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    Ue e Regno Unito trovano l’intesa post-Brexit su Gibilterra

    Bruxelles – Niente più controlli di terra, cooperazione tra forze di polizia, regole sui visti per chi non è residente in rispetto dell’area Schengen e delle regole di libera circolazione: Spagna e Regno Unito trovano l’intesa su Gibilterra, eliminando così gli ultimi aspetti della Brexit rimasti in sospeso. L’intesa è stata raggiunta in occasione dell’incontro tra le parti a Bruxelles (il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares e il ministro degli Esteri britannico David Lammy, insieme al primo ministro di Gibilterra Fabian Picardo, con la mediazione del commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič).Niente più controlli alle frontiere di terraUno dei punti principali dell’accordo politico riguarda la libera circolazione delle persone e delle merci. C’è l’impegno di garantirlo per la frontiera terrestre, per tutti i flussi in entrata e uscita tra Spagna e Gibilterra. Si stima che ogni giorno circa 15mila persona attraversino la frontiera terrestre ispano-britannica di Gibilterra, tra cui migliaia di transfrontalieri, lavoratori che vivono in Spagna ma che svolgono la professione oltre confine.“Con questo accordo, la barriera scomparirà”, enfatizza il ministro spagnolo Albares. “È l’ultimo muro sull’Europa continentale” che viene rimosso, aggiunge. I controlli si applicheranno al porto e in aeroporto, e saranno doppi: per l’Ue saranno effettuati dalla Spagna, mentre per il Regno Unito, le verifiche saranno condotte dalle autorità di Gibilterra come avviene attualmente. Gibraltar’s economy and way of life was under threat.We have secured a practical solution which safeguards sovereignty, jobs and growth.Working in lockstep with @FabianPicardo we have ensured Gibraltar’s interests – as part of the UK family – are at the heart of this… https://t.co/efngUyhQ2X— David Lammy (@DavidLammy) June 11, 2025Regno Unito, un piede in Schengen e uno nell’unione doganaleL’intesa politica non incide in alcun modo sulla sovranità britannica sulla rocca, punto centrale che per Londra rappresenta un elemento indispensabile per il futuro. Gibilterra è e resta del Regno Unito, ma per i cittadini di Sua Maestà non residenti a Gibilterra che vi arrivano saranno applicate le norme di Schengen: ciò significa che potrebbero essere respinti dagli agenti di polizia di frontiera spagnola, con sede presso il porto e l’aeroporto di Gibilterra, se hanno già trascorso 90 giorni nell’area Schengen su un periodo di 180 giorni. Un elemento, questo, che potrebbe non essere gradito ai conservatori britannici. La presenza e l’autorità della corona spagnola nel porto e nell’aeroporto gibilterriani, britannici, possono essere considerati come una riduzione della sovranità britannica.José Manuel Albares Bueno e Maroš Šefcovic, 11/06/25Inoltre, per quanto riguarda le merci, sul possedimento britannico sulle ‘colonne d’Ercole’ c’è l’intesa per una tassazione indiretta da applicare a Gibilterra, anche sul tabacco, che eviterà distorsioni e contribuirà alla prosperità dell’intera regione. E’ questo un ingresso del territorio britannico nell’unione doganale. Il ministro degli Esteri britannico, Lammy, parla di vittoria: “Abbiamo ottenuto una soluzione pratica che salvaguarda la sovranità, l’occupazione e la crescita”.Per Sefcovic l’intesa scrive “un nuovo capitolo nelle relazioni tra Ue e Regno Unito”. Ora servirà tempo per tradurre tutto questo nei testi giuridici, ma per il commissario europeo quanto deciso “è una pietra miliare davvero storica per l’Unione Europea, inclusa la Spagna, così come per il Regno Unito”.

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    I dazi di Trump sono illegali: una Corte federale Usa blocca l’arma commerciale di Washington

    Bruxelles – Una sentenza storica emessa dalla Corte del commercio internazionale degli Stati Uniti ha dichiarato illegittima l’imposizione dei dazi generalizzati annunciata da Donald Trump nel ‘Liberation Day’, lo scorso 2 aprile. Un colpo di scena clamoroso, che mette un freno alla linea aggressiva del presidente in materia di politica commerciale e che rimescola le carte nella complessa partita delle negoziazioni che i partner commerciali di Washington – Unione europea compresa – stanno portando avanti con la nuova amministrazione americana.La decisione, giunta ieri sera (28 maggio) da un collegio di tre giudici presso la sede della corte a New York, arriva a seguito di numerosi ricorsi presentati da imprese e stati americani, che accusano il tycoon di aver abusato dei propri poteri presidenziali. Al centro della contesa, l’uso dell’International emergency economic powers act (Ieepa), una legge nata per gestire minacce “inusuali e straordinarie” in tempi di emergenza nazionale, che secondo la corte non può essere utilizzata per introdurre dazi su scala globale. La corte ha dichiarato che gli ordini tariffari di Trump “superano qualsiasi autorità conferita al presidente in materia di regolamentazione dell’importazione tramite dazi”.Nella sentenza si sottolinea come i giudici non abbiano espresso alcun giudizio sull’opportunità o efficacia delle misure tariffarie in sé, ma piuttosto abbiano rilevato la loro incompatibilità con l’attuale quadro normativo. “L’uso dei dazi è inammissibile non perché è inefficace o poco saggio, ma perché la legge federale non lo consente”, si legge nella motivazione.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)La sentenza mette in discussione uno degli strumenti chiave del trumpismo economico: l’utilizzo di dazi punitivi per esercitare pressione su partner commerciali, rilocalizzare la produzione e ridurre il deficit commerciale statunitense, che ammonta a oltre 1.200 miliardi di dollari. Secondo la corte, il presidente non può aggirare il Congresso giustificando tali misure con la semplice esistenza di un disavanzo commerciale, che non costituisce di per sé un’emergenza nazionale. Il pronunciamento giudiziario invalida immediatamente tutti gli ordini tariffari emessi tramite l’Ieepa. Trump, dunque, sarà costretto a revocare i provvedimenti e, eventualmente, emettere nuovi ordini che riflettano l’ingiunzione permanente, entro dieci giorni. Va precisato che la decisione non si applica ai dazi settoriali del 25 per cento su auto, componenti, acciaio e alluminio, imposti da Trump all’Ue precedentemente e già in vigore.I mercati finanziari hanno accolto con entusiasmo la notizia. Il dollaro ha registrato un’impennata, guadagnando terreno su euro, yen e franco svizzero. In Europa, le principali borse hanno chiuso in rialzo: il Dax di Francoforte è salito dello 0,9 per cento, il Cac 40 di Parigi dell’ 1 per cento, il Ftse 100 di Londra ha guadagnato lo 0,1 per cento mentre il Ftse Mib di Milano si attesta a +0,3 per cento. I mercati asiatici hanno condiviso la scia positiva, mentre i futures a Wall Street indicano un’apertura in forte rialzo.Nonostante ciò, la Casa Bianca ha reagito duramente alla decisione. Kush Desai, portavoce dell’amministrazione, ha contestato con forza l’autorità dei giudici: “Non spetta a giudici non eletti decidere come affrontare un’emergenza nazionale”. Stephen Miller, vice-capo di gabinetto, ha parlato di “un colpo giudiziario fuori controllo”, mentre Donald Trump non ha ancora reagito ufficialmente alla questione. La decisione sarà impugnata in appello presso la Corte federale di Washington e, potenzialmente, davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Il verdetto mette in seria difficoltà la strategia di Trump, costruita su dazi estesi che miravano a rinegoziare gli equilibri commerciali globali. Senza il ricorso all’Ieepa, l’amministrazione dovrebbe ora seguire iter più lenti e complessi, basati su indagini commerciali formali e l’applicazione di altre leggi specifiche in materia doganale.US President Donald Trump speaks with European Commission President Ursula von der Leyen prior to their meeting at the World Economic Forum in Davos, on January 21, 2020. (Photo by JIM WATSON / AFP)La corte si è pronunciata su due cause principali. La prima è stata intentata da un gruppo di piccole imprese americane, che hanno lamentato danni economici ingenti, mentre la seconda è stata avviata da una dozzina di stati, guidati dall’Oregon. Il procuratore generale dello stato, Dan Rayfield, ha commentato: “Questa sentenza ribadisce che le nostre leggi contano e che le decisioni commerciali non possono dipendere dai capricci del presidente”. Gli avvocati dei ricorrenti hanno sostenuto che il deficit commerciale non costituisce un’emergenza ai sensi dell’Ieepa, ricordando che gli Stati Uniti registrano un disavanzo commerciale da 49 anni consecutivi. La tesi centrale era che l’utilizzo della legge d’emergenza per introdurre dazi fosse un abuso di potere, e la corte ha dato loro ragione.Il caso resta aperto a ulteriori sviluppi giudiziari ma intanto, con questa sentenza, i giudici mettono un argine alle derive unilaterali della politica commerciale statunitense, riaffermando la centralità del diritto, e del Congresso, nelle decisioni economiche di portata globale, e ricordando a Trump che spesso avere carte in mano non significa poterle giocare a proprio piacimento.The judicial coup is out of control. https://t.co/PRRZ1zU6lI— Stephen Miller (@StephenM) May 28, 2025

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    Von der Leyen chiama Trump, nuova giravolta sui dazi: sospesi fino al 9 luglio

    Bruxelles – Nuovo passo indietro di Donald Trump sui dazi alle merci Ue. Dopo la minaccia, arrivata come un fulmine a ciel sereno, di tariffe del 50 per cento su tutte le importazioni a partire dal primo giugno, ieri (25 maggio) il presidente americano ha ricevuto la telefonata di Ursula von der Leyen. La leader Ue l’avrebbe convinto – il condizionale ormai è d’obbligo – a congelare i dazi reciproci e mantenere aperto il dialogo fino al 9 luglio, riconfermando la proroga di 90 giorni decisa lo scorso 9 aprile.“Una buona telefonata”, l’ha definita von der Leyen. La prima, da quando il tycoon è tornato alla Casa Bianca. “L’Unione europea e gli Stati Uniti intrattengono il rapporto commerciale più stretto e importante al mondo. L’Europa è pronta a far avanzare i colloqui con rapidità e decisione. Per raggiungere un buon accordo avremmo bisogno di tempo fino al 9 luglio“, ha affermato la presidente della Commissione europea in un post su X. Dall’altro capo della cornetta, Trump ha “acconsentito alla proroga” chiesta da von der Leyen. “È stato un privilegio per me farlo. La presidente della Commissione ha affermato che i colloqui inizieranno rapidamente. Grazie per l’attenzione dedicata a questa questione!”, ha scritto sul suo social Truth. In realtà, i Paesi Ue continuano comunque a essere soggetti a tariffe reciproche del 10 per cento su tutto l’export negli Stati Uniti, e a dazi del 25 per cento sull’export di acciaio, alluminio e derivati, auto e componenti.Di buono c’è che per la prima volta Washington e Bruxelles hanno stabilito un confronto diretto al massimo livello sulla questione. “È grazie all’Italia se si è avuto questo rapporto diretto von der Leyen-Trump”, si è affrettato a dire questa mattina il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Nel tentativo di mantenere il ruolo di mediatore abilmente ritagliatosi – e minacciato dal ponte diretto tra i due leader -, Giorgia Meloni starebbe accelerando il lavoro diplomatico per orchestrare un vertice europeo prima del D-Day.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)Ruolo effettivo o presunto di Roma a parte, la telefonata e le dichiarazioni immediatamente successive di Trump e von der Leyen portano una ventata di ottimismo. Lo confermano le borse europee, che oggi si sono svegliate in deciso rialzo, con il Dax di Francoforte al +1,76 per cento, il Cac40 di Parigi al +1,36 per cento e il Ftse Mib di Milano al +1,53 per cento.Ora la palla torna nelle mani di Maroš Šefčovič, il commissario europeo per il commercio, che guida i complessi negoziati con le controparti americane. Finora, il socialista slovacco sta tornando da Washington ogni volta a mani vuote: venerdì scorso (23 maggio), l’ultimo round di negoziati ha portato all’annuncio furioso di Trump – che ha addirittura raddoppiato l’onere delle tariffe sull’import Ue rispetto a quanto previsto nel ‘Liberation Day‘ – accompagnato dal commento: “Le nostre discussioni con loro non stanno andando da nessuna parte!“.Lo stesso Šefčovič aveva dichiarato piccato, dopo i colloqui con il rappresentante commerciale americano Jamieson Greer e il segretario al Commercio Howard Lutnick, che il commercio tra Ue e Stati Uniti “deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce“. Aggiungendo che Bruxelles è “pronta a difendere i nostri interessi”. Il piano B svelato dalla Commissione europea, in caso le trattative naufragassero, prevede contromisure su una lunga lista di prodotti americani, dal valore di 95 miliardi di euro, e una procedura formale contro Washington all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma anche Bruxelles ha un asso nella manica con cui minacciare Trump: lo strumento anti-coercizione, con cui potrebbe tassare pesantemente i profitti delle big tech americane nel vecchio continente. La Commissione europea ha fatto sapere che già oggi pomeriggio Šefčovič avrà un nuovo contatto telefonico con Lutnick.

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    Dazi, per Sefcovic (ancora) niente intesa Ue-Stati Uniti. Giovedì Meloni a Washington

    Bruxelles – Nessun accordo commerciale con gli Stati Uniti, non ancora almeno, e neppure un accordo su un regime di dazi zero per l’industria. Il commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, non riesce nell’impresa di eliminare definitivamente lo spettro di una guerra dei dazi con la controparte americana. La sua missione a Washington serve per ribadire la disponibilità a dodici stelle a negoziare e trovare un accordo condiviso, amichevole, tale da evitare l’imposizione delle tariffe sui rispettivi beni da esportare da una sponda all’altra dell’Atlantico. Per ora però niente da fare. L’amministrazione Trump non cede, ma l’Ue non demorde.Non è una missione semplice quella di Sefcovic, e lui stesso ne è ben consapevole. Trovare un’intesa al primo tentativo negoziale sarebbe stato un enorme successo, e dunque si mantengono calma e determinazione. “L’Ue rimane costruttiva e pronta a raggiungere un accordo equo, che preveda anche la reciprocità attraverso la nostra offerta tariffaria 0 a 0 sui beni industriali e il lavoro sulle barriere non tariffarie”, sottolinea Sefcovic, conscio del fatto che “raggiungere questo obiettivo richiederà un significativo sforzo congiunto da entrambe le parti”. Certo, adesso che gli Usa hanno respinto le offerte di pace dell’Ue, dovrà essere la Casa Bianca ad avanzare una controproposta.In D.C., met with Secretary @howardlutnick and Ambassador @jamiesongreer for negotiations, seizing the 90-day window for a mutual solution to unjustified tariffs. 1/2 pic.twitter.com/P0eMgZSudQ— Maroš Šefčovič (@MarosSefcovic) April 14, 2025A Bruxelles non si fanno drammi. Ci sono 90 giorni di tempo a partire da ieri (15 aprile) per tentare di trovare un’intesa. Bocche cucite quindi, e non sorprende. Il momento è tanto delicato quanto decisivo, e si preferisce lavorare con chi di dovere – gli Stati Uniti – senza mettere tutto sulla pubblica piazza. Il messaggio ribadito è che “ci si muove lungo due binari: negoziati e preparazione al peggio qualora i negoziati non dovessero produrre un accordo”, la specifica di Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario per le questioni commerciali. Non è cambiato nulla, in sostanza, rispetto all’approccio già trovato.Un contributo in questa delicata materia potrebbe arrivare da Giorgia Meloni, che in questi giorni ha sentito spesso Ursula von der Leyen, secondo quanto è stato fatto trapelare a Roma. La presidente del Consiglio domani (16 aprile) è attesa a Washington, dove incontrerà il presidente Usa. Inevitabile un confronto sui dazi, con la Commissione che guarda all’appuntamento istituzionale e precisa che il capo di governo italiano non ha ricevuto alcun mandato. “Ogni contributo è benvenuto, ma la competenza sul commercio è della Commissione europea, come previsto dai trattati“, taglia corto Gill.

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    Dazi mirati e prove di dialogo, l’Ue cerca la risposta a Trump. Alleanze con la Cina sullo sfondo

    Bruxelles – Rispondere, ma senza forzare la mano, e creare nuove alleanze, anche inedite, per mettere sotto pressione gli Stati Uniti e produrre un effetto boomerang tale da costringere il presidente Usa, Donald Trump, a fare retromarcia sui dazi imposti all’Europa e non solo. La strategia dell’Ue c’è e inizia a delinearsi. In un club a dodici stelle preoccupato al punto da dedicare alle relazioni trans-atlantiche la riunione dei ministri responsabili per il commercio, la linea è tracciata e serve solo l’accordo, esattamente quello che si cerca nella riunione in corso a Lussemburgo.E’ la Svezia a svelare le carte in tavola. “I contro-dazi Ue devono essere ben mirati e proporzionati“, evidenzia Benjamin Dous, ministro per il Commercio con l’estero di Stoccolma. E’ questa la precondizione di una risposta che deve mirare a costringere Washington e l’amministrazione Trump a tornare sulle decisioni prese e mettere la Casa Bianca in un angolo. “Quando nei prossimi giorni Ue, Canada e Cina imporranno contro-tariffe la pressione sugli Stati Uniti aumenterà“, continua Dous, che lascia intendere come uno degli effetti prodotti da Trump e le sue stesse scelte è spingere la Repubblica popolare cinese, che l’Europa considera ostile e nemica, tra le braccia dell’Europa. “Certo, restano questioni importanti da risolvere quali le condizioni di reciprocità, ma è fuori dubbio che la Cina resta un partner commerciale importante“, sottolinea e conferma la ministra per il Commercio con l’estero dei Paesi Bassi, Reinette Klever.L’obiettivo finale è e resta una soluzione amichevole e concordata. E’ la linea prevalente attorno al tavolo. “Non possiamo essere noi quelli che portano la guerra commerciale su un livello più elevato“, la linea espressa dal ministro della Lettonia che, a ben vedere, è la stessa della presidenza polacca di turno del Consiglio Ue. “Fin qui l’approccio è stato: ‘prima agiamo e poi discutiamo’, ci piacerebbe invertire il paradigma“, sottolinea Michał Baranowski, sottosegretario per lo Sviluppo economico della Polonia. E’ questo, con ogni probabilità, l’indicazione che i 27 daranno alla Commissione europea.Risposte mirate, per non far vedere che l’Ue resta a guardare, con eventuali contromisure più muscolari solo per un secondo momento. Una linea sposata anche dall’Italia. “Dobbiamo lavorare per evitare assolutamente una guerra commerciale, che sarebbe esiziale per gli Usa e per le nostre imprese”, sottolinea il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Dobbiamo trattare, lo deve fare l’Ue unita”. In questo, continua il leader di Forza Italia, l’Italia “sosterrà tutte le iniziative del commissario [per il Commercio] Sefcovic, nel quale riponiamo estrema fiducia”, aggiunge per quella che è una frecciata agli alleati di maggioranza della Lega, viceversa intenzionati a un negoziato bilaterale e separato italo-statunitense.La questione dei dazi voluti da Trump, comunque vada a finire, mette in mostra un allontanamento generale dalle logiche tradizionali adottato sin qui da un modello che su entrambe le sponde dell’Atlantico appare superato. Trump non accetta che il modello tanto difeso e promosso dagli Stati uniti sia rivolto contro gli interessi a stelle e strisce: il ‘business as usual’ va bene finché la bilancia commerciale sorride all’America, altrimenti il resto del mondo deve pagare. Dall’altra parte c’è quantomeno una parte di Europa che considera il libero scambio in modo analogo, fruttuoso solo a fasi alterne.“Non vogliamo dazi, vogliamo più commercio. Il commercio è sempre positivo“, le considerazioni rese in pubblico dal ministro della Svezia. Esternazioni che stridono con il modo in cui è stato accolto l’accordo tra Ue e Mercosur, avvolto da critiche. Segno che il commercio non è più considerato questa grande conquista. Certo è che malumori in Europa non mancano, e quello tedesco è uno dei principali.Robert Habeck, ministro uscente dell’Economia della Germania, commenta le dichiarazioni di Elon Musk, che ora immagina un’area di libero scambio Ue-nord America a dazi zero: “E’ segno di debolezza e di paura. Forse dovrebbe recarsi da Trump e dirgli che prima di parlare di dazi deve risolvere questo pasticcio che ha creato”.

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    In America latina l’Ue è arrivata tardi e male, e ora sconta la forte presenza della Cina

    Bruxelles – L’Unione europea ‘riscopre’ l’America latina. Nuove ragioni rilanciano la necessità di nuove relazioni che sono nei fatti nuovi riposizionamenti su uno scacchiere dove la Cina ha iniziato però a muovere le proprie mosse da tanto, e in modo costante. Per quanto la Commissione europea esulti per i risultati raggiunti con i Paesi del Mercosur (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso), e per quanto si prodighi per cercare sponde sul versante caraibico, l’Ue arriva tardi e male in una zona del mondo dove Pechino guarda da tempi non sospetti e investe, in relazioni commerciali e politiche.E’ il centro studi e ricerche del Parlamento europeo a fare la lista degli errori strategici dell’Ue, con tanto di relazione che mette in luce i limiti di un’Unione europea che ha tanto da perdere in questa corsa alla presenza nel continente. Il primo errore è politico: “L’Ue ha perso l’occasione di tenere un summit con la regione per otto anni, dal 2015 al 2023”. Nel frattempo la Repubblica popolare tesseva la sua tela. Tra il 2013 e il 2024 il presidente Xi Jinping si è recato sei volte di persona in America Latina, con i cui Paesi la Cina ha firmato in questo stesso lasso temporale circa mille accordi commerciali bilaterali.Il presidente della Cina, Xi Jinping (foto d’archivio)Il secondo errore dell’Ue è di metodo. Gli analisti del Parlamento europeo fanno notare come il tanto sbandierato accordo di libero scambio Ue-Mercosur non offre certezze, in quanto ci sono resistenze di alcuni Paesi (Francia e Polonia) e parlamenti nazionali che scalpitano per affossarlo. Viceversa, la Cina non ha bisogno di conferme su quanto già sottoscritto. Ancora, durante la pandemia di Covid la Cina ha rifornito prima e di più di vaccini, con l’Ue arrivata dopo. E poi la sostenibilità: il regolamento sulla deforestazioni “è stato percepito come protezionistico”, in particolare in Brasile e Argentina, Paesi non proprio marginali.L’Argentina può offrire accesso al litio tramite l’accordo di libero scambio Ue-Mercosur, ma c’è molto di più di quello: antimonio, niobio, bauxite, manganese, grafite, metallo di silicio, tantalio e vanadio. Tutte materie prime critiche di cui l’America Latina è ricca e di cui la Cina, attraverso la sua presenza nella regione, vuole garantirsi approvvigionamento e controllo, così da influenzare mercati ed economie globali. La Repubblica popolare sta giocando silenziosamente e pazientemente la sua partita per un nuovo ordine mondiale all’insegna cinese.Una dimostrazione pratica della rinnovata potenza cinese è rappresentata dall’orientamento su Taiwan. Nel 2017 sui 33 Paesi dell’area America Latina e Caraibi, 18 riconoscevano l’isola di Formosa come Stato sovrano, mentre oggi solo sette mantengono relazioni diplomatiche con Taipei (Belize, Guatemala, Haiti, Paraguay, Saint Kitts and Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent and Grenadine). Pechino dunque sta erodendo il sostegno internazionale attorno a Taiwan, considerata parte integrante della Repubblica popolare. Una mossa che è in aperto contrasto alle posizioni dell’Ue, che riconosce ‘due Cine’ mentre per Pechino la Cina è una sola, con Taiwan. La presenza cinese in America Latina contribuisce dunque anche a sminuire l’agenda internazionale Ue.Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump [foto: archivio]La politica dell’Ue verso l’America latina si mostra dunque miope. Da un punto di vista commerciale la Cina è il secondo partner commerciale per la regione dietro agli Stati Uniti, che potrebbero essere scalzati nel 2035. In questo flussi commerciale enorme e crescente, Pechino è l’acquirente principale delle materie prime dei Paesi della regione: nel 2023  un terzo delle materie prime esportate dall’America latina (34 per cento) finivano nella Repubblica popolare. Considerando che delle 34 materie prime critiche contenute nell’allegato 2 della proposta di regolamento in materia ben 25 sono estratte in America Latina, l’Unione europea sta già perdendo la corsa agli approvvigionamenti e ancora di più rischia di perderla.L’accresciuta presenza della Cina in America latina si deve anche alla prima presidenza di Donald Trump (2017-2021). Con lui alla testa degli Stati Uniti l’impostazione protezionistica ha prodotto come risultato quello di spingere i governi dei Paesi della regione verso Pechino, che a differenza degli Usa si è mostrato più conciliante. La seconda presidenza Trump, contraddistinta da una politica dei dazi facili, potrebbe aiutare la Cina a rompere ancor di più le uova europee nel paniere centro-americano.

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    Dazi, l’Ue non cede: “Preparati a qualunque cosa possa accadere”

    Bruxelles – Nessun ripensamento, nessun cedimento. Sulla questione dazi l’Ue tira dritto, e non ha paura di ingaggiare una guerra commerciale aperta. Perché, spiega il portavoce della Commissione europea responsabile per le questioni di commercio, Olof Gill, le minacce del presidente statunitense Donald Trump di imporre sanzioni ulteriori all’Europa in caso di mancata sospensione dei controdazi a dodici stelle non spaventa: “Siamo preparati per qualunque cosa possa accadere, e lo siamo da oltre un anno“.L’Unione europea offre la possibilità di una soluzione condivisa, a patto che i passi indietro si facciano. “Esortiamo gli Stati Uniti a revocare immediatamente i dazi decretati e avviare negoziati per evitare nuove tariffe in futuro“, l’invito di Gill a nome della Commissione europea per l’amministrazione Trump. La linea del team von der Leyen non cambia: si ritiene che la guerra dei dazi “sia una soluzione in cui perdono tutti”, viceversa “noi vogliamo focalizzare l’attenzione sulle formule mutualmente vantaggiose”, vale a dire soluzioni negoziate.Da Bruxelles arrivano anche le critiche per Trump e la sua narrativa considerata prossima alle fake news. “L’Ue non è parte del problema” quando si parla di acciaio, continua il portavoce. “Sostenere che l’Ue è parte del problema è fuorviante“, in quanto “il problema è la sovra-capacità globale, e l’Unione europea può lavorare con gli Stati Uniti per trovare una soluzione”. In questo dibattito tramutatosi in confronto muscolare l’Ue, conclude Gill, “siamo impegnati con il settore siderurgico” europeo.Ad ogni modo, l’Ue non intende retrocedere: “Siamo preparate alle potenziali conseguenze delle decisioni deplorevoli adottate dagli Stati Uniti”. La Commissione è dunque pronta allo scontro commerciale con l’amministrazione Trump.

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    Ue-India, c’è la strategia per una nuova collaborazione. Modi: “Accordo commerciale entro fine anno”

    Bruxelles – Commercio, tecnologia, innovazione, investimenti. E l’impegno di un nuovo accordo di libero scambio già nel 2025. Ursula von der Leyen e il suo collegio dei commissari trovano in India quelle risposte che cercavano. Il viaggio a est voluto dalla presidente della Commissione Ue produce gli effetti desiderati. Tutti da definire e sviluppare in concreto, certo, ma comunque c’è una rinnovata partnership. C’è l’accordo, spiega il primo ministro indiano, Narendra Modi, per “un libro blu per mobilità, sicurezza, innovazione, green economy, commercio, investimenti“. C’è una strategia chiara su cui lavorare.L’Europa quello che cercava a oriente non l’aveva nascosto. Serviva la risposta dell’interlocutore, e Modi la offre in pubblico, in conferenza stampa. “Questa visita ha ridato vigore alle nostre relazioni” bilaterali, riconosce ad una sorridente von der Leyen, raggiante nel sentire dal primo ministro indiano che “abbiamo deciso di creare un’agenda ambiziosa e audace per le relazioni Ue-India post-2025“, che passa anche per voglia di chiudere “un accordo commerciale bilaterale per la fine dell’anno”.In linea di principio von der Leyen ottiene praticamente tutto ciò che voleva. “È tempo di portare la nostra partnership strategica UE-India al livello successivo“, il mantra ripetuto dalla tedesca anche in occasione del suo viaggio in Asia meridionale, ed è esattamente quello che ottiene. La presidente della Commissione europea è arrivata in India con un’agenda chiara, costituita da tre aree su cui lavorare per la nuova stagione di relazioni bilaterali: commercio e la tecnologia, sicurezza e difesa, connettività e partnership globale. Da Modi ottiene gli impegni in questo senso.“Ora più che mai gli eventi geopolitici richiedono questi passi”, scandisce von der Leyen nella conferenza congiunta con il premier indiano. Un riferimento alle manovre militari russe in Ucraina, all‘unilateralismo trumpiano in politica estera e in materia commerciale, ad una Cina che guarda silenziosa ma non a braccia conserte cosa accade sullo scacchiere internazionale. “Per l’Europa l’India è un pilastro di affidabilità in un mondo di imprevedibilità“. Ora l’Ue può iniziare a sentirsi meno insicura.