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    L’UE arma l’Ucraina: “Avanti con munizioni, missili e sistemi anti-aerei”

    Bruxelles –  Avanti con il sostegno militare all’Ucraina, come già stabilito fin qui e anche con più e rinnovati sforzi. Il che vuol dire più munizione, missili e sistemi anti-aerei. Nel giorno in cui Kiev ottiene l’avvio dei negoziati per l’adesione all’Unione europea tanto richiesto dal presidente Volodymyr Zelensky, i Ventisette confermano e rilanciano l’assistenza in senso anti-russo.  Il messaggio messo nero su bianco nelle conclusioni del vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE è che “l’Unione europea e i suoi Stati membri continueranno a rispondere alle pressanti esigenze militari e di difesa dell’Ucraina“.I leader dei Ventisette sono determinati a garantire, da qui in avanti, “un sostegno militare tempestoso, prevedibile e sostenibile all’Ucraina”. Per raggiungere questo obiettivo si intende ricorrere al Fondo europeo per la pace (European Peace Facility, EPF), missione di assistenza militare dell’UE, e l’assistenza bilaterale diretta degli Stati membri che potrà essere fornita singolarmente.In questo rinnovato slancio, si intende tenere fede quanto prima alla promessa di rifornire le forze armate ucraine di quanto serve. Si avverte, in particolare, “l’urgente necessità di accelerare la consegna di missili e munizioni, in particolare nell’ambito dell’iniziativa di munizioni per artiglieria, e di fornire all’Ucraina maggiori sistemi di difesa aerea”.Il messaggio per il presidente russo, Vladimir Putin, è che l’UE è decisa a tenere il punto e contribuire alla difesa e alla controffensiva dell’armata russa. “L’Unione europea e i suoi Stati membri continuano a impegnarsi a contribuire, a lungo termine e insieme ai partner, agli impegni in materia di sicurezza nei confronti dell’Ucraina“. Un passaggio che sta a significare che la mobilitazione a dodici stelle per Kiev non sarà né un fenomeno isolato né limitato a questo preciso momento storico. L’Ucraina è ormai nell’orbita comunitaria e non più in quella del Cremlino: questo il senso geopolitico di questo passaggio. Questi impegni politici e militari di lungo termine “aiuteranno l’Ucraina a difendersi, a resistere agli sforzi di destabilizzazione e a scoraggiare in futuro atti di aggressione”.

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    Potrebbe esserci una via d’uscita all’opposizione di Orbán all’avvio dei negoziati Ue con l’Ucraina

    Bruxelles – Per uscire dall’impasse di un vertice che da settimane si preannunciato caldissimo sulla questione dell’Ucraina, bisogna guardare ai dettagli. Su cui alla fine si giocano tutti i compromessi tra i leader dell’Unione. Se ancora non si vede una via d’uscita allo sblocco delle trattative sul supporto finanziario Ue a medio/lungo termine a Kiev, lo scoglio dei negoziati di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea potrebbe vedere una luce politica in fondo a un tunnel che – verosimilmente – occuperà buona parte della prima giornata di Consiglio Europeo.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, accoglie il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (14 dicembre 2023)“L’allargamento non è una questione teorica, è un processo basato sul merito e dettagliato a livello giuridico con pre-condizioni”, ha messo in chiaro questa mattina (14 dicembre) al suo arrivo al Consiglio Europeo un agguerrito Viktor Orbán, il vero responsabile dello stallo al tavolo dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri. Il premier ungherese ha voluto sottolineare che “abbiamo fissato 7 pre-condizioni” per l’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina e “anche dalla valutazione della Commissione Europea 3 pre-condizioni non sono state soddisfatte”. È così che – almeno nel merito della questione, senza considerare il ricatto sul piano dello sblocco dei fondi Ue all’Ungheria – si spiega l’ostruzionismo del leader ungherese: “Nelle mie stime sono anche di più [le pre-condizioni non soddisfatte, ndr], ma 3 sono abbastanza per dire che non c’è la possibilità di iniziare ora a negoziare l’appartenenza dell’Ucraina all’Unione”. Alle domande della stampa su un possibile compromesso durante le discussioni di oggi, Orbán ha voluto ricordare che “le pre-condizioni non sono state fissate dall’Ungheria ma dalla Commissione Europea, sono pubbliche”.Ciò a cui il premier ungherese si riferisce sono le priorità fissate dall’esecutivo comunitario e accettate dai Ventisette nel momento della concessione all’Ucraina dello status di candidato all’adesione al Consiglio Europeo del 23 giugno 2022. Già a giugno di quest’anno – come rilevato dal report orale della Commissione – erano state completate 2 pre-condizioni su 7 (riforma di due organi giudiziari e area dei media), con altre 2 portate a compimento nei quattro mesi successivi: riforme della Corte Costituzionale e norme anti-riciclaggio, come si legge nel Pacchetto Allargamento 2023. Le priorità ancora non pienamente soddisfatte sono quelle che riguardano lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali. Secondo quanto ha reso noto la stessa presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, lo scorso 8 novembre in occasione della pubblicazione del Pacchetto, “presenteremo un nuovo rapporto a marzo 2024“, in cui saranno valutati i progressi dell’Ucraina (ma anche della Moldova e della Georgia) sulle pre-condizioni ancora pendenti. La fiducia al Berlaymont – e in 26 capitali su 27 – risiede nel fatto che a Kiev “la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report specifico.È qui che si inserisce la delicata questione dell’avvio dei negoziati di adesione. La raccomandazione della Commissione al Consiglio Europeo è sì quella di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina, ma anche quella di adottare i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. La differenza è sottile, ma sostanziale. Il Consiglio Europeo – l’organismo che definisce le priorità e gli indirizzi politici generali dell’Unione – ha il compito di prendere una decisione politica sull’inizio del processo di adesione di un Paese terzo e sul momento più decisivo (l’avvio dei negoziati, appunto). Ma il compito di mettere a terra la decisione in modo formale è del Consiglio dell’Unione Europea – l’organo decisionale che rappresenta i governi dei 27 Paesi membri e detiene il potere legislativo insieme al Parlamento Europeo – che secondo i Trattati ha l’ultima parola a riguardo: “I negoziati di adesione non possono iniziare finché tutti i governi dell’Ue non concordano, sotto forma di decisione unanime del Consiglio dell’Ue, su un quadro o un mandato per i negoziati con il Paese candidato”.In altre parole, al vertice dei 27 leader di oggi e domani si può decidere per una soluzione politica (avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina) ma senza che questo implichi il fatto che Kiev possa bypassare il completamento delle 3 pre-condizioni mancanti. La nuova valutazione sarà rimandata – come precisato dal gabinetto von der Leyen – al report di marzo 2024, con la decisione formale e finale da parte dei 27 governi dell’Ue in Consiglio. Senza che comunque venga meno il diritto di veto su cui si sta facendo forte il premier Orbán in questi giorni. Se si concretizzerà questo scenario, è presumibile che venga posto l’accento nelle conclusioni del vertice dei 27 leader sul ruolo del Consiglio dell’Ue per l’adozione del quadro negoziale. Al momento la bozza visionata da Eunews riporta che il Consiglio Europeo “decide di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Repubblica di Moldova” e “invita il Consiglio [dell’Unione Europea, ndr] ad adottare i rispettivi quadri negoziali una volta adottate le misure” indicate nelle conclusioni sull’allargamento del Consiglio Affari Generali di martedì (12 dicembre)L’Ucraina e non solo. Come si aderisce all’UeIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Solo per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.

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    Un vertice in attesa di un altro vertice. Il punto sui rapporti Ue-Balcani nello stallo del Consiglio

    Bruxelles – È un vertice di attese, sospeso nella speranza che l’imminente Consiglio Europeo non mandi tutto il processo di allargamento Ue all’aria. L’annuale summit tra i leader Ue e dei Balcani Occidentali si è focalizzato sui progressi sul piano politico e soprattutto economico dell’ultimo anno, ma su un incontro in cui è fondante la questione dell’adesione dei Paesi partner all’Unione ha aleggiato lo spettro dell’ostruzionismo del premier ungherese, Viktor Orbán, al vertice dei Ventisette in programma domani e dopodomani (14-15 dicembre).Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (13 dicembre 2023)“Abbiamo ribadito che il futuro dei sei Paesi dei Balcani Occidentali è dentro l’Unione Europea con un’integrazione graduale esplicitata in modo concreto”, ha messo in chiaro il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, in conferenza stampa al termine del vertice. Parole confermate dalla leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “È stato un ottimo vertice, in cui abbiamo discusso sulla base del Pacchetto Allargamento recentemente presentato”. A proposito del report dello scorso 8 novembre la numero uno dell’esecutivo Ue ha ricordato che “il Cluster fondamenti con Macedonia del Nord e Albania va aperto quanto prima”, mentre il Montenegro vive un “momento positivo con il nuovo governo” e Serbia e Kosovo “hanno preso impegni importanti che ora devono essere implementati” nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado. E poi c’è la questione più delicata, quella su cui da domani inizierà una partita a scacchi con Orbán: “Abbiamo raccomandato l’apertura dei negoziati di adesione con la Bosnia ed Erzegovina non appena le condizioni saranno soddisfatte”, ha messo in chiaro von der Leyen, senza però rispondere alle domande su quanto è a rischio il capitolo dell’allargamento Ue per il possibile veto del premier ungherese all’adesione Ue dell’Ucraina.La base di partenza è la dichiarazione di Tirana del 2022, sia sulle riforme richieste per l’adesione all’Unione sia per l’orientamento strategico “alla luce della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina”, si legge nella dichiarazione dell’ultimo vertice Ue-Balcani Occidentali, che insiste ancora una volta sul compiere “progressi rapidi e sostenuti verso il pieno allineamento” alla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) “anche per quanto riguarda le misure restrittive dell’Ue”. Il riferimento implicito è alla Serbia di Aleksandar Vučić (oggi assente a Bruxelles e rimpiazzato dalla premier, Ana Brnabić), ancora lontana dall’allinearsi alle sanzioni contro la Russia, ma allo stesso tempo viene sottolineato anche “l’impegno strategico” dei partner che sono già “pienamente” in linea con Bruxelles. Per quanto riguarda le questioni più delicate sul tavolo, viene esplicitato il sostegno agli sforzi per la normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo nel dialogo mediato dall’Ue: “Ci aspettiamo un impegno costruttivo delle due parti”, dopo un anno di estrema tensione tra Pristina e Belgrado. Ma mentre la dichiarazione chiede “l’astensione da azioni unilaterali e non coordinate che potrebbero portare a ulteriori tensioni e violenze”, la presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, ha esortato i leader Ue a “revocare le ingiuste misure” imposte dallo scorso 28 giugno.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (13 dicembre)Sul piano politico va messo in evidenza il punto 9 della dichiarazione: “L’Ue intende avvicinare i Balcani Occidentali preparando il terreno per l’adesione e apportando benefici concreti ai loro cittadini già durante il processo di allargamento”. A riguardo le istituzioni comunitarie intendono “esplorare misure aggiuntive volte a far progredire ulteriormente l’integrazione graduale” – come da tempo rivendica il presidente Michel – sfruttando “il potenziale degli strumenti giuridici esistenti” e favorendola “già durante il processo di allargamento stesso, in modo reversibile e basato sul merito”. In questo contesto viene accolto positivamente il nuovo Piano di crescita per i Balcani Occidentali da 6 miliardi di euro presentato dalla Commissione Ue, che “mira ad accelerare la convergenza socioeconomica” e “incoraggia la regione ad accelerare il ritmo delle riforme” secondo le norme del Mercato unico dell’Ue, così come la partecipazione dei sei Paesi balcanici al Consiglio Affari Esteri a novembre.Sul fronte economico viene richiamato il successo del pacchetto di supporto energetico da 1 miliardo di euro diviso in due parti da 500 milioni: il 90 per cento – ovvero 450 milioni di euro – della prima metà dedicata ad ammortizzare l’aumento dei prezzi dell’energia su famiglie e imprese “è già stato erogato”. I restanti 500 milioni di euro in sovvenzioni saranno forniti attraverso il Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali con gli obiettivi delle rinnovabili, delle infrastrutture energetiche e degli interconnettori. Da non dimenticare il Piano economico e di investimenti da quasi 30 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, “in fase avanzata di attuazione” con 16,6 miliardi “già mobilitati”. E infine c’è la questione della migrazione, in una giornata costellata da uno scivolone della presidente von der Leyen a proposito dell’accordo sulla migrazione tra Italia e Albania. “La rotta è ancora molto attiva, con un numero elevato di attraversamenti irregolari delle frontiere”, rileva la dichiarazione a proposito della rotta balcanica e del Piano d’azione dello scorso anno, con un richiamo alla politica dei visti: “L’Ue chiede un ulteriore allineamento per evitare abusi dei sistemi di migrazione e di asilo degli Stati membri“. Dal primo gennaio 2024, grazie alla liberalizzazione anche per i cittadini kosovari, “tutte le persone provenienti dall’intera regione dei Balcani Occidentali potranno viaggiare senza visto nell’area Schengen”.A che punto è l’allargamento Ue nei Balcani OccidentaliSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e uno ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo.Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e ora attende con impazienza la decisione del Consiglio Europeo sull’avvio dei negoziati di adesione, che secondo il Pacchetto Allargamento Ue 2023 della Commissione Ue potrà avvenire “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.

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    Un progetto geopolitico minato dall’interno. Perché l’Ue deve cambiare passo sull’allargamento

    Bruxelles – Il futuro è un passo, ma in mezzo c’è l’ostacolo di un Consiglio Europeo a oggi ostaggio delle decisioni di un solo leader, il premier ungherese Viktor Orbán. La situazione evidenzia non solo l’importanza dell’allargamento Ue sul piano geostrategico – in particolare dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina – ma soprattutto le difficoltà attuali dell’Unione di portare a compimento le promesse decennali ai Paesi candidati realizzando contemporaneamente una riforma interna per non snaturare l’Unione con il potenziale ingresso di 10 nuovi Stati membri nel futuro a medio/lungo termine.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (8 novembre 2023)La necessità di focalizzarsi con più serietà sulla questione dell’allargamento Ue è emersa con urgenza dopo i fatti del 24 febbraio 2022 e con le richieste di Ucraina, Moldova e Georgia di aderire all’Unione. L’offensiva russa ha dimostrato i rischi di un continente in balia di un progetto imperialista da parte del Cremlino, che sarebbe interessato sia all’annessione degli ex-Paesi sovietici, sia alla destabilizzazione con una guerra ibrida a quello che rappresenta da sempre il buco nero dell’integrazione europea: i sei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), che in varie forme e a diversi stadi si sono tutti già incamminati da anni sulla strada dell’adesione all’Ue. In altre parole, il progetto di “pace, democrazia e stabilità sul continente” rappresentato dall’Unione Europea – come continuano a ripetere tutti i leader delle istituzioni comunitarie – non può concretizzarsi se i Paesi che hanno fatto richiesta di aderire continueranno a essere ignorati, dal momento in cui la frustrazione di politici e cittadini (a stragrande maggioranza europeisti) li spingerà a cercare supporto in regimi autocratici come quello russo. Il mancato allineamento della Serbia alle misure restrittive contro Mosca e il secessionismo serbo-bosniaco contro Sarajevo sono stati un chiaro campanello d’allarme.C’è da riconoscere che la spinta all’allargamento Ue non è solo una questione di rispetto delle promesse o anti-Russia, ma è diventata anche una vera e propria priorità dell’Unione sul piano politico ed economico. Lo dimostra in primis la serie di pacchetti da miliardi di euro in investimenti diretti e indiretti a sostegno di tutti i partner più stretti – da quelli per la sopravvivenza finanziaria dell’Ucraina a quello di crescita economica per i Balcani Occidentali, oltre al supporto contro la crisi energetica. E poi non va dimenticato il nuovo obiettivo al 2030 annunciato a fine agosto dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha fornito (anche in modo controverso) una data entro cui tutti siano pronti per l’allargamento Ue, dentro e fuori l’Unione. Seppur contestando implicitamente la definizione di un obiettivo temporale in un processo “basato sul merito”, anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha fatto un passo in avanti nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione a settembre, collegando in modo esplicito il processo di allargamento Ue alla riforma dei Trattati su cui si fonda l’Ue.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (28 agosto 2023)È qui che si entra nel ventre molle dell’Unione, quello di un processo che rigeneri l’Unione rendendola all’altezza delle sfide future. Sulla base di una proposta franco-tedesca particolarmente articolata, i 27 leader Ue hanno iniziato al Consiglio informale di Granada a discutere di un’agenda strategica in tre punti – priorità future, sistema decisionale e modalità di finanziamento comune – che inevitabilmente tiene insieme allargamento Ue e riforma del Trattati. Oltre alle discussioni servirebbe ora un’azione urgente, perché le richieste di adesione sono già sul tavolo e richiedono una risposta immediata. Tra le altre cose, la riforma interna non potrebbe prescindere dall’abbandono dell’unanimità e del diritto di veto in Consiglio, perché non è immaginabile un’Unione a 32 (con i candidati che hanno già avviato i negoziati di adesione), a 35 (con anche quelli che hanno ricevuto lo status di Paese candidato) o 37 (con tutti dentro, compresi Kosovo e Georgia), in cui un solo Paese può tenere in stallo tutto il sistema decisionale comune.La riforma dovrà però essere concordata da tutti gli attuali membri dell’Unione ed è questo il punto in cui al momento tutto il palco rischia di cadere. Per questioni di fondi da redistribuire tra più Paesi (soprattutto quelli di coesione e dell’agricoltura) e consapevolezza che senza il diritto di veto il peso di ogni singola capitale vale meno (in altri termini, verrebbe meno la possibilità di ‘ricattare’ Bruxelles per ottenere qualcosa in cambio dell’unanimità), alcuni tra i Ventisette non mostrano alcun interesse ad allinearsi a questa ambizione comunitaria, da cui dipende lo stesso processo di allargamento Ue. In particolare l’Ungheria di Orbán ha scelto una posizione apertamente ostruzionista nei confronti dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ucraina e al proseguo del finanziamento a Kiev, come una sorta di vendetta per il congelamento di quasi 30 miliardi di euro in fondi Ue per il mancato rispetto dello Stato di diritto. Il rischio concreto ora è che non solo non arrivi il via libera del Consiglio Europeo in programma domani e dopodomani (14-15 dicembre) ai negoziati con l’Ucraina, ma che tutto il processo di allargamento Ue si incagli nella settimana più decisiva degli ultimi anni.A che punto è l’allargamento UeSui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova – anche con la Bosnia ed Erzegovina quando sarà raggiunta la conformità ai criteri di adesione – e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Come si aderisce all’Unione EuropeaIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    I leader Ue incontrano quelli di Serbia e Kosovo: “Mettete in opera gli accordi di Bruxelles”

    Bruxelles – Qualche soddisfazione dopo i colloqui c’è, a voce i leader dell’Unione europea la mostrano, ma nei documenti ufficiali emerge la fragilità della situazione tra Serbia e Kosovo.Ieri (26 ottobre), in occasione della prima giornata del Consiglio europeo, si è tenuto un incontro tra il primo ministro Albin Kurti (Kosovo) e il presidente Aleksandar Vučić (Serbia), con alcuni leader europei. Presenti il presidente della Francia Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, insieme al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, l’Alto rappresentante Josep Borrell e l’Alto rappresentante speciale per il dialogo Pristina-Belgrado Miroslav Lajčák. “La bozza di statuto che abbiamo presentato e che appoggiamo pienamente comprende un modo moderno ed europeo di affrontare la delicata questione della tutela delle minoranze in linea con le migliori pratiche e standard europei, all’interno dei parametri definiti dalle Parti”, si legge nella dichiarazione congiunta diffusa questa sera. Ma c’è anche la richiesta, reiterata, che il Kosovo avvii la procedura per la creazione dell’Associazione dei Comuni a maggioranza serba nei suoi confini, come previsto dalla bozza di Statuto, e che la Serbia proceda al riconoscimento del piccolo Stato.Il presidente francese questa sera incontrando i giornalisti sembra soddisfatto della posizione dei leader della Serbia e del Kosovo: “Abbiamo ottenuto un impegno dalle due parti molto chiaro: mettere in opera gli accordi di Bruxelles e l’attuazione di un’associazione di municipalità serbe (a maggioranza serba nel Kosovo, ndr.) il prima possibile”. Accordi, questi, raggiunti nell’aprile 2013 con lo scopo di normalizzare i rapporti tra i due Stati.“Entrambi vogliono far parte dell’Unione europea, pertanto devono diventare dei vicini migliori“, ha sottolineato Scholz. Che guarda alla situazione con ottimismo: “Il concetto di avere un’associazione di municipalità a maggioranza serba nel Kosovo sarà attuato”, ha dichiarato oggi (27 ottobre), alla fine del Consiglio europeo. “La questione è garantire un futuro ai cittadini e le cittadine in Kosovo e in Serbia, in prospettiva pacifica”, ha aggiunto il cancelliere. “La fase di attuazione dovrebbe procedere con l’adempimento parallelo dei rispettivi obblighi da parte di entrambe le Parti, in modo graduale, sulla base del principio che entrambe le Parti devono fare qualcosa per ottenere qualcosa. L’attenzione dovrebbe ora concentrarsi sull’avanzamento della piena attuazione dell’accordo senza precondizioni o ritardi“, si legge ancora nella dichiarazione congiunta.Anche Michel ha mostrato un apprezzamento verso l’apertura al dialogo di Vučić e Kurti: “La questione principale riguardo l’incontro di ieri è l’impegno espresso dai due leader a mettere in atto gli accordi che sono sul tavolo”, ha dichiarato al termine del Consiglio europeo. Ribadendo, però, che l’Europa è ferma sulle sue richieste: “Noi chiediamo istantaneamente che questi accordi siano attuati, perché siamo convinti che sia il cammino verso la normalizzazione”. Meloni ha invece affidato a una nota diffusa da palazzo Chigi la sua posizione: “Il presidente ha reiterato il continuo e convinto sostegno del Governo italiano al percorso europeo di Serbia e Kosovo e di tutti gli altri Paesi dei Balcani occidentali, nell’ottica di una necessaria riunificazione del Continente europeo“.Ma dai documenti ufficiali sembrano trapelare più timori. “Il Consiglio europeo è profondamente preoccupato per la situazione della sicurezza nel nord del Kosovo. Condanna fermamente il violento attacco contro la polizia del Kosovo il 24 settembre 2023 – si legge nelle conclusioni finali a firma dei Ventisette -. L‘Unione europea si aspetta che i responsabili siano arrestati e consegnati rapidamente alla giustizia e che la Serbia cooperi pienamente e adotti tutte le misure necessarie al riguardo”.La richiesta unanime degli Stati membri è che Pristina e Belgrado allentino la tensione e garantiscano lo svolgimento di nuove elezioni nel nord del Kosovo il prima possibile, con la partecipazione attiva dei serbi kosovari. “Il mancato allentamento delle tensioni avrà delle conseguenze. Il Consiglio europeo – afferma il comunicato finale diramato dopo i due giorni di incontro a Bruxelles – si rammarica della mancata attuazione da parte di entrambe le parti dell’accordo sul percorso verso la normalizzazione e del relativo allegato di attuazione, nonché di altri accordi raggiunti nel dialogo facilitato dall’Ue, guidato dall’Alto Rappresentante e sostenuto dal Rappresentante speciale dell’Ue”, si legge nel documento.
    Scholz: “Se vogliono entrare nell’Ue, devono diventare dei vicini migliori”

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    Al Consiglio europeo passa la linea morbida sull’assedio israeliano a Gaza

    Bruxelles – Dopo oltre cinque ore di discussione, i capi di stato e di governo dell’Ue riuniti per il Consiglio europeo sono riusciti a trovare una quadra comune sulla crisi in Medio Oriente. Tanto ci è voluto per limare – e ammorbidire ancora – il linguaggio scelto per la versione finale delle conclusioni del vertice. Nessuna richiesta di cessate il fuoco, passa la linea dell’appello per “corridoi umanitari e pause per necessità umanitarie” a Gaza. E contemporaneamente sparisce la “ferma condanna nei termini di tutte le violenze e ostilità contro tutti i civili”, sostituita dalla “deplorazione per tutte le perdite di vite civili”.Manifestanti chiedono il cessate il fuoco a Gaza (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)Sembrano dettagli, ma sono fondamentali per carpire il messaggio politico lanciato dai 27 leader Ue. Messaggio arrivato anche alle diverse centinaia di manifestanti che, in solidarietà al popolo palestinese, si sono dati appuntamento in serata a pochi metri dalla sede del Consiglio europeo, nel cuore del quartiere delle istituzioni europee a Bruxelles. I 27 alla fine hanno scelto di alleggerire le critiche sull’eccessivo uso della forza da parte dell’alleato israeliano. “Il Consiglio europeo enfatizza con fermezza il diritto di Israele a difendersi in linea con la legge umanitaria internazionale” e “condanna nei termini più forti possibili Hamas per i suoi attacchi terroristici brutali e indiscriminati”. I leader ribadiscono inoltre l’appello “per il rilascio immediato di tutti gli ostaggi senza condizioni”.Troppo poco sulle vittime palestinesi dei bombardamenti israeliani, che secondo le stime del Ministero della Salute di Gaza – controllato da Hamas – sono già oltre 7 mila: i 27 non vanno oltre “l’importanza di assicurare la protezione di tutti i civili in ogni circostanza e in accordo con il diritto internazionale umanitario”. Per quanto riguarda l’accesso dei convogli di aiuti internazionali a Gaza, l’Ue chiede un “accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli” di “cibo, acqua, assistenza medica, materiale da campo e carburante“. Garantendo però che “tale assistenza non sia abusata dai terroristi”.Il cancelliere tedesco Olaf Scholz al Consiglio europeo, 26/10/23Passa così la linea dei Paesi più vicini a Tel Aviv, tra i quali hanno fatto sentire il proprio peso Germania e Austria. Al suo arrivo a Bruxelles, il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva indicato la sua priorità: “Chiarire ancora una volta il sostegno a Israele contro il brutale attacco di Hamas”, che ha violato “tutti i principi dell’umanità”. Non solo, Scholz si è detto convinto che nelle sue operazioni militari l’esercito israeliano avesse sempre “rispettato le regole del diritto internazionale”. Chiaro il messaggio anche da parte del suo omologo austriaco, Karl Nehammer, che ha dichiarato che “tutte le fantasie sul cessate il fuoco e sulla cessazione delle ostilità hanno portato al rafforzamento di Hamas”.Dall’altra parte c’era più di tutti il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, che ha sposato la linea che è poi quella del segretario generale dell’Onu: Madrid voleva un “cessate il fuoco”, anche se realisticamente lo stesso Sanchez questo pomeriggio aveva ammesso che non sussistevano le condizioni per una tale richiesta. Nel gioco degli equilibri tra le 27 anime dell’Unione europea, Sanchez è stato accontentato su un altro punto: nella versione finale delle conclusioni si accenna al “supporto per organizzare presto una conferenza internazionale di pace“, che è la richiesta fatta a gran voce dal leader socialista spagnolo.
    I 27 leader Ue si incagliano per oltre 5 ore sul linguaggio migliore per non compromettere il diritto di Israele a difendersi. Nessun cessate il fuoco, ma la richiesta di “pause per necessità umanitarie”. E l’appoggio all’appello di Sanchez per una conferenza di pace internazionale

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    Tutto ciò che c’è da sapere sulla proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione Europea a un suo futuro allargamento

    Bruxelles – Un lavoro iniziato otto mesi fa sotto gli auspici del presidente francese, Emmanuel Macron, e del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per coniugare due dei temi più caldi per il futuro dell’Unione Europea: l’allargamento Ue e la riforma dei Trattati fondanti della stessa Unione. “Per ragioni geopolitiche, l’allargamento Ue è in cima all’agenda politica, ma l’Unione non è ancora pronta ad accogliere nuovi membri, né dal punto di vista istituzionale né da quello politico“, è quanto mette nero su bianco il Gruppo dei Dodici nel suo rapporto su cui si fonda la proposta franco-tedesca per il rinnovamento dell’Unione Europea e che oggi (19 settembre) è stato presentato a Bruxelles ai ministri degli Affari europei.
    Un report di 58 pagine particolarmente denso, in cui vengono trattate nel dettaglio le priorità imprescindibili dell’Unione – a partire dallo Stato di diritto – le aree di riforma con le rispettive esigenze di modifica dei Trattati – dal processo decisionale in Consiglio al numero di seggi al Parlamento Ue e di membri del Collegio dei commissari – le implicazioni per il bilancio comunitario, la possibile creazione di un’integrazione europea basata su quattro livelli e i principi-guida per il processo di allargamento Ue. “Riconoscendo la complessità di allineare le diverse visioni degli Stati membri sull’Unione Europea, il rapporto raccomanda un processo di riforma e di allargamento Ue flessibile”, si legge nel testo redatto da 12 esperti indipendenti, che mettono in guardia sul fatto che “le istituzioni e i meccanismi decisionali non sono stati concepiti per un gruppo di 37 Paesi“. Ovvero gli attuali 27 membri più i 10 partner che si sono avviati sulla strada dell’adesione: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina.
    La riforma delle istituzioni
    Il punto di partenza è la protezione dello Stato di diritto. In primis rendendo il meccanismo di condizionalità uno strumento contro le violazioni da poter estendere anche a fondi futuri. E come seconda soluzione perfezionare la procedura secondo l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (quella che sospende il diritto di voto in Consiglio), introducendo una maggioranza di quattro quinti del Consiglio per farla scattare (al posto di unanimità meno uno) e includendo limiti di tempo per costringere i capi di Stato e di governo a prendere una decisione.
    Tutte le istituzioni comunitarie sono interessate dalla riforma dell’Unione. Il Parlamento manterrebbe il limite di 751 “o meno” eurodeputati (quindi meno rappresentanti per Stato membro), con l’adozione di un nuovo sistema di assegnazione dei seggi, basato su una formula che bilancia il diritto di ogni membro a essere rappresentato e la necessità di ridurre le distorsioni demografiche. Anche per la Commissione si considerano le dimensioni del Collegio, con due opzioni: o una riduzione del numero di commissari (non più uno per Stato membro) o una differenziazione tra “commissari guida” e “commissari”, in cui solo i primi hanno il diritto di voto. Il Consiglio dell’Ue dovrebbe invece essere riorganizzato da un formato a tre a un quintetto di presidenza che copra metà di un ciclo istituzionale (sei mesi per membro). Il Consiglio è l’istituzione più delicata da riformare, con l’idea fondante di “generalizzare il voto a maggioranza qualificata” a tutte le decisioni “politiche”, con salvaguardie come una “rete di sicurezza per la sovranità”, il calcolo delle quote di voto riequilibrato da 65/55 a 60/60 e opt-out per i settori politici interessati.
    Democrazia, poteri e bilancio
    Per salvaguardare la democrazia europea dovranno essere armonizzate le leggi elettorali, “almeno entro il 2029” (per il rinnovo dell’Eurocamera), ma serve una decisione “prima delle prossime elezioni” del 2024 anche sulla nomina del presidente della Commissione: o come accordo inter-istituzionale o come accordo politico. I cittadini dovranno essere coinvolti più da vicino con strumenti partecipativi legati al processo decisionale e a quello di allargamento Ue, mentre un nuovo Ufficio indipendente per la trasparenza e la probità dovrebbe monitorare le attività di tutti gli attori che lavorano nelle – o per le – istituzioni comunitarie. Va a braccetto la questione della definizione delle competenze, con la necessità di “rafforzare le disposizioni su come affrontare gli sviluppi imprevisti”, includendo meglio il Parlamento e creando una Camera congiunta delle più alte giurisdizioni dell’Ue come dialogo non vincolante tra le giurisdizioni europee e quelle degli Stati membri.
    Ma in questo capitolo l’attenzione è tutta rivolta al bilancio comunitario, di fronte a un potenziale aumento dei membri e delle politiche da finanziare collettivamente. Nel prossimo periodo di bilancio (2028-2034) dovrà essere aumentato il budget “sia in termini nominali sia in relazione al Pil”. Serviranno nuove risorse proprie per limitare l’ottimizzazione fiscale, l’elusione e la concorrenza, mentre le decisioni di bilancio dovranno essere prese per maggioranza qualificata (o in alternativa con una cooperazione più intensa tra gruppi più piccoli di Stati membri per finanziare insieme le politiche). Dovrà poi essere condotta una revisione per ridurre o aumentare le dimensioni di determinate aree di spesa e viene sancito il principio secondo cui l’Ue dovrebbe poter emettere debito comune in futuro. Dal 2034 – quando le due scadenze si allineeranno – il ciclo istituzionale avrà il compito di stabilire un nuovo quadro finanziario pluriennale della durata di 5 anni (e non più 7).
    Integrazione differenziata e processo di allargamento Ue
    L’ultima parte del rapporto del Gruppo dei Dodici è legato all’allargamento Ue vero e proprio, ma anche alle forme di integrazione che l’Unione dovrebbe assumere su diversi livelli. Prima di tutto viene considerato come modificare i Trattati, con sei opzioni sul tavolo: attivazione dell’articolo 48 del Tue (procedura di revisione ordinaria), una procedura di revisione semplificata, l’attivazione dell’articolo 49 del Tue (trattati di adesione di nuovi membri che modificano quelli istitutivi), “trattato quadro di allargamento e riforma” redatto dagli Stati membri, coinvolgimento di una Convenzione e – “in caso di stallo” – trattato di riforma supplementare tra gli Stati membri disposti a farlo.
    Alla riforma dei Trattati si accompagna la definizione dei 5 principi di integrazione differenziata all’interno dell’Ue: rispetto dell’acquis comunitario e dell’integrità delle politiche e delle azioni Ue, uso delle istituzioni comunitarie, apertura a tutti i membri, condivisione dei poteri decisionali, dei costi e dei benefici, e avanzamento da parte dei “volenterosi” che vogliano spingere oltre l’integrazione. Mentre agli Stati non cooperativi o non disposti a collaborare vengono offerti opt-out (opzioni di non partecipazione) nel nuovo Trattato – fatto salvo l’acquis comunitario e i valori fondanti – il futuro dell’integrazione europea viene immaginato su quattro livelli distinti: una cerchia interna di membri Schengen, dell’Eurozona e di altre “coalizioni di volenterosi”, l’Unione Europea con membri vecchi e nuovi, i membri associati al Mercato unico (come Norvegia e Svizzera) e – fuori dal perimetro dello Stato di diritto – la Comunità Politica Europea 2.0 che abbia al centro la convergenza geopolitica e strutturata su accordi bilaterali con l’Ue.
    In tutto questo deve rimanere chiaro l’obiettivo di essere pronti per l’allargamento Ue entro il 2030, così come anticipato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel – mentre parallelamente i Paesi candidati dovranno lavorare per soddisfare tutti i criteri di adesione entro la stessa data (e già si sono detti disponibili a farlo). Nel rapporto viene stimolata la nuova leadership politica dopo le elezioni del 2024 a impegnarsi per questo obiettivo e concordare sulla preparazione per l’allargamento Ue entro la fine del decennio. Il discorso riguarda però da vicino anche lo stesso processo di allargamento Ue, a partire dalla suddivisione dei cicli di adesione in gruppi più piccoli di Paesi (ciascuno di questi definito ‘regata’). Nove principi dovrebbero guidare poi le future strategie di allargamento Ue: ‘prima le basi’, geopolitico, risoluzione dei conflitti, supporto tecnico e finanziario aggiuntivo, legittimità democratica, eguaglianza, ‘sistematizzazione’, reversibilità e voto a maggioranza qualificata.

    Riforma delle istituzioni, risorse comuni, integrazione differenziata e nuovo processo di adesione dei candidati. I governi hanno iniziato a discutere sulle proposte del Gruppo dei Dodici per mettere l’Unione nelle condizioni di non farsi trovare impreparata all’appuntamento del 2030

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    Al Vertice Ue von der Leyen promette una proposta per usare gli asset russi congelati per l’Ucraina

    Bruxelles – La Commissione europea presenterà una proposta su come utilizzare i beni russi congelati per la ricostruzione dell’Ucraina. Al Vertice europeo che si è tenuto ieri e oggi (29 e 30 giugno) a Bruxelles “abbiamo discusso degli asset russi congelati e abbiamo intenzione di presentare una proposta. Ci concentreremo prudentemente sugli extra profitti derivanti dalle attività congelate della Banca centrale russa”, ha confermato la  presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa al termine della due giorni di Vertice europeo.
    Di approccio prudente parla von der Leyen dal momento che la questione è particolarmente divisiva e complessa, e ci sono opinioni diverse e diverse opzioni sul tavolo su come sfruttarli. Tra queste, l’ipotesi di tassarli, anche se l’idea è di trovare un consenso tale da farlo tutti insieme, a Ventisette. Il tema dell’uso dei proventi ricavati dagli asset russi congelati per contribuire ad aiutare l’Ucraina nella ricostruzione è abbastanza controverso, perché può comportare dei rischi per l’attrattività internazionale dell’euro.
    La Commissione europea sta lavorando a una proposta, dunque. Ma lo fa con prudenza, per cercare una soluzione a 27 che metta d’accordo tutti. Von der Leyen ha fatto il punto su quanto ottenuto sulla Russia durante l’attuale presidenza di Svezia alla guida dell’Ue, che si concluderà tra poche ore per lasciare il posto alla Spagna. “Abbiamo anche compiuto progressi nel sanzionare la Russia. La scorsa settimana abbiamo adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni che mira sostanzialmente a scappatoie e all’elusione delle sanzioni. Sotto la sua Presidenza, abbiamo compiuto solidi progressi in materia di responsabilità, nel nostro lavoro per consegnare alla giustizia i crimini della Russia”. Non cuna proposta, in questo momento, che possa diventare legge” sull’utilizzo degli asset russi congelati per la ricostruzione dell’Ucraina.

    L’annuncio della presidente della Commissione europea al termine del Consiglio europeo