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    Il Montenegro ha completato l’iter di nomina dei giudici della Corte Costituzionale. “Ottime notizie” per la strada verso l’Ue

    Bruxelles – Si chiude dopo più di tre anni una crisi istituzionale che ha rischiato di mettere a repentaglio la strada del Montenegro verso l’adesione all’Unione Europea. Con il via libera a larghissima maggioranza delle nuova Assemblea nazionale, anche l’ultimo dei quattro giudici della Corte Costituzionale vacanti è stato nominato, permettendo così all’istituzione di ripristinare la sua piena funzionalità e al Paese balcanico di continuare il percorso verso l’adesione all’Unione Europea.
    L’elezione di Faruk Rasulbegović era attesa da nove mesi, quando l’Assemblea del Montenegro aveva dato l’ok a tre nomine ma non era riuscita a trovare l’accordo sul settimo giudice. L’istituzione di fatto in stallo dal 2020 si è sbloccata a fine febbraio con sei giudici su sette in carica, ma finora non era ancora stata istituita la piena operatività. Dopo il voto degli 81 deputati, il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, ha sottolineato che l’elezione dell’ultimo membro sono state finalmente create le condizioni necessarie per il pieno funzionamento della Corte Costituzionale. L’istituzione sta ancora smaltendo quasi tremila ricorsi sulla protezione dei diritti umani nel Paese accumulatisi nel corso degli ultimi tre anni.
    “Abbiamo ricevuto ottime notizie dal Montenegro“, ha commentato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Le nomine della Corte Costituzionale, attese da tempo, sono state finalmente completate, con un’impressionante maggioranza qualificata trasversale”. A questo punto da Bruxelles ci si aspetta “ulteriori decisioni su nomine giudiziarie chiave e altre riforme in sospeso” per l’avvicinamento all’adesione Ue, a partire dalla nomina del nuovo Consiglio giudiziario e del procuratore-capo. Dopo anni di “profonda polarizzazione politica e instabilità” che hanno determinato “l’arenarsi dei progressi” del Paese più avanzato dei 10 che hanno intrapreso la strada verso l’Ue, ora con il nuovo governo c’è la possibilità concreta di mettere a terra i “parametri provvisori sullo Stato di diritto stabiliti nei capitoli 23 e 24” (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’), si legge nel report specifico per il Montenegro del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre.

    La crisi istituzionale in Montenegro
    La chiusura dell’iter di nomina dei giudici della Corte Costituzionale è considerato di cruciale importanza a Bruxelles se si considera in particolare la contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che ha infiammato la seconda metà dello scorso anno. Considerato il fatto che la Corte Costituzionale è l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge, senza la sua piena funzionalità non è possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović
    Eppure l’iter di approvazione della legge è proseguito lo stesso a Podgorica. Dopo il primo via libera di inizio novembre 2022 la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi. La legge permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato: in caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrà l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Il 20 settembre dello scorso anno l’ex-numero uno del Paese, Milo Đukanović, aveva proposto di tornare alle urne, dopo essersi rifiutato di confermare come nuovo primo ministro il leader dell’Alleanza Democratica (Demos), Miodrag Lekić, a causa del ritardo nella presentazione delle 41 firme a suo sostegno.
    La fine dei tre anni di turbolenza politica
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, a Podgorica (31 ottobre 2023)
    Il 2023 chiude così a tutti gli effetti la crisi istituzionale (con la nomina di tutti e quattro i giudici della Corte Costituzionale) ma anche politica. Da febbraio a oggi è stato un anno di trionfi per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro – rispettivamente Milojko Spajić e Jakov Milatović – vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno. Il neo-premier Spajić – eletto nel giorno della visita a Podgorica della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – e il neo-presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić, a Podgorica (31 ottobre 2023)
    La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) ha messo fine a una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Dritan Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.
    Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Nel pieno della crisi istituzionale emersa dalla seconda metà dell’anno e dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, non sapendo che di lì a poche settimane avrebbe perso le elezioni presidenziali prima, e le nazionali poi.

    Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

    Il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, ha accolto con favore il voto dell’Assemblea nazionale che rende pienamente funzionante l’organo costituzionale. Ora da Bruxelles ci si attende da Podgorica “ulteriori decisioni su nomine giudiziarie chiave e altre riforme in sospeso”

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    Il Montenegro elegge il nuovo governo europeista nel giorno della visita di von der Leyen a Podgorica

    Bruxelles – Dopo cinque mesi dalle elezioni e dopo settimane di durissime trattative tra una lunga lista di partiti e coalizioni, il Montenegro ha un nuovo governo. E il giorno in cui l’Assemblea nazionale ha dato il via libera al gabinetto di Milojko Spajić, leader di una forza il cui programma sta tutto nel nome – Europe Now – coincide con un appuntamento cruciale: la visita della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Podgorica, terza tappa del suo tour nella regione. Perché nel taccuino della numero uno dell’esecutivo Ue c’erano due temi fondamentali di cui discutere oggi (31 ottobre) con i leader montenegrini: la ripresa del cammino di adesione Ue e la spinta per il nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, a Podgorica (31 ottobre 2023)“Sono soddisfatta che ora siate pienamente focalizzati sulla strada verso l’Unione Europea, da tempo il Montenegro è il Paese più avanzato e tutti i capitoli negoziali sono aperti, ma serviva nuova determinazione“, ha ricordato von der Leyen. Il riferimento è agli ultimi tre anni politicamente tormentati per Podgorica, che hanno non poco rallentato i progressi di un percorso di adesione iniziato quasi 15 anni fa. “È importante che il Paese vada in un’unica direzione e parli con una sola voce” – anche considerato l’allineamento al 100 per cento alla Politica estera e di sicurezza dell’Ue – “siete dei front-runner e ora serve fare l’ultimo miglio“. La leader della Commissione ha discusso di riforme, allineamento allo Stato di diritto e investimenti non solo con il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, ma anche con il neo-premier Spajić, fresco fresco di nomina al Parlamento unicamerale: “Il processo di adesione è basato sul merito, non serve aspettare una data [il 2030 ormai inflazionato nel dibattito pubblico europeo, ndr] e se lo fate il prima possibile, si apriranno subito le porte dell’Ue”, ha ricordato von der Leyen a entrambi gli esponenti di Europe Now.Da oggi il Montenegro sarà guidato da una coalizione europeista di partiti filo-Ue, filo-serbi e della minoranza albanese, con a capo il più giovane primo ministro di tutta Europa (Spajić ha 36 anni appena compiuti). Nel voto di investitura di questa mattina l’esecutivo si è assicurato 46 voti su 81 totali – 19 contrari, 1 astenuto e 15 assenti – assicurandosi l’appoggio non solo della coalizione di quattro partiti che fa capo a Europe Now, ma anche da quella colazione filo-serba ‘Per il futuro del Montenegro’, dai liberali di Montenegro Democratico, dal Partito Popolare Socialista e dai tre partiti della minoranza albanese. “La nostra visione è diventare la Svizzera dei Balcani e la Singapore d’Europa“, ha dichiarato Spajić al Parlamento appena prima del voto. Ma la vera missione del governo sarà quella di portare il Paese all’interno (o quasi) nell’Unione Europea: il Montenegro ha fatto richiesta di adesione il 15 dicembre 2008, ottenendo due anni più tardi lo status di Paese candidato (il 17 dicembre 2010) e dopo altri due anni l’avvio dei negoziati (29 dicembre 2012). Da 11 anni Podgorica si trova a questo stadio nel lungo processo di adesione Ue.Una delle preoccupazioni maggiori per Bruxelles riguarda però la presenza all’interno del governo del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico e dell’elezione del suo leader, Andrija Mandić, a presidente dell’Assemblea nazionale. Spajić ha assicurato che il suo gabinetto sarà “pro-europeo” nonostante l’elezione di Mandić e ha respinto le insinuazioni per cui il governo di Podgorica sarà influenzato dalla Serbia, da cui il Montenegro si è separato nel 2006 dopo un referendum sull’indipendenza. “Il Montenegro è un Paese sovrano e indipendente ed è suo diritto scegliere i suoi leader e formare le sue istituzioni”, ha risposto a una domanda in conferenza stampa a Podgorica von der Leyen: “Credo fortemente nella capacità del Montenegro di andare sulla strada giusta“. Anche perché in ballo ci sono i futuri fondi del nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali che la leader dell’esecutivo Ue sta presentando nel suo tour in tutte le capitali balcaniche. “Abbiamo usato il principio ‘riforme e investimenti’ per la ripresa post-Covid nei nostri Stati membri e ha funzionato in modo eccezionale, per questo vogliamo applicare gli stessi principi” per la messa a terra di 6 miliardi di euro complessivi (2 miliardi in sovvenzioni e 4 in prestiti). “Spero che abbiamo capito la lezione, dopo anni di stallo ci sono le condizioni per accelerare”, ha assicurato il presidente Milatović.Tre anni di turbolenza politica in MontenegroIl 2023 è stato un trionfo per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro, vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno. Il neo-premier Spajić e il neo-presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović (credits: Savo Prelevic / Afp)La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) chiude una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Mentre Abazović è rimasto premier ad interim, nel settembre 2022 si è aggravata anche la crisi istituzionale. A determinarla è stato il via libera alla contestata legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi.Il presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)Il vero problema si è però innestato con la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Senza la sua piena funzionalità non è stato possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (si rimane ancora in attesa del quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese. Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro e a poche settimane dalle presidenziali, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Il Parlamento montenegrino ha dato il via libera all’esecutivo guidato dal leader di Europe Now, Milojko Spajić: “La nostra visione è diventare la Svizzera dei Balcani e la Singapore d’Europa”. La presidente della Commissione Ue esorta il Paese a fare “l’ultimo miglio” verso l’adesione

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    L’all-in degli europeisti di Europe Now in Montenegro. Dopo il presidente della Repubblica, il primo posto in Parlamento

    Bruxelles – Il Montenegro è entrato definitivamente in una nuova era politica. Dopo la presidenza della Repubblica, il partito europeista Europe Now ha conquistato anche il primo posto all’Assemblea nazionale alle elezioni anticipate di ieri (11 giugno). “Questa è una grande vittoria, ora parleremo con tutti coloro che condividono i nostri valori”, è stato il commento a caldo del leader del partito, Milojko Spajić, dopo lo storico risultato nel Paese balcanico.
    (credits: Savo Prelevic / Afp)
    Europe Now non ha solo conquistato il 25,6 per cento delle preferenze degli elettori, ma per la prima volta nella storia del Montenegro ha relegato al secondo posto il Partito Democratico dei Socialisti (Dps), la maggiore forza politica dal 1991 ma ieri fermatosi al 23,2 (12 punti percentuali in meno rispetto alle elezioni del 2020). In attesa dei risultati definitivi, l’istituto Centre for Monitoring and Research ha fornito una proiezione della distribuzione dei seggi con il 98,7 per cento delle schede elettorali scrutinate, in cui emerge il trionfo di Europe Now con 24 deputati (su 81), seguito dal Dps con 21. Ma decisive saranno le alleanze che cercherà di mettere in campo la forza politica nata nel febbraio dello scorso anno: la coalizione guidata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) del premier uscente Dritan Abazović ha conquistato il 12,5 per cento dei voti e 11 seggi, mentre i filo-serbi e pro-Ue di ‘Per il futuro del Montenegro’ (guidati da un altro ex-premier, Zdravko Krivokapić) il 14,7 per cento e 13 seggi. Insieme le tre forze possono contare su 48 seggi, con la possibilità di una convergenza di altri piccoli partiti che rappresentano le minoranze etniche nel Paese (bosniaca, albanese e croata).
    Lo scorso 2 aprile il Montenegro aveva già assisto al primo tempo della transizione politica, con la fine del potere del padre-padrone del Paese, Milo Đukanović. Alle elezioni presidenziali il candidato di Europe Now, Jakov Milatović, è stato eletto con il 60 per cento delle preferenze al secondo turno di voto ed è entrato in carica il 23 maggio. “Entro i prossimi cinque anni porteremo il Montenegro nell’Unione Europea”, è stata la promessa del neo-presidente, a dimostrazione che le tendenze filo-serbe nel Paese non necessariamente sono contrarie alla visione europeista delle relazioni internazionali. Dopo il risultato delle elezioni presidenziali di ieri, il processo di adesione all’Ue del Paese balcanico iniziato nel 2012 potrebbe uscirne rafforzato con un governo più stabile. Non è un caso se dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio dello scorso anno, il Montenegro ha aderito immediatamente alle sanzioni Ue contro Mosca, ha inviato aiuti a Kiev e ha aderito a una nuova iniziativa balcanica per il rafforzamento dell’allineamento alla politica estera dell’Unione. “Il Montenegro è un partner importante per l’Ue e il più avanzato sulla strada verso l’adesione“, ha commentato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.
    La situazione politica in Montenegro
    L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    La crisi per il Dps e Đukanović è iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020, quando in Montenegro sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni di governo ininterrotto. Al potere era andata per poco più di un anno una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Abazović. Il 4 febbraio dello scorso anno era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via a un governo di minoranza guidato da Abazović. Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue.
    Mentre Abazović è rimasto premier ad interim, a partire dal settembre dello scorso anno si è aggravata anche la crisi istituzionale. A sparigliare le carte è stato il via libera a una contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi.
    Il presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)
    Il vero problema si è però innestato con la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Senza la sua piena funzionalità non è stato possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (si rimane ancora in attesa del quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese. Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, prima di perdere la carica di presidente il 3 aprile.
    Chi guida Europe Now
    La doppia tornata elettorale in poco più di due mesi è stato il primo vero banco di prova nazionale per il nuovo movimento europeista Europe Now, dopo essersi piazzato al secondo posto alle amministrative dell’ottobre dello scorso anno nella capitale Podgorica. A guidare il partito sono Spajić e il neo-presidente Milatović, rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro.
    I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni parlamentari del 2023. Una delle missioni di Europe Now sarà proprio quella di accompagnare il Paese balcanico nell’Unione Europea: il Montenegro ha fatto richiesta di adesione il 15 dicembre 2008, ottenendo due anni più tardi lo status di Paese candidato (il 17 dicembre 2010) e dopo altri due anni l’avvio dei negoziati (29 dicembre 2012). Da 11 anni Podgorica si trova a questo stadio nel lungo processo di adesione all’Unione.

    Alle elezioni anticipate il partito del neo-presidente Jakov Milatović ha conquistato un quarto delle preferenze, relegando al secondo posto il Partito Democratico dei Socialisti per la prima volta nella storia del Paese. Ora si cerca un accordo per una larga maggioranza pro-Ue

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    Inizia una nuova era per il Montenegro. Bruxelles indica al nuovo presidente Milatović il lavoro sulle riforme verso l’Ue

    Bruxelles – Il Paese più avanzato sul cammino verso l’adesione all’Unione Europea è entrato in una nuova era politica. Per la prima volta in 32 anni il Montenegro non è né governato né presieduto da Milo Đukanović, padre-padrone dello Stato balcanico prima e dopo l’indipendenza nazionale nel 2006. Dopo il primo turno di due settimane fa, che già aveva indicato l’alta probabilità di un cambio di guardia a Podgorica, il ballottaggio di ieri (2 aprile) ha sancito la vittoria di Jakov Milatović, che diventerà il nuovo presidente del Montenegro a partire dal prossimo 23 maggio.
    Il nuovo presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)
    “Entro i prossimi cinque anni porteremo il Montenegro nell’Unione Europea“, ha esultato il neo-presidente dopo la pubblicazione dei risultati del secondo turno di voto, che lo ha visto trionfare con il 60 per cento delle preferenze sullo sfidante ed ex-presidente Đukanović e il 70 per cento di affluenza al voto. Filtra ottimismo anche a Bruxelles, dove il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha subito commentato la vittoria di Milatović: “Congratulazioni al nuovo presidente, non vedo l’ora di iniziare il lavoro per accelerare le riforme necessarie sul percorso del Montenegro verso l’Ue”.
    Parlando alla stampa europea, il portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Peter Stano, ha sottolineato che l’esecutivo comunitario è pronto a lavorare con Milatović e “tutti gli attori politici per aiutare il Paese a rimanere saldo nel percorso di adesione Ue e costruire il consenso sull’implementazione delle riforme sullo Stato di diritto e sulla giustizia“. Il supporto di Bruxelles è motivato dal fatto che l’adesione all’Unione è sostenuta dalla “maggioranza schiacciante della popolazione montenegrina” e in questo contesto “la stabilità politica nel Paese è chiave per continuare il percorso” per diventare il 28esimo Stato membro Ue.
    Chi è il nuovo presidente del Montenegro
    L’economista 36enne, che aveva solo cinque anni quando Đukanović salì al potere nel 1991 come primo ministro della Repubblica di Montenegro (allora parte della Repubblica Federale di Jugoslavia), è un personaggio relativamente noto a livello nazionale. Dopo aver lavorato per il gruppo bancario e finanziario sloveno Nlb Group a Podgorica e per Deutsche Bank a Francoforte, nel 2014 è entrato nel team di analisi economica e politica della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers) e dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 è stato ministro dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović guidata da Zdravko Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo Milatović ha presentato insieme al ministro delle Finanze, Milojko Spajić, un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro.
    I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro, come la coalizione moderata di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e la piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) del premier dimissionario, Dritan Abazović. Alle amministrative di ottobre nella capitale Podgorica Milatović ha corso come candidato sindaco per Europe Now, piazzandosi al secondo posto. Dopo la squalifica di Spajić da parte della commissione elettorale centrale per il possesso di cittadinanza serba – vietata dalla legge montenegrina per chi vuole correre per la presidenza della Repubblica – si è candidato come sfidante di Đukanović alla prima carica del Paese.
    Festeggiamenti di elettrici filo-serbe in Montenegro dopo la vittoria di Jakov Milatović alle presidenziali del 2 aprile 2023 (credits: Savo Prelevic / Afp)
    “Sarò il presidente di tutti i cittadini, guiderò il Paese verso l’integrazione europea e promuoverò il recupero morale e sociale del Montenegro, depoliticizzando e rafforzando le istituzioni”, ha promesso Milatović. Il nuovo presidente è anche favorevole a relazioni più strette con la vicina Serbia (nonostante nel 2006 abbia votato a favore dell’indipendenza da Belgrado) e non a caso è stato sostenuto esplicitamente dai candidati dei partiti più rappresentati in Parlamento sconfitti al primo turno, sia il leader del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico, Andrija Mandić, sia quello del partito populista conservatore Montenegro Democratico, Aleksa Bečić. Anche se si tratta della questione più delicata sulla scena politica montenegrina – il co-fondatore di Europe Now Spajić ha svolto attività di lobbying negli Stati Uniti a favore degli interessi della Chiesa serbo-ortodossa nel Paese – le tendenze filo-serbe non necessariamente sono contrarie alla visione europeista delle relazioni internazionali e il processo di adesione all’Ue del Paese balcanico iniziato nel 2012 e ribadito con una nuova iniziativa balcanica non dovrebbe subire contraccolpi.
    La situazione politica in Montenegro
    Per la prima volta in 32 anni sulla scena politica nazionale Đukanović non rivestirà alcun ruolo. Il leader del Partito Democratico dei Socialisti (Dps) è stato premier dal 1991 al 1998 e poi di nuovo dal 2003 al 2006, dal 2008 al 2010 e dal 2012 al 2016, portando anche all’adesione del Montenegro alla Nato (formalmente dal 5 giugno 2017). Tra il 1998 e il 2003 e dal 2018 a oggi ha rivestito il ruolo presidente, in un periodo cruciale per il passaggio della Repubblica da federata con la Serbia a indipendente. I rivali di Đukanović accusano il quasi ex-presidente e il suo partito di corruzione e di legami con la criminalità organizzata, ma anche di aver politicizzato le istituzioni nazionali, con particolare riferimento alla crisi istituzionale aggravatasi negli ultimi mesi dello scorso anno.
    L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Tutto è legato alla legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi. Il problema è stata la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (manca ancora il quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina.
    Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno. Il risultato delle presidenziali potrebbe ora mettere ancora più in crisi il Partito Democratico dei Socialisti, che ha perso ieri l’ultima leva di potere che ancora deteneva. Dopo il risultato fallimentare delle elezioni politiche dell’agosto 2020 i socialisti hanno perso anche il controllo delle due città più grandi del Paese, Podgorica e Nikšić, alle amministrative dello scorso autunno e dal prossimo 23 maggio non esprimeranno più nemmeno la presidenza della Repubblica. La nuova era per il Montenegro è già iniziata, e il ritorno al voto anticipato per il rinnovo del Parlamento potrebbe essere l’ultima occasione per il padre-padrone della nazione di mantenere ancora la presa sul Paese.

    Il 36enne fondatore di Europe Now è stato eletto leader del Paese balcanico, mettendo fine al potere trentennale del socialista Milo Đukanović. Il sostegno dei partiti filo-serbi non sembra preoccupare la Commissione Ue, considerato il posizionamento europeista del partito