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    L’Ue condanna le elezioni amministrative “illegali” dopo i referendum farsa del 2022 nelle regioni occupate in Ucraina

    Bruxelles – Era solo una questione di tempo, dopo i referendum farsa e l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina occupate dalla Russia dopo l’inizio dell’invasione del 24 febbraio 2022. Tra l’8 e il 10 settembre anche a Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – così come in Crimea e nella città di Sebastopoli – sono andate in scena le elezioni amministrative, in corrispondenza di quelle locali e regionali sul territorio russo. Elezioni che sono state immediatamente definite “illegali” dalla comunità internazionale e dall’Unione Europea, tanto quanto lo erano stati i plebisciti di un anno fa che avrebbero sancito la presunta volontà popolare di farsi inglobare da Mosca.
    Operazioni di voto nell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, 10 settembre 2023 (credits: Afp)
    “L’Unione Europea condanna fermamente lo svolgimento di queste cosiddette ‘elezioni’ illegittime nei territori dell’Ucraina temporaneamente occupati dalla Russia”, è la condanna dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che – nel respingere “con forza” l’appuntamento elettorale – lo ha definito piuttosto un “ulteriore futile tentativo” da parte del Cremlino di “legittimare o normalizzare il suo controllo militare illegale e il tentativo di annessione di parti dei territori ucraini”. L’ennesima “palese” violazione del diritto internazionale non è tollerata da Bruxelles, che “non riconosce e non riconoscerà né lo svolgimento di queste cosiddette ‘elezioni’ né i loro risultati“. Al contrario “la leadership politica russa e coloro che sono coinvolti nell’organizzazione delle elezioni dovranno affrontare le conseguenze di queste azioni illegali”, è la minaccia di Borrell.
    Sembra scontato ricordarlo, ma è già solo il contesto (oltre all’invasione armata) a dimostrare come queste elezioni non possano essere considerate un appuntamento elettorale democratico o spontaneo: dalla concessione forzata di passaporti russi – “anche ai bambini” – ai trasferimenti e le deportazioni forzate, dalle violazioni e gli abusi “diffusi e sistematici” dei diritti umani, fino all’intimidazione e la crescente repressione dei cittadini ucraini da parte delle autorità d’occupazione. L’alto rappresentante Ue ha voluto rivolgere un incoraggiamento ai residenti ucraini “che si sono opposti al voto fittizio e continuano a resistere all’occupazione russa”, ribandendo che Mosca “deve ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue truppe e i suoi equipaggiamenti militari all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. Fuori anche dalla penisola di Crimea, dove dal 2014 è stata istituita (sempre in modo illegale secondo il diritto internazionale) una Repubblica autonoma che è di fatto parte della Russia.
    Operazioni di voto a Mosca, 10 settembre 2023 (credits: Natalia Kolesnikova / Afp)
    A questo si aggiunge quanto accaduto nel corso del fine settimana nella stessa Russia, dove ormai nessuno considera più gli appuntamenti alle urne delle vere elezioni (ben prima di quelle del 2021). “Si sono svolte in un contesto estremamente ristretto, alimentato dall’aggressione all’Ucraina“, ha attaccato Borrell, ricordando che “le autorità hanno amplificato la repressione interna introducendo la censura di guerra e reprimendo ulteriormente” i politici dell’opposizione, le organizzazioni della società civile, i media indipendenti e altre voci critiche “con l’uso di leggi repressive e sentenze politicamente motivate“. Tutto questo ha inevitabilmente comportato restrizioni dei diritti civili e politici, “precludendo a molti candidati la possibilità di candidarsi e limitando la scelta degli elettori russi e l’accesso a informazioni accurate”.
    I referendum farsa del 2022 nelle regioni occupate in Ucraina
    È passato quasi un anno esatto da quel 27 settembre 2022, quando nelle quattro regioni dell’Ucraina occupata era andato in scena uno spettacolo a dir poco desolante. Il 99 per cento dei votanti si era espressa a favore dell’annessione alla Russia, ma – dati alla mano – con una partecipazione quasi irrisoria di cittadini ucraini, senza contare le minacce armate dei soldati russi casa per casa per costringere la popolazione ad andare a votare nelle quattro regioni che rappresentano circa il 15 per cento del territorio dell’Ucraina. Per esempio, nella regione di Zaporizhzhia avevano votato in totale in 39.367 su una popolazione complessiva di 1.666.515 persone, ovvero il 2,3 per cento. O ancora, nell’Oblast di Donetsk – solo parzialmente controllato dall’esercito russo – avrebbe votato il 97 per cento degli aventi diritto al voto, ma ‘dimenticando’ di contare più della metà degli elettori. Tutto ciò condito da uno scrutinio effettuato con modalità del tutto illecite.
    L’autocrate russo, Vladimir Putin, e i quattro leader separatisti dei territori occupati dalla Russia in Ucraina, alla cerimonia di annessione al Cremlino (30 settembre 2022)
    In ogni caso l’autocrate russo, Vladimir Putin, ha utilizzato questi finti plebisciti per dichiarare l’annessione delle quattro regioni pochi giorni più tardi. Il 30 settembre 2022 i leader filo-russi delle autoproclamate Repubbliche popolari hanno siglato il Trattato di adesione alla Russia al Cremlino, in una cerimonia-parata nel solito stile di grandezza ostentata di Putin. “Voglio che mi sentano a Kiev, che mi sentano in Occidente: le persone che vivono a Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia diventano nostri cittadini per sempre”, ha minacciato l’autocrate russo. Il 18 marzo del 2014 i rappresentanti separatisti della Crimea avevano anticipato i tempi e otto anni più tardi il copione si è ripresentato quasi uguale a se stesso. A tre giorni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina Mosca aveva riconosciuto l’indipendenza di Donetsk e Luhansk e aveva poi fatto lo stesso sette mesi più tardi con Kherson e Zaporizhzhia, prima di inglobare tutte le regioni ucraine separatiste all’interno del progetto della Grande Russia.

    Organizzata una tornata elettorale a Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson in corrispondenza del voto locale e regionale in Russia. “Un ulteriore futile tentativo di legittimare o normalizzare il suo tentativo di annessione”, è la condanna dell’alto rappresentante Ue, Josep Borrell

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    Le province separatiste dell’Ucraina indicono referendum per farsi annettere dalla Russia. L’Ue: “Illegali, nulli e invalidi”

    Bruxelles – Ora la guerra di resistenza contro Mosca potrebbe assumere un nuovo significato per Kiev. Non più solo una controffensiva per riconquistare i territori sottratti dall’esercito russo dall’inizio dell’invasione lo scorso 24 febbraio, ma soprattutto un recupero delle province separatiste annesse alla Russia. Non si parla più esclusivamente della Crimea – da cui tutto è iniziato nel 2014 – perché la novità sono ora i referendum che saranno organizzati tra il 23 e il 27 settembre nelle autoproclamate Repubbliche separatiste filo-russe di Donetsk e Luhansk (nel sud-est dell’Ucraina) per l’annessione alla Russia. Si tratta proprio di quei territori che Putin aveva riconosciuto come entità indipendenti il 21 febbraio, pochi giorni prima di iniziare l’offensiva militare su larga scala che dura ormai da sette mesi.
    La sfida alle autorità di Kiev non si ferma qui. Perché nei prossimi giorni è attesa la stessa decisione sui referendum di annessione alla Russia da parte dei separatisti delle regioni di Kherson, Kharkiv e Zaporizhzhia, con implicazioni cruciali per il proseguo della guerra di Putin in Ucraina. Per comprenderne la portata basta considerare le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, che ha affermato che “i referendum nel Donbass sono di grande importanza non solo per la protezione sistemica dei residenti” delle Repubbliche separatiste  e “degli altri territori liberati”, ma anche “per il ripristino della giustizia storica”. Il fatto che questo voto “cambierebbe completamente il vettore dello sviluppo della Russia per decenni” non è solo una questione di proclami altisonanti, ma ha una conseguenza tangibile: “Dopo aver incorporato nuovi territori alla Russia, la trasformazione geopolitica nel mondo diventerà irreversibile”, ha aggiunto Medvedev, minacciando l’Ucraina e l’Occidente che “l’invasione del territorio della Russia è un crimine, la cui commissione consente l’uso di tutte le forze di autodifesa“.
    Dichiarazioni che arrivano non solo mentre la controffensiva dell’esercito ucraino sta obbligando la Russia a ritirarsi dall’Oblast di Kharkiv, ma anche in concomitanza della mobilitazione parziale dichiarata da Putin, con il richiamo alle armi dei militari della riserva, e degli emendamenti al Codice Penale russo per il rafforzamento delle pene in caso di “mobilitazione”, “legge marziale”, “tempo di guerra” e “conflitto armato” (la renitenza alla leva sarà punita con una pena fino a dieci anni di reclusione). Si aggiunge poi la minaccia di ricorrere a “ogni mezzo necessario per la difesa della Russia”, compresa l’arma nucleare. Tutti segnali che evidenzierebbero il livello di grave difficoltà dell’autocrate russo nel condurre una guerra che sta diventando sempre più un fallimento su quasi tutta la linea, come sostiene Kiev, ma anche Bruxelles: “Queste decisioni dimostrano la disperazione di Putin e la mancanza di volontà a cercare la pace, vuole solo continuare la sua guerra distruttiva”, ha sottolineato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea.
    L’autocrate russo, Vladimir Putin, al momento della firma della dichiarazione di riconoscimento d’indipendenza delle autoproclamate Repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk (21 febbraio 2022)
    La condanna delle istituzioni comunitarie si estende anche ai referendum delle autoproclamate Repubbliche separatiste in Ucraina per l’annessione alla Russia. “L’Unione Europea condanna fermamente questi referendum illegali pianificati che vanno contro le autorità ucraine legalmente e democraticamente elette”, è la condanna dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I risultati di tali azioni saranno nulli e non saranno riconosciuti dall’Ue e dai suoi Stati membri”. Il voto non può essere considerato “in nessun caso” una libera espressione della volontà popolare in queste regioni, per diverse ragioni: la fuga di una “parte significativa della popolazione” dopo l’invasione dell’esercito del Cremlino, la “costante minaccia e intimidazione militare russa”, la “sostituzione con la forza” di funzionari locali e la libertà di espressione “fortemente limitata”. Dal momento in cui Mosca intende modificare con la forza i confini dell’Ucraina, “in chiara violazione della Carta delle Nazioni Unite”, la Russia, la sua leadership politica e tutti i soggetti coinvolti nello svolgimento dei referendum di annessione “saranno ritenuti responsabili”, mentre a Bruxelles saranno prese in considerazione “ulteriori misure restrittive”, ha annunciato Borrell.

    The EU strongly condemns the illegal “referenda” in Luhansk, Kherson & Donetsk, which are in violation of Ukraine’s independence, sovereignty and territorial integrity, and in blatant breach of international law. Results of such actions will be null & void https://t.co/kqOwZYrXwG
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    L’incognita balcanica
    Come se la situazione non fosse sufficientemente calda, dalla Bosnia ed Erzegovina arrivano dichiarazioni incendiarie del membro serbo della presidenza tripartita, Milorad Dodik, a proposito della guerra russa in Ucraina e del parallelismo con la Republika Srpska (una delle due entità in cui è diviso il Paese balcanico, a maggioranza serba). “A 15 milioni di russi in Ucraina le autorità hanno negato il diritto alla propria lingua, ecco perché l’operazione speciale della Russia è giustificata dalla necessità di proteggere il suo popolo“, ha ribadito in un’intervista all’agenzia di stampa russa Tass il suo non-allineamento alla posizione del resto dell’Europa. Nemmeno il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che rivendica una posizione di neutralità tra Mosca e l’Occidente e in questo modo giustifica la sua contrarietà alle sanzioni contro la Russia, si è mai spinto a tanto. È proprio alla Serbia che Dodik guarda con speranza, illustrando le similitudini con il Donbass ucraino: “Qui è la stessa cosa, non possiamo condividere le stesse scuole e gli stessi libri di testo con i musulmani“, ha attaccato, con riferimento ai tentativi di secessionismo che sta portando avanti nella Republika Srpska. La volontà del leader serbo-bosniaco, a meno di due settimane dalle elezioni politiche nel Paese, è quella di incontrare personalmente Putin, per confrontarsi su “progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente”, ha anticipato alla Tass.
    Il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik
    È anche per il rischio di un’escalation della tensione e della destabilizzazione russa nella regione dei Balcani Occidentali che Bruxelles non può permettersi di allentare il rapporto anche con i Paesi più irrequieti. Non a caso l’alto rappresentante Borrell ha incontrato ieri (martedì 20 settembre) i sei leader balcanici per un pranzo informale a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver ripreso la tradizione delle cene informali a Bruxelles nel maggio dello scorso anno. Come si legge in una nota del Seae, la discussione “si è concentrata sull’impatto globale e regionale della guerra illegale” della Russia in Ucraina, in particolare “sui prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e sulla stabilità e sicurezza in Europa e nel mondo”. Al pranzo erano presenti il premier montenegrino, Dritan Abazović, gli omologhi albanese, Edi Rama, e macedone, Dimitar Kovačevski, e i presidenti della Serbia, Aleksandar Vučić, del Kosovo, Vjosa Osmani, e della Bosnia ed Erzegovina, Šefik Džaferović (membro bosgnacco della presidenza tripartita). Proprio a sottolineare quanto l’Ue sia un partner irrinunciabile per i Balcani Occidentali, Borrell ha sottolineato il sostegno di Bruxelles per “rafforzare la sicurezza energetica e affrontare le minacce ibride“, comprese l’interferenza informatica e delle informazioni straniere, come ha dimostrato il recente caso di attacco hacker iraniano contro le istituzioni dell’Albania.

    We are living in difficult times. With the #WesternBalkans – our closest partners & future EU members – we will keep joining forces even more to respond to the challenges we all meet as consequences of Russia’s aggression against Ukraine.https://t.co/HTwZsoocJm pic.twitter.com/hffBv5eL9L
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) September 20, 2022

    Sull’esempio della Crimea nel 2014, le province occupate di Donetsk e Luhansk hanno indetto una consultazione popolare tra il 23 e il 27 settembre e presto potrebbe arrivare la stessa decisione a Kharkiv, Kherson e Zaporizhzhia. Intanto Putin annuncia la mobilitazione parziale alle armi

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    Metsola: “Dalla parte dell’Ucraina”. Parlamento UE lavora a dichiarazione politica

    dall’inviato a Strasburgo – L’Ucraina ridisegna l’ordine dei lavori del Parlamento europeo. Le crescenti tensioni lungo la frontiera, con la Russia che ammassa truppe e minaccia azioni militari, hanno indotto la presidente Roberta Metsola ad aprire la sessione plenaria con una dichiarazione, non prevista in precedenza. Una dichiarazione che serve a ribadire la solidarietà e la vicinanza dell’UE con Kiev, e l’occasione per annunciare che “i presidenti dei gruppi politici sono al lavoro per preparare una dichiarazione comune“. Per questo motivo la tradizionale conferenza dei presidenti del giovedì è stata anticipata a mercoledì (16 febbraio).
    “Le preoccupazioni per quanto sta accadendo in Ucraina caratterizzerà i nostri lavori”, riconosce Metsola. “Stiamo assistendo ad una seria minaccia per la pace” e la stabilità. Nel rinnovare l’invito a “ridurre la tensione”, la presidente dell’Eurocamera invita la comunità internazionale tutta a tenersi pronta “se le cose dovessero precipitare”. Ribadisce la vicinanza e il sostegno per “un Paese indipendente e sovrano” di cui l’Europa riconosce “integrità territoriale”. Un nuovo riferimento alla Crimea, annessa illegalmente e non riconosciuta come parte della federazione russa. “La posizione di quest’Aula è chiara: siamo al fianco dell’Ucraina”.
    Mercoledi mattina l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, è atteso in Aula per discutere degli ultimi sviluppi sul terreno, con i parlamentari europei chiamati a decidere se approvare in via prioritaria il pacchetto di aiuti da 1,2 miliardi di euro per sostenere la crisi economica che deriverebbe da un eventuale attacco da parte della Russia e accrescere la capacità di resistenza delle autorità ucraine.

    Le tensioni crescenti inducono la presidente dell’Eurocamera ad aprire i lavori con un intervento non previsto. Agenda riscritta

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    Prorogate fino a luglio le sanzioni economiche contro Mosca per la crisi in Ucraina

    Bruxelles – Il Consiglio dell’UE ha deciso oggi (13 gennaio) di prorogare per altri sei mesi, fino al 31 luglio 2022, le sanzioni contro alcuni settori economici della Russia per la crisi in Ucraina. La decisione assunta oggi segue la valutazione che i capi di Stato e governo hanno fatto all’ultimo Consiglio Europeo del 16 dicembre sull’attuazione degli accordi di Minsk da parte di Mosca per la pace in Ucraina orientale.
    Il Consiglio dell’UE ricorda in una nota che le sanzioni sono state introdotte la prima volta a luglio 2014, “in risposta alle azioni della Russia di destabilizzazione della situazione in Ucraina”, con l’annessione della penisola di Crimea. Limitano l’accesso ai mercati dei capitali primari e secondari dell’UE per alcune banche e società russe e vietano forme di assistenza finanziaria e di intermediazione nei confronti delle istituzioni finanziarie russe. Stop anche all’importazione, l’esportazione o il trasferimento diretto o indiretto di tutto il materiale che riguarda il comparto della difesa. Le misure restrittive limitano inoltre l’accesso russo ad alcune tecnologie sensibili che possono essere utilizzate nel settore energetico, ad esempio, nella produzione e nell’esplorazione del petrolio.

    La decisione del Consiglio dell’UE fa seguito all’ultima valutazione dei capi di Stato e governo al Vertice europeo di dicembre sull’attuazione degli accordi di Minsk da parte di Mosca

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    La Russia “ha appetito di escalation” in Ucraina: per l’UE è necessario “aumentare la capacità dissuasiva”

    Bruxelles – Si alza il livello di allarme al Parlamento UE sul crescente militarismo della Russia in tutta l’area del Partenariato Orientale, dall’Ucraina al Caucaso, dalla Bielorussia alla Moldavia. Il quadro è stato tracciato dalla sottocommissione Sicurezza e difesa (SEDE) del Parlamento UE, nel corso dell’audizione di oggi (mercoledì 27 ottobre) di Maryna Vorotnyuk, ricercatrice del think tank britannico Royal United Services Institute for Defence and Security Studies, e di Samus Mykhailo, direttore della piattaforma indipendente New Geopolitics Research Network. Si attende ora la relazione a firma Witold Waszczykowski (ECR).
    “L’area del Partenariato orientale rappresenta una fonte di problemi per l’UE e la NATO e il principale motore di insicurezza è la politica della Russia nella regione”, ha messo in chiaro Vorotnyuk. I già presenti problemi economici, inter-etnici e di transizione democratica post-comunista sono stati “esacerbati” da Mosca, che “opera come mediatore in una zona di instabilità controllata“. Se la dottrina militare russa “si basa sull’idea di espansione per terra e per mare”, le tensioni nella regione sono “guerre surrogate contro l’Occidente”. Ma un altro fattore che determina questo atteggiamento è il “sempre maggior divario tra aumento della capacità militare e calo di attrattività del suo modello socio-politico”, ha spiegato la ricercatrice.
    Maryna Vorotnyuk, ricercatrice del think tank britannico Royal United Services Institute for Defence and Security Studies durante il suo intervento (27 ottobre 2021)
    Mosca è ormai presente “in tutti i conflitti congelati o ibridi” dell’area, con circa 10 mila soldati in Ossezia del Sud (regione separatista della Georgia), 2 mila in Nagorno Karabakh, 30 mila in Crimea e 3 mila nel Donbass (rispettivamente il territorio annesso e rivendicato dalla Russia) e circa 1.550 in Transnistria (regione separatista della Moldavia). “Con questa presenza possono dominare il campo di battaglia in caso di operazioni militari”, ha lanciato l’allarme Vorotnyuk, che ha così commentato “l’appetito di escalation di tensione e di capacità bellica” che si sta sviluppando “oltre le necessità in tempo di pace”, in particolare nei confronti di Kiev.
    Rispondendo alle domande degli eurodeputati, il direttore del New Geopolitics Research Network ha spiegato la situazione in Ucraina e in Bielorussia. “La presenza e la preparazione militare è superiore a quella del 2014“, quando le truppe di Mosca hanno annesso la penisola di Crimea. “Sono state implementate le infrastrutture critiche attorno all’Ucraina, con tre divisioni che possono condurre il controllo e la logistica anche per l’occupazione del Donbass”. Come dimostrato dalle esercitazioni dello scorso aprile, “potrebbe verificarsi un’operazione intensa di occupazione su vasta scala dell’Ucraina, non appena il Cremlino considererà favorevoli le condizioni”, ha avvertito Mykhailo.
    Samus Mykhailo, direttore della piattaforma indipendente New Geopolitics Research Network (27 ottobre 2021)
    Riguardo allo scenario bielorusso, il direttore della piattaforma di studi geopolitici ha confermato che “il presidente Alexander Lukashenko non controlla più la situazione ed è completamente alla mercé di Vladimir Putin“. Non una novità, se si considerano gli sviluppi dell’ultimo anno tra i due Paesi. Tuttavia, è interessante considerare la situazione sul campo: “C’è un gruppo di forze regionali che opera con un comando comune e con 300 centri di addestramento sul territorio nazionale, le aviazioni hanno iniziato missioni congiunte e uno scaglione armato russo è già presente nel Paese“. Lo scenario è quello di “una presenza permanente delle truppe di Mosca in Bielorussia”, ha aggiunto Mykhailo.
    A questo punto è necessario considerare come può reagire l’UE a questa situazione di instabilità sul fronte orientale determinata dalla Russia. “Serve una presenza più consistente e risorse di formazione dell’Unione in loco“, ha sottolineato Vorotnyuk. “Il Partenariato orientale non è stato concepito come un progetto di difesa e sicurezza, ma di pace”, tuttavia “il panorama mostra che l’UE deve svolgere un ruolo di maggiore stabilizzazione nella regione”. Ancora più netto Mykhailo, che ha avvertito che “se non ci sarà una definizione comune della minaccia russa, sarà difficile contrastare la bellicosità di Mosca“. Questa “nuova dottrina” dovrà “mettere insieme tutte le percezioni di pericolo dei Paesi membri” e “incentivare lo scambio di esperienze con i partner orientali”. Un discorso che dovrà partire dal “contrasto alla disinformazione e alla guerra ibrida della Russia, in modo da rafforzare la preparazione a scenari di conflitto bellico”.

    Al vaglio della sottocommissione Sicurezza e difesa (SEDE) del Parlamento Europeo la situazione del crescente militarismo russo nella regione del partenariato orientale: “Servono presenza e risorse di formazione UE in loco”

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    Charles Michel: “Kiev non è sola, la Crimea è Ucraina”

    È iniziato a Kiev l’incontro internazionale Crimea Platform. Lo scopo del meeting è quello di coordinare gli sforzi internazionali per garantire il ritorno della Crimea all’Ucraina.
    All’evento prendono parte rappresentanti di tutti i Paesi UE, di Stati Uniti, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Svizzera, Turchia, Georgia e Moldova, nonché dell’Unione Europea e della NATO.
    Le autorità ucraine si aspettano che sia adottata una dichiarazione nella quale i partecipanti confermeranno la volontà di aderire alla politica di non riconoscimento dei tentativi di annessione della Crimea.
    Le parole di Charles Michel
    “L’Unione Europea continuerà a sostenere il popolo ucraino nel suo cammino per un futuro migliore. L’Ucraina non sarà mai sola e la Crimea è Ucraina”. Con queste parole nel suo discorso di apertura il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha chiarito quale sia la posizione dell’UE sulla vicenda.
    “Sfortunatamente, la Russia continua una politica che continua a moltiplicare gli impatti negativi dell’annessione della Crimea. La continua militarizzazione della penisola incide pesantemente sulla situazione della sicurezza nel Mar Nero. La situazione dei diritti umani, inoltre, resta grave: i tatari di Crimea continuano a essere perseguitati e sottoposti a pressioni”, ha concluso Michel.
    Le richieste dell’Ucraina
    Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha annunciato da parte sua l’inizio del “conto alla rovescia” per recuperare la Crimea. “Oggi annunciamo il conto alla rovescia per il giorno nel quale la Crimea non sarà più occupata”, ha detto Zelensky aprendo i lavori del summit. “Non si può perdere nemmeno un giorno: dobbiamo iniziare a scrivere una nuova pagina nella storia dell’Ucraina e nella storia della Crimea ucraina”.
    Per raggiungere questo obiettivo con mezzi politici, Kiev ha sviluppato una “strategia di deoccupazione” della penisola. Ma ha bisogno dello “sforzo congiunto” della comunità internazionale per fare fronte alla Russia.
    “L’occupazione della Crimea solleva dubbi sul sistema di sicurezza internazionale, in particolare per quel che riguarda l’inviolabilità delle frontiere”, ha proseguito il presidente ucraino, “nessuna nazione può sentirsi al sicuro”.
    “La sinergia dei nostri sforzi deve obbligare la Russia a sedersi al tavolo delle trattative per la restituzione della nostra penisola”, ha proseguito Zelensky. “L’Ucraina da sola non potrà recuperare la Crimea, abbiamo bisogno di un sostegno efficace a livello internazionale”, nello specifico, ha spiegato, “sanzioni più forti contro Mosca”.
    L’ira della Russia
    “Valutiamo questo evento come estremamente ostile nei confronti del nostro paese”, ha commentato Dmitry Peskov, il portavoce del presidente Vladimir Putin, secondo quanto riporta l’agenzia Interfax. Già venerdì scorso la Russia aveva sanzionato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, probabilmente proprio come “vendetta” per l’organizzazione del summit.
    La Russia ha annesso di fatto la Crimea nel 2014, strappandola all’Ucraina con un’invasione di uomini armati e senza insegne di riconoscimento e con un controverso referendum.
    In realtà i rapporti tra Russia e Ucraina sono tesi da tempo, non solo per la Crimea ma anche per il conflitto nel Donbass, dove il Cremlino è accusato di sostenere militarmente i separatisti.
    Il gasdotto Nord Stream 2
    C’è un’altra questione calda sul tavolo che ha caratterizzato le relazioni del meeting: il gasdotto Nord Stream 2.
    Kiev vorrebbe entrare nella NATO, ma a preoccupare la repubblica ex-sovietica è anche l’ormai quasi completato gasdotto Nord Stream 2, che dovrebbe raddoppiare il flusso di gas russo verso la Germania. L’Ucraina teme che Mosca possa portare il proprio metano in Europa aggirando i gasdotti ucraini e infliggendole un grave colpo economico.
    L’incontro tra Zelensky e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, è stato segnato dalla tensione su questo tema. Il presidente ucraino ha definito il gasdotto “una pericolosa arma geopolitica del Cremlino”. Da parte sua, la cancelliera tedesca ha cercato di rassicurare il governo di Kiev affermando che Berlino e Washington prevedono “sanzioni” se il gas dovesse in effetti essere “usato come un’arma”.
    Per questo motivo, a margine del Crimea Platform si è tenuto un incontro tra i ministri dell’Energia di Ucraina, Stati Uniti e Germania. I ministri hanno discusso di come fornire garanzie all’Ucraina sul suo futuro come Paese di transito in seguito alla costruzione del gasdotto russo Nord Stream 2.
    Il ministro tedesco dell’Economia e dell’Energia, Peter Altmaier, ha ribadito che Berlino vuole sostenere la transizione dell’Ucraina verso le energie rinnovabili.
    La posizione dell’Italia
    Per l’Italia, ha partecipato al meeting il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova. ”A oltre sette anni dall’annessione illegale della Crimea, siamo ancora preoccupati per il rispetto dei diritti umani e per i possibili impatti avversi sulla situazione regionale”, ha detto Della Vedova. “Siamo al corrente delle sofferenze che il popolo tartaro di Crimea affronta. Sottolineiamo l’importanza del rispetto pieno e della protezione dei diritti fondamentali e delle libertà di tutte le minoranze”.
    Della Vedova ha quindi reiterato il sostegno dell’Italia all’integrità territoriale dell’Ucraina e alla sua sovranità e indipendenza. Ferma è stata la condanna dell’annessione illegale della Crimea e la determinazione a mantenere la politica di non-riconoscimento concordata a livello UE. L’obiettivo è quello di una fine pacifica dell’occupazione.
    Gli stessi concetti, riferisce la Farnesina, Della Vedova li ha ribaditi negli incontri bilaterali avuti con il viceministro degli Esteri ucraino, Viktor Bodnar, e con il ministro degli Interni, Denys Monastyrskiy. Con loro è stato fatto anche il punto sull’eccellente rapporto bilaterale tra Italia e Ucraina e sulle opportunità per incrementare ulteriormente le già fruttuose relazioni economico-commerciali.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    Nord Stream 2, da USA e Germania sì al completamento del gasdotto ma previste sanzioni alla Russia in caso di pressioni sull’Ucraina

    Bruxelles – Il Nord Stream 2 si farà, ma saranno previste sanzioni se la Russia dovesse usare il suo gas per fare pressioni sui Paesi dell’Europa centrale e orientale e in particolare sull’Ucraina. Dopo anni di posizioni inconciliabili, gli Stati Uniti e la Germania hanno rivelato mercoledì 21 luglio un accordo per portare a termine i lavori del gasdotto Nord Stream 2, ormai completo quasi al 98 per cento, ma contro cui gli USA si erano detti molto contrari per i timori di una maggiore influenza geopolitica e dipendenza energetica dell’Europa dal presidente russo Vladimir Putin, attraverso il gas naturale. Mosca è uno dei più grandi esportatori di gas naturale al mondo.
    Il gasdotto Nord Stream 2 collegherà la Germania alla Russia
    Il controverso gasdotto guidato dalla compagnia energetica russa Gazprom, raddoppierà il volume di gas naturale trasportato dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico. Replicando, nei fatti, il percorso del gasdotto gemello Nord Stream che è già in attività. Si parla di circa 55 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso la Germania a capacità massima. In una nota congiunta pubblicata ieri in serata, Berlino si è impegnata a rispondere a qualsiasi tentativo della Russia di usare l’energia come arma geopolitica contro l’Ucraina e altri paesi dell’Europa centrale e orientale.
    “Ci impegniamo a lavorare insieme per garantire che gli Stati Uniti e la Unione Europea possano rispondere insieme all’aggressione russa e alle attività maligne, compresi gli sforzi russi per usare l’energia come arma”, si legge nel comunicato. Se la Russia tenterà di utilizzare l’energia come arma o “commetterà ulteriori atti aggressivi contro l’Ucraina” come l’annessione illegale della penisola di Crimea nel 2014 “la Germania agirà a livello nazionale e premerà per misure efficaci a livello europeo, comprese sanzioni, per limitare le capacità di esportazione russa in Europa nel settore energetico, compreso il gas. “Questo impegno”, conclude la nota, “è progettato per garantire che la Russia non utilizzi impropriamente alcun gasdotto, incluso il Nord Stream 2, per raggiungere obiettivi politici aggressivi utilizzando l’energia come arma”.
    L’accordo tra Berlino e Washington cerca di rassicurare chi teme – anche negli Stati Uniti – i pericoli strategici del gasdotto da 11 miliardi di dollari. In caso di sanzione, Berlino promette dunque di limitare il flusso di gas russo in arrivo in Germania ed eventualmente trascinare il caso a Bruxelles per chiedere misure comuni europee. Le Istituzioni di Bruxelles per ora se ne sono chiamate fuori, il progetto è nazionale e riguarda solo la Germania e soprattutto l’UE ritiene che un nuovo gasdotto non sia necessario per l’approvvigionamento energetico del Continente. Negli ultimi dieci anni ha investito “in altri gasdotti, terminali di importazione di gas naturale liquefatto (GNL) e interconnettori in Europa che assicurano forniture sufficienti per soddisfare le esigenze energetiche del Continente”, ha chiarito Ditte Juul Jorgensen, direttore generale del dipartimento per l’energia della Commissione europea in audizione in Parlamento Ue qualche mese fa.
    Berlino prevede di nominare inoltre un inviato speciale incaricato di sostenere progetti energetici bilaterali con l’Ucraina, con un budget di 70 milioni di dollari e anche un Fondo verde per l’Ucraina per sostenere la transizione energetica, l’efficienza energetica e la sicurezza energetica dell’Ucraina con una dotazione iniziale di almeno 170 milioni di dollari. Nonostante le promesse, l’Ucraina non sembra aver preso bene la notizia definendo il Nord Stream 2 “un’arma geopolitica che sarà senz’altro usata contro l’Ucraina e contro l’Europa”, ha detto Andriy Yermak, il capo di gabinetto del presidente ucraino.

    Washington cede alla cancelliera Merkel e dà il suo via libera a completare la costruzione del controverso gasdotto per portare il gas naturale russo in Europa. Per rassicurare gli alleati, Berlino promette di limitare il flusso di gas russo in arrivo in Germania in caso di pressioni sull’Europa orientale e centrale ed eventualmente trascinare il caso a Bruxelles per chiedere misure comuni europee