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    Allargamento UE, al via prime conferenze intergovernative con Serbia e Montenegro. Ma è ancora stallo in Consiglio su Albania e Macedonia

    Bruxelles – Prende sempre più slancio la prospettiva europea di Serbia e Montenegro. Dopo l’adozione della nuova metodologia per i negoziati di adesione dei due Paesi dei Balcani occidentali, ieri sera (martedì 22 giugno) sono state avviate le prime conferenze intergovernative con i rappresentanti politici di Belgrado e Podgorica. A presiederle, il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e la segretaria di Stato portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Ana Paula Zacarias.
    “Sono lieto che il Montenegro e la Serbia abbiano accettato la metodologia rivista, aprendo la porta alle prime conferenze intergovernative politiche”, ha sottolineato il commissario Várhelyi, dopo aver accolto prima il team montenegrino guidato dal primo ministro, Zdravko Krivokapić, e successivamente quello serbo della premier, Ana Brnabić. “Come abbiamo visto stasera, su questa base rilanceremo il processo di adesione rendendolo più prevedibile, più credibile, più dinamico e soggetto a un orientamento politico più forte”.
    Sul fronte di Podgorica, “questo incontro invia un forte segnale politico dell’impegno dell’Unione Europea“, aprendo la porta a un confronto politico “aperto” sulle riforme chiave. Il Montenegro ha già aperto tutti i capitoli negoziali, ma Várhelyi ha precisato che ora sono necessarie “discussioni sullo Stato di diritto, che determineranno il ritmo dei nostri negoziati“. La priorità “assoluta” su cui è stato trovato un accordo è “soddisfare i parametri intermedi stabiliti nei capitoli sullo Stato di diritto”, vale a dire il 23 (potere giudiziario e diritti fondamentali) e il 24 (giustizia e affari interni). “Mi ha fatto piacere sentire l’impegno e il piano molto dettagliato del primo ministro per affrontare le questioni in sospeso”, ha sottolineato il commissario, che ha assicurato anche il sostegno di Bruxelles per la ricostruzione dell’economia montenegrina dopo la crisi COVID-19.

    At 1st political Intergovernmental Conference w #Montenegro under revised methodology tonight: Strong political signal & political dialogue on key reforms. 🇲🇪 already opened all chapters & needs to focus on rule of law to fulfil opening benchmarks in chapters 23&24. pic.twitter.com/dSkPbHMfG0
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) June 22, 2021

    A stretto giro, si è tenuta anche la prima conferenza intergovernativa con i rappresentanti serbi. “Abbiamo avuto una discussione sostanziale su ciò che dovrà essere fatto e abbiamo anche fatto il punto sui progressi”, è stato il commento del commissario Várhelyi. Per quanto riguarda i progressi, è stato aperto il primo cluster (gruppo tematico di capitoli negoziali) sullo Stato di diritto. Di conseguenza, “possiamo passare a dinamizzare il processo di adesione per la Serbia durante la presidenza slovena”, a partire dal primo luglio e per tutto il prossimo semestre.
    I passi in avanti anche sul terzo cluster (competitività e crescita inclusiva) e il quarto (Agenda verde e connettività sostenibile) danno la speranza che si crei un “nuovo slancio per tutti noi”, ha aggiunto Várhelyi. Ma “serve che la Serbia sia all’altezza“: un messaggio politico che la premier Brnabić “ha sentito da tutti noi”. Anche in relazione alle questioni in sospeso a livello regionale, dialogo Belgrado-Pristina su tutte.

    At 1st political Intergovernmental Conference w #Serbia under revised methodology tonight. We had a substantial discussion on what needs to be done&took stock of progress. 🇷🇸 has done significant work in last months&accelerated reforms, be it on the rule of law or clusters 3&4. pic.twitter.com/YqhAm6sOGC
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) June 22, 2021

    Ma il commissario europeo si è trovato costretto a commentare anche i (non) risultati del Consiglio Affari Generali di ieri sul tema dell’allargamento dell’UE nei Balcani occidentali. Perché se “la presidenza portoghese ha compiuto enormi sforzi in tutti i fascicoli-chiave” – dall’accordo politico con il Parlamento UE sullo strumento IPA III di finanziamento del Piano economico e degli investimenti, alla nuova metodologia negoziale per Serbia e Montenegro – è anche vero che il quadro negoziale per l’avvio del processo di adesione di Albania e Macedonia del Nord è ancora in stallo.
    “Negli ultimi mesi abbiamo percorso molto terreno”, ma “non siamo stati in grado di concludere questo lavoro durante il semestre portoghese”. Durante la presidenza slovena, “che è pronta a portarlo avanti”, è necessario un “vero impegno per aprire le prime conferenze intergovernative con entrambi i Paesi“, ha concluso Várhelyi. “Nonostante l’impegno profuso, non è stato possibile arrivare a un’intesa tra i ministri”, ha confermato in conferenza stampa la segretaria di Stato portoghese Zacarias. “Abbiamo preso nota degli ultimi sviluppi e sottolineato l’importanza strategica del processo di allargamento dell’Unione”.
    A bloccare l’avvio delle conferenze intergovernative con Tirana e Skopje, come sei mesi fa, è stato il veto della Bulgaria sul quadro negoziale per l’adesione della Macedonia del Nord. La conferma è arrivata dallo stesso viceministro degli Esteri bulgaro, Rumen Alexandrov, a margine del vertice dei ministri UE di ieri: “Il nostro approccio è costruttivo e in buona fede, ma ci aspettiamo che Skopje inizi a mettere in pratica gli impegni assunti ad alto livello“, compresa “l’esplicita rinuncia alle rivendicazioni territoriali, etniche e storiche nei confronti della Bulgaria e all’istigazione all’odio verso i bulgari”. Tutte motivazioni, più o meno di facciata, che da mesi giustificano la posizione assunta dal governo di Sofia in seno al Consiglio.

    Rilanciato il processo di adesione dei due Paesi dei Balcani occidentali con “forti segnali politici da parte dell’Unione”, ha rivendicato il commissario Várhelyi. Il veto della Bulgaria su Skopje blocca ancora l’avvio degli altri due negoziati

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    Dialogo Serbia-Kosovo: l’UE prende tempo, ma tra Vucic e Kurti è scontro aperto. Tutto rimandato al vertice di luglio

    Bruxelles – Non sono servite nemmeno sei ore per spegnere ogni entusiasmo europeo sul nuovo round di alto livello del dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’UE, svoltosi questa mattina (martedì 15 giugno) a Bruxelles. Se erano grandi le speranze dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e del rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sui risultati da “iniziare a produrre” nel corso del quarto confronto dal 12 luglio dello scorso anno, ci hanno pensato proprio i leader dei due Paesi balcanici a mettere tutto in soffitta. Se ne riparlerà “entro la fine di luglio, quando il processo proseguirà“, ha dichiarato Lajčák al termine dell’incontro.
    Il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák
    La Commissione Europea prende tempo: il rappresentante speciale UE parla di un “nuovo capitolo”, uno “scambio molto aperto e franco su ciò che ciascuno desidera” e che “entrambi i leader hanno confermato che non c’è altra via da seguire se non quella di normalizzare le relazioni tra Kosovo e Serbia”. Ma così non basta più, di sicuro non dopo la promessa di Borrell (che risale ormai al 12 ottobre 2020) che “l’accordo è una questione di mesi, non anni”.
    Anche perché tra le due parti – se già non correva buon sangue prima – ora è scontro aperto. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si è detto “deluso” dall’incontro con il premier kosovaro, Albin Kurti, e che “l’unica cosa positiva della riunione è stata l’intesa a proseguire i negoziati entro fine luglio”. Il leader serbo ha parlato di posizioni “irresponsabili e fuori dalla realtà” da parte di Kurti, dal momento in cui “si rifiuta di parlare della creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo”, ma allo stesso tempo “vuole sapere quando riconosceremo l’indipendenza di Pristina”. A questa “provocazione”, Vučić ha precisato ai giornalisti con una punta di orgoglio che non lo farà “mai”.
    Piovono critiche su Belgrado, invece, dal fronte kosovaro: “Da parte nostra l’incontro è stato costruttivo”, ha spiegato il premier Kurti alla stampa, ma “dall’altra parte si riproponevano vecchie idee”. Parlando dei quattro punti proposti durante l’incontro, Kurti ha accusato Vučić di averne respinti tre e di non aver dato “nemmeno una risposta sul quarto”, ovvero la revisione dell’Accordo centro-europeo di libero scambio (CEFTA). Stando a quanto riportato dal governo di Pristina, Belgrado ha rispedito al mittente i progetti di firma di un accordo di pace tra le due parti, di istituzione in Kosovo di un Consiglio nazionale per la minoranza serba (sul modello di quello già esistente in Serbia per le minoranze albanesi e bosniache) e la rimozione del capo della Commissione serba per le persone scomparse durante il conflitto, Veljko Odalović.
    Non proprio la descrizione di un incontro soddisfacente – o “non facile”, come lo ha definito Lajčák. Ma se c’è una sola cosa incoraggiante da portare a casa in vista del nuovo vertice a Bruxelles del prossimo luglio è che entrambi i leader sembrano ormai guardare alle istituzioni europee e statunitensi come un solo attore geopolitico, una duplice garanzia sul presente e sul futuro per la stabilizzazione della regione. Il presidente serbo ha confessato di essere “fiducioso” sul fatto che l’alto rappresentante UE Borrell riferirà “in modo preciso e minuzioso” l’esito dell’incontro di oggi al presidente USA, Joe Biden. Il premier kosovaro ha invece affermato che “l’accordo con Belgrado andrà raggiunto entro la fine dei mandati di Borrell e Biden“.
    Considerando la fine naturale dei rispettivi mandati, si parla della fine del 2024 (per l’alto rappresentante UE) e dell’inizio del 2025 (per il presidente statunitense). Per allora, la dichiarazione di indipendenza del Kosovo avrà compiuto quasi 17 anni e l’inizio del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’UE quasi 14 anni. Ma intanto c’è da pensare al breve termine, al quinto vertice dalla ripresa del 12 luglio dello scorso anno (il confronto si era precedentemente fermato nel novembre 2018). Se arriverà davvero entro fine luglio, cadrà allo scadere del primo anniversario. E già si inizia a parlare di anni, non mesi.

    Tradisce le aspettative delle istituzioni europee il vertice a Bruxelles tra il presidente serbo Vucic e il premier kosovaro Kurti. Entrambi i leader guardano a UE e Stati Uniti come unico attore geopolitico nella regione

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    Dialogo Serbia-Kosovo, dopo 9 mesi di stallo riprende a Bruxelles il confronto politico. Grandi speranze dall’UE

    Bruxelles – Si riparte, là da dove si era fermato tutto. A Bruxelles è ricominciato oggi (martedì 15 giugno) il dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’Unione Europea, a nove mesi dall’ultimo confronto politico tra i rappresentanti di Belgrado e Pristina. Era il 7 settembre 2020: l’amministrazione statunitense di Donald Trump stava mettendo seriamente a rischio il processo decennale dell’UE, il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, aveva appena comunicato che avrebbe trasferito l’ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme come segno di intesa con The Donald e l’ex-premier del Kosovo, Avdullah Hoti, ancora non era stato travolto dallo scandalo politico che ha fatto crollare il suo governo a gennaio 2021.
    Da sinistra, il premier del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante UE, Josep Borrell (15 giugno 2021)
    Un vero e proprio parto politico – sia per le tempistiche, sia per le complicazioni lungo il cammino – è quello che ha portato al quarto incontro dei leader dei due Paesi dei Balcani occidentali, dopo la ripresa del 12 luglio dello scorso anno (il confronto si era precedentemente fermato nel novembre 2018). Nel frattempo, se tutto sembra rimasto immutato in Serbia, il Kosovo ha vissuto uno dei periodi di più grande fermento sociale e istituzionale: il neo-premier, Albin Kurti, e la nuova presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, hanno promesso una svolta radicale nel Paese, ma anche nelle relazioni con il vicino che non vuole riconoscere l’indipendenza di Pristina, dichiarata il 17 febbraio 2008.
    Con tutte queste premesse, l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina e le altre questioni regionali dei Balcani occidentali, Miroslav Lajčák, hanno dato questa mattina il benvenuto al presidente serbo Vučić e al premier kosovaro Kurti. In un’atmosfera che, per descriverla in modo incisivo, “non è facile“. Parola dell’alto rappresentante UE.
    Da sinistra, l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (15 giugno 2021)
    “Questo processo e questo sincero impegno da entrambe le parti è necessario per il bene del popolo del Kosovo e della Serbia”, ha esortato Borrell prima dell’inizio del nuovo incontro con i due leader balcanici. Un invito che ricalca le parole utilizzate nel corso delle rispettive visite bilaterali del presidente serbo e del primo ministro kosovaro a Bruxelles alla fine di aprile: “Allora ho incoraggiato a proseguire senza indugio il dialogo, con l’obiettivo di produrre risultati, nonostante tutte le difficoltà esistenti”.
    Ma l’alto rappresentante Borrell ha voluto mettere in luce che “c’è un nuovo slancio e dobbiamo usarlo“. Prima di tutto il cambio di atteggiamento della nuova amministrazione statunitense di Joe Biden (non a caso Borrell ha sottolineato che l’appuntamento coincide con il vertice UE-Stati Uniti di oggi), che ha portato a un maggiore allineamento tra Bruxelles e Washington sulle modalità e le prospettive di stabilizzazione della penisola balcanica. Ma soprattutto per la nuova ondata di confronti dentro e fuori le istituzioni europee sul presente e il futuro dei Balcani occidentali nell’UE: “È un’importante opportunità per il progresso dell’intera regione“, ma “senza un accordo tra Kosovo e Serbia, sarà a rischio”, ha avvertito l’alto rappresentante.
    Ecco perché l’Unione Europea si aspetta un incontro “importante e proficuo”, che porti a “rapidi progressi per lasciarci finalmente alle spalle il passato” e “raggiungere un accordo completo e giuridicamente vincolante sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”. Sono molti oggi i fattori di novità rispetto a quel 7 settembre 2020: la speranza a Bruxelles è che nel frattempo non sia cambiato tutto, perché tutto rimanesse come prima.

    I am hosting a new meeting of the High Level Belgrade-Pristina Dialogue today with President @predsednikrs and Prime Minister @albinkurti.
    The Dialogue and its outcome is the path to the European future of both sides. Meanwhile, it brought important results for their citizens. pic.twitter.com/oZ3lOgxZTl
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 15, 2021

    Il presidente serbo, Aleksandar Vucic, e il premier kosovaro, Albin Kurti, accolti dall’alto rappresentante Borrell per la nuova sessione di colloqui ad alto livello: “Sarà difficile, ma dobbiamo iniziare a produrre risultati”

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    Brexit, ancora nessuna svolta sull’attuazione del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Biden preoccupato per lo stallo

    Bruxelles – È stato l’ennesimo nulla di fatto la riunione del comitato congiunto UE-Regno Unito (il primo dall’attuazione dell’accordo sul commercio e la cooperazione) che si è tenuta oggi (mercoledì 9 giugno) a Londra. Presieduto dal vicepresidente della Commissione Europea per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, e dal consigliere britannico per la Sicurezza nazionale, David Frost, il vertice era particolarmente atteso per tentare di risolvere i problemi relativi all’attuazione del Protocollo sull’Irlanda del Nord.
    Invece si protrae ancora lo stallo tra Unione Europea e Regno Unito e la questione impensierisce anche Oltreoceano. Dall’amministrazione statunitense del democratico Joe Biden è stata indirizzata a entrambi gli alleati una sollecitazione a trattare per risolvere il problema sull’isola di Irlanda, proprio alla vigilia del vertice dei leader del G7 a presidenza britannica (in programma dall’11 al 13 giugno). In un’intervista con l’editore della BBC North America, Jon Sopel, il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha avvertito che “qualunque sia il modo per procedere, deve al suo interno proteggere l’Accordo del Venerdì Santo e non metterlo in pericolo”. Questo sarà il “messaggio che il presidente Biden indirizzerà” al vertice del Gruppo dei Sette a Carbis Bay, in Cornovaglia, a cui parteciperà di persona.
    “Nessuna svolta, ma nemmeno una rottura“, è la sintesi migliore della riunione di oggi, offerta proprio da Frost in un tweet al termine dei colloqui. Una discussione “franca e onesta”, che però non ha risolto le controversie sui controlli delle merci tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito: Bruxelles pretende il rispetto delle clausole per preservare l’unità dell’isola d’Irlanda (secondo l’accordo del Venerdì Santo del 1998), mentre Londra cerca di rimandare l’attuazione per “ridurre gli oneri per i commercianti agroalimentari che spostano le merci per l’uso o il consumo nell’Irlanda del Nord”, si legge nel comunicato diffuso da Downing Street.
    In conferenza stampa, il vicepresidente della Commissione Šefčovič ha spiegato che “l’Unione si è impegnata in modo creativo e instancabile per trovare soluzioni che forniscano stabilità alle imprese”, ma che rimane “incondizionato” il rispetto del Mercato Unico UE. Questo non ha escluso il lavoro su “soluzioni permanenti, ove possibile”, come nel caso della fornitura di medicinali all’Irlanda del Nord (“cosa che prendo molto sul serio, soprattutto in questo periodo di pandemia”), ma anche dei cani guida, dell’IVA sulle auto usate e altre flessibilità sulla circolazione del bestiame.
    Tuttavia, “non possiamo annullare il nucleo del Protocollo” e i controlli tra le due sponde del Mare d’Irlanda sono “una condizione necessaria per garantire l’assenza di controlli tra Belfast e Dublino”, ha ribadito con forza Šefčovič: “Il Regno Unito deve rispettare i suoi obblighi legali ed eseguire questi controlli“. Il vicepresidente del gabinetto von der Leyen ha anche sottolineato che “oggi siamo a un bivio nelle nostre relazioni, la fiducia deve essere ripristinata”.
    Ricordando l’azione legale avviata lo scorso 15 marzo, Šefčovič ha rincarato la dose, affermando che “se il Regno Unito dovesse intraprendere ulteriori azioni unilaterali nelle prossime settimane, l’Unione non sarà timida nel reagire rapidamente, con fermezza e risolutezza“. Con un sibillino “Pacta sunt servanda”, la stessa citazione utilizzata questa mattina dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, davanti agli eurodeputati a Strasburgo.

    “Pacta sunt servanda”
    When an agreement has been reached, it needs to be implemented with good will.
    We want to be a loyal and committed partner to the UK, but we are ready to use the different means available to us to protect our interests. #Brexit @BorisJohnson pic.twitter.com/MqD4Lmn6GL
    — Charles Michel (@eucopresident) June 9, 2021

    Altro punto all’ordine del giorno è stata la questione dei diritti dei cittadini. “Si avvicina il termine del 30 giugno per la domanda di soggiorno” dei cittadini comunitari nel Regno Unito e di quelli britannici nell’Unione Europea. “I nostri cittadini devono avere la certezza giuridica se sono coperti o meno dall’Accordo di recesso”, ha assicurato il vicepresidente dell’esecutivo UE, e per questo “abbiamo deciso di lavorare insieme per garantire che ciò avvenga“. Per quanto riguarda la situazione “molto delicata” della detenzione dei cittadini comunitari alla frontiera del Regno Unito, Šefčovič ha cercato – e trovato – “rassicurazioni da Lord Frost” sul fatto che “tutte le questioni in sospeso saranno risolte rapidamente“.

    Il vertice UE-Regno Unito non ha risolto le controversie sui controlli delle merci tra Belfast e Londra. Il presidente statunitense ha sollecitato gli alleati a trovare una soluzione e lo ripeterà al vertice G7 di questo fine settimana

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    Ratko Mladic, condanna definitiva all’ergastolo per il boia di Srebrenica. L’UE: “Opportunità per riconciliazione in Bosnia”

    Bruxelles – Ora la condanna è definitiva, non ci sono più possibilità di ricorso. Ratko Mladić, il comandante militare dei serbo-bosniaci durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina del 1992-1995, dovrà scontare l’ergastolo per crimini di guerra e contro l’umanità. Lo ha stabilito oggi (martedì 8 giugno) il Meccanismo residuale per i Tribunali Penali Internazionali (IRMCT) – tribunale delle Nazioni Unite dell’Aja che nel 2017 ha preso il posto del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) – confermando in appello la sentenza di primo grado emessa nel novembre di quattro anni fa.
    Commemorazione delle vittime del massacro di Srebrenica al Memoriale di Potočari (2015)
    Il “macellaio della Bosnia” è stato riconosciuto colpevole per 10 capi d’accusa: quattro per crimini di guerra, cinque per crimini contro l’umanità e di un genocidio, il massacro di Srebrenica. Proprio per il suo “importante contributo” nel genocidio del luglio del 1995, Mladić è anche conosciuto con il soprannome di “boia di Srebrenica”. Su suo ordine, le truppe serbo-bosniache da lui comandate uccisero più di ottomila civili musulmani nella città della Bosnia orientale, tutti i maschi adulti e adolescenti.
    Stando alla sentenza, l’ultimo criminale di guerra eccellente giudicato dalla giustizia internazionale (prima di lui era toccato al presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dal 1992 al 1996, Radovan Karadžić) è stato responsabile di operazioni di pulizia etnica, sterminio, deportazioni, atti disumani di dislocamento forzato, uccisioni, infrazioni delle leggi di guerra, attacchi contro i civili, presa in ostaggio dei Caschi Blu dell’ONU e terrore contro i civili di Sarajevo, durante l’assedio più lungo del Novecento (durato quasi quattro anni consecutivi).
    Il commento da Bruxelles
    Immediata la reazione delle istituzioni europee, non solo sulla condanna di Mladić, ma soprattutto sugli scenari che possono aprirsi in Bosnia ed Erzegovina. “La sentenza definitiva pone fine a un processo-chiave per crimini di guerra nella storia recente dell’Europa“, hanno commentato attraverso una nota del Servizio europeo per l’azione esterna l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. “Questo giudizio contribuirà alla guarigione di tutti coloro che hanno sofferto”.
    Dal punto di vista del processo di pacificazione sociale, “la decisione odierna è un’opportunità per i leader della Bosnia ed Erzegovina e della regione di aprire la strada per onorare le vittime e promuovere un ambiente favorevole alla riconciliazione“, con l’obiettivo di “superare le eredità della guerra e costruire una pace duratura”. Borrell e Várhelyi hanno insistito sul fatto che “la negazione del genocidio, il revisionismo e la glorificazione dei criminali di guerra contraddicono i valori europei più fondamentali“.
    Per questo motivo, “l’Unione si aspetta che tutti gli attori politici in Bosnia ed Erzegovina e nei Balcani occidentali dimostrino piena cooperazione con i tribunali internazionali e rispettino le loro decisioni“. Questo è un “prerequisito per la stabilità e la sicurezza” del Paese e per il suo cammino europeo, dal momento in cui compare anche tra le 14 priorità-chiave sulla domanda di Sarajevo per l’adesione all’Unione Europea. I due membri del gabinetto von der Leyen hanno infine insistito sul fatto che i tribunali bosniaci e della regione “devono continuare la loro missione di fornire giustizia a tutte le vittime e ai loro familiari”, perché “l’impunità non è tollerata“.
    Un commento alla sentenza è arrivato anche dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “È un altro passo importante per garantire giustizia alle vittime”, ha commentato su Twitter. “Ci aiuterà tutti a lasciarci alle spalle il doloroso passato e a mettere il futuro al primo posto“, ha aggiunto, usando l’hashtag in ricordo del massacro di 26 anni fa.

    The final ruling by the international tribunal in the case against Ratko Mladić is another important step to provide justice to the victims.
    It will help us all put the painful past behind us and to put the future first. #SrebrenicaMassacre pic.twitter.com/N4NJVXIJ8n
    — Charles Michel (@eucopresident) June 8, 2021

    Confermato in appello l’ergastolo per il comandante serbo-bosniaco responsabile di crimini contro l’umanità durante il conflitto del 1992-1995. Bruxelles avverte che “negazionismo e revisionismo contraddicono i valori europei”

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    Bielorussia, Borrell: “Arresto e violenze su Protasevich sono atti orrendi”. Ma il Parlamento UE vuole più determinazione

    Bruxelles – Immagini “vergognose”, una violenza “tremenda” e atti “orrendi”. In un climax di crescente indignazione, l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha condannato gli eventi delle ultime due settimane in Bielorussia. Dal dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk, fino alla confessione forzata da parte del giornalista e oppositore politico Roman Protasevich, arrestato insieme alla compagna Sofia Sapega proprio dopo il dirottamento dell’aereo che stava sorvolando lo spazio aereo bielorusso. “La Bielorussia è di nuovo al centro dell’attualità mondiale”, ha sottolineato Borrell durante il suo intervento alla plenaria del Parlamento Europeo. “Non solo per le repressioni da parte di un dittatore che ha il sostegno della Russia, ma anche per la continua violazione dei diritti umani e delle norme internazionali”.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    L’ultima in ordine cronologico è stata la violazione del diritto internazionale del volo, su cui l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO) ha già aperto un’indagine: “Con l’intervento di un caccia bielorusso, è stata messa a repentaglio la sicurezza dei più di cento passeggeri e dell’equipaggio di un’aereo commerciale che volava tra due capitali dell’Unione“. Una volta atterrato all’aeroporto nazionale di Minsk, si è consumato “l’atto orrendo” dell’arresto di Protasevich e di Sapega. Ma ancora più “tremendo” è stato assistere alla confessione forzata del giornalista e oppositore al regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko: “È stato l’ennesimo esempio di violazioni, dobbiamo rispondere con decisione alle immagini vergognose di questa persona che piangeva e riconosceva reati mai commessi contro la Bielorussia”.
    La prima risposta messa in atto dall’UE è stata la decisione del Consiglio Europeo di imporre la no fly zone sulla Bielorussia, di impedire l’accesso allo spazio aereo europeo ai vettori di Minsk e di implementare sanzioni non solo a carico di singole entità, ma anche economiche mirate. “Saranno adottate presumibilmente dal prossimo Consiglio Affari Esteri”, ha anticipato l’alto rappresentante Borrell, “e peseranno sui settori economici-chiave per il regime, oltre a coinvolgere i responsabili del dirottamento del volo”. Nel frattempo, “continueremo a sollevare la questione dei 450 prigionieri politici in tutti forum internazionali e portare avanti il pacchetto economico da 3 miliardi di euro a sostegno di una Bielorussia democratica”.
    La reazione del Parlamento Europeo
    Gli eurodeputati di tutti i gruppi politici hanno espresso con forza la dura condanna nei confronti del regime di Lukashenko per quanto accaduto nelle ultime settimane a Minsk e hanno chiesto una risposta ancora più decisa alla Commissione e al Consiglio. “È finito il tempo delle discussioni”, ha avvertito Andrzej Halicki (PPE), perché ormai la Bielorussia “è stata trasformata in un’enorme prigione a cielo aperto”. È arriva l’ora di “sanzioni economiche e di un sostegno più tangibile ai media indipendenti, perché il popolo è totalmente isolato”.
    Anche per Robert Biedroń (S&D) “Lukashenko ha oltrepassato tutti i limiti, ma la comunità internazionale non ha fatto tutto quanto in suo potere per fermarlo“. Con la proposta di risoluzione che sarà votata dopodomani (giovedì 10 giugno), “chiediamo a tutte le istituzioni di riconoscere Lukashenko per quello che è: l’ultimo dittatore d’Europa, che sta costruendo una Corea del Nord nel Vecchio Continente”, ha attaccato l’eurodeputato, citando le parole della leader dell’opposizione bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    L’eurodeputata della Lega, Susanna Ceccardi (ID)
    Secondo Petras Auštrevičius (Renew Europe), il regime di Lukashenko “da autoritario è diventato apertamente dittatoriale”, ma è anche vero che “il suo capitale politico dipende solo dal sostegno di Vladimir Putin“. Per questo motivo “dobbiamo imporre sanzioni nei settori vitali e dare sostegno immediato alla società civile”. Sul ruolo del leader russo – che proprio ieri si è confrontato telefonicamente con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel – si è soffermata anche Susanna Ceccardi (ID). “La Russia ha perso l’occasione di prendere le distanze e l’incontro di Sochi mette il Cremlino in una posizione scomoda”, ha sottolineato l’eurodeputata in quota Lega. Ma “anche la Cina non ha condannato il dirottamento del volo e usa la Bielorussia come un corridoio strategico verso l’Europa”. Di qui, l’Unione “dovrebbe bloccare i convogli cinesi in arrivo da Minsk, sarebbe un messaggio forte contro il dittatore e suoi amici illiberali”.
    Il fatto di “non poter starcene con le mani in mano” è il filo conduttore che unisce anche l’intervento di Viola Von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE): “Servono sanzioni contro i prodotti di raffineria e della concimazione“, settori-chiave per il “regime del terrore” instaurato dal presidente bielorusso. Per l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento Europeo, Fabio Massimo Castaldo, le ultime azioni di Lukashenko però non sarebbero un atto di forza, ma “mosse disperate e segni di debolezza“, perché “l’opposizione non vuole rassegnarsi ai suoi diktat”. Ecco perché il Parlamento Europeo ha ribadito con forza che “bisogna sostenere con più determinazione il piano di aiuti per una transizione veramente pacifica e democratica della Bielorussia”.

    L’alto rappresentante UE è intervenuto al dibattito in plenaria sulle vicende che hanno riportato il regime di Lukashenko al centro dell’attualità internazionale. Si attendono sanzioni economiche “mirate” anche contro i responsabili del dirottamento del volo Ryanair

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    Allargamento UE, intesa tra Parlamento e Consiglio su fondi a sostegno dell’adesione di Balcani occidentali e Turchia

    Bruxelles – Era stato chiesto con urgenza durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo di maggio dallo stesso commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e dopo due settimane l’accordo sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III è stato raggiunto dai negoziatori di Consiglio e Parlamento UE.
    Un’intesa politica sulle priorità, gli obiettivi e la governance di questo strumento modernizzato, che andrà a disciplinare i finanziamenti 2021-2027 e metterà in campo 14,2 miliardi di euro a sostegno dell’attuazione delle riforme nei sette Paesi candidati all’adesione all’UE: i sei dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia) e la Turchia.
    Attraverso l’accordo raggiunto ieri sera (mercoledì 2 giugno) – che dovrà essere ora convertito in Regolamento e approvato da Parlamento e Consiglio, verosimilmente entro l’inizio del prossimo autunno – i co-legislatori hanno deciso di rafforzare le condizionalità relative alla democrazia, ai diritti umani e allo Stato di diritto. L’assistenza prevista dallo strumento IPA III sarà sospesa in caso di “regresso democratico”, vale a dire di passi indietro dei rispettivi governi su questi settori-chiave nell’ambito delle riforme strutturali per l’accesso all’Unione.
    Il nuovo aggiornamento dello strumento di assistenza pre-adesione (istituito per la prima volta nel 2007 e seguito poi da IPA II nel 2014) si pone anche gli obiettivi di intensificare la lotta alla disinformazione e contribuire alla protezione dell’ambiente, dei diritti umani e della parità di genere, con un maggiore coordinamento con le organizzazioni della società civile e le autorità locali. Rafforzato anche il ruolo del Parlamento Europeo, che attraverso un dialogo geopolitico con la Commissione, sarà in grado di definire i principali orientamenti strategici e di controllare le decisioni prese nell’ambito dello strumento.
    È stato proprio il commissario Várhelyi ad accogliere con ottimismo l’intesa tra Consiglio e Parlamento: “È un segnale benvenuto, positivo e forte per i Balcani occidentali e la Turchia“. Il commissario ha definito l’aggiornamento dello strumento come “un solido investimento nel futuro della regione e dell’allargamento dell’Unione”, il cui punto di forza è proprio sostenere “l’attuazione delle principali riforme politiche, istituzionali, sociali ed economiche” per conformarsi agli standard comunitari. Non solo: “La sua programmazione si basa su priorità tematiche piuttosto che su dotazioni nazionali“, caratteristica fondamentale per “premiare le prestazioni e i progressi” e “dare maggiore flessibilità” alle esigenze in evoluzione.
    In ultima battuta, il commissario per l’Allargamento ha anche sottolineato che lo strumento IPA III “fornirà finanziamenti per il Piano economico e di investimenti per i Balcani occidentali“, presentato il 6 ottobre dello scorso anno dalla Commissione per sostenere la ripresa economica di questa “regione prioritaria” nell’ottica geo-strategica dell’Unione Europea.

    Il nuovo strumento di assistenza pre-adesione IPA III che regola i finanziamenti 2021-2027 avrà un valore di 14,2 miliardi di euro. Agevolerà l’attuazione delle riforme nei sette Paesi candidati, ma sarà sospeso in caso di “regresso democratico”

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    Bielorussia, Tsikhanouskaya esorta l’UE a reagire oltre il caso Ryanair: “Stiamo diventando la Corea del Nord d’Europa”

    Bruxelles – Una settimana di ordinaria follia in Bielorussia, sotto le picconate sempre più dure alla democrazia da parte del regime del presidente Alexander Lukashenko. “In sette giorni sono stati quattro i momenti di svolta drammatica nel Paese”, ha spiegato oggi (mercoledì 26 maggio) la leader dell’opposizione democratica e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, in un confronto con gli eurodeputati della commissione Affari Esteri. Dalla chiusura forzata del principale media indipendente Tut.by (18 maggio) alla morte in carcere “in circostanze oscure” del prigioniero politico Vitold Ashurok (21 maggio), fino ad arrivare al quasi certo rinvio delle elezioni parlamentari di un anno e mezzo (ieri in discussione al Parlamento) e al dirottamento del volo Ryanair e l’arresto del giornalista Roman Protasevich e della compagna Sophia Sapega.
    La leader dell’opposizione democratica e presidente legittima riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya (26 maggio 2021)
    Di tutti questi eventi, quello che ha causato la reazione più indignata e provvedimenti immediati da parte dell’Unione Europea è stato l’ultimo, a causa delle sue implicazioni a livello di violazione delle leggi internazionali. “Il dirottamento del volo ha destato grande preoccupazione in tutto il mondo, per la minaccia alla pace e alla sicurezza mondiale rappresentata da Lukashenko“, ha sottolineato Tsikhanouskaya. Tuttavia, non bisogna dimenticare che “i bielorussi vivono in questa atmosfera di mancato rispetto dei diritti fondamentali da più di nove mesi“, dall’inizio della repressione delle contestazioni pacifiche per il risultato delle elezioni-farsa presidenziali del 9 agosto 2020.
    La leader dell’opposizione democratica ha spiegato senza giri di parole che “il regime ormai è fuori controllo” e che “Lukashenko sta trasformando la Bielorussia nella Corea del Nord d’Europa“: un Paese “non trasparente, dittatoriale e pericoloso”. Ma allo stesso tempo ha anche avvertito gli eurodeputati che “la strategia europea di ‘aspettare e vedere’ non funziona, le pressioni senza azioni non portano a cambiamenti”. Al contrario, “l’impunità ha causato ancora più repressione sulla società civile“, come hanno dimostrato in questi mesi gli attacchi alla libertà di stampa e le incarcerazioni arbitrarie. È qui che deve intervenire l’Unione, secondo la richiesta della leader in esilio: “La reazione non si deve limitare al caso Ryanair”, perché “se non si affronterà la situazione nella sua interezza, si ripeteranno presto casi simili“.
    Nella pratica, Tsikhanouskaya ha delineato le azioni che l’UE dovrebbe mettere in campo per dare una risposta efficace. “Prima di tutto bisogna ancora ribadire pubblicamente che Lukashenko non è il presidente legittimo della Bielorussia“, come già riconosciuto dalle istituzioni europee da settembre dello scorso anno. Ma soprattutto, “bisogna tagliare le linee di credito alle banche bielorusse, bloccare gli investimenti, importazioni ed esportazioni verso il Paese”.
    Contemporaneamente, si deve approvare “al più presto” il nuovo pacchetto di sanzioni (“ragionando già sul quinto”) e “sospendere gli accordi con i Paesi che stanno sfruttando la situazione, compresa la Russia”. Come ultime istanze, “dovremo organizzare una conferenza internazionale sulla risoluzione della crisi e mettere a punto un piano di sostegno congiuntamente con me e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen“. L’obiettivo rimane “dimostrare che l’Unione Europea è al fianco del futuro democratico del Paese”.

    La presidente legittima riconosciuta dall’Unione ha lanciato un appello agli eurodeputati della commissione Affari Esteri: “L’impunità ha portato ancora più repressione. Bisogna tagliare linee di credito alle banche, investimenti ed esportazioni”