dunque il maggior punto di divisione tra le forze politiche, con i conservatori di Høyre che sono fortemente contrari a uno stop all’esplorazione e alla produzione di idrocarburi, preoccupati per le ricadute economiche e occupazionali. Su posizioni simili il centro-sinistra laburista e i centristi di SP, oltre che la destra populista di FrP. Al contrario, tutti i partiti di sinistra a partire dai Verdi premono per uno stop immediato all’esplorazione e per la fine della produzione di combustibili fossili entro i prossimi 15-20 anni.
    Altro tema divisivo sono i rapporti con l’Unione Europea. Oslo non è membro dell’UE, ma aderisce a Schengen e allo Spazio Economico Europeo (SEE). Laburisti e Høyre sono favorevoli all’appartenenza del Paese alla SEE, mentre la sinistra e i centristi sono più euroscettici. In particolare, il carismatico leader di SP Trygve Slagsvold Vedum si è battuto affinché il comparto della regolamentazione del settore energetico torni ad essere interamente nelle mani del governo norvegese.
    Sondaggi e prospettive
    I sondaggi vedono in prima posizione il partito laburista (AP), con un consenso stimato intorno al 24 per cento. Il suo leader Jonas Gahr Støre, già ministro degli Esteri tra il 2005 e il 2012, è dunque il favorito per diventare il prossimo capo del governo. Al contrario, in caso di vittoria del centrodestra Erna Solberg (soprannominata “Iron Erna” per via della sua ammirazione per Margaret Thatcher) diventerebbe la prima premier della storia norvegese ad essere eletta per tre mandati consecutivi. Tuttavia, le rilevazioni non le sorridono. Nonostante una buona popolarità personale, il suo partito Høyre sarebbe inchiodato al 19 per cento dei consensi. A complicare la situazione, il rischio che gli alleati liberali di Venstre e cristiano-democratici di KrF non superino la soglia di sbarramento fissata al 4 per cento. Decisivo potrebbe essere il ruolo dei centristi di SP, che con un seguito stimato intorno al 13 per cento rappresentano il vero ago della bilancia di queste elezioni. 

    Più frammentata la situazione alla sinistra di AP. Sinistra Socialista (SV), Verdi (MDG) e Partito Rosso (R) sono tutti ostili al SEE e favorevoli allo stop delle esplorazioni di idrocarburi, ma si dividono sulla visione economica, con i rossi che hanno una dottrina dichiaratamente marxista. A completare il quadro politico la destra libertaria e populista del Partito del Progresso (FrP), che nonostante un seguito più che discreto dovrebbe essere esclusa dalla formazione del prossimo governo. Il leader laburista Gahr Støre ha dichiarato di augurarsi di riuscire a formare una coalizione progressista con i centristi e Sinistra Socialista. Non sarà semplice, le distanze sul tema energetico sono ampie e la strada per il nuovo governo, complici la frammentazione politica e la legge elettorale proporzionale, risulta essere tutta in salita.

    Elezioni a Oslo: il centrodestra rischia di perdere la guida del governo dopo 8 anni. Favoriti i laburisti. Il Paese, grande produttore di petrolio, alla prova della transizione green

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    Nord Stream 2, arriva la sentenza tedesca: al controverso gasdotto si applicano le regole antitrust dell’UE

    Bruxelles – La Russia dovrà applicare le regole europee antitrust al gasdotto Nord Stream 2, dividendone la gestione tra i proprietari del gasdotto e fornitori del gas che vi scorre per garantire una concorrenza leale. A stabilirlo, mercoledì 25 agosto è stata l’Alta Corte Regionale di Düsseldorf, in Germania, respingendo il ricorso presentato dalla principale società che si occupa della costruzione Nord Stream 2 AG contro il regolatore di rete tedesco (BNA -Bundesnetzagentur) che ha rifiutato di concederle un’esenzione dalle regole di concorrenza dell’Unione Europea.
    Questo significa che al controverso gasdotto destinato a collegare la Russia alla Germania attraverso il mar Baltico devono applicarsi le regole di diritto comunitario, inscritte nella direttiva UE sul mercato del gas. Nulla di nuovo, perché già la Commissione europea aveva chiarito che pur essendo un progetto “soggetto al diritto nazionale” tedesco, si inscrive nel quadro di diritto europeo di cui deve rispettare la conformità. L’unica competenza che spetta a Bruxelles sul futuro gasdotto è controllare il rispetto da parte degli Stati membri, e quindi in questo caso della Germania, della direttiva Ue sul mercato interno del gas.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    La sentenza può essere impugnata dalla Nord Stream 2 AG, anche se potrebbe significare, come suggerisce Reuters, un ritardo nel completamento della rete e anche un aumento dei costi. Il controverso gasdotto guidato dalla compagnia energetica russa Gazprom, raddoppierà il volume di gas naturale trasportato dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico. Replicando, nei fatti, il percorso del gasdotto gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima, raddoppiati a 110.
    Dopo varie tensioni tra Unione Europea e Stati Uniti – dovuta ai timori statunitensi di una maggiore influenza di Mosca sul vecchio Continente – a fine luglio Berlino e Washington hanno raggiunto un accordo di massima per ultimare i lavori del progetto, ormai quasi completo, promettendo sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina, come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014. Il progetto vale almeno undici miliardi di dollari, e ha incontrato la resistenza non solo oltreoceano ma anche in Europa.
    La cancelliera Angela Merkel ha sposato la causa, impegnandosi a portarla a termine. Da quando a fine agosto di un anno fa l’oppositore russo Alexei Navalny è stato avvelenato sono però aumentate di molto le pressioni su Merkel per abbandonare il progetto. Pressioni che sono aumentate ancora con l’ulteriore incrinarsi dei rapporti di Bruxelles con Mosca, con i Paesi dell’Europa centrale e orientale che temono l’ulteriore dipendenza energetica dei Ventisette dal gas russo. Diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, si sono opposti al progetto perché temono l’ulteriore influenza geopolitica di Putin attraverso il gas naturale.

    Proprietari del gasdotto e fornitori del gas che vi scorre devono essere diversi per garantire una concorrenza leale, in linea con la direttiva europea sul mercato del gas. A stabilirlo è l’alta corte di Düsseldorf respingendo il ricorso della società Nord Stream 2 AG contro il regolatore di rete tedesco che ha rifiutato di concederle un’esenzione dalle regole di Bruxelles. La sentenza può essere impugnata ma rischia di rallentare il completamento del progetto

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    Nord Stream 2 continua a dividere l’UE. Tusk: “Va fermato”. E Gazprom fa notare che la domanda di gas aumenta

    Bruxelles – L’Europa deve fare i conti con la realpolitik. Una volta di più, dopo la questione turca di sedie mancanti e opportunità mancate, sulla Russia l’Unione degli Stati si perde. Nessuna sanzione contro Mosca per le rinnovate tensioni in Ucraina, nonostante – parole dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josepp Borrell – la Russia abbia concentrato più di 150mila truppe sul confine ucraino e in Crimea. Una provocazione e forse qualcosa di più che vede l’UE impreparata e forse incapace di contromisure.
    La  riunione dei ministri degli Esteri ha prodotto poco. Appelli e richiami, nulla di più. Un esito che visibilmente non piace a Donald Tusk. “Se davvero vuoi fermare l’aggressione russa contro l’Ucraina, devi fermare Nord Stream 2“, dice il presidente del Partito popolare europeo sul nuovo corridoio del gas euro-russo. “Semplice”. A dirsi, ma non certo a farsi, perché il progetto di conduttura sottomarina serve alla Germania e pure all’Europa, ma in misura assai minore e forse anche meno ancora. Nord Stream 2, collegherebbe Russia e Germania al termine della sua corsa negli abissi attraverso golfo di Finlandia, repubbliche baltiche, Kaliningrad e Polonia, prima di riafforare su suolo tedesco. Una conduttura da affiancare al già operante Nord Stream. Il progetto prevede una capacità totale di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
    Con la conduttura la Germania diventerebbe l’hub europeo del nord Europa, e l’Unione potrebbe vedere le emissioni di gas a effetto serra ridotte del 14% rispetto ai livelli attuali. Nell’ottica di una conversione verso un modello produttivo sostenibile e l’abbandono delle fonti fossili più inquinanti il progetto ha una sua valenza. Ma andare avanti vuol dire legarsi mani e piedi al fornitore russo, che nel gas non presente su suolo comunitario e di cui l’Europa ha bisogno ha una potente arma di ricatto. Del resto già in passato Putin ha utilizzato l’arma della risorsa energetica per cercare di scompaginare il club a dodici stelle. La linea morbida dell’Europa si spiega anche in ragione di questa dipendenza strategica.

    pic.twitter.com/VpeuhmwzbU
    — Gazprom (@GazpromEN) April 19, 2021

    Tusk affida la sua linea politica ai canali sociali, esternando le divisioni interne ad un partito – il PPE – i cui membri non sono del tutto unanimi a procedere, Anche gli stessi tedeschi del PPE sono divisi. Addirittura il 56% degli europarlamentari del CDU/CSU, la truppa di Angela Merkel a Bruxelles e Strasburgo, è favorevole. Ciò nonostate Tusk si prende la briga di sfidare pubblicamente Merkel su un tema delicato. Nel dibattito europeo interviene Gazprom, ricordando come stanno le cose. Il colosso energetico russo diffonde un comunicato in cui ricorda che le temperature rigide di un aprile più freddo degli ultimi anni la domanda di gas di Unione europea e Ucraina non si è ancora fermata. Comunicazione di servizio a ricordare che c’è un grande bisogno di Russia e del suo fornitore.
    Quando si parla di Russia l’Europa si scontra con i suoi limiti geopolitici. La Commissione von der Leyen che pure in pù di un’occasione ha dichiarato la volontà di essere per l’appunto una Commissione geopolitica, di fronte agli Stati membri che tentennano e alle dipendenze economiche con Mosca si mostra remissiva. Intanto Putin sposta gli uomini e ammassa le truppe.

    Il presidente del Partito popolare europeo irritato da mancate sanzioni contro la Russia per le tensioni in Ucraina. Il fornitore energetico russo ricorda i limiti geopolitici dell’Europa