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    Sefcovic: “Non abbiamo rapporti diretti con le autorità delle Isole Falkland”

    Bruxelles – I liberali in Parlamento europeo ripropongono la questione delle isole Falkland, territori d’oltremare britannici ma rivendicate da sempre dall’Argentina. La Brexit ha messo a nudo tutta una serie di questioni irrisolte, come quella di Gibilterra, e l’europarlamentare di RE, Jordi Cañas, invita la Commissione europea ad affrontarne uno in particolare ora che il Regno Unito non è più membro dell’Ue. Con tanto di interrogazione parlamentare, l’esponente liberale chiede se l’Ue intende avviare trattative commerciali separate con l’arcipelago del sud America visto che l’accordo di recesso non riguarda le Falklands, un aspetto che ha rilanciato le mire argentine e prodotto più di qualche attrito tra Bruxelles e Londra.
    Adesso arriva il nuovo intervento di matrice Ue in una questione ancora molto delicata per il Regno Unito. Cañas ricorda che le isole oggetto di interrogazione parlamentare sono oggetto di contenzioso. “L’Argentina chiede la restituzione del territorio per esercitare un’effettiva sovranità su di esso”, una controversia “riconosciuta dalle Nazioni Unite”.
    Sarà per questo che la risposta fornita da Maros Sefcovic è di quelle che chiarisce che si preferisce la via del quieto vivere. “La Commissione “non ritiene necessario chiedere un’autorizzazione al Consiglio per avviare negoziati con il Regno Unito su un accordo commerciale preferenziale per le Isole Falkland (Malvinas), e non ha avviato alcun dialogo con il Regno Unito al riguardo”, fa sapere il commissario per la Relazioni inter-istituzionali, che di fatto prende una posizione chiara nella mai superata questione delle isole al largo della Patagonia. La risposta, che include in nome in lingua spagnola dello stesso arcipelago, riconosce che effettivamente c’è una questione.
    Allo stesso tempo, però, Sefcovic, nel ricordare che l’accordo commerciale e di cooperazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica, da una parte, e il Regno Unito, dall’altra, “non si applica a nessuno dei territori d’oltremare che intrattengono relazioni speciali con il Regno Unito (compreso il Isole Falkland (Malvinas)”, riconosce dunque il legame con Londra, ed è per questo motivo che “la Commissione non ha rapporti diretti con le autorità delle Isole Falkland“.
    Di fronte a nuove pressioni che arrivano dal Parlamento europeo, in sostanza, l’esecutivo comunitario fa sapere di non essere disposta a intervenire laddove si preferisce mantenere le distanze. “La Commissione non ha un dialogo specifico con il Regno Unito sulle Isole Falkland (Malvinas)“, continua ancora Sefcovic, precisando che del tema si parla con il governo Johnson. ‘Las Malvinas son argentinas’, dicono gli argentini e tutti quelli che sposano questa impostazione. Per la Commissione, però, fa fede Londra, che nel 1982 ha anche combattuto una guerra con l’Argentina per confermare la propria sovranità.

    Il commissario per le Relazioni inter-istituzionali risponde a un’interrogazione in materia e chiarisce la linea dell’esecutivo comunitario sul tema del Territorio d’Oltremare britannico

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    Stop a carbone e vodka, tagliato di 15 miliardi di euro l’import-export: ecco il quinto pacchetto di sanzioni UE alla Russia

    Bruxelles – Non solo carbone, ma pure trasporti e materiali. Il quinto e ulteriore pacchetto di sanzioni approvato dal Consiglio dell’UE opera una stretta commerciale volta a ridurre le capacità di business del Cremlino così da togliere fonti di finanziamento alla guerra sferrata in Ucraina. Divieto alle esportazioni per complessivi 10 miliardi di euro, cui si aggiunge un divieto alle importazione per un valore di 5 miliardi di euro, per un totale di 15 miliardi di euro in restrizioni. Non ci sono ancora strette su gas e petrolio, come richiede il Parlamento europeo, ma il nuovo set di misure restrittive vede certamente delle novità senza precedenti.
    Carbone, stop a contratti vecchi e nuoviIl principale elemento di questo pacchetto riguarda certamente l’azione dell’UE sul carbone comprato sul mercato dell’est. Si stabilisce il divieto di stipulare nuovi contratti. Così facendo Mosca dovrebbe perdere circa otto miliardi di euro l’anno, secondo le stime della Commissione europea. Mentre per quelli in essere è stata introdotta una moratoria di quattro mesi. Da Bruxelles comunque precisano che la stretta su questa fonte fossile è di fatto iniziata ancora prima dell’adozione del nuovo pacchetto di sanzioni. “Nelle ultime quattro settimane gli acquisti di carbone russo si sono ridotti del 9 per cento in valore e del 20 per cento in volume“, fanno sapere fonti comunitarie, che non si sbilanciano su eventuali passi avanti in materia energetica. In generale, ricordando, “con tutte queste misure dobbiamo stare attenti a non avere conseguenze indesiderate per noi“.
    Restrizione per il settore trasportiPer la prima volta dall’inizio dell’invasione in Ucraina si interviene nel settore trasporti. Si introduce un divieto sul trasporto merci su strada. Riguarda le imprese stabilite in Russia, a cui viene impedito di viaggiare verso il mercato unico europeo. E soprattutto si colpisce “gran parte del trasporto dall’UE alla Russia”. Previste alcune esenzioni per “elementi essenziali”, come i prodotti agricoli e alimentari, e gli aiuti umanitari. Decretato inoltre il divieto di approdo nei porti dell’EU a tutte le imbarcazioni battenti bandiera russa.
    Export, cosa l’Europa non può più vendere Il capitolo più sostanzioso delle misure commerciali che valgono in totale 15 miliardi di euro. Il lavoro tecnico delle 27 delegazioni ha prodotto divieti all’esportazione mirati nelle aree in cui la Russia è vulnerabile a causa della sua elevata dipendenza dalle forniture dell’UE. Ciò include, ad esempio, l’informatica quantistica, semiconduttori avanzati, macchinari sensibili, trasporti e prodotti chimici. Include anche catalizzatori specializzati per l’uso nell’industria delle raffinerie. “Ciò continuerà a degradare la base tecnologica e la capacità industriale della Russia“, assicurano a Bruxelles. Ai divieti di vendite già esistenti vengono aggiunti carburante e additivi per carburante per aerei. Una misura, da sola, che vale 10 miliardi di euro, e che “rappresenta l’intero commercio degli Stati Uniti con la Russia in un anno”. Gradi di paragone non casuali. Quanto deciso, precisano fonti Ue, “è molto più significativo in termini di impatto diretto, perché ovviamente siamo molto più esposti rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti o al Regno Unito”.
    Import, cosa l’Europa non può più comprareUlteriori divieti di importazione, per un valore di 5,5 miliardi di euro, riguardano cemento, prodotti in gomma, legno, alcolici (compresa la vodka), liquori, frutti di mare di fascia alta (compreso il caviale). Solo dalla Vodka l’economia russa conoscerà una perdita stimata in 50 milioni di euro l’anno. Oltretutto il superalcolico rappresenta il 98 per cento dell’import totale dell’UE nel settore delle bevande spiritose, e dunque questa singola componente del pacchetto restrittivo da 15 miliardi di euro sull’import-export rappresenta un duro colpo per il mercato russo.

    Per la prima volta toccato anche il settore trasporti. Fermate le merci su strada da e per la Federazione russa. Tutte misure per togliere soldi a Putin da usare per la guerra contro l’Ucraina

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    Dombrovskis rilancia il TTIP: “Riaprire dibattito” su accordo commerciale UE-USA

    Bruxelles – Adesso l’UE rilancia il TTIP, l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Il mutato scenario internazionale, le nuove tensioni geopolitiche e la necessità di farvi fronte mostrano “quanto sia importante avere partner affidabili”, e quale miglior momento per rilanciare le relazioni transatlantiche? La vicepresidente esecutiva della Commissione Ue, Margrethe Vestager, non ha dubbi che “la situazione in Ucraina influenzerà senza dubbio la nostra cooperazione” con Washigton, ma la prende alla lontana. Il suo collega, il vicepresidente esecutivo responsabile per il Commercio, Valdis Dombrovskis, va dritto al punto. “Il TTIP è qualcosa su cui occorre discutere“, riconosce nel corso dell’audizione in commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo.
    Si riprende dunque un accordo commerciale su cui l’UE allora investì molto, fino all’avvento di Donald Trump, che decise di fermare la macchina negoziale. Anche se, anche nel vecchio continente, le riserve non mancarono. L’UE si mostrò poco convinta, con 12 Paesi sugli allora 28 decide ad andare avanti e gli altri più restii, per i dubbi legati alla sostenibilità ambientale dell’accordo e prodotti alimentari considerati troppo ‘OGM e ormoni-friendly’. Il progetto di TTIP (acronimo inglese per Parteniariato transatlantico per commercio e investimenti) “non ha avuto un lieto fine, per problemi sia nell’UE sia negli Stati Uniti”, ma a detta di Dombrovskis “il dibattito dovrebbe essere riaperto“.
    Il comitato bilaterale UE-Stati Uniti per la tecnologia e il commercio è allo stato attuale un consesso limitato, non concepito per rapporti commerciali bilaterali completi e onnicomprensivi. Rappresenta fin qui il compromesso per nuove relazioni, che gli ultimi eventi non possono non considerare. “Forti relazioni  politiche, economiche, commerciali e di sicurezza transatlantiche sono più importanti che mai“, scandisce Dombrovskis. La guerra in Ucraina “mostra che il comitato UE-USA era la cosa giusta da fare”, ma potrebbe non bastare.
    L’UE dunque rilancia il TTIP, chiede agli Stati Uniti di gettare il cuore oltre l’ostacolo e tornare a lavorare per una nuova stagiona euro-atlantica. “Se UE e USA non indicano la via per dare forma alle nostre regole, ai nostri standard e ai nostri strumenti del futuro, vediamo chiaramente quale sia l’alternativa”, insiste riferendosi al presidente russo Vladimir Putin. Resta da capire fino a che punto gli Stati Uniti potranno essere interessati a ripetere l’esperienza. Si potrà capire già giovedì (24 marzo), quando Joe Biden sarà a Bruxelles per partecipare al vertice straordinario della NATO e, poi, a quello dei capi di Stato e di governo dell’UE.

    Il vicepresidente esecutivo della Commissione europea riapre un tavolo negoziale che sembrava morto e sepolto. “Occorre discuterne”

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    Le sanzioni UE non fermano il commercio della Bielorussia: nel 2021 aumentate le importazioni dei Paesi baltici

    Bruxelles – Sono stati tra i Paesi UE che hanno fatto avanzare la linea più dura nei confronti della Bielorussia di Alexander Lukashenko, ma alla prova del nove i Baltici hanno dimostrato di avere non poche difficoltà a rispettare nei fatti le proprie politiche aggressive. Nei primi dieci mesi del 2021 in Estonia, Lettonia e Lituania le importazioni dalla Bielorussia hanno toccato livelli record, nonostante le dure sanzioni economiche imposte da Bruxelles contro Minsk a giugno.
    Analizzando le statistiche degli Istituti nazionali di ricerca dei tre Paesi baltici, è facile osservare come le relazioni commerciali con la Bielorussia si siano cementate, anziché essere scoraggiate dai rapporti lacerati tra l’Unione Europea e il regime di Lukashenko. Con 522 milioni di euro complessivi, le importazioni dell’Estonia sono più che raddoppiate rispetto all’anno precedente (221 milioni) e anche nei mesi di crisi più acuta – tra maggio e ottobre – la media mensile non è mai scesa sotto i 50 milioni di euro. Discorso simile può essere fatto per la Lettonia, che ha registrato importazioni per 406,5 milioni di euro, il livello più alto negli ultimi 10 anni (nel 2020 si era fermato a 298,5). Ancora più esemplificativo il caso della Lituania, il Paese che per primo ha adottato dure misure per opporsi alla “guerra ibrida” di Lukashenko: nel 2021 le importazioni commerciali hanno toccato il miliardo di euro (erano 830 milioni nel 2020).
    Questi forti aumenti rivelano la complessità in termini economici per i Paesi baltici nel trovare un equilibrio con la retorica aggressiva adottata in politica estera. La Bielorussia è e rimane un importante partner commerciale per questa regione, anche considerato il flusso di merci in arrivo dall’Asia e che vi transita prima di arrivare in Europa Occidentale. Le importazioni da Minsk includono prodotti dell’industria del legno, dei fertilizzanti e del settore del petrolio, quest’ultimo nella lista delle misure restrittive UE e statunitensi.
    Dopo aver negato a dicembre qualsiasi violazione delle sanzioni, il governo estone rischia ora di farsi travolgere dalle polemiche per la crescita di un commercio che evidentemente non riguarda solo “merci di transito” attraverso il Paese. Anche il ministero degli Esteri lettone ha assicurato che gli affari commerciali stanno avvenendo nel rispetto del regime di sanzioni. Ma il rischio è quello di dover affrontare la stessa bufera che si è scatenata poche settimane fa a Vilnius, quando sia il ministro lituano degli Esteri, Gabrielius Landsbergis, sia quello dei Trasporti, Marius Skuodis, hanno presentato le dimissioni (poi respinte) a causa delle rivelazioni sul trasporto mai cessato del potassio bielorusso sottoposto alle sanzioni di Bruxelles sulla rete ferroviaria nazionale.

    Nonostante le posizioni aggressive in politica estera contro il regime di Alexander Lukashenko, nel 2021 si è registrato un forte aumento delle esportazioni da Minsk in direzione Lituania, Estonia e Lettonia

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    Brexit: le pressioni britanniche per rivisitare il protocollo sull’Irlanda del Nord spaventano Dublino

    Bruxelles – L’Irlanda inizia a pensare a delle “misure di riequilibrio” in caso l’accordo di cooperazione e commercio tra Unione europea e Regno Unito dovesse essere sospeso. Lo ha spiegato Leo Varadkar, ex taoiseach (capo di governo) della Repubblica irlandese, ed attuale ministro del Commercio. Secondo Varadkar “nessuno vuole che l’UE sospenda l’accordo”, ma i recenti dissapori in ambito commerciale tra Londra e Bruxelles potrebbero comunque metterlo a rischio.
    A minacciare l’accordo è soprattutto la possibilità che il Regno unito invochi l’articolo 16 del Protocollo sull’Irlanda del Nord, che fa parte dell’accordo con cui è stata portata a termine la Brexit. Al momento il territorio nordirlandese, pur rimanendo sotto la sovranità di Londra, è equiparato de facto a un Paese membro dell’UE per quel che riguarda il commercio. Lo scopo dell’accordo è quello di fare in modo di garantire un passaggio delle merci il più rapido possibile rapido tra Regno Unito, Irlanda del Nord e resto dell’UE ed evitare l’imposizione di dazi.
    L’articolo in questione, tuttavia, ammette che uno dei contraenti possa introdurre delle “misure di riequilibrio” in caso di “serie difficoltà economiche, sociali o ambientali”. Nè le misure, nè le difficoltà vengono definite all’interno del documento, ma è probabile che attivare l’articolo porterebbe alla sospensione di tutti gli accordi commerciali attualmente in vigore – con la possibilità di generare una “guerra dei dazi” tra un lato e l’altro della Manica.
    L’articolo era stato invocato nel gennaio 2021 dalla Commissione europea per limitare l’export dei vaccini in un momento in cui scarseggiavano per coprire la domanda europea, ma non era stato fatto nessun passo per l’attivazione.
    Adesso sia Boris Johnson sia David Frost, ministro per la Brexit, nel corso degli ultimi negoziati tornano a evocare la possibilità di attivare questa “opzione nucleare”. Per Frost “l’Articolo 16 è una delle opzioni sul tavolo”. Lo scopo dei negoziatori inglesi è ora quello di ottenere concessioni per procedure commerciali semplificate (in entrata e in uscita) con l’Unione, specie in vista dei problemi logistici che affliggono il Paese.
    Secondo l’Irlanda, però, se l’esecutivo di Johnson decidesse di tirare troppo la corda i negoziati potrebbero saltare comunque, anche se l’ipotesi non è quella preferita da nessuno dei contraenti. Eventualità remota, ma a cui Dublino non vuole arrivare impreparata.

    Leo Varadkar, primo ministro irlandese, afferma che il suo paese prepara delle “misure per controbilanciare” in caso l’accordo commerciale tra UE e Regno Unito dovesse saltare come risultato della trattativa sul Protocollo per l’Irlanda del Nord

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    Gibilterra, UE pronta a negoziare le nuove relazioni post-Brexit

    Bruxelles – Adesso si può iniziare a dare forma al futuro di Gibilterra. Il Consiglio dell’UE ha deciso di avviare i negoziati col Regno Unito per definire le nuove relazioni con il possedimento britannico, al confine con la Spagna e incastonato tra frontiere UE terrestri e marittime. La decisione è arrivata in occasione della riunione dell’Ecofin. I ministri dell’Economia e delle Finanze dei Ventisette hanno approvato la proposta senza discussione. Un processo formale previsto dall’iter legislativo a dodici stelle.
    La decisione conferisce alla Commissione europea il mandato per avviare i negoziati con Londra. L’esecutivo comunitario aveva già rotto gli indugi presentando una sua propria strategia per il territorio d’oltre mare britannico, innescando uno scontro con Londra. L‘accordo commerciale e di cooperazione raggiunto tra la UE e UK non copre Gibilterra, lasciata fuori in sede negoziale. Un vuoto a cui si intende rimediare.
    Gibilterra. [foto: Wikimedia]L’obiettivo che si pone l’Unione europea è stabilire un accordo “ampio ed equilibrato” nei confronti di Gibilterra, in considerazione della particolare situazione geografica e delle specificità del territorio. Un qualunque accordo tra le due parti, quando raggiunto, non dovrebbe pregiudicare le questioni di sovranità e giurisdizione. 
    Gibilterra, su cui la Spagna nutre da secoli interessi, è parte del Regno Unito dal 1713. Due diversi referendum sottoposti alla popolazione della Rocca, nel 1967 e nel 2002, hanno sancito la sovranità di Londra. Madrid contesta comunque ‘sconfinamenti’ in territorio spagnolo. L’aeroporto locale si sarebbe sviluppato oltre i confini del territorio, le accuse e le denunce spagnole. Il governo spagnolo vorrebbe approfittare della situazione per garantirsi ‘voce in capitolo’ sul territorio.
    Da qui in avanti si dovrà innanzitutto capire come ragionare flussi di merci e persone, disciplinare il traffico aereo e navale, spostamenti, regimi tariffari per i beni in entrata e uscita, e requisiti di viaggio. Il lavoro dell’UE inizia adesso. Al team von der Leyen il compito di chiudere un buon accordo.

    Via libera del Consiglio per l’avvio delle trattative. Il passaggio formale conferisce alla Commissione il mandato per il confronto con Londra

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    UE e Australia rimandano i colloqui commerciali, pesa il caso dei sottomarini

    Bruxelles – Il ministero del Commercio australiano ha confermato che i colloqui per il raggiungimento di un accordo commerciale con l’Unione europea sono stati rimandati. Il ministro Dan Tehan ha affermato che il meeting è stato spostato di un mese e si terrà il prossimo novembre alla presenza di Valdis Dombrovskis
    La notizia segue le tensioni tra Australia e Paesi europei scaturite in seguito alla nascita di AUKUS. Il partenariato strategico tra Washington, Canberra e Londra aveva portato alla cancellazione di una commessa della francese Naval Group per la costruzione di una flotta di sottomarini per l’Australia – valore stimato intorno ai 40 miliardi di euro.
    La Commissione aveva scelto di prendere le parti del Governo francese, che aveva ritirato i suoi ambasciatori in Australia e negli Stati Uniti. In quell’occasione la presidente Ursula von der Leyen aveva messo in dubbio la possibilità di proseguire nei colloqui commerciali con il governo australiano.
    La crisi tra Francia e Stati Uniti si è un poco alleggerita, in seguito ad una telefonata tra Emmanuel Macron e Joe Biden. L’Eliseo ha disposto di far rientrare l’ambasciatore a Washington, ma si è rifiutata di fare altrettanto per il suo rappresentante in Australia.
    La Commissione ha chiarito che la volontà di rimandare i colloqui non è una rappresaglia per gli avvenimenti dello scorso mese. Tehan si è invece rifiutato di rispondere in merito all’influenza della questione dei sottomarini sulla decisione di spostare l’evento.

    I colloqui per il raggiungimento di un accordo si terranno a novembre. Per la Commissione non si tratta di una rappresaglia, mentre il Ministro australiano si è rifiutato di commentare sull’influenza di AUKUS nella scelta

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    Accordi UE-Marocco illegittimi. “Siglati dal Consiglio senza il consenso del popolo Sahrawi”

    Bruxelles – Gli accordi commerciale UE-Marocco non sono validi. Il Consiglio li ha avallati calpestando il popolo saharawi, a cui sono stati imposti solo obblighi senza riconoscere alcun diritto, e scavalcandolo nella misura in cui i diretti interessati non stati né coinvolti né interpellati. La sentenza del Tribunale dell’UE boccia l’Unione in tutto, nel suo modo di fare e nel merito di accordi contestati fin dall’inizio.
    Unione europea e Marocco hanno trovato un accordo per l’importazione nel mercato unico di prodotti agricoli e di mare di origine marocchina nel 2013, e rinnovato nel 2019. L’accordo ha finito per includere anche i territori del Sahara occidentale, su cui Rabat rivendica sovranità e ancora al centro di contese. La repubblica araba di Sahrawi (RDAS) non è riconosciuta in sede ONU, non è riconosciuta da nessuno degli Stati membri dell’UE,  ma è riconosciuta dall’Unione africana, che la inserisce nella lista degli Stati indipendenti e sovrani. Ma il territorio della RDAS è costituito da appena un quinto di ciò che reclama per sé, controllato dal Marocco.
    [foto: ECFR – European Council on Foreign Relations]Il Fronte Polisario, il movimento per l’autodeterminazione del popolo sahrawi e il riconoscimento di tutto il territorio rivendicato, ha contestato già nel 2013 l’accordo bilaterale UE-Marocco, e così ha fatto nel 2019. Il motivo è sempre lo stesso: gli accordi si applicano al Sahara occidentale senza consenso, prevedono lo sfruttamento delle sue risorse naturali e promuovono la politica di annessione di tale territorio da parte del Marocco.
    Adesso da Lussemburgo si riconoscono le ragioni Sahrawi. “Non è stato rispettato il requisito relativo al consenso del popolo del Sahara occidentale ai fini del principio dell’efficacia relativa dei trattati”, stabiliscono i giudici del Tribunale. Il trattato dunque non è valido. Anche perché la norma di diritto internazionale per cui si può presumere il consenso di terzo parti ad un accordo internazionale quando le parti di tale accordo intendessero attribuirgli diritti, “non è applicabile al presente caso, poiché gli accordi in questione non hanno lo scopo di conferire diritti al popolo del Sahara occidentale, ma di imporre loro obblighi”.
    C’è poi l’aspetto ancora più esplicitamente politico della vicenda. Il Tribunale di Lussemburgo riconosce che le decisioni impugnate, vale a dire gli accordi commerciali contestati dal Fronte Polisario, “hanno effetti diretti sulla posizione giuridica del ricorrente come rappresentante di questo popolo e come parte nel processo di autodeterminazione in questo territorio”. L’accordo siglato dall’UE dunque ha come conseguenza quello di riconosce la repubblica araba di Sahrawi e il suo popolo come parte del Marocco.
    Tutto da rifare, dunque. Serve un nuovo accordo UE-Marocco sui prodotti agricoli (viene riconosciuto legittimo quello sulla pesca), e il Tribunale offre tempo per scriverne un altro. Accanto alla vittoria di principio e nel merito, il Fronte Polisario vede la ‘beffa’ della non cancellazione automatica degli accordi riconosciuti illegittimi. I giudici stabiliscono che gli effetti dell’accordo “siano mantenuti per un certo periodo“, poiché l’annullamento con effetto immediato “potrebbe avere gravi conseguenze sull’azione esterna dell’Unione europea e mettere in dubbio la certezza del diritto rispetto agli impegni internazionali che ha concordato”. Il Tribunale precisa che l’accordo resta in vigore per un termine “non superiore a due mesi”, utili per la presentazione del ricorso. Dopodiché tutto sarà oggetto o di nuovi contenziosi o di nuovi negoziati.
    Le imprese confidano nel ricorso alla Corte. Non ne fa mistero la Confederazione generale delle imprese marocchine (CGEM), il cui presidente Chakib Alj è a Bruxelles per rinsaldare i legami con BusinessEurope, l’unione delle confindustrie europee. La sentenza “crea incertezza”, lamenta, quando invece le imprese “hanno bisogno di un ambiente certo”. Quindi l’accusa. “Il Fronte Polisario contesta l’accordo quando Commissione, Parlamento e Consiglio UE lo sostengono”. Un modo per delegittimare ancora di più la posizione del popolo Sahrawi. La CGEM ricordano che l’accordo resta in vigore e attende il secondo grado di giudizio, quello della Corte. Intanto fa pressione avvertendo che gli investimenti, specie quelli verdi, nella regione sono a rischio.
    Anche Tiziana  Beghin mostra preoccupazione ed esorta a soluzioni al problema. “Per il nostro tessuto commerciale e per la sicurezza delle nostre frontiere, resta cruciale continuare a sviluppare il nostro Partenariato con il Marocco“, dice la capo delegazione del Movimento 5 Stelle in Parlamento europeo e membro della commissione Commercio internazionale.

    Il Tribunale dell’UE boccia le intese commerciali per i prodotti agricoli e ripropone la questione del Sahara occidentale, indipendente solo per l’Unione africana e con rivendicazioni in corso per il territorio