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    Ue e Cina tentano un riavvicinamento, 7 e 8 dicembre il summit bilaterale a Pechino

    Bruxelles – Conflitto russo-ucraino, questione medio-orientale, ma soprattutto commercio. Unione europea e Cina tentano un riavvicinamento e una normalizzazione dei rapporti bilaterali attraverso il 24esimo meeting congiunto, il primo in formato fisico dal 2019. I presidenti di Consiglio e Commissione Ue, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tentano di convincere presidente e primo ministro della Repubblica popolare ad avare un ruolo di primo piano innanzitutto sulle questioni di stretta attualità.La guerra tra Russia e Ucraina è la principale di questi temi. Gli europei, spiegano fonti Ue ben informate, vorrebbero che la Cina utilizzasse la propria influenza per fermare Vladimir Putin e le sue operazioni militari. Si nutre cauto ottimismo, alimentato dalla consapevolezza che a Pechino questa guerra non piace perché non fa comodo. Una situazione che però sin qui non ha visto una posizione decisa né una condanna.“Non abbiamo ancora una prova di sostegno militare diretto in questa guerra, e vediamo che l’export cinese di tutta una serie di beni che possono essere usati in prima linea si riduce, e questo è positivo”, il ragionamento a Bruxelles, dove però si guarda con una certa attenzione alle relazioni bilaterali Ue-Cina, in particolare in ambito commerciale.L’Ue non vuole scontri con la Cina, ma la delegazione Ue si presenta a Pechino con un’inchiesta aperta contro i sussidi statali alle auto elettriche ‘made in China‘ che può voler dire, potenzialmente, anche dazi contro i prodotti cinesi. Una decisione, quella di Bruxelles, che potrebbe anche irrigidire gli interlocutori Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro), ma che nell’ottica a dodici stelle serve a ribadire una posizione di determinazione. Qui il messaggio che si intende recapitare è la necessità di maggiore equilibrio.L’Ue ha una bilancia commerciale in forte squilibrio nei confronti della Cina, e una delle ragioni sono le restrizioni all’ingresso del mercato cinese poste dal partito. “Se ci sono barriere agli investimenti diventa difficile vedere investimenti diretti dell’Ue”, riassumono, in estrema sintesi, le fonti europee. Si vuole da parte cinese la fine di pratiche sleali per una concorrenza vera e basate sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ferma restando, per l’Unione europea, la necessità di ridurre quelle dipendenze da materie prime e catene di approvvigionamento che pongono questioni di stabilità, oltre che di competitività.Non sarà facile, perché “i cinesi sono un po’ nervosi sul concetto di derisking“, ossia la riduzione della dipendenza economica dalla Repubblica popolare. “Vedono che la loro presenza sul nostro mercato potrebbe ridursi”, così come la forza della loro leva geopolitica nei confronti dei Ventisette. Difficile immaginare concessioni. L’Ue comunque ci prova.Le premesse non sembrano delle migliori. Come da tradizione la Cina mostra una certa allergia a conferenze stampa, infatti non sono previste previste. Ma, a meno di cambi di rotta dell’ultimo momento, non è prevista neppure una dichiarazione congiunta. “Non ci è stato chiesto di averne una”, ammettono a Bruxelles. Gli europei non danno l’impressione di aver insistito chissà quanto, e certamente non ottengono documenti di fine lavoro sottoscritti dalla leadership cinese. “Avere questo dialogo Ue-Cina è una buona occasione per affrontarli tanti temi”, spiegano a Bruxelles. Già è tanto che Michel e von der Leyen siano accolti a Pechino.
    Xi Jinping e Li Qiang ricevono Michel e von der Leyen. E’ il primo meeting ‘di persona’ dal 2019. Sul tavolo la guerra in Russia ma soprattutto le relazioni commerciali

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    I porti europei ‘cinesi’ un problema per la sicurezza Ue e Nato

    Bruxelles – Adesso la presenza cinese nei porti europei spaventa davvero. Perché all’aspetto economico si aggiunge anche quello della difesa e della sicurezza nazionale. La presenza cinese nei porti dell’Ue è una questione che si pone da anni, ma contro cui l’Unione europea ha fatto fatica. Da una parte il mercato unico, con le sue regole e il suo approccio aperto, non impedisce a operatori stranieri di fare affari in Europa. Dall’altra parte, per stessa ammissione dell’esecutivo comunitario, si fa fatica a capire il giro di affari delle imprese collegate al governo di Pechino.Un nuovo studio prodotto per conto della commissione trasporti del Parlamento europeo stima che tra il 2004 e il 2021 le compagnie del dragone abbiamo speso oltre 9,1 miliardi di euro per acquisizioni di e negli scali marittimi a dodici stelle.“I rischi derivanti dagli investimenti cinesi sono evidenti oltre determinate soglie di livelli di proprietà”, avverte il documento. In particolare il problema si pone in termini di influenza sulla strategia portuale e in termini di rischi informatici “se le aziende cinesi possono accedere ai sistemi di comunicazione e alle reti locali”. Ciò presenta certamente “un rischio a livello locale”, ma allo stesso tempo “potrebbe anche comportare rischi più ampi per l’Europa, soprattutto per quanto riguarda le forze armate degli Stati membri e la NATO”.Il problema è che la Cina appare aver goduto troppo dei diritti che l’Ue concede ad operatori stranieri. Su tutti China Ocean Shipping Company (COSCO) e China Merchants sono quelli che più massicciamente hanno investito in Europa. Tanto che oggi COSCO controlla il porto di Atene e si mette in risalto come “alcuni dei rischi più significativi emergono non solo dagli investimenti nelle infrastrutture ma anche dalle successive espansioni delle operazioni di COSCO”. Questi includono “rischi di influenza e coercizione localizzata”. In che modo? Viene offerto un chiaro esempio. COSCO potrebbe minacciare di dirottare i suoi trasbordi verso altri porti del Mediterraneo se la Grecia dovesse intraprendere un’azione che dispiacesse a Pechino.Un caso non isolato, visto che In Italia nel 2016 COSCO ha acquistato il 40 per cento del porto di Vado Ligure e in Germania controlla il 24,9 per cento dell’impresa che controllo il porto di Amburgo. All’Ue “manca una valutazione dei colli di bottiglia nella spedizione di merci dalla Cina all’Europa che consideri il trasbordo”, vale a dire il trasferimento di merci. “A seguito di tale valutazione, dovrebbero essere creati piani di emergenza per prepararsi a un conflitto con la Cina”.Ma in tema di sicurezza il caso ellenico è forse quello più emblematico. Nel porto del Pireo “la presenza di COSCO accanto a infrastrutture civili e militari critiche è altamente problematica, in termini di rischi informatici e potenziali fughe di dati sensibili”. Un rischio considerato dagli autori dell’analisi realistico poiché “vi sono indicazioni che in futuro gli scali delle navi militari statunitensi saranno più frequenti”. Alla luce di questo “è ragionevole supporre che i servizi segreti cinesi siano interessati a raccogliere dati sulle tecnologie militari avanzate degli Stati Uniti”. Si rende dunque “un’azione approfondita del rischio dell’investimento di COSCO” attraverso “uno stretto coordinamento con i partner occidentali in termini di assistenza tecnica”. Allo stesso modo, “la creazione di un meccanismo di gestione delle crisi e la mitigazione di vari rischi potenziali sono possibili solo di concerto con i partner dell’UE e della NATO”.Lo studio di nuova pubblicazione evidenzia una situazione in contrapposizione con la nuova strategia dell’Ue per la difesa navale e la sicurezza marittima. Questa include la protezione delle infrastrutture marittime critiche che includono gasdotti, cavi sottomarini e anche porti. Rispetto a questa necessità l’Ue appare già in ritardo. 
    Un nuovo studio del Parlamento europeo per la prima volta evidenzia i rischi non-economici di una troppa presenza asiatica negli scali marittimi a dodici stelle

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    Bruxelles sfida Pechino, von der Leyen avvia l’indagine anti-sussidi sulle auto elettriche cinesi

    Bruxelles – L’aveva annunciata Ursula von der Leyen nel suo Discorso sullo stato dell’Unione a metà settembre, ora è una realtà. La Commissione europea ha avviato formalmente oggi (4 ottobre) l’indagine antisovvenzioni sui veicoli elettrici a batteria provenienti dalla Cina, e si dice pronta a prendere misure compensative se sarà necessario.
    L’indagine – annuncia Bruxelles in una nota – è stata avviata di iniziativa della stessa Commissione (senza quindi che ci fosse qualche denuncia da parte di aziende europee) e “determinerà innanzitutto se le catene del valore” dei veicoli elettrici a batteria in Cina beneficiano “di sovvenzioni illegali e se tali sovvenzioni causano o minacciano di causare un danno economico ai produttori europei”, si legge nella nota. Se Bruxelles dovesse riscontrare che i fatti sussistono, l’indagine “esaminerà le probabili conseguenze e l’impatto delle misure su importatori, utenti e consumatori di veicoli elettrici a batteria nell’Ue”, spiega ancora.
    Sulla base dei risultati dell’indagine, la Commissione stabilirà se sia nell’interesse dell’Ue “porre rimedio agli effetti delle pratiche commerciali sleali accertate” imponendo dazi antisovvenzioni sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina. L’indagine si concluderà entro un massimo di 13 mesi dall’avvio, ma se “giuridicamente giustificato” eventuali dazi provvisori potranno essere imposti da Bruxelles già entro 9 mesi dall’apertura dell’indagine, mentre eventuali misure definitive possono essere istituite fino a 4 mesi dopo o entro 13 mesi dall’apertura dell’inchiesta. L’Unione europea è convinta che Pechino stia inondando i mercati globali con auto elettriche a basso prezzo. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi di stato. Questo, a detta di Bruxelles, rischia di distorcere i mercati.
    Valdis Dombrovskis
    “Il settore dei veicoli elettrici racchiude un enorme potenziale per la futura competitività dell’Europa e per la leadership industriale verde. I produttori automobilistici dell’Ue e i settori correlati stanno già investendo e innovando per sviluppare appieno questo potenziale”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Ovunque troveremo prove che i loro sforzi sono ostacolati da distorsioni del mercato e concorrenza sleale, agiremo con decisione. E lo faremo nel pieno rispetto dei nostri obblighi comunitari e internazionali, perché l’Europa rispetta le regole, all’interno dei suoi confini e a livello globale. Questa indagine antisovvenzioni sarà approfondita, equa e basata sui fatti”, ha assicurato la leader tedesca. A farle eco anche il vicepresidente esecutivo con delega al Commercio, Valdis Dombrovskis, che ricorda come i veicoli elettrici a batteria siano “fondamentali per la transizione verde e per rispettare i nostri impegni internazionali volti a ridurre le emissioni di CO2. Questo è il motivo per cui abbiamo sempre accolto con favore la concorrenza globale in questo settore, che significa più scelta per i consumatori e più innovazione. Ma la concorrenza deve essere leale e le importazioni devono competere alle stesse condizioni della nostra industria”. 

    Si concluderà entro un massimo di 13 mesi dall’avvio, ma se “giuridicamente giustificato” Bruxelles potrà imporre eventuali dazi provvisori entro 9 mesi dall’apertura dell’indagine

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    La missione di Dombrovskis in Cina tra competitività, accesso al mercato per le aziende Ue e guerra in Ucraina

    Bruxelles – Si è conclusa la missione del vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, per conto dell’Ue e delle sue aziende in terra cinese. Quattro giorni terminati con il Dialogo economico di Alto Livello Ue-Cina, copresieduto dall’ex premier lettone, che a Bruxelles ha la delega al commercio, e dal vicepremier cinese, He Lifeng, in cui i due hanno cercato di riprendere in mano le fila di un rapporto che, complice l’ambigua posizione di Pechino sull’invasione della Russia in Ucraina, negli ultimi mesi si è fatto sempre più complicato.
    Un rapporto che – ha sottolineato Dombrovskis- non può prescindere dai numeri: un commercio totale di beni che “ha raggiunto gli 857 miliardi di euro nel 2022“, accompagnato dall’accumulo di “più di 300 miliardi di euro di stock di investimenti diretti esteri”. Ma c’è un dato che preoccupa l’Ue e che è alla base della strategia del ‘de-risking’ – o dimezzamento del rischio – che Bruxelles ha scelto di perseguire nei confronti del gigante asiatico: un deficit commerciale di quasi 400 miliardi euro a svantaggio del blocco.
    “Siamo preoccupati per lo squilibrio delle nostre relazioni”, ha dichiarato il commissario Ue nella conferenza stampa congiunta con He Lifeng. Che ha però assicurato a He Lifeng che l’obiettivo è “diversificare e dimezzare i rischi, non disaccoppiarsi” dall’economia cinese. Nella lista delle inquietudini dell’Ue, al secondo posto c’è l’effettivo “accesso al mercato” cinese da parte delle aziende europee. Perché il contesto imprenditoriale della superpotenza asiatica è diventato “più politico e meno prevedibile”. Per questo Dombrovskis ha auspicato “maggiore trasparenza, prevedibilità e reciprocità”: un primo riscontro, ha annunciato il commissario Ue, è il benestare di entrambe le parti per “proseguire le discussioni su un possibile meccanismo di trasparenza Ue-Cina sulle catene di approvvigionamento delle materie prime critiche“. Anche nel suo discorso all’Università di Tsinghua, il vice presidente dell’esecutivo europeo ha insistito sul fatto chela trasparenza e l’apertura sono “una strategia vincente a lungo termine“, in un momento in cui le tensioni commerciali tra il blocco europeo e la Cina stanno aumentando.
    Il tasto dolente è la mancata condanna da parte di Pechino dell’invasione russa in Ucraina. “È molto difficile per noi comprendere la posizione della Cina“, ha ammesso Dombrovskis. Una posizione che “sta influenzando l’immagine del Paese, non solo presso i consumatori europei, ma anche tra le imprese”. Il vicepresidente dell’esecutivo comunitario ha riportato a He Lifeng l’opinione degli imprenditori europei sul suolo cinese: “un terzo delle aziende Ue ha indicato che la posizione della Cina sulla guerra la sta rendendo una destinazione meno attraente per gli investimenti”. Non è tuttavia solo una questione di opportunità economiche: “Rispondere all’aggressione della Russia contro l’Ucraina è un fattore decisivo in praticamente tutte le priorità dell’Ue al momento“, ha insistito Dombrovskis.
    Il vicepremier cinese non è entrato nel merito dell’ambiguità della leadership comunista nei confronti della guerra in Ucraina, rilanciando piuttosto sull’atteggiamento di chiusura che riscontra da parte europea. “Auspichiamo che l’Unione europea rimuova le restrizioni all’esportazione di alta tecnologia in Cina”, ha dichiarato con fermezza. C’è poi la questione dell’indagine anti-sovvenzioni avviata dalla Commissione europea sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria provenienti dalla Cina, per la quale He Lifeng ha reiterato “le preoccupazioni e il forte disappunto” di Pechino. Uguale e contrario l’invito rivolto a Bruxelles: mantenere il mercato “libero e aperto”.

    Il commissario Ue per il Commercio ha chiesto “maggiore trasparenza, prevedibilità e reciprocità” nelle relazioni commerciali e ha ribadito al vicepremier cinese che la condanna dell’invasione russa “è un fattore decisivo”. Pechino irritata per l’indagine Ue sui veicoli elettrici cinesi

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    A Pechino il secondo dialogo di alto livello Ue-Cina sul digitale. Per Jourová fondamentale “mantenere aperti i canali di comunicazione”

    Bruxelles – Mantenere aperti i canali di comunicazione con la Cina. È questa la parola d’ordine della Commissione europea, a pochi giorni dall’annuncio di Ursula von der Leyen di voler istituire un’indagine sulle sovvenzioni statali ai veicoli elettrici provenienti dal gigante asiatico, che ha creato non pochi dissapori con Pechino. E la prima occasione è andata in scena oggi (18 settembre), con la vicepresidente dell’esecutivo Ue, Věra Jourová, impegnata nel secondo appuntamento del dialogo ad alto livello con la Cina sul digitale.
    È stata propria la vice di von der Leyen, responsabile per le politiche sui valori e la trasparenza, a ricordare su X (ex Twitter) la necessità di proseguire un dialogo costruttivo con Pechino, quanto meno dove gli interessi sono convergenti. Questioni chiave come le piattaforme digitali e le normative sui dati, l’intelligenza artificiale, la ricerca e l’innovazione, il flusso transfrontaliero di dati industriali, la sicurezza dei prodotti venduti online: questi i temi sul tavolo del dialogo co-presieduto da Jourová e dal vicepremier cinese, Zhang Guoqing.
    Il piano d’azione Ue-Cina sulla sicurezza dei prodotti venduti online
    “Oggi abbiamo avuto una discussione franca con la Cina sugli aspetti cruciali delle nostre politiche e tecnologie digitali, vogliamo cooperare laddove possiamo realizzare progressi sostanziali”, ha dichiarato Jourová a margine della giornata di lavori, annunciando inoltre di aver compiuto “un importante passo avanti sul fronte della tutela dei consumatori”. La Commissione Ue e la Cina hanno infatti accolto con favore la firma del piano d’azione sulla sicurezza dei prodotti venduti online, che si pone come obiettivo di “rafforzare ulteriormente il dialogo e la cooperazione” tra l’esecutivo comunitario e l’Amministrazione generale delle dogane cinesi (Gacc).
    Un piano d’azione che prevede lo scambio più rapido di informazioni su prodotti non sicuri, l’organizzazione di workshop periodici per condividere informazioni su leggi, regolamenti e buone pratiche, e attività specifiche di formazione per le aziende sulle più avanzate norme europee sulla sicurezza dei prodotti online. “Si tratta di una situazione vantaggiosa per tutti e di un passo importante verso l’innalzamento degli standard di protezione dei consumatori all’interno dell’Unione europea e oltre”, ha commentato il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders.
    Reciprocità per le aziende europee e de-risking dalla Cina. Gli attriti rimangono
    Archiviato questo piccolo successo, il dialogo è proseguito con un aggiornamento da parte della Commissione europea sugli ultimi sviluppi normativo dell’Ue, tra cui il Digital Services Act e il Digital Market Act, e con uno scambio di vedute sull’intelligenza artificiale. Jourová ha presentato a Pechino gli sviluppi della legge Ue sull’intelligenza artificiale e ha sottolineato “l’importanza di un uso etico di questa tecnologia nel pieno rispetto dei diritti umani universali, alla luce dei recenti rapporti delle Nazioni Unite”. La commissaria avrebbe espresso le preoccupazioni del blocco Ue sulle difficoltà incontrate dalle imprese europee in Cina nell’utilizzare i propri dati industriali e esortato le autorità cinesi a “garantire un contesto imprenditoriale equo e basato sulla reciprocità” del settore digitale.
    Gli attriti e la diffidenza rimangono, come dimostra il fatto che Jourová abbia dovuto rendere conto a Guoqing della politica di de-risking che l’Ue ha scelto di condurre nei confronti del gigante asiatico. Un approccio che consiste nel mitigare i rischi per le catene di approvvigionamento, le infrastrutture critiche e la sicurezza tecnologica emancipandosi da qualsiasi rischio di dipendenza da Pechino. “Dobbiamo impegnarci nelle aree in cui non siamo d’accordo. Non possiamo risolvere le nostre preoccupazioni e i nostri punti di vista diversi in un giorno, ma manterremo il dialogo sulle questioni digitali, che sono così fondamentali sia per le nostre economie che per le nostre società”, ha concluso la vicepresidente della Commissione europea. Le parti hanno concordato di proseguire le discussioni a livello tecnico, riprendendo il dialogo Cina-Ue sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic).

    La vicepresidente della Commissione Ue per i valori e la trasparenza ha presieduto i lavori con il vicepremier cinese, Zhang Guoqing. “Importante passo avanti” con la firma del piano d’azione sulla sicurezza dei prodotti online, ma Jourová avverte: “Dobbiamo impegnarci nelle aree in cui non siamo d’accordo”

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    La stretta cinese all’export di gallio e germano preoccupa l’Ue: “Presto valutazione d’impatto sugli Stati”

    Bruxelles – La stretta cinese sull’esportazione di gallio e germanio, ovvero materie prime critiche per la produzione di semiconduttori, preoccupa l’Unione europea che sta valutando quale potrebbe essere l’impatto potenziale delle restrizioni sugli Stati membri. Parte delle restrizioni entrano in vigore da oggi (primo agosto) e la Commissione europea “sta attualmente lavorando su un’analisi dettagliata del potenziale impatto di queste misure restrittive alle esportazioni sui Ventisette”, ha spiegato la portavoce dell’Esecutivo europeo responsabile per il commercio, Miriam Garcia, durante il briefing quotidiano con la stampa, assicurando che l’Ue ha insistito con Pechino “sul fatto che questo controllo delle esportazioni non è” giustificato da “situazioni di sicurezza e quindi abbiamo sollevato le nostre preoccupazioni”.

    Non ha precisato quali saranno i tempi e quanto potrebbe richiedere la valutazione dell’impatto. A inizio luglio il ministero del Commercio cinese ha annunciato l’intenzione di Pechino di introdurre a partire dal primo agosto una serie di limiti all’esportazione di gallio e germanio, due materie prime utilizzate nella produzione di semiconduttori e di conseguenza per i microchip alla base delle tecnologie per la doppia transizione digitale e verde. Nel 2022 la Cina ha esportato circa 94 tonnellate di gallio e 43,7 tonnellate di germanio, coprendo rispettivamente circa l’80 e il 60 per cento (con il resto proveniente da Canada, Finlandia, Russia e Stati Uniti) del fabbisogno.
    Secondo uno studio pubblicato dai servizi della Commissione Ue, i Ventisette importano dalla Cina il 71 per cento del gallio e il 45 per cento del germanio necessari per la produzione industriale. Per anni Pechino è riuscita nel tempo a garantire una sorta di monopolio, proponendo sul mercato materie prime critiche a un prezzo competitivo. Entrambi i metalli sono utilizzati per lo sviluppo dei chip per computer ad alta velocità e nei settori della difesa e delle energie rinnovabili.
    Sulle materie prime critiche necessarie alla doppia transizione, Bruxelles ha chiarito più volte di non voler ripetere gli errori commessi in passato con la dipendenza energetica dai combustibili fossili importati (a prezzo basso) dal mercato russo. Quindi la strategia è quella della diversificazione, anche se sulle materie critiche non sarà facile come per gli idrocarburi. La Commissione europea ha varato lo scorso 16 marzo una vera e propria proposta di Legge sulle materie prime critiche (il Critical Raw material act) con cui ha individuato una lista di 34 materie critiche (dalla bauxite all’elio, dall’arsenico allo stronzio), ma riducendo l’elenco a sole 16 da considerarsi ‘strategiche’, tra cui gallio e germanio. Oltre alla Cina, piccole quantità di gallio sono prodotte da Giappone, Russia e Corea del Sud, mentre il Canada è il più grande produttore di germanio del Nord America.E’ nel quadro del Critical Raw Materials Act che la Commissione europea sta lavorando a un ‘Club’ delle materie prime critiche, ovvero un gruppo ristretto di partner affidabili con cui creare una catena di approvvigionamento, che non dipenda solo dalla Cina.

    In vigore dal primo agosto le restrizioni cinesi all’esportazione di alcune materie prime critiche necessarie alla transizione, gallio e germanio. Bruxelles lavora a un’analisi “dettagliata del potenziale impatto di queste misure restrittive alle esportazioni sui Ventisette”

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    Uranio e influenza in Africa, il dilemma Ue del Niger tra interessi russi e cinesi

    Bruxelles – Democrazia, diritti, e poi l’uranio. Le instabilità in Niger possono di mettere in difficoltà il mercato dell’energia nucleare dell’Unione europea, che proprio dal Niger acquista uranio grezzo per i propri reattori. Per ora si rassicura, e si escludono impatti negativi dal colpo di Stato nel Paese dell’Africa occidentale. “Non c’è alcun rischio di approvvigionamento”, sostiene il portavoce della Commissione europea, Adalbert Jahnz. “Le imprese hanno sufficienti scorte di uranio naturale per mitigare qualsiasi rischio di approvvigionamento a breve termine e per il medio e lungo termine ci sono abbastanza depositi sul mercato mondiale per coprire il fabbisogno dell’Ue”.
    C’è però una questione geo-politica in ballo, fatta di energia nucleare, risorse, e presenza europea nell’area. Fin qui il Niger è stato il forniture numero uno dell’uranio nella sua forma grezza. La relazione della Commissione europea sul mercato di uranio, con dati aggiornati al 2021, afferma che “analogamente agli anni precedenti, Niger, Kazakistan e Russia sono stati i primi tre paesi a fornire uranio naturale all’Ue nel 2021, fornendo il 66,94% del totale”. Il Niger da solo, è arrivato a rappresentare un quarto dell’import complessivo a dodici stelle (24,26%). Non un fornitore marginalcina e, dunque. Alla luce delle relazioni sempre più delicate e complesse con la Russia quale risultato dell’aggressione all’Ucraina, l’Ue ha bisogno di ridurre le dipendenze con la federazione russa e un deterioramento ulteriore della situazione in Niger potrebbe indurre a rivedere la domanda di uranio.
    La Commissione Ue per ora intendere rimanere presente nel Paese. Evacuazione del personale e chiusura delle sedi di rappresentanza non sono prese in considerazione, perché andare via vorrebbe dire lasciare mano libera ad altri attori, a cominciare da quello cinese. Dopo la Francia la Repubblica popolare è il secondo più grande investitore straniero.
    Pechino è presente in Niger dal 1974, e ha dato nuovi impulsi alle relazioni bilaterali dagli inizi degli anni Duemila. Ha iniziato ad investire in infrastrutture (strade, ospedali, telecomunicazioni), scambi culturali (borse di studio per nigerini in Cina), a garantire sostegni umanitari contro disastri naturali. In cambio ha ottenuto diritto di esplorazione petrolifera e di uranio. Il progetto dell’oleodotto di circa 675 chilometri per la connessione Niger-Benin è possibile grazie a PetroChina, il colosso petrolifero cinese. Mentre Cnnc, la società di Stato attiva nel settore del nucleare, ha già avuto modo di lavorare col governo di Niamey per lo sviluppo del giacimento di Azelik.
    A livello globale il Niger rifornisce appena il 5% circa dell’uranio mondiale, ma è un fornitore leader per l’Ue. Sottrarre quote di mercato agli europei sarebbe per la Cina, già allo stato attuale fornitore principale di tutto ciò che serve all’Ue in termini di materie prime per la transizione sostenibile, un ulteriore colpo alle ambizioni di indipendenza e potenza europea.
    L’instabilità politica rischia però di complicare anche i piani cinesi, e non a caso anche la Cina segue con attenzione gli sviluppi nel Paese africano invitando a una soluzione. Per quanto a Bruxelles si cerchi di minimizzare e si ostenti sicurezza, in gioco c’è molto. Perché l’Ue ha deciso che il nucleare è ‘green’, non inserendolo la tecnologia nella tassonomia, l’insieme dei criteri che servono a determinare la sostenibilità di attività e prodotti. L’Ue ha bisogno dell’uranio per il suo nucleare, e il suo principale fornitore adesso offre meno garanzie.
    C’è anche l’aspetto russo della questione nigerina. L’uranio è certamente una questione ‘calda’ per l’Ue, ancora troppo legato alla Russia per ciò che serve per le centrali attive in Europa, soprattutto nei Paesi membri del quadrante nord-orientale. Alternative al combustibile russo è qualcosa di tutt’altro che semplice, e l’Ue non può permettersi di finire nuovamente nelle braccia del Cremlino. Ma da anni Mosca agisce nel continente africano, attraverso forniture di armi, accordi di cooperazione militare. Il controllo del continente sta diventando sempre più strategico, per via della sue ricchezze naturali in termini di risorse e materie prime. Governi ‘amici’ fanno l’interesse della partita in atto.
    La presenza del gruppo Wagner è stata accertata in almeno cinque Paesi africani (Libia, Mali, Sudan, Repubblica centrafricana, Mozambico). Si teme che il gruppo para-militare possa diventare una presenza forte anche in Niger. Analisti ricordano l’esempio del Mali, dove la Russia ha saputo inserirsi perché più accomodante rispetto alle richieste e alla condizioni poste dagli europei. “Ci sono già segnali che l’Ue potrebbe affrontare un dilemma simile in Niger“, avvertiva un anno fa, a giugno 2022, il think-tank pan-europeo Ecfr.
    C’è dunque la possibilità che il confronto tra Europa e Russia non si consumi solo sul fronte ucraino. La destabilizzazione del Niger gioca a favore di Mosca, più che dell’Europa, che nel Niger contava e conta anche per la gestione dei flussi migratori. All’incrocio di diverse rotte migratorie, il Niger ha rafforzato la sua politica di lotta alla migrazione irregolare con il sostegno dell’Ue, nell’ambito del nuovo partenariato dell’Ue con i Paesi terzi. Ora tutto questo rischia di saltare.
    A Bruxelles c’è già chi fa i conti con le tensioni e le incertezze nel Paese. In Parlamento Ue si inizia a riconoscere che il golpe “rischia di destabilizzare ulteriormente il Paese, oltre a problemi esistenti come l’instabilità regionale, la proliferazione di gruppi jihadisti violenti, un’ondata di rifugiati e sfollati interni”. In questo clima “il colpo di stato, salutato da Yevgeny Prigozhin, il capo di Wagner, potrebbe aumentare l’influenza della Russia sul Paese“.
    Una presa d’atto anche in Commissione, con l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, che punta il dito contro Mosca. In Niger, scrive sul suo blog, “l‘unica interferenza di cui possiamo parlare oggi è quella dei militari che rovesciano un Presidente eletto e quella di una Russia imperialista che vuole usare questi regimi come pedine nella sua partita a scacchi mondiale” in cui l’Europa ha molto da perdere. Attacca frontalmente anche il leader del Cremlino. “Da diversi anni la Russia di Vladimir Putin alimenta questi colpi di stato con la sua falsa propaganda e approfitta dell’instaurazione di questi regimi militari con le sue milizie private”. Accuse e toni che confermano l’importanza della posta in gioco. L’Ue si vede scalzata dall’Africa, e non solo dal Niger e dalle sue forniture di uranio.

    Per la Commissione ciò che serve al nucleare europeo non è a rischio ma in gioco c’è molto di più, con la presenza di Mosca e Pechino tutt’altro che marginale

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    Il vertice dei leader Ue dà il via libera alla nuova strategia dell’Unione sulla Cina: de-risking e relazioni equilibrate

    Bruxelles – In un Consiglio Europeo dominato dalla questione migrazione, il capitolo sulla Cina rimane quasi ai margini, almeno se confrontato con le attese fino a un mese fa. Eppure il contenuto è un orientamento strategico dell’Unione non di poco conto, che costituirà per il prossimo futuro la base di partenza su cui impostare qualsiasi discorso e confronto con Pechino: “Nonostante i diversi sistemi politici ed economici, l’Unione Europea e la Cina hanno un interesse comune a perseguire relazioni costruttive e stabili, ancorate al rispetto dell’ordine internazionale basato sulle regole, all’impegno equilibrato e alla reciprocità”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader Ue.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (29 giugno 2023)
    Come affermato per la prima volta nel discorso programmatico della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina lo scorso 30 marzo, i Ventisette confermano che l’Unione “continuerà a impegnarsi con la Cina per affrontare le sfide globali”, ma soprattutto incoraggia Pechino a “intraprendere azioni più ambiziose in materia di cambiamenti climatici e biodiversità, salute e preparazione alle pandemie, sicurezza alimentare, riduzione delle catastrofi, riduzione del debito e assistenza umanitaria”. La discussione strategica tra i 27 capi di Stato e di governo si è dimostrata un lavoro “rapido” sia nel lavoro per avere “una posizione unica”, ma anche per concordare conclusioni che mettessero in chiaro come Pechino sia “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico” e che gli Stati membri devono tenere un “approccio politico multiforme”.
    Questo discorso riguarda prima di tutto l’aspetto economico e commerciale: “L’Unione Europea cercherà di garantire condizioni di parità, in modo che le relazioni commerciali ed economiche siano equilibrate, reciproche e reciprocamente vantaggiose”. L’obiettivo dichiarato è quello di “ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento”, così come “diversificare dove necessario e appropriato”. La stella polare – discussa anche nel confronto del 6 aprile a Pechino tra la presidente della Commissione Ue von der Leyen, quello francese, Emmanuel Macron, e quello cinese, Xi Jinping – rimane il fatto che “l’Unione Europea non intende disaccoppiarsi o ripiegarsi su se stessa“. O, come ripete la numero uno dell’esecutivo comunitario, “de-risking, non disaccoppiamento”, che significa “ridurre le vulnerabilità dal punto di vista delle nostre relazioni economiche” come sulle materie prime critiche necessarie per la produzione di tecnologia pulita. Un tema su cui “c’è ampio consenso sia tra i governi Ue sia con i nostri partner G7”, ha messo in chiaro von der Leyen.

    Ue e Cina su politica estera e interna (cinese)
    Ma nelle conclusioni del vertice rientrano anche tematiche di natura puramente politica. In primis quella del controverso rapporto tra Pechino e Mosca, che Bruxelles sta cercando di spezzare per assicurarsi un alleato di peso per spingere la Russia a cessare la sua invasione dell’Ucraina: “In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha una responsabilità speciale nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole”, ricordano i leader Ue, facendo riferimento alla “pressione” che Xi Jinping dovrebbe esercitare su Vladimir Putin perché “cessi la sua guerra di aggressione e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina”. Sempre sul piano delle relazioni esterne viene messo nero su bianco il fatto che “i mari della Cina orientale e meridionale sono di importanza strategica per la prosperità e la sicurezza regionale e globale” e che l’Unione “è preoccupata per le crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan“. In questo senso il Consiglio “si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione” e “riconferma la coerente politica di una sola Cina”.
    In ultima istanza non manca il riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, con un riferimento alla ripresa del dialogo sui diritti umani con la Cina. In ogni caso i Ventisette ribadiscono le preoccupazioni per “il lavoro forzato, il trattamento dei difensori dei diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze e la situazione in Tibet e nello Xinjiang“, ma anche il rispetto dei “precedenti impegni della Cina in materia di impegni assunti dalla Cina in relazione a Hong Kong”.

    Nelle conclusioni del Consiglio Europeo trova spazio anche il capitolo sulle relazioni con Pechino, sulla base dei risultati del viaggio Macron-von der Leyen del 6 aprile: “È contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico, serve un approccio politico multiforme”