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    Putin impone il pagamento del gas in rubli. Kiev: “Se l’UE cede, aiuterà la Russia a uccidere gli ucraini”

    Bruxelles – Basta euro e dollari, solo rubli: per ordine di Vladimir Putin. “Ho deciso di attuare una serie di misure per trasferire il pagamento delle nostre forniture di gas ai Paesi ostili in rubli russi“, ha affermato l’autocrate russo in una riunione di gabinetto ieri (mercoledì 23 marzo), concedendo alle autorità competenti una settimana di tempo per attuare il passaggio al sistema in valuta locale.
    È una decisione di portata storica, che potrebbe avere una duplice spiegazione. Prima di tutto, dovrebbe servire a rafforzare il valore della moneta russa, in caduta libera dopo le dure sanzioni imposte dai Paesi UE e del G7 con quattro pacchetti di misure restrittive che hanno colpito l’economia, la finanza, l’industria e la cerchia degli oligarchi vicini a Putin. Chiunque vorrà ancora acquistare il gas russo, dalla prossima settimana dovrà cambiare euro (o dollari) in rubli, creando domanda di valuta locale dove ora non esiste. Non è però ancora chiaro se questa misura riuscirà davvero a controbilanciare gli effetti devastanti delle sanzioni occidentali sull’economia russa. In secondo luogo, l’imposizione di Putin sul pagamento delle forniture di gas in rubli ha il sapore di una contro-sanzione e di umiliazione – non solo simbolica ma anche pratica – ai danni dei “Paesi ostili” che hanno tagliato fuori la Russia dal commercio e dalla finanza globale. Questa scelta però secondo gli esperti porterà anche un aumento dell’inflazione in Russia, che già viaggia ora al 2 per cento a settimana.
    “Se qualche Paese dell’UE si inchina alle umilianti richieste di Putin di pagare il petrolio e il gas in rubli, sarà come aiutare l’Ucraina con una mano e aiutare i russi a uccidere gli ucraini con l’altra“, ha avvertito con un tweet il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. “Esorto i Paesi interessati a fare una scelta saggia e responsabile”, è l’appello ai leader europei e occidentali nel giorno dei tre vertici cruciali (NATO, G7 e UE) a Bruxelles.

    If any EU country bows to Putin’s humiliating demands to pay for oil and gas in rubles, it will be like helping Ukraine with one hand and helping Russians kill Ukrainians with the other. I urge relevant countries to make a wise and responsible choice.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) March 24, 2022

    Tra i “Paesi ostili” a cui si riferisce Putin c’è anche l’Italia e proprio il premier, Mario Draghi, ha illustrato ieri i primi effetti della decisione sui pagamenti in rubli nel corso delle sue comunicazioni in Parlamento, in vista della due-giorni di vertice dei leader UE: “Il prezzo spot del gas sul mercato europeo è dimezzato rispetto alle punte di circa 200 euro per megawattora raggiunte l’8 marzo, ma questa è una notizia vecchia”. La novità introdotta dall’autocrate russo “ha portato il prezzo del gas a salire di circa 15 euro per megawattora“, ha spiegato Draghi in Aula. Un nuovo punto in agenda da affrontare al Consiglio Europeo che si aprirà tra poche ore a Bruxelles, nello spinoso capitolo dell’indipendenza energetica dalla Russia e del contenimento dei prezzi del gas.

    La decisione dell’autocrate russo punta a colpire i “Paesi ostili” e a rafforzare l’economia russa, creando domanda di moneta locale dove ora non c’è. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, esorta i Ventisette a “non inchinarsi alle umilianti richieste” di Mosca

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    Draghi: “Superare rapidamente la dipendenza energetica dalla Russia”. Gentiloni: “Non sarà facile”

    Bruxelles – L’obiettivo è quello di tutti, comune: liberarsi dal fornitore energetico russo. I ventisette Stati membri dell’UE vanno nella stessa direzione, e l’Italia è decisa a correre, con Bruxelles che però frena. Perché bisogna fare i conti con la realtà. Così mentre l’esecutivo tricolore si mostra possibilista, quello comunitario è più realista. “Siamo impegnati per diversificare le nostre fonti di approvvigionamento energetico, così da superare in tempi molto rapidi la nostra dipendenza dalla Russia“, scandisce il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in occasione dell’intervento del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, alla Camera dei deputati.
    L’intervento di Draghi mostra la volontà di scrollarsi di dosso un partner divenuto improvvisamente troppo scomodo e inaffidabile, e l’intenzione concreta di lavorare con l’Ucraina ad un futuro a minore trazione russa. Ma all’inquilino di palazzo Chigi sembra rispondere il commissario per l’Economia. A Oxford, dove negli stessi momenti tiene un discorso sulle implicazioni della guerra voluta da Putin, Paolo Gentiloni non fa mistero della portata del cambiamento di rotta. “La nuova strategia dell’UE per ridurre la nostra dipendenza dall’energia russa è chiaramente ambiziosa. Raggiungere i nostri obiettivi non sarà facile, ma la nostra analisi mostra che si può fare”.
    Si sente di aggiungere qualcosa, Gentiloni, che occorre tenere a mente. Un’ipotesi. “Se avremo successo, avremo affrontato una fonte chiave di vulnerabilità”. Se. Segno che la volontà di smarcarsi da Mosca deve fare i conti con l’effettiva riuscita del compito. “L’UE non sarà ricattata”, assicura il commissario italiano del team von der Leyen, che ricorda gli impegni profusi e rilanciati con forza con tutti i soggetti internazionali destinati a diventare un’alternativa a Gazprom. Uniti, Norvegia, Algeria, Qatar, Egitto, Corea, Giappone, Nigeria, Turchia, Israele: le alternative non mancano, quello che manca adesso sono accordi commerciali veri per forniture reali. Servirà tempo. Perché del 90 per cento di importazioni di gas di cui l’UE ha bisogno, “circa la metà è russa”.
    In maniera diversa la sensazione è che l’UE ce la possa fare. Anche perché, e questo Draghi lo rivendica con orgoglio, “davanti alla Russia che ci voleva divisi, ci siamo mostrati uniti, come Unione Europea e come Alleanza Atlantica”. Ma sul fronte energetico l’unità, da sola, non basta. Serviranno anche le riforme, e anche in questo senso Gentiloni, premier dei giorni andati, sembra rispondere a quello dei giorni presenti. “Data l’attuale situazione dobbiamo fare di più e più velocemente” su fronte di convenienza, sicurezza dell’approvvigionamento ed energia pulita, che sono “i nostri tre obiettivi” come Unione. Vuol dire accelerare riforme e investimenti per le fonti alternative e rinnovabili. Un compito che spetta ai Paesi, e che non è scontato. E’ qui che servono tempi molto rapidi, e Gentiloni lo mette in chiaro una volta di più.

    Il presidente del Consiglio assicura il partner ucraino circa le intenzioni di cambi di rotta, il commissario per l’Economia smorza gli entusiasmi, e invita a fare riforme e investimenti che servono

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    Stop a investimenti nell’energia, beni di lusso e WTO: l’UE vara il quarto pacchetto di sanzioni anti-russe

    Bruxelles – Energia, beni di lusso, trattamento di favore in sede commerciale internazionale. L’UE approva il quarto pacchetto di sanzioni contro la Russia, quale nuova misura per cercare di mettere pressione su Mosca e indurre il Cremlino a porre fine alla guerra in Ucraina. Il nuovo pacchetto di misure colpisce diversi settori, a partire da quello dell’industria delle difesa. Qui è stato concordato il divieto totale di qualsiasi transazione con alcune imprese statali russe, al fine di indebolire il complesso militare-industriale del Cremlino.
    Altra misura di non poco conto il divieto di importazione dell’UE su quei prodotti siderurgici attualmente soggetti alle misure di salvaguardia dell’UE. Questa sanzione, da sola, pesa per circa 3,3 miliardi di euro di mancate entrate per mancato export russo. C’è poi il divieto di ampia portata di nuovi investimenti nel settore energetico russo, con limitate eccezioni per l’energia nucleare civile e il trasporto di determinati prodotti energetici nell’UE. La caratteristica principale di questa misura sta nella parola “nuovi”. Gli investimenti e gli accordi in essere potranno continuare, ma da questo momento in poi nessun nuovo contratto con gli operatori russi, compresi Rosneft e Gazprom-Neft, sussidiaria di Gazprom. Sono vietate tutte le attività ‘upstream’, vale a dire prospezione e produzione petrolifera e di gas.

    Al fine di colpire oligarchi ed élite di Russia, l’UE ha optato in questo nuovo pacchetto di misure restrittive per un divieto europeo all’esportazione di beni di lusso. Sono considerate 20 categorie, come cavalli, caviale, vino e alcolici, tabacco, pelle e cuoio, vestiti e scarpe, tappetti, gioielli e pietre preziose, cristalli, elettronica per uso domestico e riproduzione audio-visiva, orologi, strumenti musicali, equipaggiamento sportivo, auto. “Vogliamo colpire lo stile di vita di un segmento delle persone ricche invece delle persone ordinarie”, confidano fonti UE. Quindi vietata l’esportazione di auto dal costo superiore ai 55mila euro, giusto a titolo di esempio.
    Inoltre, l’elenco delle persone ed entità sanzionate è stato ulteriormente esteso per includere altri 11 oligarchi ed élite imprenditoriali legate al Cremlino, nonché società attive nelle aree militari e di difesa, che sostengono materialmente l’invasione e offrono supporto logistico. Per questi 11 oligarchi scatterà congelamento dei beni e divieto di viaggio. Diversa la situazione per quanti sono in possesso di un passaporto UE. Qui spetterà agli Stati membri stabilire come comportarsi.
    Come annunciato, partono moratorie in sede di WTO. Nel quarto pacchetto di sanzioni l’UE, insieme ad altri membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ha deciso oggi di negare ai prodotti e servizi russi il trattamento della nazione più favorita nei mercati dell’UE.

    Il solo divieto di import di prodotti siderurgici vale 3,3 miliardi di euro, tutti soldi sottratti alle casse di Mosca. Fermato ogni accordo industriale militare

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    È pronto il quarto pacchetto di sanzioni UE contro la Russia: vietati investimenti nel settore energetico e importazioni siderurgiche

    Bruxelles – I leader dell’Unione Europea l’avevano promesso questa notte, al termine della prima discussione del Consiglio informale a Versailles, e in meno di una giornata il quarto pacchetto di sanzioni UE contro la Russia è arrivato. O meglio, è arrivato l’annuncio delle misure restrittive in linea con i partner del G7 che saranno adottate domani (sabato 12 marzo), dopo “le tre ampie ondate di sanzioni che hanno colpito duramente l’economia della Russia”, ha sottolineato nella sua comunicazione la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen.
    Finalmente si inizia a intravedere qualche misura restrittiva sul piano dell’energia: “Proporremo un grande divieto di nuovi investimenti europei nel settore energetico russo“. La motivazione è semplice (la realizzazione meno) ed è legata al fatto che “non dobbiamo alimentare la dipendenza energetica che vogliamo lasciarci alle spalle”, ha sottolineato con forza la leader dell’esecutivo comunitario. Il divieto coprirà tutti gli investimenti, i trasferimenti di tecnologia e i servizi finanziari per l’esplorazione e la produzione di energia. Per colpire ancora di più le fonti di liquidità del regime, sarà anche vietata l’importazione di beni-chiave nel settore siderurgico, privando il settore centrale dell’economia russa di “miliardi di entrate dalle esportazioni e assicurando che i nostri cittadini non sovvenzionino la guerra di Putin”.
    Si continua anche sulla strada della mano pesante contro l’economia e la finanza: “Il rublo è crollato, molte banche russe sono tagliate fuori dal sistema bancario internazionale, le aziende stanno lasciando la Russia” e con il quarto pacchetto di sanzioni UE si vuole “drenare le risorse che usa per finanziare questa guerra barbara“. Tutto questo fino a quando Mosca non mostrerà la “volontà di impegnarsi seriamente nei negoziati per una soluzione diplomatica”. Durissima la misura che nega alla Russia lo status di nazione favorita sui più importanti mercati globali, il che significa che non godrà più dei benefici derivanti dall’appartenenza all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC): le aziende russe non riceveranno più trattamenti privilegiati e saranno sospesi finanziamenti e prestiti dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. “La Russia non può violare grossolanamente il diritto internazionale e, allo stesso tempo, aspettarsi di beneficiare dei privilegi di far parte dell’ordine economico internazionale”, mette in chiaro la nota dei leader del G7.
    I ministri delle Finanze, della Giustizia e degli Affari interni del Gruppo dei 7 si incontreranno la settimana prossima per coordinare la task force per individuare nuovi membri dell’oligarchia russa vicina al regime Putin da colpire con le sanzioni e da escludere dal circuito delle criptovalute. Sempre in quest’ottica, il quarto pacchetto di sanzioni vieterà l’esportazione di qualsiasi bene di lusso dai Paesi UE e del G7 verso la Russia, “come un colpo diretto” all’élite russa: “Chi sostiene la macchina da guerra di Putin non sarà più in grado di godere del suo sontuoso stile di vita mentre le bombe cadono su persone innocenti in Ucraina”, ha attaccato von der Leyen.

    The three sweeping waves of sanctions and the extension of their scope this week have hit Russia’s economy very hard.
    The 4th package will be an additional blow to Putin’s regime.
    The invasion of Ukraine has to stop. pic.twitter.com/GFUisNpLWk
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 11, 2022

    Sarà presentato domani (12 marzo) il nuovo pacchetto di misure restrittive in coordinamento con il G7. “Non dobbiamo alimentare la dipendenza energetica che vogliamo lasciarci alle spalle”, ha attaccato Ursula von der Leyen

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    “Le sanzioni sono efficaci”, i leader UE lavorano a nuove misure anti-Russia

    Bruxelles – La strategia anti-russa sembra funzionare, tanto che i leader dell’UE lavorano a nuove sanzioni. Il vertice informale del Consiglio europeo in programma domani e venerdì (10 e 11 marzo) servirà a confermare quello che a Bruxelles come nelle altri capitali si continua a ripetere: “Non siamo in guerra contro la Russia”, e non si intende impegnarsi in un conflitto aperto. Anche perché, confidano addetti ai lavori, “fin qui le sanzioni sono efficaci“. Il rublo ha perso valore, le compagnie private in Russia stanno comportandosi di conseguenza.
    Per questo motivo gli ambasciatori hanno messo a punto un nuovo set sanzionatorio che prevede l’aggiunta di nuove 160 persone nella lista nera dell’UE, una moratoria a livello di Organizzazione mondiale del commercio (WTO), e pure una stretta su criptovalute, a cui si guarda con crescente attenzione. Ma c’è anche la questione della banche. Si ragiona alla possibilità di escludere dal circuito internazionale di pagamenti SWIFT gli istituti fin qui risparmiati. Inoltre i leader sono chiamati a dare il beneplacito al divieto di vendita e scambio di materiali sensibili per il settore marittimo.
    Non a caso “parte della discussione dei leader si concentrerà sulle sanzioni”, anticipano fonti qualificate. La strategia non cambia, si vuole indebolire Mosca senza sparare un colpo. “Continuiamo a credere che le nostre sanzioni siano efficaci”.
    Sul fronte energetico non sono attesi grandi passi, almeno non per il momento. I leader, confidano, “credono  che si possano rivedere i criteri esistenti per finanziare le fonti energetiche critiche”. Tradotto: nonostante le voci su creazione di titoli di debito comune, “non avverrà per il momento”. Anche perché la questione prettamente energetica sarà oggetto del vertice formale dei Ventisette in programma il 24 e 25 marzo, quando si entrerà più nel merito delle misure per calmierare i listini energetici per famiglie e imprese sulla scia di quanto già proposto dal team von der Leyen.

    Al vertice informale di Versailles si continuerà con la linea adottata finora per rispondere all’invasione dell’Ucraina. Su energia si torna a parlare a fine mese

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    Lukashenko minaccia l’UE: “Niente sanzioni oppure stop al gas”

    Bruxelles – “Noi riscaldiamo l’Europa e ora loro ci minacciano con la chiusura del confine. Cosa accadrebbe se bloccassimo il transito di gas naturale?”.  Aljaksandr Lukashneko torna ad attaccare l’UE in merito alla crisi dei migranti che in questi giorni ha scaldato la frontiera tra Polonia e Bielorussia.
    La minaccia del presidente bielorusso segue le notizie sul quinto pacchetto di sanzioni – ora confermate da fonti della Commissione europea – che i Paesi UE stanno discutendo. La Commissione ha ribadito che “le sanzioni sono solo uno degli strumenti che l’Unione ha a disposizione” e che una decisione in merito da parte degli Stati membri arriverà a breve.
    Non si conoscono con certezza i settori che potrebbero essere colpiti da eventuali sanzioni. Per il momento è possibile che ad essere interessate saranno quelle compagnie aeree colpevoli di trasportare illegalmente migranti dal Medio Oriente alla Bielorussia, dove vengono utilizzati per mettere sotto pressione le frontiere polacche e lituane. Anche in questo caso la Commissione non si è ancora espressa ma ha confermato di essere in contatto con le principali compagnie aeree per portare avanti delle indagini.
    Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, ha risposto che “non dovremmo sentirci intimiditi dalle minacce della Bielorussia”. Posizione ribadita dalla Commissione, che giudica il taglio alla fornitura di gas come “uno scenario estremamente ipotetico”, che “danneggerebbe in primis la Bielorussia”.
    Lukashenko minaccia l’UE, ma gli serve il permesso di Putin
    Il gas che attraversa il Paese per arrivare in Polonia, e da lì arriva in Europa, scorre attraverso il gasdotto Yamal che nel suo tratto bielorusso è di esclusiva competenza di Gazprom – la controllata statale russa. Anche la materia prima proviene esclusivamente dalla Federazione, che lo estrae principalmente nel mare di Kara.
    Interrompere le forniture significherebbe, come riferito dalla Commissione, “danneggiare i fornitori” e dunque la Russia, unico alleato di Lukashenko e partner insostituibile per preservare la stabilità del regime bielorusso.
    Per tagliare l’approvvigionamento di gas, Minsk dovrebbe innanzitutto avere il via libera da Mosca. Il consenso del Cremlino, tuttavia, trascinerebbe la Russia in una vicenda a cui vorrebbe rimanere estranea (almeno a livello ufficiale) – posizione che il presidente Vladimir Putin ha fatto intendere anche durante una recente telefonata con Angela Merkel.

    Il Presidente della Bielorussia risponde all’Unione europea, che in questi giorni pensa all’emissione di un quinto pacchetto di sanzioni contro il governo di Minsk per l’utilizzo come arma dei migranti. Adesso Lukashenko minaccia di interrompere il flusso dei gasdotti russi che, passando attraverso il Paese, riscaldano gli Stati europei

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    Accordo tra Italia e Grecia: fissati i confini marittimi, potenziata la cooperazione tra Roma e Atene

    Bruxelles – L’incontro alla Farnesina trai ministri degli Esteri di Italia Grecia ha visto lo scambio degli strumenti di ratifica dell’accordo sui confini marittimi dei due Paesi. Nikos Dendias, in una lettera indirizzata all’omologo italiano Luigi di Maio, ha parlato di “un atto simbolico di eccezionale importanza”.
    L’accordo tra Italia e Grecia e la ZEE
    Un’intesa era stata già trovata nel giugno del 2020, poi pubblicata in Gazzetta ufficiale nel 2021. Adesso l’accordo diventa realtà anche sul piano internazionale. I confini marittimi ricalcano quelli disegnati già nel 1977. All’epoca però non erano state definite le specificità funzionali delle zone disegnate. Adesso Atene e Roma si sono accordate per delimitare le rispettive Zone economiche esclusive (ZEE). 
    Si tratta della prima ZEE formalmente dichiarata dall’Italia. Fino al 2020 la Penisola era uno dei pochi Paesi Mediterranei a non aver esteso il proprio diritto esclusivo su un braccio di mare oltre le 12 miglia di acque territoriali. Tutt’oggi i confini marittimi e di sfruttamento delle risorse italiani sono fonte di controversie con Malta, Algeria e Tunisia, non esistendo una zona definita nel Canale di Sicilia e al largo delle coste sarde.
    Luigi di Maio auspica che l’accordo odierno possa “rappresentare un modello per il futuro”. Le ZEE sono in genere proclamate tramite decisioni unilaterali, ma solo l’accordo con i Paesi confinanti assicura che le delimitazioni vengano realmente rispettate. Un approccio simile a quello tenuto con la Grecia potrebbe ad esempio essere replicato con le nazioni sull’altro lato dell’Adriatico, con cui Roma ha in generale buoni rapporti.

    Non solo confini marittimi
    Ma i ministri non hanno discusso solo di confini marittimi. Come ha dichiarato di Maio, Italia e Grecia hanno affrontato una serie di dossier che spaziano dal “rafforzare il ruolo di hub energetici in Europa” alla “collaborazione sui temi europei, in particolare sulla necessità di un accordo sulle migrazioni”. L’incontro ha confermato che le due diplomazie sono d’accordo per una soluzione promossa dall’UE per evitare l’instabilità nei Balcani occidentali.
    Sul tavolo anche la Libia. Dendias ha ribadito la sua fiducia nella Conferenza internazionale sul futuro del Paese che inizierà a Parigi il 12 novembre. Lo scopo fondamentale per il ministro greco è quello di “favorire l’uscita dei mercenari dal Paese”, insieme a “un impegno di lungo periodo per ricostruire lo Stato”.
    Stando alle dichiarazioni dei funzionari del governo italiano l’accordo è solo una questione tra Roma ed Atene. Ma la lettera scritta dal ministro degli Esteri greco è indirizzata anche ad un altro interlocutore, la Turchia. Nel documento Dendias fa riferimento alle continue “violazioni del diritto internazionale” operate dalla marina turca nel Mediterraneo orientale e alla “ricerca di un casus belli” contro la Grecia.
    Dichiarazioni che fanno pensare che l’accordo con l’Italia, almeno per la Grecia, è una risposta all’intesa che Erdogan ha raggiunto con il governo dell’ex premier libico al-Sarraj nel 2019, per la creazione di un corridoio economico esclusivo tra Turchia e Libia. Questa delimitazione comprende anche alcuni tratti di mare a largo dell’isola di Creta che Atene rivendica come di propria competenza.

    L’accordo sulla delimitazione dei confini marittimi era stato firmato nel giugno del 2020 e riprendeva i confini di un’intesa siglata già nel 1977, ma negli ultimi 45 anni non erano ancora state individuate le rispettive zone di giurisdizione funzionale

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    COP26, Johnson: nuove tecnologie per dimezzare le emissioni di CO2 al 2030

    Bruxelles – ‘Ripulire’ i cinque principali settori ad alta impronta di carbonio, quelli che insieme contribuiscono al 50% delle emissioni globali di anidride carbonica, tra i principali fattori del surriscaldamento del pianeta. La comunità internazionale riunita a Glasgow per la conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26) tenta di riscrivere le regole del gioco, con il Regno Unito che rivendica un ruolo guida in tal senso. Sul tavolo negoziale è arrivata la proposta per dimezzare le emissioni di CO2 a firma del primo ministro britannico Boris Johnson. Si tratta di un’agenda di contrasto ai cambiamenti climatici che passa per l’utilizzo di nuove soluzioni a basso impatto ambientale nei comparti energia, trasporto su strada, acciaio, idrogeno e agricoltura.
    Londra propone un piano internazionale per fornire tecnologia pulita e conveniente ovunque entro il 2030, sostenuta e sottoscritta da “oltre 40 leader mondiali”, fa sapere la delegazione britannica. Tra gli aderenti  Stati Uniti, India, UE, Cina, economie in via di sviluppo e alcuni dei paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, che insieme rappresentano oltre il 70 per cento dell’economia mondiale e di ogni regione .
    In base all’agenda Paesi e aziende si coordineranno per “accelerare drasticamente” lo sviluppo e l’impiego di nuovi modelli produttivi. Si punta ad energia pulita per tutti, al fine di soddisfare il proprio fabbisogno energetico in modo efficiente entro la fine del decennio. In secondo luogo i veicoli dovranno diventare “la nuova normalità”, accessibile in tutte le regioni. Ancora, nel settore siderurgico si vuole un uso efficiente e una produzione di acciaio a emissioni quasi zero. Cambiamenti anche per quanto riguarda l’idrogeno: si vuole quello rinnovabile a prezzi accessibili disponibile a livello globale. Infine si vuole un settore primario in grado di adattarsi alle sfide poste dai cambiamenti del clima.
    Tutto questo si traduce in iniziative internazionali per accelerare l’innovazione e ampliare le industrie verdi. Si tratta di in particolare di regole comuni internazionali, non solo per aree geografiche od organizzazioni. Il piano britannico suggerisce di “allineare politiche e standard”, e apre a cooperazione internazionale nel settore della ricerca industriale attraverso maggiori “sforzi di ricerca e sviluppo”.
    Riuscire in questi cinque settori, stimano i britannici, potrebbe creare 20 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale e aggiungere oltre 16 trilioni di dollari (cioè 16 milioni di milioni) sia nelle economie emergenti che in quelle avanzate. 
    “Facendo della tecnologia pulita la scelta più conveniente, accessibile e attraente, il punto di partenza predefinito in quelli che sono attualmente i settori più inquinanti, possiamo ridurre le emissioni in tutto il mondo”, sostiene Johnson. Il premier britannico sostiene convintamente che i Glasgow Breakthroughs, nome dato da Londra alla sua proposta per dimezzare le emissioni di CO2, “daranno una spinta in avanti, in modo che entro il 2030 le tecnologie pulite possano essere godute ovunque, non solo riducendo le emissioni ma anche creando più posti di lavoro e maggiore prosperità”.

    Il premier vuole velocizzare lo sviluppo di tecnologia pulita nei comparti energia, trasporto su strada, acciaio, idrogeno e agricoltura. Fondamentali regole e alleanze internazionali