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    Stefanchuk all’Eurocamera, l’Ue rinnova il supporto all’Ucraina verso una pace “giusta”

    Dall’inviato a Strasburgo – Ormai al terzo anniversario dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca spinge Kiev verso un negoziato con Mosca. Ma il neo presidente non conosce né il principio del “Niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”, né la formula del supporto incondizionato a Kiev, senza ricevere nulla in cambio. Dal Parlamento europeo l’Ue, che rischia di essere tagliata fuori, prova ad alzare la voce: Roberta Metsola e il suo omologo ucraino, Ruslan Stefanchuk, hanno riaffermato insieme il proprio impegno per una “pace giusta“.Il presidente della Verchovna Rada è intervenuto all’emiciclo di Strasburgo, come già era accaduto nel giugno 2022, poco dopo l’avvio del percorso di adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Introducendolo, Metsola ha avvertito l’Europa: “Non dobbiamo lasciar perdere ciò che intendiamo per pace”. Per arrivare a una pace che non sia una resa all’aggressore, “l’Ucraina deve essere in una posizione di forza“. Se Washington mette in dubbio il proprio impegno, “ciò significa che l’Europa deve fare di più”. In termini di sostegno finanziario, militare, umanitario. In termini di pressione diplomatica.Ruslan Stefanchuk, presidente della Verkhovna Rada, al Parlamento europeo di Strasburgo (11/02/25)Il momento è decisivo, “cruciale”, come ha sottolineato lo stesso Stefanchuk. E l’esercito di Volodymir Zelensky ci arriva “stanco ma imbattuto”. Il presidente del Parlamento ucraino ha ringraziato l’Eurocamera per il supporto mai mancato in questi tre anni, ribadito un’ennesima volta un mese dopo le elezioni europee dai nuovi eruodeputati, con una risoluzione del 17 luglio scorso. La stessa Eurocamera, ha chiesto poi a settembre di rimuovere le limitazioni all’utilizzo di armi occidentali in territorio russo. La fermezza del Parlamento europeo è stata determinante per garantire la protezione temporanea nei Paesi europei a oltre 4 milioni di sfollati ucraini, la mobilitazione di 50 miliardi di euro in assistenza militare, l’addestramento da parte dei Paesi membri di oltre 70 mila soldati dell’esercito di Kiev.Ma se Mosca continua a puntare verso Kiev, “significa che intende muoversi anche verso Varsavia, Strasburgo, Bruxelles”, ha avvertito Stefanchuk. E alla luce delle provocazioni e dei ricatti di Trump, che proprio oggi ha affermato che “un giorno l’Ucraina potrebbe essere russa” e ha chiesto a Zelensky che l’impegno americano venga ripagato con “l’equivalente di 500 miliardi di terre rare”, l’Ue è chiamata ad alzare ancora il livello della propria responsabilità nei confronti del popolo ucraino. Accelerando sul percorso di adesione di Kiev ai 27 – i negoziati di adesione potrebbero cominciare già a marzo – e assicurandole le garanzie necessarie per una pace duratura con il Cremlino. “In un contesto internazionale e geopolitico difficile, sottolineiamo l’importanza di mantenere la solidarietà transatlantica e globale con l’Ucraina“, affermano i leader dei gruppi politici del Parlamento europeo in una dichiarazione congiunta.Non si tratta solo di rafforzare la difesa aerea di Kiev e intensificare i rifornimenti di armi e missili a lungo raggio – Stefanchuk ha ringraziato la Francia per la consegna dei caccia Mirage perché “ci serve più difesa aerea per proteggere i nostri cieli perché è dal cielo che la Russia ci attacca” -, ma di insistere per “un percorso chiaro” verso l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, “la migliore garanzia di sicurezza” per il Paese. Secondo Stefanchuk, l’esercito ucraino è “di fatto già un esercito della Nato”. I soldati ucraini combattono con armi dell’Alleanza Atlantica, con le sue tecniche, e “difende il fronte orientale della Nato dal nemico della Nato: la Russia”.La durezza della situazione sul campo impone allo speaker della Verchovna Rada di mantenere quanto meno l’ottimismo. “In questi tre anni abbiamo trasformato dei ‘no’ categorici in dei solidi ‘si’. Si diceva no alle armi, no ai missili a lungo raggio, no agli aerei e ora sono diventati tutti dei sì”, ha sottolineato. Se i sì degli Stati Uniti sono in bilico, quelli di Bruxelles sono più fondamentali che mai.

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    L’Eurocamera alza bandiera bianca sul Medio Oriente. Niente risoluzione sull’escalation in Libano

    Bruxelles – Sul conflitto tra Israele e Hamas, l’Unione europea non è in grado di parlare in modo corale e con una voce unica. L’hanno dimostrato i leader immediatamente dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, con le fughe in avanti di Ursula von der Leyen non coordinate con il responsabile per gli Affari Esteri, Josep Borrell. L’hanno dimostrato i capi di stato e di governo dei 27, che si sono beccati per mesi sui termini esatti con cui chiedere una pausa nelle ostilità. Alla fine, getta la spugna anche il Parlamento europeo, che nella sessione plenaria del 7-10 ottobre rinuncia a trovare una sintesi comune sull’escalation del conflitto in Libano.Eppure, l’occasione – e l’urgenza – ci sarebbe eccome. Lunedì 7 ottobre marcherà il primo anniversario del conflitto e gli eurodeputati “discuteranno dell’attacco di Hamas che ha ucciso 1.200 israeliani e ha innescato la guerra a Gaza”. Martedì, un secondo dibattito sul Medio oriente sarà incentrato sugli ultimi sviluppi in Libano e sull’allargamento delle ostilità all’Iran. Ma la conferenza dei Presidenti, l’organo che riunisce i leader dei gruppi politici e la presidente dell’Eurocamera e che fissa l’agenda della sessione plenaria, ha deciso che entrambi i dibattiti non prevederanno una risoluzione comune da mettere ai voti.Troppo divisivo il tema, meglio non darsi battaglia su un testo che potrebbe alla fine non piacere a nessuno. Ma il paradosso è che tutti a Bruxelles sono d’accordo sul fatto che l’Unione europea dovrebbe far sentire il proprio peso sulla crisi in Medio oriente e giocare un ruolo di rilievo per una soluzione diplomatica.Ne è convinta Annalisa Corrado, eurodeputata del Partito democratico, secondo cui “avere una risoluzione sarebbe molto importante” perché “c’è necessità che l’Ue faccia sentire la propria voce in maniera forte”. Dello stesso avviso Ignazio Marino, capodelegazione dei Verdi italiani a Bruxelles: “È vergognoso che non ci sia una risoluzione”, ha dichiarato l’ex sindaco di Roma, avvertendo che “l’assoluta timidezza dell’Europa la condannerà a essere insignificante“. Anche Valentina Palmisano, eurodeputata del Movimento 5 Stelle, ha criticato la mancanza di coraggio dei colleghi all’Eurocamera quando si tratta di trovare le parole giuste per deplorare tanto il terrorismo di Hamas ed Hezbollah quanto “gli attacchi fondati sul terrore” di Israele a Gaza. “Mi piacerebbe che l’Europa non avesse timore a condannare questi atti”, ha affermato Palmisano.Ha ridimensionato la questione Giovanni Crosetto, deputato europeo di Fratelli d’Italia, secondo cui la mancanza di un testo comune nonostante i due dibattiti si spiega un po’ perché “siamo in un momento di transizione della legislatura”, un po’ perché “siamo in un momento di escalation e non è facile esprimersi”.L’ultima volta che il Parlamento europeo ha detto la sua sul Medio Oriente è stato all’indomani della rappresaglia dell’Iran contro Israele per il bombardamento del consolato iraniano a Beirut, nell’aprile 2024. Gli eurodeputati avevano condannato fermamente il lancio di droni e missili da parte di Teheran verso il territorio israeliano, e criticato la violazione del sito diplomatico iraniano da parte di Tel Aviv. Ma il difficile viene quando si parla della carneficina israeliana a Gaza. Lo scorso gennaio, gli eurodeputati si erano faticosamente accordati – e non senza polemiche – su un testo dettato dai popolari, che chiese il cessate il fuoco nella Striscia a condizione che venissero rilasciati tutti gli ostaggi israeliani e smantellata Hamas.Se Gaza è il problema, tanto meglio levare ogni riferimento all’enclave palestinese. Non si può non notare che in entrambi i titoli dei dibattiti che si terranno nell’Aula di Strasburgo manca del tutto la parola ‘Gaza’. Anche su questo, l’Eurocamera ha bisticciato. I socialdemocratici avevano chiesto di citare l’enclave palestinese almeno nel titolo del dibattito sugli sviluppi in Libano e nella regione, ma l’estrema destra e i popolari si sono opposti.

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    Ucraina, l’Eurocamera chiede a gran voce di eliminare le restrizioni all’uso di armi sul territorio russo

    Bruxelles – Via le restrizioni sull’utilizzo delle armi occidentali per colpire obiettivi militari in Russia. L’appello del Parlamento europeo è forte e chiaro: con 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni, l’Aula di Strasburgo ha chiesto agli Stati membri di permettere all’Ucraina di “esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa”, revocando “immediatamente” le restrizioni sulle armi consegnate a Kiev. Hanno fatto resistenza le delegazioni dei partiti italiani, salvo poi – nella maggior parte dei casi – mettersi il cuore in pace e avallare una risoluzione che ribadisce il forte sostegno Ue all’Ucraina.La questione dell’utilizzo delle armi occidentali sul territorio russo tiene banco da tempo. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, aveva invitato i Paesi dell’Alleanza atlantica a riconsiderare le restrizioni già a maggio. Anche l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borell, si è fatto portavoce dell’istanza, arrivando a definire “ridicola” la posizione fermamente contraria difesa dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. In quell’occasione – era la riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Ue dello scorso 29 agosto -, a quanto si apprende diversi Paesi avevano manifestato la propria “contrarietà a forzare un messaggio di consenso Ue relativo all’utilizzo di armi europee in territorio russo”: Slovenia, Romania, Germania, Slovacchia. Alla discussione innescata da Borrell, passò dunque velocemente la linea di mantenere la decisione a livello bilaterale.A giudicare da come hanno votato gli europarlamentari italiani al paragrafo 8 della risoluzione, quello sulla revoca alle restrizioni, l’Italia è rimasta singolarmente compatta nel fronte di quel manipolo di Paesi che antepongono il rischio di una pericolosa escalation militare alle esigenze belliche della controffensiva ucraina. L’invito a dare il via libera all’uso delle armi è stato approvato con 377 voti favorevoli, 191 contrari e 51 astenuti. Tra gli italiani, solo in 7 hanno votato a favore. Sono Ruggero Razza e Lara Magoni di Fratelli d’Italia (FdI), Giuseppina Princi, Massimiliano Salini e Marco Falcone di Forza Italia, Elisabetta Gualmini e Pina Picierno del Partito Democratico. La quasi totalità di FdI si è opposta, così come l’intera compagine europea della Lega. Forza Italia si è spaccata in due, con Caterina Chinnici, Salvatore De Meo e Flavio Tosi contro la revoca alle restrizioni. Mentre la delegazione dem si è sfilacciata, votando comunque no in netta maggioranza, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra sono rimasti uniti all’opposizione.In una nota, l’eurodeputato pentastellato Danilo Della Valle ha definito la risoluzione “un invito alla guerra”, denunciando il respingimento da parte dell’Aula di “tutti gli emendamenti che auspicavano l’apertura di un vero e proprio negoziato di pace”. La delegazione dei Verdi Italiani ha motivato il no alla risoluzione nel suo insieme perché “ostinatamente volta a perseguire la vittoria militare ad ogni costo senza realmente affrontare il tema dei negoziati di pace”. Se M5S, AVS e Lega hanno ribadito la contrarietà anche alla risoluzione generale, il Pd ha deciso di approvare il testo finale. Così come Fi e Fdi, che non hanno voluto mettere in discussione il supporto del governo a Kiev.L’Eurocamera chiede di accelerare la fornitura di armi all’UcrainaIl testo approvato dall’Eurocamera dice molto altro. Punta il dito contro gli Stati membri, colpevoli di aver diminuito il volume degli aiuti militari bilaterali all’Ucraina, chiede di accelerare la consegna di armi, sistemi di difesa aerea e munizioni e di rispettare l’impegno assunto nel marzo 2023 – non ancora conseguito – per la fornitura di un milioni di munizioni a Kiev. Ma non solo: gli eurodeputati chiedono di rafforzare le sanzioni contro l’Iran e la Corea del Nord per il loro sostegno militare a Mosca e spronano l’Ue e la comunità internazionale a stabilire un regime giuridico per la confisca dei beni statali russi congelati, di modo da utilizzare come “parte degli sforzi per compensare l’Ucraina per gli ingenti danni subiti”.Nel documento finale (comunque non vincolante), sono stati aggiunti alcuni emendamenti che sottolineano la crescente ambiguità dell’Ungheria nei confronti del conflitto in Ucraina. Su questi – complice l’ingresso nel gruppo sovranista fondato dal filo-russo Viktor Orban, è uscito allo scoperto il Carroccio. La delegazione della Lega a Bruxelles, ha dichiarato in una nota di non poter condividere “iniziative che alimentano pericolosamente la tensione e l’escalation militare, in cui si prevede di destinare lo 0.25 per cento del Pil in aiuti militari” e che attaccano “chi, come il governo ungherese, lavora attivamente per far prevalere la diplomazia”.

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    “Moscagate”, un altro scandalo fa tremare l’Eurocamera a due mesi dalle elezioni europee

    Bruxelles – Da qualche giorno tra i banchi del Parlamento europeo si è ricominciato a a guardarsi intorno con sospetto e a bisbigliare nomi, come in un déjà vu di quel che successe a dicembre 2022 con lo scoppio del Qatargate. È già stato ribattezzato Moscagate: una rete di influenze indebite del Cremlino, che avrebbe pagato alcuni eurodeputati per promuovere la sua propaganda.La notizia l’ha portata a galla il primo ministro belga, Alexander De Croo, che ha parlato di “una stretta collaborazione” tra i servizi segreti belgi e quelli della Repubblica ceca per smascherare la vera natura della testata Voice of Europe, strumento di propaganda finanziato e manovrato dall’oligarca ucraino filo-russo Viktor Medvedchuk, attraverso il quale Mosca avrebbe intervistato alcuni eurodeputati a pagamento, con lo scopo di screditare alcune politiche di Bruxelles. Secondo quanto trapelato finora, la testata online serviva a diffondere articoli critici in primo luogo sul supporto a Kiev, ma anche su Green deal e immigrazione, ma anche per mettere a libro paga esponenti politici europei – e assicurarsi così la loro lealtà – attraverso interviste a pagamento.Sul banco degli imputati sono finite immediatamente le formazioni politiche della galassia euroscettica e sovranista. Secondo le indiscrezioni pubblicate dal quotidiano olandese Nrc, sarebbero implicati esponenti del Rassemblement National di Marine Le Pen, dell’ultradestra fiamminga del Vlaams Belang e di quella tedesca di Alternative fuer Deutschland. Le scoperte degli inquirenti belgi e cechi avrebbero già fatto scattare indagini in sette Paesi membri: Germania, Francia, Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Ungheria e Repubblica Ceca.L’Eurocamera è in attesa che i servizi belgi consegnino l’elenco con nomi e cognomi degli eurodeputati che si presumono coinvolti, come confermato da fonti del Parlamento europeo. A quel punto lo scenario è più probabile è quello già visto a fine gennaio per l’eurodeputata lettone Tatjana Ždanoka, accusata di lavorare da anni come agente dei servizi di intelligence russi. La responsabilità di eventuali sanzioni sulla condotta degli eurodeputati fa capo alla presidente: sarà Roberta Metsola, una volta ottenuti i nomi, a dare via libera al Comitato consultivo dell’Eurocamera per indagare sull’accaduto ed eventualmente proporre misure contro i colpevoli.Nonostante non sia necessaria una votazione dell’Aula per sanzionare i colleghi, il gruppo dei Socialisti e Democratici ha immediatamente richiesto un dibattito urgente nella mini-sessione plenaria del Parlamento europeo che si terrà a Bruxelles il 10-11 aprile. Dopo essere stato vessati per mesi sul coinvolgimento di diversi eurodeputati del gruppo nel Qatargate, i socialdemocratici hanno preso la palla al balzo. “Siamo determinati a proteggere le nostre democrazie da chi cerca di diffondere bugie e di dividerci”, ha commentato la capogruppo, Iratxe Garcia Perez.

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    Israele, l’Eurocamera chiede una “pausa umanitaria” delle ostilità per permettere l’arrivo di aiuti internazionali a Gaza

    Bruxelles – Serve una tregua umanitaria per permettere agli aiuti internazionali di arrivare alla popolazione. Dopo l’acceso dibattito in aula, con una risoluzione non legislativa il Parlamento europeo di Strasburgo ha condannato “gli spregevoli attacchi terroristici di Hamas contro Israele” e espresso “seria preoccupazione” per la situazione nella Striscia di Gaza.Approvato oggi (19 ottobre) con 500 voti a favore, 21 contrari e 24 astensioni, il testo ribadisce il sostegno a Israele e sottolinea che “l’organizzazione terroristica Hamas deve essere eliminata”. Tel Aviv ha cioè il diritto all’autodifesa, ma la sua azione militare deve rientrare nei paletti del diritto internazionale. Per gli eurodeputati “attaccare i civili e le infrastrutture civili, compresi gli operatori delle Nazioni Unite, gli operatori sanitari e i giornalisti, è una grave violazione del diritto internazionale”.Non c’è margine per lanciare l’appello per la fine delle ostilità: la richiesta è stata modificata in “pausa umanitaria” con un emendamento orale in aula e approvata così. “Il Parlamento ha giustamente respinto l’appello per un cessate il fuoco. Non può esserci un cessate il fuoco con i terroristi di Hamas“, ha commentato su X il leader del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber. Ma per l’Eurocamera è fondamentale distinguere tra “il popolo palestinese e le sue aspirazioni legittime e l’organizzazione terroristica Hamas e i suoi atti terroristici”. La popolazione della Striscia di Gaza è sotto assedio: secondo il ministero della Sanità controllato da Hamas, dall’inizio del conflitto sono state uccise 3.478 a Gaza e più di 12 mila sono state ferite. E all’incirca un milione di palestinesi sono fuggiti dalle loro case per spostarsi nel sud dell’enclave, ammassandosi nelle scuole delle Nazioni Unite e nei campi profughi.Per far fronte all’emergenza, i deputati “esortano la comunità internazionale a proseguire e a incrementare l’assistenza umanitaria alla popolazione civile dell’area” e “sollecitano l’Egitto e Israele a cooperare con la comunità internazionale per istituire corridoi umanitari verso la Striscia di Gaza“.  Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avrebbe strappato un accordo per l’apertura, da domani, del valico di Rafah: tra i container che si stanno accumulando al confine tra Israele ed Egitto, anche le tende da campo, medicinali e kit igienici che la Commissione europea ha inviato con due ponti aerei già questa settimana. L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), che sta dando accoglienza nelle proprie strutture a circa 513 mila sfollati interni, ha fatto sapere che i propri rifugi sono “sovraffollati e dispongono di scorte molto limitate di cibo, prodotti per l’igiene e acqua potabile“.“Vogliamo una pausa del conflitto a fini umanitari e una de-escalation, in linea con quanto richiesto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite”, ha dichiarato il capodelegazione del Partito democratico all’Eurocamera, Brando Benifei. Sul rischio di allargamento regionale degli scontri, il Parlamento ha condannato con “la massima fermezza” il sostegno dell’Iran ad Hamas e ad altri gruppi terroristici nella Striscia di Gaza, e ha reiterato la richiesta di includere il Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica e l’Hezbollah libanese nell’elenco Ue delle organizzazioni terroristiche.Sul controverso bombardamento contro l’ospedale episcopale di Al Ahli, che avrebbe causato almeno duecento vittime, i deputati chiedono un’indagine indipendente per “stabilire se si sia trattato di un attacco deliberato e di un crimine di guerra e, in caso affermativo, chiede che i responsabili siano chiamati a risponderne”.
    Nella risoluzione approvata a larghissima maggioranza l’emiciclo di Strasburgo sottolinea che “l’organizzazione terroristica Hamas deve essere eliminata”. Nonostante la “profonda preoccupazione per il rapido deterioramento della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza”, nessuna richiesta di cessate il fuoco

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    Semaforo verde dell’Eurocamera ai 500 milioni per le munizioni Ue. Allineato anche il Partito Democratico

    Bruxelles – Via libera definitivo del Parlamento europeo all’Asap, il piano Ue per aumentare la consegna di munizioni e missili all’Ucraina e imprimere un cambio di passo sulla capacità di produzione bellica nei 27 Stati membri. Acronimo di ‘Act in support of ammunition production’ e di ‘As soon as possible’, il regolamento presentato dalla Commissione Ue lo scorso 3 maggio è stato in effetti finalizzato in tempo di record. Ora manca solo la ratifica del Consiglio, prima che il piano diventi legge.
    Il piano prevede di mobilitare in via d’urgenza cinquecento milioni di euro dal bilancio comunitario fino a giugno 2025 per aumentare la capacità dell’industria europea di produrre munizioni, con l’obiettivo di produrre almeno un milione di pezzi all’anno, tra munizioni terra-terra, artiglieria e missili. Ultimo di tre pilastri di un più ampio e complesso ‘Piano per la difesa’ proposto ai Ventisette dal commissario al Mercato interno, Thierry Breton, e dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, per rispondere all’emergenza della fornitura di munizioni all’Ucraina, ma anche per costruire una visione di lungo termine per la difesa europea.
    Oltre all’Asap, il Piano per la difesa comprende un miliardo di euro mobilitato attraverso lo strumento europeo per la pace (strumento fuori bilancio comunitario) per la consegna immediata di munizioni a Kiev attraverso le scorte degli Stati membri e un altro miliardo di euro per gli acquisti congiunti di armi.
    Fondi del Pnrr per le armi. L’opposizione di Pd e M5s
    La parte più dibattuta del regolamento è la possibilità per i governi di usare i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per raggiungere l’obiettivo fissato di almeno un milione di munizioni all’anno. Dei 500 milioni di euro mobilitati per l’Asap, 260 milioni provengono dal Fondo europeo per la difesa e 240 milioni dal regolamento che istituisce il rafforzamento dell’industria europea della difesa attraverso l’atto comune in materia di appalti pubblici (Edirpa), per sostenere progetti industriali o anche partenariati transfrontalieri, oppure ottimizzare o espandere ammodernamento le capacità produttive esistenti, crearne di nuove o ancora incentivare progetti transfrontalieri. Nessun obbligo di utilizzare i fondi del Pnrr, una scelta che sarà a discrezione dei governi nazionali.
    Nell’accordo trovato con il Consiglio il 7 luglio, l’Eurocamera è riuscita a scongiurare invece l’inclusione dei fondi di coesione tra gli strumenti per finanziare la produzione bellica, oltre a ottenere che i finanziamenti “saranno stanziati per una gamma più diversificata di progetti e che anche le piccole e medie imprese potranno beneficiare di un tasso di finanziamento da parte dell’Ue più elevato”.
    Il testo ha messo d’accordo quasi tutti, passando in plenaria con 505 voti favorevoli, 56 contrari e 21 astensioni. Tra gli italiani, se le defezioni del Movimento 5 Stelle e degli esponenti dei Verdi erano annunciate, gli occhi erano puntati sull’orientamento del Partito Democratico, con la segretaria Elly Schlein che lo scorso 28 giugno a Bruxelles aveva dato l’endorsement al provvedimento nonostante la contrarietà all’uso del Pnrr. Alla fine, i 16 della delegazione guidata da Brando Benifei si sono allineati con il resto dei socialisti europei, al netto dei no di Pietro Bartolo e Massimiliano Smeriglio. La posizione del Nazareno è stata sintetizzata da Elisabetta Gualmini, vicepresidente del gruppo S&d: “Avevamo proposto una serie di emendamenti che chiedessero la cancellazione del riferimento ai fondi del Pnrr e di coesione”. Questi ultimi “per fortuna” sono stati eliminati, “sul Pnrr ci fidiamo di quello che ha detto il governo“. Che ha garantito, in seguito a una mozione promossa dai dem e approvata all’unanimità dalla Camera, l’impegno a non toccare i soldi del Piano di ripresa e resilienza per le munizioni.

    Con 505 voti favorevoli, 56 contrari e 21 astensioni il Parlamento Ue ha adottato formalmente l’accordo politico trovato il 7 luglio con il Consiglio, che prevede la possibilità di attingere dal Pnrr per la produzione di armi. Sui 16 del Nazareno, solo Bartolo e Smeriglio si sono opposti, così come le delegazioni del Movimento 5 Stelle e dei Verdi