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    La Palestina e l’Azerbaijan vogliono entrare nei Brics

    Bruxelles – La famiglia dei Brics, il gruppo delle cosiddette economie emergenti che si dipingono collettivamente come contrappeso all’egemonia occidentale a livello globale, potrebbe presto allargarsi ancora dopo aver più che raddoppiato la propria membership a inizio anno. Tra i nuovi ingressi, che saranno probabilmente annunciati in autunno, ci potrebbero essere la Palestina e l’Azerbaijan. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa turca Anadolu, l’ambasciatore palestinese a Mosca, Abdel Hafiz Nofal, ha dichiarato che Ramallah ufficializzerà la propria richiesta di entrare nel blocco dei Brics dopo aver partecipato al prossimo summit, in calendario per ottobre a Kazan, circa 870 chilometri a est della capitale russa. I Brics sono un gruppo di Paesi, considerati emergenti nell’economia globale (anche se il concetto di “economia emergente” è ad oggi controverso), nato nel 2009 con quattro membri: Brasile, Russia, India e Cina. Nel 2011 si è aggiunto il Sudafrica (da qui l’acronimo Brics, dall’unione delle iniziali dei Paesi – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e a gennaio 2024 sono entrati anche Egitto, Emirati arabi uniti, Etiopia ed Iran – il che ha portato il blocco a rappresentare ora oltre il 37 per cento del Pil mondiale (l’Ue, per avere una prospettiva, vale circa il 14,5 per cento). La Palestina ha fatto richiesta per partecipare all’organizzazione nell’agosto 2023, insieme ad altri 21 Paesi (inclusi i quattro che sono poi effettivamente entrati). Dal primo gennaio di quest’anno, la presidenza di turno del gruppo (che dura un anno) è stata assunta dalla Federazione russa. “Il presidente russo Vladimir Putin ha promesso che ci sarà una sessione interamente dedicata alla Palestina”, ha precisato l’ambasciatore Nofal, sottolineando che l’invito rivolto al presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas lunedì (26 agosto) “significa che nonostante tutti i crimini, le uccisioni e la distruzione nella Striscia di Gaza, il nostro messaggio è che la Palestina vuole vivere e svilupparsi“. Mosca si è ripetutamente mostrata vicina, almeno a parole, alla causa palestinese fin dall’avvio dell’offensiva israeliana nella Striscia, e rappresenta pertanto uno dei “protettori” internazionali più naturali per Ramallah. Lo Stato di Palestina è stato formalmente dichiarato dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) nel 1988, ma è stato ammesso all’Assemblea generale delle Nazioni unite in qualità di osservatore solo nel 2012. Ad oggi, sono 145 su 193 gli Stati membri dell’Onu che lo riconoscono ufficialmente, di cui solo dodici Paesi Ue (Bulgaria, Cechia, Cipro, Irlanda, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria). Mancano all’appello la quasi totalità delle nazioni occidentali.  Oltre alla Palestina, anche l’Azerbaijan ha espresso l’intenzione di unirsi al blocco delle economie emergenti lo scorso 20 agosto, in occasione di una visita del presidente russo nel Paese. I legami tra Baku e Mosca si sono intensificati negli ultimi anni: ad esempio, una “dichiarazione sull’interazione alleata” per una maggiore cooperazione bilaterale è stata siglata appena due giorni prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, nel febbraio 2022. L’avvicinamento tra la Federazione russa e la repubblica del Caucaso meridionale è stata anche speculare al progressivo allontanamento dell’Armenia da Mosca, soprattutto in seguito alla mancata risposta del Cremlino all’acuirsi della crisi tra Yerevan e Baku nell’exclave armena del Nagorno-Karabakh, riconquistata dagli azeri nel settembre dello scorso anno. L’Armenia fa ancora formalmente parte di un trattato di sicurezza collettivo stipulato da diverse ex repubbliche sovietiche (Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan), ma nel corso del 2024 si è progressivamente distanziata da Mosca e ha annunciato l’intenzione di abbandonare l’alleanza militare. Nonostante i crescenti legami con la Russia di Putin, l’Azerbaijan è diventato recentemente uno dei principali partner energetici dell’Unione europea, cui fornisce gas naturale e petrolio proprio per sopperire alla mancanza di idrocarburi a seguito della guerra in Ucraina. E, nonostante il Paese sia guidato dal presidente Ilham Aliyev in maniera autoritaria e abbia fatto la propria ricchezza proprio sulla vendita di combustibili fossili, Baku ospiterà la prossima conferenza Onu sul clima, la Cop 29, a novembre. 

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    In Bosnia non c’è l’accordo sull’Agenda di riforme. A rischio i fondi Ue del Piano di crescita

    Bruxelles – Non basta il via libera del Consiglio Europeo all’avvio dei negoziati di adesione. La Bosnia ed Erzegovina rimane nel caos istituzionale, che ora mette a rischio – come da tempo temuto – i fondi Ue stanziati dal nuovo Piano per i Balcani Occidentali che lega la crescita economica con le riforme interne. “La Bosnia ed Erzegovina non ha ancora presentato alla Commissione Europea un’agenda di riforma definitiva, è quindi molto probabile che non riceva già dopo l’estate la prima rata non condizionata di prefinanziamento del 7 cento”, è quanto reso noto dalla delegazione Ue a Sarajevo in una nota pubblicata su X: “Si tratta di un’occasione persa per un finanziamento anticipato e sostanziale“.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, a Sarajevo (primo novembre 2023)Che Sarajevo corresse questo pericolo era già emerso lo scorso autunno, quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nella sua tappa bosniaca del consueto viaggio annuale nei Balcani Occidentali aveva messo in chiaro che la mancata implementazione delle riforme fondamentali comporterà che “le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo“. Con il Piano di crescita approvato in tempi record dai co-legislatori Ue all’inizio di quest’anno, l’esecutivo Ue aveva confermato due mesi fa che in caso di non rispetto degli standard sulle riforme l’Ue potrà decidere di tagliare i fondi. “La prima rata del Piano di crescita potrà essere erogata solo dopo che l’Agenda di riforma sarà stata presentata e formalmente approvata dalla Commissione Europea e dalla Bosnia ed Erzegovina”, ha precisato ieri (25 luglio) la delegazione Ue a Sarajevo, incoraggiando il lavoro “senza ulteriori ritardi, per non perdere del tutto questa opportunità”. La quota di finanziamenti per la Bosnia ed Erzegovina dal Piano di crescita è stimata complessivamente a un miliardo di euro: al momento salta una prima rata di prefinanziamento senza condizioni dal valore di circa 70 milioni di euro.A provocare lo stallo istituzionale sull’approvazione dell’Agenda di riforma è stato il caos istituzionale emerso di fronte alla bozza presentata dal Gruppo di lavoro ad hoc, nonostante la proroga alla scadenza concessa dalla Commissione Ue per raggiungere in extremis in accordo. In quello che a tutti gli effetti è uno degli assetti istituzionali più complicati al mondo – come emerso dagli Accordi di Dayton del 1995 che hanno chiuso tre anni e mezzo di guerra civile ed etnica nel Paese – prima il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, si è rifiutato di accettare due punti (dei 112 dell’Agenda) sulla nomina dei giudici della Corte costituzionale centrale e sul riconoscimento delle decisioni della Corte stessa, poi i rappresentanti di quattro cantoni della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (Bosnia Centrale, Tuzla, Zenica-Doboj e Una-Sana) non hanno dato il consenso al documento, accusandolo di privilegiare le istituzioni delle due entità rispetto a quelle statali e di dare priorità ai progetti nella Republika Srpska e nei cantoni a maggioranza croato-bosniaca rispetto a quelli a maggioranza bosgnacca.Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)“Nonostante tutti gli sforzi e il sostegno delle istituzioni europee, non tutti hanno mostrato un livello minimo di responsabilità politica per indirizzare le nostre attività verso un percorso europeo comune“, ha attaccato la presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina, Borjana Krišto, annunciando mercoledì (24 luglio) il fallimento delle trattative sull’Agenda di riforme. Oltre alla delegazione Ue, che ribadisce la disponibilità a continuare a supportare le autorità bosniache “se necessario”, è intervenuta in modo duro anche l’ambasciata statunitense a Sarajevo a difesa del Piano di crescita per i Balcani Occidentali, definito in una nota pubblicata ieri “un’offerta senza precedenti dell’Ue ai cittadini della Bosnia ed Erzegovina”. L’attacco diretto di Washington è non solo al presidente serbo-bosniaco Dodik – “un uomo che mette costantemente i suoi interessi davanti a quelli di coloro che dice di rappresentare” e che rappresenta “la più grande minaccia al futuro europeo” del Paese balcanico – ma anche al principale partito bosniaco-musulmano, il Partito d’Azione Democratica (Sda): “La decisione di sfruttare l’occasione per un’esibizione politica, invece di lavorare con gli altri partiti per ottenere l’approvazione degli ultimi due punti in sospeso, è stata inutile e irresponsabile”.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato presentato dalla presidente von der Leyen lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno della Commissione Ue, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme socio-economiche e fondamentali da intraprendere tra il 2024 e il 2027, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo Strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme concordate nelle rispettive Agende (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, con le assegnazioni per ciascun Paese stabilite sulla base del Pil e della popolazione. Il sostegno del Piano di crescita – effettuato due volte l’anno e condizionato dal rispetto delle fasi qualitative e quantitative delle Agende – sarà fornito per metà dal Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) e per metà da prestiti erogati direttamente ai bilanci nazionali dei partner.La ‘grana’ Republika Srpska per la BosniaÈ proprio Dodik uno degli ostacoli maggiori per il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea – e oggi dell’accesso ai fondi Ue del Piano di crescita – da quando si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, e l’autocrate russo, Vladimir Putin, al Cremlino il 23 maggio 2023 (credits: Alexey Filippov / Sputnik / Afp)Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Parlamento Ue: che cosa succede dopo il voto, le tappe principali

    È un percorso a tappe quello che porterà a rinnovare il Parlamento e la Commissione europea, dopo le elezioni dell’8 e 9 giugno. Ricordiamo che, nella legislatura che si chiude – la nona – il Parlamento europeo ha trattato 467 atti legislativi, di cui 370 completati e 97 rimasti in sospeso e dovranno essere portati avanti dal nuovo Parlamento che nascerà dal voto del fine settimana. Vediamo le tappe principali.

    10 giugno
    Da ieri, 10 giugno, sono entrati nel vivo partono i negoziati per la costituzione dei gruppi politici: ciascuno dovrà essere composto da almeno 23 membri, eletti in almeno un quarto degli Stati membri. Attualmente i gruppi sono sette: Ppe (Fi), S&d (Pd), Renew (Az-Iv), Verdi, Ecr (Fdi), Id (Lega), La Sinistra.
    16 luglio
    La plenaria, che darà il via alla nuova legislatura, inizierà il 16 luglio. Il primo atto sarà l’elezione del presidente dell’Eurocamera, che avviene con voto segreto a maggioranza assoluta dei votanti. Se non viene raggiunta la maggioranza, si terrà un ballottaggio tra i due candidati più votati.
    Poi saranno eletti i 14 vice presidenti e i cinque questori.  In seguito, come avviene per i parlamenti nazionali, sarà decisa la composizione delle commissioni permanenti e delle sottocommissioni che si riuniranno per eleggere presidenti e vicepresidenti.
    18 luglio
    Dopo l’elezione del presidente del Parlamento europeo, si terrà il voto per la conferma del presidente della Commissione. In passato, nella grande maggioranza delle volte, la presidenza della Commissione è stata votata nella plenaria di settembre. Ma, quest’anno, è probabile che si terrà prima delle ferie: giovedì 18 luglio. Il presidente della Commissione dev’essere approvato dalla maggioranza assoluta dei membri del Parlamento, ossia 361.
    Ottobre-novembre
    Una volta poi eletto, il presidente della Commissione, in collaborazione con il Consiglio, seleziona i commissari sulla base delle indicazioni di ogni singolo Paese e assegna loro un settore di competenza. Ogni Stato ha un commissario. Successivamente tra  settembre-ottobre (oppure ottobre-novembre) si terranno le audizioni nelle commissioni parlamentari dei ventisei commissari che verranno proposti per il nuovo collegio. Infine, il voto che avviene in plenaria su tutto il collegio ed è a maggioranza semplice. Ottenutala, il Consiglio europeo lo nomina formalmente a maggioranza qualificata. Poi la nuova Commissione può ufficialmente cominciare il mandato.

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    Elezioni Parlamento Ue: cosa cambierà nella politica economica europea

    A urne chiuse, i risultati delle elezioni europee hanno visto una notevole ascesa dei partiti e delle coalizioni di destra nel Parlamento Ue con risultati particolarmente significativi in Italia, dove Fratelli d’Italia ha vinto conquistando 24 seggi.

    Resiste la maggioranza Ursula
    Complessivamente, si può dire che gli equilibri a Bruxelles non cambieranno: la maggioranza uscente, la cosiddetta “maggioranza Ursula”, composta dalle forze europeiste (Ppe + S&D + Renew), risulta saldamente al comando dei 720 eletti nei 27 Stati membri dell’Unione.
    In particolare,  gruppo politico più consistente si conferma quello del Ppe, che si aggiudica 186 seggi (+10 dalla legislatura uscente) corrispondenti al 25,83%. Segue l’alleanza progressista dei Socialisti e Democratici, che perdono 4 seggi: dai 139 del Parlamento 2019-2024 ne ottengono a questa tornata 135 (19,71%). Seguono i Liberali di Renew, con 79 seggi (erano 102), pari al 10,97%. Questi soli tre gruppi, corrispondenti alla “maggioranza Ursula”, arriverebbero a 400 seggi, ben al di sopra della maggioranza relativa (361 su 720).
    Francia, osservata speciale
    Al di là dei risultati elettorali del Parlamento europeo, quello che più colpisce è la grande vittoria di Rassemblement National (RN) in Francia, il partito di estrema destra guidato da Marine Le Pen, che ha conquistato il 31,4% (30 seggi) dei voti, mentre il partito di Macron è rimasto decisamente indietro con solo il 14,6% (13 seggi). Il Presidente in carica ha tuttavia optato per una mossa sorprendente, decidendo di sciogliere il Parlamento francese e indire nuove elezioni, che si terranno il 30 giugno e il 7 luglio.
    A questo proposito Sandra Rhouma, European Economist di AllianceBernstein, in riferimento alle elezioni parlamentari appena concluse:
    “Attualmente, il rischio principale è che RN vinca anche le prossime elezioni e si assicuri un numero ancora maggiore di seggi al Parlamento, rispetto agli 88 già occupati attualmente. Nel caso in cui il partito della Le Pen dovesse riuscire a ottenere la maggioranza assoluta (almeno 289 seggi), il Presidente dell’Eliseo dovrà designare un Primo Ministro dalla maggioranza, quindi proprio dall’RN, e la leader in carica sembra essere l’opzione più probabile. Se ciò dovesse concretizzarsi, è probabile che la coabitazione (la situazione di governo diviso in cui Presidente e Primo Ministro appartengono a schieramenti opposti) perduri fino al 2027, quando si terranno le prossime presidenziali. Ciò potrebbe alimentare uno scenario di maggiore incertezza e volatilità” spiega Rhouma che spiega “La principale conseguenza evidente in questa fase per l’economia e i mercati è il rischio fiscale associato alla conquista di più seggi da parte di RN, in un contesto in cui la Francia già non si trova in una situazione di bilancio confortevole”.

    Per gli  analisti di Scope Ratings, l’agenzia di rating europea, “L’esito delle elezioni legislative lampo in Francia potrebbe limitare ulteriormente la capacità del governo di affrontare le sfide più urgenti in materia di credito, tra cui il consolidamento delle finanze pubbliche, se i partiti di opposizione rafforzeranno la loro presa sull’Assemblea Nazionale”.
    Cosa cambia per le politiche e il mercato

    Euro in calo, Borse deboli ma non eccessivamente. Il mercato azionario ha reagito così all’indomani delle elezioni al Parlamento Ue. Cosa aspettarsi?
    Secondo Richard Brown, Client Portfolio Manager, Janus Henderson, “il risultato francese rappresenta una battuta d’arresto per l’integrazione all’interno dell’Unione Europea, sostenuto da Macron. Ciò sarà probabilmente negativo per il settore bancario, dato che le aspettative di un’attività paneuropea di M&A nel comparto che porti a un mercato più consolidato saranno ora ridimensionate. Inoltre, rappresenta una battuta d’arresto per la capacità dell’Europa di concepire una politica industriale a livello continentale, in grado di competere con le strategie di “autosufficienza” e reshoring di Stati Uniti e Cina.
    Sul fronte della politica monetaria, “sebbene una valuta comune più debole renda più difficile per la Banca Centrale Europea tagliare i tassi, sarà interessante vedere come cambieranno le aspettative sulle prossime decisioni di Francoforte. A nostro avviso, c’è ancora una ragionevole probabilità che siano in arrivo ulteriori movimenti di politica monetaria dopo il taglio della scorsa settimana. Inoltre, una valuta più debole potrebbe aiutare gli esportatori europei e le piccole imprese. Anche la natura “ad onda” della politica europea è un fattore noto. La destra ha già vinto le elezioni in Europa, ma raramente ha portato a un cambiamento radicale delle politiche”.
    Un’eccezione potrebbe, secondo Elliot Hentov, Head of Macro Policy Research di State Street Global Advisors, essere rappresentata dalla politica sul clima, “che probabilmente sarà vittima della svolta a destra delle elezioni europee. In questo caso è probabile che le regole dell’UE vengano attenuate, i sussidi tagliati e le sanzioni ridotte. Non è chiaro se questo possa essere vantaggioso o dannoso per la competitività europea a lungo termine”.
    Per Giacomo Calef, Country Head Italia, NS Partners, “il maggior peso assunto dalla destra nelle ultime elezioni potrebbe pregiudicare anche politiche fiscali comunitarie come il Next Generation EU, un piano che prevede significativi investimenti pubblici e riforme a favore della transizione green e della digitalizzazione. Importante anche sulle politiche industriali a livello europeo: una coalizione di destra potrebbe infatti adottare un approccio meno restrittivo alle regolamentazioni ambientali, il che desta qualche preoccupazione su un eventuale rallentamento delle iniziative green. In conclusione, la stabilità politica, anche in Europa, è fondamentale per spingere su altre politiche fiscali comunitarie, oltre alla necessità di un impulso sugli investimenti, soprattutto in un contesto di rallentamento a livello continentale. In particolare, nel settore industriale si evidenzia il rallentamento più marcato, come si nota dai dati usciti oggi su quello italiano, che mostra un calo del 2,9% rispetto a un anno fa.

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    Elezioni europee 2024: come si vota in Italia

    Tra il 6 e il 9 giugno 2024 milioni di europei parteciperanno a plasmare il futuro della democrazia europea in occasione delle elezioni europee. In Italia, le elezioni europee si svolgeranno l’8 e il 9 giugno 2024 quando i cittadini italiani saranno chiamati a eleggere 76 membri del Parlamento europeo.
    Ma cosa sono le elezioni europee? E come si vota?

    Come sono le Elezioni europee
    Ogni cinque anni, i cittadini dell’Unione europea sono chiamati alle urne per eleggere i membri del Parlamento Europeo. Con queste elezioni europee, i cittadini dell’Unione Europea eleggono i propri rappresentanti come membri del Parlamento Europeo.
    Il Parlamento Europeo è l’organo legislativo dell’UE, eletto direttamente dai cittadini dell’Unione ogni cinque anni
    Il Parlamento europeo ha in sostanza tre funzioni principali:

    Attività legislativa: adotta la legislazione dell’UE, insieme al Consiglio dell’UE, sulla base delle proposte della Commissione europea; decide sugli accordi internazionali e in merito agli allargamenti.
    Supervisione: svolge un controllo democratico su tutte le istituzioni dell’UE; elegge il presidente della Commissione e approva la Commissione in quanto organo
    Bilancio: elabora il bilancio dell’Unione europea, insieme al Consiglio e approva il bilancio di lungo periodo dell’UE, il “quadro finanziario pluriennale”.

    Il numero di membri del Parlamento europeo per ogni paese è approssimativamente proporzionale alla popolazione di ciascuno di essi. In linea generale un Paese non può avere meno di 6 o più di 96 eurodeputati e il numero totale non può superare 750 (più il presidente).
    Come funzionano le elezioni europee
    La gestione delle elezioni spetta a ciascun Paese, ma nel farlo devono essere rispettati alcuni principi comuni. In primis che le elezioni si svolgono durante un periodo di quattro giorni, da giovedì a domenica. Il numero di deputati eletti da un partito politico è proporzionale al numero di voti che riceve e infine che i cittadini dell’UE residenti in un altro paese dell’UE possono votare e candidarsi alle elezioni.
    Le elezioni europee in Italia
    Per votare bisogna aver compiuto 18 anni. I cittadini italiani che risiedono in un altro Stato membro dell’UE possono scegliere di votare nel paese di residenza a patto che siano rispettate determinate condizioni.
    Ai sensi della legge elettorale europea, tutti i paesi membri devono usare un sistema elettorale proporzionale. Ciò significa che l’assegnazione dei seggi avviene in modo da assicurare alle diverse liste un numero di posti proporzionale ai voti ricevuti. L’Italia usa il voto di preferenza, per cui gli elettori hanno  la possibilità di indicare, nell’ambito della medesima lista, da una a tre preferenze, votando, nel caso di due o di tre preferenze, candidati di sesso diverso.
    Determinato il numero dei seggi spettanti alla lista in ciascuna circoscrizione, sono proclamati eletti i candidati con il maggior numero di voti di preferenza.
    Ai fini dell’elezione dei membri italiani al Parlamento europeo, le liste devono avere conseguito almeno il 4% dei voti validi espressi a livello nazionale.
    Chi può votare e dove
    Possono votare in Italia i soggetti che presentino tali requisiti:

    si è compiuto il diciottesimo anno di età;
    si è cittadini italiani o dell’Unione europea con residenza legale in Italia, o cittadini italiani residenti all’estero;
    si è registrati come votanti entro la scadenza stabilita (per i cittadini UE votanti in Italia).

    Per poter esercitare il diritto di voto presso l’ufficio elettorale di sezione nelle cui liste si risulta iscritti, si dovranno esibire un documento di riconoscimento valido e la tessera elettorale.
    Dove si vota? Presso il seggio elettorale in cui si è iscritti, indicato sulla tessera elettorale e corrispondente alla sezione nel cui ambito territoriale è compreso il luogo di residenza.
    In caso di cittadino italiano votante da un altro Stato membro dell’UE, si può votare presso i seggi elettorali allestiti all’estero dalle sedi diplomatico-consolari italiane del Paese in cui risiedete.
    In alternativa, si può scegliere di votare per i rappresentanti del Paese dell’UE in cui si risiede, secondo le specifiche disposizioni dettate dalla legislazione del Paese di residenza.
    Nel caso di cittadino italiano che vota da un Paese non appartenente all’UE, è possibile votare solo recandosi nel comune italiano nelle cui liste elettorali si è iscritti.

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    McGuinness: “La Russia usa navi ombra per aggirare le sanzioni sul petrolio”

    Bruxelles – Il petrolio russo venduto a dispetto della sanzioni dell’Ue, grazie a navi ombra, o fantasma, non ufficialmente russe ma riconducibili alla Federazione russa, per conto di cui fanno affari. L’Unione europea deve fare i conti con una flotta di petroliere difficile da identificare, eppure reale. A riconoscere il fenomeno è Mairead McGuinness, commissaria per i Servizi finanziari, nella risposta all’interrogazione parlamentare in materia. Sì, ammette McGuinness, “la Russia sta utilizzando una flotta ombra di vecchie petroliere per trasportare il suo petrolio nel tentativo di eludere le sanzioni dell’Ue e il tetto massimo del prezzo del petrolio del Gruppo dei Sette (G7)”.Si tratta di imbarcazioni che non risultano di proprietà russa, spesso intestate a società di comodo con sede in qualche Paese terzo, e usate da operatori che lavorano per conto del Cremlino. Cambiano spesso bandiera, nome e proprietario, navigano senza assicurazione e nascondono regolarmente la loro posizione spegnendo il transponder risultando così invisibili ai radar. Questo è il fenomeno contro cui l’Ue deve fare i conti. Con un diritto internazionale che offre porti sicuri alle attività russe in chiave anti-sanzioni.La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare garantisce alle navi il diritto di passaggio inoffensivo, ovvero il diritto di navigare liberamente attraverso i mari territoriali. Non si può fare porto, ma si può transitare. Ciò significa che “impedire alle navi della flotta ombra di entrare nelle acque territoriali o nella zona economica esclusiva pone sfide significative”, riconosce ancora McGuinness. Fermo restando che l’esecutivo comunitario non può fare niente, visto che “dell’attuazione e applicazione delle sanzioni dell’Ue sono responsabilità degli Stati membri”. Il problema delle navi ombra si aggiunge alle pratiche illecite in acque internazionali, dove petrolio russo viene trasferito da una petroliera all’altra per aggirare sanzioni. Una delle prime trovate del presidente russo Vladimir Putin per farsi beffe delle restrizioni a dodici stelle. L’Ue continua a dare una mano agli Stati membri, “anche con l’assistenza dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima (Emsa), nel monitorare eventuali navi sospette”, assicura McGuinness. Ma le maglie europee sono tutt’altro che strette, e il Cremlino continua a fare cassa con il suo greggio.

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    I primi pagamenti Ue dal Piano di crescita per i Balcani Occidentali potrebbero arrivare entro l’estate

    Bruxelles – Il percorso legislativo è terminato, ora inizia la fase di messa a terra. Con il via libera definitivo del Consiglio dell’Ue allo Strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro, il nuovo Piano dell’Unione a sostegno delle economie dei sei Paesi partner è pronto per mostrare subito i primi risultati concreti. Già nei prossimi mesi. “Se tutto andrà bene, speriamo di poter effettuare un primo pagamento entro l’estate“, ha anticipato alla stampa oggi (7 maggio) la portavoce della Commissione Ue responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, Ana Pisonero, commentando la notizia dell’approvazione finale del Consiglio all’accordo raggiunto con i co-legislatori del Parlamento Ue un mese fa.A questo punto sono attesi solo i passaggi formali a Bruxelles: firma del Regolamento che istituisce il nuovo Strumento, pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue ed entrata in vigore (il giorno successivo). “I nostri partner dei Balcani Occidentali stanno preparando le Agende di riforma per poter accedere ai finanziamenti dallo Strumento“, ha spiegato la portavoce, precisando che la Commissione si aspetta che “le presentino una volta che il Regolamento sarà entrato in vigore”. Le Agende di riforma di ciascuno dei sei partner balcanici – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – definiranno le riforme socio-economiche e fondamentali da intraprendere tra il 2024 e il 2027 per accedere ai fondi (2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 in prestiti agevolati). “I programmi dovranno essere valutati approvati dalla Commissione dopo le consultazioni con i Paesi membri”, dopodiché potranno essere messe sul piatto “assegnazioni indicative basate sul Pil e sulla popolazione“, ha concluso Pisonero.Il sostegno attraverso il Piano di crescita sarà fornito per metà dal Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif) sotto forma di sovvenzioni e prestiti per gli investimenti a sostegno delle Agende di riforma, e per metà da prestiti erogati direttamente ai bilanci nazionali dei partner sulla base delle principali riforme socio-economiche. I pagamenti saranno effettuati due volte l’anno, “a condizione che i partner rispettino le fasi qualitative e quantitative” delle Agende (in caso contrario l’Ue può decidere di tagliare i fondi). Anche considerate alcune perplessità evidenziate dalla Corte dei Conti Europea, il Piano di crescita per i Balcani Occidentali prevede un approccio ‘prima i fondamentali’, vale a dire il collegamento tra Stato di diritto, lotta alla corruzione e diritti fondamentali con le altre due aree cruciali del processo di adesione Ue: la governance economica e il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della riforma della pubblica amministrazione.Per rafforzare la trasparenza è previsto anche che i dati aggiornati sui destinatari finali che ricevono finanziamenti superiori a 50 mila euro cumulativamente per un periodo di quattro anni siano resi disponibili su una pagina web apposita.Cos’è il Piano di crescita per i Balcani OccidentaliIl Piano di crescita per i Balcani Occidentali è stato largamente anticipato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e illustrato ai diretti interessati nel corso del suo ultimo tour autunnale nella regione, prima della presentazione ufficiale lo scorso 8 novembre in parallelo con la pubblicazione del Pacchetto Allargamento Ue 2023. “È qualcosa di eccezionale, sappiamo che il miracolo della prosperità arriva con l’accesso al Mercato unico e stiamo già iniziando questo processo, non stiamo aspettando la decisione finale sull’adesione politica“, aveva rivendicato la numero uno dell’esecutivo comunitario, illustrando i 4 pilastri di un Piano che dovrebbe sia “chiudere il gap economico e sociale” tra Ue e regione balcanica sia permettere “l’integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri”.Il primo pilastro è proprio l’integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell’apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro è quello dell’integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune (basato su regole e standard Ue): Bruxelles stima che solo questo fattore potrebbe potenzialmente aggiungere un 10 per cento alle economie dei Sei balcanici. Il terzo pilastro riguarda le riforme fondamentali, che nel Piano di Bruxelles andranno da una parte a sostenere il percorso dei Balcani Occidentali verso l’adesione Ue e dall’altro sosterranno gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale.A proposito di investimenti, è qui che si inserisce il quarto pilastro dell’assistenza finanziaria Ue alle riforme per tutti i sei partner. Si tratta nello specifico di un nuovo strumento di riforma e crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027, i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme socio-economiche concordate (esattamente come Next Generation Eu per i Ventisette). Con la revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 è stato dato il via libera allo strumento composto di 2 miliardi di euro in sovvenzioni (finite nel bilancio Ue senza modifiche alla proposta della Commissione) e 4 miliardi in prestiti agevolati, per la cui messa a terra servirà prima che ciascuno dei sei Paesi presenti un’agenda di riforme basata sulle raccomandazioni del Pacchetto Allargamento e dei Programmi di riforma economica (Erp).La presidente della Commissione Europea, Ursula von der LeyenVa infine segnalato che per Serbia e Kosovo c’è una clausola supplementare, che “si impegnino in modo costruttivo con progressi misurabili e risultati tangibili nella normalizzazione delle loro relazioni”. In altre parole, senza progressi nel dialogo Pristina-Belgrado, rimarranno in stallo – o andranno perduti – i finanziamenti previsti dal Piano. Lo stesso discorso vale per la Bosnia ed Erzegovina in caso di mancata implementazione delle riforme fondamentali: “Le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo, questo è un forte incentivo ad andare avanti in modo attivo”, ha avvertito la numero uno della Commissione nella sua tappa del primo novembre a Sarajevo.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    L’Ue ha tagliato di due terzi le importazioni di gas dalla Russia. Attesa “l’ondata” globale di Gnl

    Bruxelles – Due inverni di guerra russa in Ucraina e anche l’Unione Europea deve fare un bilancio. A partire dal piano energetico. “Il 31 marzo, quando si è conclusa la stagione di riscaldamento invernale, i nostri stoccaggi di gas erano pieni per oltre il 58 per cento, si tratta del livello più alto mai registrato in questo periodo dell’anno”, ha reso noto oggi (12 aprile) la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, in una dichiarazione che traccia le direttrici della “maggiore sicurezza e solidarietà energetica e un mix energetico più pulito”, in particolare sul fronte del crollo delle importazioni di gas dalla Russia.

    La commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson“Questi elevati livelli di stoccaggio sono il risultato della nostra efficace diversificazione delle forniture energetiche, degli sforzi dei cittadini e delle imprese per ridurre la domanda di gas e dei nostri investimenti nelle energie rinnovabili“, ha ricordato i tre pilastri del piano RePowerEu la commissaria Simson, rilanciando l’impegno per il presente e prossimo futuro: “Garantire la sicurezza energetica e la competitività dell’Europa, abbassare i prezzi e promuovere la transizione verso l’energia pulita restano una priorità assoluta”. Perché ora l’obiettivo immediato è riportare il livello di riempimento degli stoccaggi al 90 per cento entro il prossimo primo novembre, ma l’elevato livello da cui si parte “significa che i mercati sono sempre più stabili, i prezzi sono tornati ai livelli di prima della guerra e l’Europa può iniziare a rifornirsi con fiducia” in vista del prossimo inverno.Ed è proprio ai luoghi di rifornimento di gas che bisogna guardare per capire il “successo con cui abbiamo gestito la crisi energetica”. Come rende noto la stessa Commissione Ue, la quota delle importazioni di gas russo in Europa è scesa dal 45 per cento nel 2021 al 24 per cento nel 2022, fino a crollare al 15 per cento nel 2023. “Questa tendenza al ribasso deve continuare”, mette in chiaro il gabinetto von der Leyen. A prendere il primo posto come maggior esportatore verso l’Ue dal 2022 è stata la Norvegia (salita fino al 30 per cento lo scorso anno), seguita dagli Stati Uniti (al 19 per cento), mentre i Paesi del Nord Africa stanno per superare la Russia (14 per cento). La diversificazione delle fonti di approvvigionamento non avrebbe però potuto risolvere da sola la crisi energetica, se i cittadini non avessero ridotto la domanda di gas di quasi il 20 per cento, “che ci ha permesso di risparmiare più di 107 miliardi di metri cubi di gas negli ultimi 18 mesi”. E nel frattempo l’aumento della quota di energie rinnovabili nel mix energetico ha permesso di sostituire l’equivalente di 24 miliardi di metri cubi di gas russo negli ultimi due anni.

    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), Fatih Birol“L’Europa ha finalmente allentato la presa che la Russia aveva sul suo settore energetico e ha ripreso in mano il proprio destino energetico”, esulta la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in un op-ed congiunto con il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), Fatih Birol, pubblicato questa mattina. Nonostante l’obiettivo sia sempre quello di “ridurre i consumi in linea con i nostri obiettivi climatici”, la numero uno del Berlaymont punta ancora l’attenzione sui mercati del gas, “perché ora ci stiamo dirigendo verso un’altra serie di problemi e sfide”. Più nello specifico si prevede nella seconda metà del decennio “una grande ondata di nuovi progetti di esportazione di gas naturale liquefatto, soprattutto dagli Stati Uniti e dal Qatar”, che aumenteranno “l’offerta globale di Gnl del 50 per cento”. Ecco perché “stiamo passando da un mondo di carenza di gas al contrario, un mondo in cui potremmo presto vederne in abbondanza”, con possibili effetti di “riduzione significativa” dei prezzi del gas.Senza dimenticare però che “siamo in una situazione di emergenza climatica” e un gas più economico “non solleva l’Europa e le altre grandi economie dalla responsabilità di raggiungere al più presto le emissioni nette zero e di aiutare altri Paesi a fare lo stesso”, ricordano von der Leyen e Birol. In altre parole è necessario “insistere su emissioni di metano prossime allo zero sul gas che continuiamo a usare”, ma anche aumentare “drasticamente” energie e gas rinnovabili, efficienza energetica, idrogeno pulito e le altre tecnologie energetiche a emissioni zero. Come dimostrato dai dialoghi sulla transizione pulita organizzati dalla Commissione da ottobre dello scorso anno – i cui primi risultati sono stati presentati mercoledì (10 aprile) – le istituzioni Ue sono anche impegnate nel “lavorare fianco a fianco con l’industria e sostenerla” per costruire un modello di business adatto a un’economia decarbonizzata. Perché se i Ventisette sono usciti “rafforzati” dagli inverni passati, non bisogna dimenticare che la sfida per mettere a terra “soluzioni durature ai nostri dilemmi energetici” è appena iniziata.