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    Macron si prepara ad accogliere Xi Jinping (e von der Leyen). Nuovo round di colloqui dopo Pechino

    Bruxelles – Tra Parigi, Berlino e Bruxelles sono iniziati i preparativi per un evento tanto atteso quanto imprevedibile per il risultato finale. Lunedì (6 maggio) il presidente francese, Emmanuel Macron, ospiterà insieme alla numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Parigi il presidente della Cina, Xi Jinping, in una riedizione del trilaterale andato in scena a Pechino nell’aprile dello scorso anno. Ancora una volta il leader cinese proverà a far leva sulle divergenze tra i 27 Paesi membri sull’approccio verso Pechino – in particolare Francia e Germania – per spingere i propri interessi nazionali, partendo dai due temi più rilevanti sul tavolo dell’Eliseo: la guerra russa in Ucraina e le indagini Ue sui sussidi statali per i veicoli elettrici.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf ScholzNon è un caso se ieri sera (2 maggio) proprio il presidente francese Macron si è incontrato in modo informale a Parigi con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per cercare un confronto onesto sui rispettivi approcci nei confronti di Pechino, prima dell’inizio del tour europeo di Xi Jinping (che lo porterà anche in Serbia e in Ungheria la prossima settimana). Lo scorso 16 aprile la visita del cancelliere tedesco in Cina aveva sollevato alcune perplessità, non tanto per la visita in sé quanto per la decisione di non affrontare con la controparte cinese i due temi più spinosi per i Ventisette. In primis le indagini di Bruxelles su una serie di beni ampiamente sovvenzionati dallo Stato cinese che rischiano di turbare il Mercato unico dell’Unione: uno su tutti le auto elettriche, per cui la Commissione Ue potrebbe imporre dazi provvisori nel caso in cui siano riscontrate sovvenzioni illegali lungo le catene del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina.Il vertice trilaterale tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, e il presidente della Francia, Emmanuel Macron, a Pechino (6 aprile 2023)È passato un anno dal trilaterale Macron-von der Leyen-Xi Jinping a Pechino, ma la strategia di de-risking dell’Unione Europea dalla Cina sembra essere appena alle battute iniziali. “Dobbiamo affrontare le soluzioni attraverso il dialogo e la diplomazia” e puntare su “una strategia di de-risking, cioè focalizzarci sui rischi specifici, ma anche apprezzare il fatto che la grande maggioranza dei beni e servizi è priva di rischi”, aveva sottolineato prima e durante il vertice di Pechino la numero uno della Commissione Ue, partendo dall’analisi sui rapporti Ue-Cina divenuta paradigmatica per l’approccio che si vorrebbe seguire a Bruxelles: “Alcune dipendenze commerciali sollevano dei rischi significativi e sappiamo che per alcuni la conseguenza è sganciarsi dalla Cina, ma io dubito che questa sia una soluzione desiderabile o percorribile“. Senza dubbio la questione dei potenziali sussidi anti-concorrenziali – anche nel settore delle turbine eoliche e dei dispositivi medici – non può non essere considerata come il fattore che può creare più frizioni con la controparte cinese, ma allo stesso tempo anche come la cartina tornasole della solidità dell’Unione nell’affrontare una bilancia commerciale che pende nettamente verso Pechino.La seconda linea rossa delle discussioni di lunedì a Parigi sarà senza dubbio la questione della guerra russa in Ucraina e di come l’Ue voglia uno stop totale della fornitura di attrezzature cinesi a duplice uso che stanno sostenendo la controffensiva del Cremlino. Un anno fa erano sul tavolo due proposte di pace – il piano in 10 punti del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e la proposta cinese accolta con grande scetticismo in Europa – e soprattutto le richieste dei due leader europei a Xi Jinping di definire il posizionamento della Cina in qualità di membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “In quanto tale ha una grande responsabilità e ci aspettiamo che giochi un ruolo importante per promuovere una pace giusta che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina“, aveva messo in chiaro senza troppi giri di parole von der Leyen. Quando è passato un anno e molto poco poco a livello diplomatico oltre la telefonata tra i leader ucraino e cinese a fine aprile 2023, il sostegno dei Ventisette a Kiev passerà anche dalla capacità di convincere Pechino ad allentare il sostegno indiretto a Mosca con beni a duplice uso, ovvero quelli venduti per scopi civili ma convertibili dal Cremlino per uso bellico al fronte.

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    Bruxelles chiama Washington nella corsa alle materie critiche. E avvia un’indagine sulle turbine eoliche dalla Cina

    Bruxelles – Catapultata in un ordine economico mondiale che fa sempre più paura, l’Ue si rivolge all’alleato di sempre. La commissaria europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager, ha scelto la prestigiosa università di Princeton per lanciare l’appello agli Stati Uniti: nella corsa geopolitica alla tecnologia – con la Cina che la fa da padrone – “avere partner di cui ci si può fidare è un vantaggio competitivo”.Sull’altare della storica amicizia che lega le due sponde dell’atlantico, la commissione Ue è pronta a mettere il sempre più complicato rapporto con Pechino, “partner, concorrente economico e rivale sistemico”. La vicepresidente esecutiva della Commissione europea, invitata nella prestigiosa università americana, è stata durissima sulla Repubblica Popolare Cinese, che “non sempre gioca in modo corretto” quando si parla del mercato delle tecnologie critiche.Oltre le parole, i fatti, per convincere Washington – e il prossimo inquilino della Casa Bianca – che l’Ue non ha alcun dubbio su che parte stare. Le indagini sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina lanciata in ottobre, su cui “se dovessimo stabilire che queste auto elettriche sono state sovvenzionate illegalmente, imporremmo dei rimedi”, e su “offerte sospette” in diverse gare d’appalto in Bulgaria e in Romania, con aziende cinesi che “potrebbero essere state indebitamente avvantaggiate”.

    Margrethe Vestager al Consiglio Commercio e Tecnologia Ue-Usa (Photo by Johanna Geron / POOL / AFP)Ma Vestager ha rilanciato ancora, annunciando l’avvio di una nuova indagine sui fornitori cinesi di turbine eoliche. “Stiamo indagando sulle condizioni per lo sviluppo di parchi eolici in Spagna, Grecia, Francia, Romania e Bulgaria”, ha dichiarato la commissaria. Annuncio che arriva proprio nel momento in cui il ministro per il Commercio cinese è in viaggio in Europa, con l’obiettivo di – secondo quanto riportato da Reuters – di respingere l’indagine Ue sulle auto elettriche.Davanti alla platea di Princeton, Vestager ha smascherato il metodo utilizzato da Pechino per “dominare” l’industria dei pannelli solari: “In primo luogo, attirando investimenti stranieri nel suo grande mercato interno, di solito richiedendo joint venture. In secondo luogo, acquisendo la tecnologia, e non sempre in modo trasparente. Terzo, concedendo massicci sussidi ai fornitori nazionali, chiudendo contemporaneamente e progressivamente il mercato nazionale. E quarto, esportando la capacità in eccesso nel resto del mondo a prezzi bassi”.Con il risultato che solo il 3 per cento dei pannelli solari utilizzati oggi nell’Unione europea sono stati prodotti nei 27 Paesi membri. La commissaria è stata perentoria: “Non possiamo permetterci che ciò che è successo per i pannelli solari si ripeta per i veicoli elettrici, l’eolico o i chip essenziali”. Ma l’Ue ha bisogno di avere le spalle coperte, schiacciata tra i due giganti Usa e Cina. “Mentre sviluppiamo ulteriormente la strategia per le tecnologie pulite, dobbiamo riflettere sulla questione dell’affidabilità”, ha incalzato Vestager.L’Ue alla ricerca di “partner affidabili”La proposta lanciata dalla responsabile per la Concorrenza del gabinetto von der Leyen è quella di “sviluppare – a livello di G7 – un elenco di criteri di affidabilità per le tecnologie pulite critiche“. Che vanno dall’impronta ambientale nella loro produzione, ai diritti dei lavoratori fino alla sicurezza informatica. E che possano essere usati “come condizioni per determinati incentivi” o come “criteri” negli appalti pubblici.Un approccio concertato tra partner che “condividono gli stessi valori”, agli antipodi di quanto successo con l’approvazione da parte del governo di Joe Biden dell’Inflation Reduction Act, l’enorme piano di sostegno all’industria nazionale che nell’agosto del 2022 ha messo in crisi la competitività delle aziende europee. “Legando i criteri alla produzione locale invece dell’affidabilità, gli Stati Uniti hanno limitato il potenziale di scala dei produttori occidentali. E ci hanno costretti a reagire con la concessione di sussidi corrispondenti”, ha pungolato Vestager, sottolineando che in questo modo “ognuno di noi utilizza il denaro dei contribuenti per attirare o trattenere i progetti dell’altro, invece di usarlo per dare alle nostre aziende un vantaggio innovativo o competitivo in questa corsa globale”.Ma Bruxelles sembra pronta a lasciarsi alle spalle lo sgarbo di Washington, in nome di una causa comune. Che dovrà essere rinnovata dai prossimi leader sulle due sponde dell’Atlantico. Con lo spauracchio di un ritorno al potere di Donald Trump. “Mentre sia l’Ue che gli Usa entrano in periodo elettorale, vediamo l’incertezza che ci attende. Ma una cosa rimane certa: in questa corsa geopolitica alla tecnologia, avere partner di cui ci si può fidare è un vantaggio competitivo”, ha concluso Vestager.

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    Il tredicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia è pronto e colpirà anche alcune aziende cinesi

    Bruxelles – L’Unione europea segnerà il secondo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina con l’approvazione del tredicesimo pacchetto di sanzioni a Mosca. A tre giorni dal 24 febbraio, gli ambasciatori dei 27 hanno dato il via libera all’applicazione di misure restrittive a quasi 200 individui ed entità, che vanno ad aggiungersi agli oltre 2000 soggetti vicini al Cremlino già sanzionati in due anni di guerra.Il pacchetto sanzionatorio sarà ora adottato formalmente dal Consiglio con procedura scritta entro la data simbolica auspicata del 24 febbraio. “Uno dei più ampi” approvati finora, ha sottolineato nel dare l’annuncio la presidenza belga dell’Ue.  Il pacchetto si dovrebbe concentrare sulla lotta all’elusione delle misure restrittive – in continuità con il dodicesimo – e sulle reti di approvvigionamento di tecnologia avanzata e equipaggiamento militare del Cremlino.In particolare, Bruxelles vuole colpire le aziende che riforniscono Mosca dei componenti per la costruzione di droni, che vengono poi utilizzati nei bombardamenti sulle città ucraine. “Dobbiamo continuare a ridurre la macchina da guerra di Putin. Con 2000 nomi in totale, manteniamo alta la pressione sul Cremlino. Stiamo anche riducendo ulteriormente l’accesso della Russia ai droni”, ha commentato in un post su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Oltre a diverse imprese russe, l’Ue avrebbe inserito nella lista nera anche aziende turche e della Corea del Nord. Ma soprattutto, a quanto si apprende le nuove sanzioni prenderanno di mira – per la prima volta – anche tre aziende cinesi che avrebbero fornito tecnologia militare a Mosca. “La Russia sta pagando per le sue azioni. Il tredicesimo pacchetto di sanzioni concordato oggi dall’Ue ridurrà ulteriormente la produzione dell’arsenale del Cremlino e frammenterà la sua cassa di guerra”, ha esultato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola.

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    È su una compagnia statale cinese di treni la prima indagine Ue sulle sovvenzioni estere distorsive

    Bruxelles – È la Cina il primo Paese extra-Ue a finire sotto la lente della Commissione Europea per il possibile ricorso a sovvenzioni che hanno consentito a società estere di beneficiare di vantaggi sleali, turbando l’integrità del Mercato interno. Dopo gli avvertimenti arrivati a più riprese lo scorso anno, l’Antitrust Ue ha annunciato oggi (16 febbraio) di aver avviato la sua prima indagine approfondita ai sensi del Regolamento sulle sovvenzioni estere, per il caso di una gara d’appalto pubblico lanciata in Bulgaria per la fornitura di 20 treni elettrici ‘push-pull’ e dei relativi servizi di manutenzione e formazione del personale per 15 anni (per un valore contrattuale di 610 milioni di euro).

    L’indagine avviata oggi fa seguito a una notifica presentata alla Commissione Europea da Crrc Qingdao Sifang Locomotive – una controllata del produttore di treni di proprietà statale cinese Crrc Corporation – che secondo l’esame preliminare già condotto dai servizi dell’esecutivo Ue presenta “sufficienti indicazioni che questa società abbia ricevuto una sovvenzione estera che distorce il Mercato interno” dell’Unione. Secondo il Regolamento sulle sovvenzioni estere le aziende sono obbligate a notificare le loro gare d’appalto pubbliche sul territorio dell’Unione quando il valore stimato del contratto supera i 250 milioni di euro e quando l’azienda ha ricevuto almeno 4 milioni di euro di contributi finanziari esteri da almeno un Paese terzo nei tre anni precedenti la notifica. Crrc Qingdao Sifang Locomotive ha presentato una notifica completa lo scorso 22 gennaio e – da quel momento – la Commissione ha 110 giorni lavorativi per prendere una decisione finale (fino al 2 luglio).Ma la volontà di approfondire la questione rappresenta per il Berlaymont già di per sé “la determinazione a preservare l’integrità del Mercato interno, garantendo che i beneficiari di sovvenzioni estere non possano beneficiare di un vantaggio sleale per aggiudicarsi appalti pubblici nell’Ue”. In questo caso specifico la Commissione Ue deve valutare “se il contributo finanziario estero costituisca una sovvenzione che conferisce direttamente o indirettamente un vantaggio selettivo all’azienda” e se questo consente all’azienda stessa di “presentare un’offerta indebitamente vantaggiosa” rispetto ad altre società che hanno partecipato alla gara d’appalto in Bulgaria. In seguito all’indagine si possono delineare tre scenari: il via libera agli impegni proposti dall’azienda “se questi pongono rimedio in modo completo ed efficace alla distorsione”, il divieto all’aggiudicazione del contratto o una decisione di non obiezione.Nella stessa nota la Commissione Ue avverte che “negli ultimi anni le sovvenzioni estere sembrano aver distorto il Mercato interno dell’Ue, anche fornendo ai loro beneficiari un vantaggio sleale nell’acquisizione di imprese o nell’ottenimento di contratti di appalto pubblico”. Il primo caso accertato secondo il Regolamento entrato in vigore nel luglio 2023 potrebbe essere proprio quello relativo a Crrc Corporation Limited, produttore di materiale rotabile di proprietà statale cinese e il più grande al mondo in termini di fatturato.

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    INTERVISTA / Spajić: “Il Montenegro investe su Ue e Nato. La presenza cinese non ci preoccupa più”

    Bruxelles – Il Montenegro sembra finalmente aver trovato un suo equilibrio, dopo anni di instabilità politica e istituzionale. Podgorica non ha mai perso la bussola del percorso verso l’Unione Europea, ma ora che la tempesta lunga più di tre anni è passata, l’obiettivo è ancora più visibile all’orizzonte. “Stiamo lavorando duramente e credo che sarà davvero epocale avere 28 membri entro il 2028“, confessa il primo ministro del Montenegro in carica dal primo novembre 2023, Milojko Spajić, nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata a Eunews a margine dell’inaugurazione dell’iniziativa del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ‘Membri candidati all’allargamento Ue’ a Bruxelles.

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićPrimo ministro Spajić, quanto ritiene realistico che – a cinque anni da oggi – il Montenegro parteciperà alle prossime elezioni europee?“Noi saremo pronti anche prima del 2028. Ma sappiamo anche che la politica di allargamento Ue è un processo a doppio senso e faremo del nostro meglio per concludere i negoziati di adesione nel 2026 e attendere fino al 2028 per la ratifica del Trattato di adesione da parte di tutti gli Stati membri. Dal momento in cui l’Unione contava già 28 membri, non è necessaria una revisione interna dei Trattati prima del nostro ingresso. Sarebbe un passo storico vedere i politici montenegrini in corsa per le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nel 2029”.Che tipo di partner è il Montenegro per l’Unione Europea?“Oggi il rapporto con l’Unione Europea e con gli altri Paesi dei Balcani Occidentali è il più positivo di sempre, ma dobbiamo migliorare ancora. Per quanto riguarda gli investimenti, vogliamo invitare società, imprese e istituzioni europee a ricostruire le infrastrutture, vogliamo ancora più scambi commerciali tra il Montenegro e l’Unione Europea, e ancora più imprese che aprono da noi e viceversa. Questa è una grande opportunità per Paesi come l’Italia, per esempio: Il Montenegro e tutti i Balcani Occidentali sono un frutto a portata di mano, perché i nostri cittadini amano l’Italia, la guardano come un modello in termini di società e di adesione all’Ue. Vogliamo più imprese italiane in Montenegro, così come da altri Paesi dell’Unione”.Eppure il Montenegro negli ultimi anni ha sollevato non poche perplessità a Bruxelles.“Il problema più grande del Montenegro è che nel 2020, quando sono diventato ministro delle Finanze, quasi il 60 per cento del turismo proveniva da Paesi esterni all’Unione Europea, alla regione e alla NATO. Le infrastrutture erano finanziate al 100 per cento da Paesi ed entità esterne a questo spazio politico, e anche il 90 per cento degli investimenti proveniva da Oriente. Allo stesso tempo, dal punto di vista geopolitico siamo membri della Nato e potenziali membri dell’Ue, con un 100 per cento di allineamento alla sua Politica estera e di sicurezza comune. Era una sorta di situazione bipolare, in cui geopoliticamente eravamo allineati da una parte, ma economicamente eravamo completamente isolati dal continente europeo e ci comportavamo come una nazione dell’Asia centrale. In quattro anni – all’inizio come ministro delle Finanze e ora da primo ministro – abbiamo cambiato completamente la rotta economica del Montenegro”.Ma quanto è ancora preoccupante la presenza cinese nell’economia del Paese?“Abbiamo ereditato il prestito con la China Investment Bank, lo abbiamo coperto con successo e abbiamo ridotto l’esposizione dal 27 per cento del Pil al 7/8 per cento. Ora è completamente gestibile, quasi trascurabile, è solo uno dei prestiti nel nostro portafoglio e non ci preoccupa molto. Vogliamo che il finanziamento delle infrastrutture in futuro provenga quasi esclusivamente dai nostri alleati della regione, dell’Ue e della Nato. Stiamo finalmente regolando l’economia e la geopolitica nel modo giusto”.

    Il primo ministro del Montenegro, Milojko SpajićA proposito di Nato. È preoccupato dalle minacce di Trump, secondo cui gli Stati Uniti non dovrebbero difendere gli alleati che non spendono abbastanza nella difesa da un’eventuale aggressione russa?“Rischierei di entrare nella campagna politica statunitense, se commentassi questa dichiarazione. Io voglio intenderla come un messaggio cruciale per gli Stati Uniti, non solo per Trump ma anche per Biden: che Washington vuole vedere un contributo più attivo da parte di tutti i partner della Nato. Abbiamo ricevuto il massaggio, il Montenegro vuole essere un partner credibile per tutti coloro che fanno parte dell’Alleanza. Il governo è entrato in carica il primo novembre scorso, non abbiamo avuto molto tempo: la precedente bozza di bilancio diceva che la spesa per gli scopi Nato era pari all’1,8 per cento del Pil, ma in un solo mese siamo riusciti ad aumentarla al 2,01 per cento”.Diventando così uno dei 18 Paesi Nato che quest’anno avranno raggiunto la soglia minima di spesa del 2 per cento per la difesa in rapporto al Pil.“Questa è la dimostrazione di quanto siamo impegnati. Dopo l’aggressione russa all’Ucraina è fondamentale rendersi conto di quanto sia importante la sicurezza non più solo a livello teorico, ma anche e soprattutto pratico. È inimmaginabile che un membro della Nato possa essere invaso e conquistato da una potenza straniera come ha fatto la Russia con l’Ucraina”.

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    Il freddo riavvicinamento tra Ue e Cina. Von der Leyen: “Rapporto complesso che dobbiamo far funzionare”

    Bruxelles – Il 24esimo vertice tra Ue e Cina, il primo di persona dal 2019, va in archivio con un nulla di fatto. Rimane la consapevolezza  – nelle parole di Ursula von der Leyen – di un rapporto “complesso che abbiamo la responsabilità di far funzionare“. Le distanze sono troppo profonde per un vero riavvicinamento, il legame troppo forte per spezzare la corda.Dopo mesi di contatti e bilaterali, sul piatto del vertice c’era un’agenda fittissima: l’invasione russa in Ucraina e il conflitto tra Israele e Hamas, i rapporti commerciali da riequilibrare, la cooperazione per l’agenda sul clima. E poi la questione di Taiwan e il rispetto dei diritti umani. Troppi forse, per tornare a Bruxelles con qualcosa di concreto. Nemmeno sul punto più importante: quello dello squilibrio commerciale tra i due partner e rivali.Uno squilibrio diventato “insostenibile”, secondo von der Leyen: il deficit dell’Ue nei confronti del gigante asiatico ha raggiunto i 400 miliardi di euro, dieci volte in più di quanto non fosse solo vent’anni fa. “Se si guarda solo agli ultimi due anni il deficit commerciale è raddoppiato e questo è motivo di grande preoccupazione per molti europei”, ha dichiarato a margine del vertice la presidente della Commissione europea. Nessuna novità, la bilancia commerciale che pende nettamente da una parte è cosa arcinota a Bruxelles così come a Pechino: “Ci aspettiamo che la Cina prenda azioni più concrete per migliorare l’accesso al mercato e agli investimenti per le aziende straniere”, ha dichiarato Charles Michel. Che forse si aspettava che qualche misura potesse essere concordata già oggi.Charles Michel, Xi Jinping e Ursula von der LeyenLa retorica dell’Ue sulla Cina irrita però il presidente della Repubblica Popolare, che l’ha bollata come un atteggiamento “protezionista”. Von der Leyen ha chiarito a Xi Jinping che l’Ue non cerca un improbabile disaccoppiamento dalla Cina, quanto piuttosto di perseguire un approccio di de-risking. Che significa “affrontare le dipendenze eccessive e diversificare le catene di approvvigionamento”. D’altronde – ha fatto notare von der Leyen – la Cina ha da sempre lo stesso approccio, quello dell’autosufficienza.Se sul dossier economico la strada sembra ancora lunga e irta, “la lotta al cambiamento climatico è un’area dove l’Ue e Cina stanno cooperando in modo molto costruttivo”, ha cercato di tamponare von der Leyen. La leader Ue si è congratulata con Xi per aver aderito all’impegno globale sul metano, che prevede di ridurre del 30 per cento le emissioni globali di metano entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. “È un grande passo avanti, ma sarebbe un messaggio forte da parte della Cina aderire anche all’impegno globale sulle energie rinnovabili”, ha rilanciato von der Leyen. Un impegno a cui nella prima settimana della Cop28 “si sono uniti 125 Paesi.Anche nella corsa per l’agenda sul clima però permangono degli attriti. “Siamo molto preoccupati dell’aumento dell’utilizzo di centrali a carbone in Cina. Sappiamo che uno dei temi più difficili è liberarsi dei combustibili fossili, ma vogliamo che la Cina prenda una posizione forte sull’eliminazione dei combustibili fossili entro il 2050”, ha messo in chiaro von der Leyen. La Cina nel 2023 ha infatti dato il via a decine di nuovi progetti per impianti a carbone.

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    Ue e Cina tentano un riavvicinamento, 7 e 8 dicembre il summit bilaterale a Pechino

    Bruxelles – Conflitto russo-ucraino, questione medio-orientale, ma soprattutto commercio. Unione europea e Cina tentano un riavvicinamento e una normalizzazione dei rapporti bilaterali attraverso il 24esimo meeting congiunto, il primo in formato fisico dal 2019. I presidenti di Consiglio e Commissione Ue, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tentano di convincere presidente e primo ministro della Repubblica popolare ad avare un ruolo di primo piano innanzitutto sulle questioni di stretta attualità.La guerra tra Russia e Ucraina è la principale di questi temi. Gli europei, spiegano fonti Ue ben informate, vorrebbero che la Cina utilizzasse la propria influenza per fermare Vladimir Putin e le sue operazioni militari. Si nutre cauto ottimismo, alimentato dalla consapevolezza che a Pechino questa guerra non piace perché non fa comodo. Una situazione che però sin qui non ha visto una posizione decisa né una condanna.“Non abbiamo ancora una prova di sostegno militare diretto in questa guerra, e vediamo che l’export cinese di tutta una serie di beni che possono essere usati in prima linea si riduce, e questo è positivo”, il ragionamento a Bruxelles, dove però si guarda con una certa attenzione alle relazioni bilaterali Ue-Cina, in particolare in ambito commerciale.L’Ue non vuole scontri con la Cina, ma la delegazione Ue si presenta a Pechino con un’inchiesta aperta contro i sussidi statali alle auto elettriche ‘made in China‘ che può voler dire, potenzialmente, anche dazi contro i prodotti cinesi. Una decisione, quella di Bruxelles, che potrebbe anche irrigidire gli interlocutori Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro), ma che nell’ottica a dodici stelle serve a ribadire una posizione di determinazione. Qui il messaggio che si intende recapitare è la necessità di maggiore equilibrio.L’Ue ha una bilancia commerciale in forte squilibrio nei confronti della Cina, e una delle ragioni sono le restrizioni all’ingresso del mercato cinese poste dal partito. “Se ci sono barriere agli investimenti diventa difficile vedere investimenti diretti dell’Ue”, riassumono, in estrema sintesi, le fonti europee. Si vuole da parte cinese la fine di pratiche sleali per una concorrenza vera e basate sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ferma restando, per l’Unione europea, la necessità di ridurre quelle dipendenze da materie prime e catene di approvvigionamento che pongono questioni di stabilità, oltre che di competitività.Non sarà facile, perché “i cinesi sono un po’ nervosi sul concetto di derisking“, ossia la riduzione della dipendenza economica dalla Repubblica popolare. “Vedono che la loro presenza sul nostro mercato potrebbe ridursi”, così come la forza della loro leva geopolitica nei confronti dei Ventisette. Difficile immaginare concessioni. L’Ue comunque ci prova.Le premesse non sembrano delle migliori. Come da tradizione la Cina mostra una certa allergia a conferenze stampa, infatti non sono previste previste. Ma, a meno di cambi di rotta dell’ultimo momento, non è prevista neppure una dichiarazione congiunta. “Non ci è stato chiesto di averne una”, ammettono a Bruxelles. Gli europei non danno l’impressione di aver insistito chissà quanto, e certamente non ottengono documenti di fine lavoro sottoscritti dalla leadership cinese. “Avere questo dialogo Ue-Cina è una buona occasione per affrontarli tanti temi”, spiegano a Bruxelles. Già è tanto che Michel e von der Leyen siano accolti a Pechino.
    Xi Jinping e Li Qiang ricevono Michel e von der Leyen. E’ il primo meeting ‘di persona’ dal 2019. Sul tavolo la guerra in Russia ma soprattutto le relazioni commerciali

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    I porti europei ‘cinesi’ un problema per la sicurezza Ue e Nato

    Bruxelles – Adesso la presenza cinese nei porti europei spaventa davvero. Perché all’aspetto economico si aggiunge anche quello della difesa e della sicurezza nazionale. La presenza cinese nei porti dell’Ue è una questione che si pone da anni, ma contro cui l’Unione europea ha fatto fatica. Da una parte il mercato unico, con le sue regole e il suo approccio aperto, non impedisce a operatori stranieri di fare affari in Europa. Dall’altra parte, per stessa ammissione dell’esecutivo comunitario, si fa fatica a capire il giro di affari delle imprese collegate al governo di Pechino.Un nuovo studio prodotto per conto della commissione trasporti del Parlamento europeo stima che tra il 2004 e il 2021 le compagnie del dragone abbiamo speso oltre 9,1 miliardi di euro per acquisizioni di e negli scali marittimi a dodici stelle.“I rischi derivanti dagli investimenti cinesi sono evidenti oltre determinate soglie di livelli di proprietà”, avverte il documento. In particolare il problema si pone in termini di influenza sulla strategia portuale e in termini di rischi informatici “se le aziende cinesi possono accedere ai sistemi di comunicazione e alle reti locali”. Ciò presenta certamente “un rischio a livello locale”, ma allo stesso tempo “potrebbe anche comportare rischi più ampi per l’Europa, soprattutto per quanto riguarda le forze armate degli Stati membri e la NATO”.Il problema è che la Cina appare aver goduto troppo dei diritti che l’Ue concede ad operatori stranieri. Su tutti China Ocean Shipping Company (COSCO) e China Merchants sono quelli che più massicciamente hanno investito in Europa. Tanto che oggi COSCO controlla il porto di Atene e si mette in risalto come “alcuni dei rischi più significativi emergono non solo dagli investimenti nelle infrastrutture ma anche dalle successive espansioni delle operazioni di COSCO”. Questi includono “rischi di influenza e coercizione localizzata”. In che modo? Viene offerto un chiaro esempio. COSCO potrebbe minacciare di dirottare i suoi trasbordi verso altri porti del Mediterraneo se la Grecia dovesse intraprendere un’azione che dispiacesse a Pechino.Un caso non isolato, visto che In Italia nel 2016 COSCO ha acquistato il 40 per cento del porto di Vado Ligure e in Germania controlla il 24,9 per cento dell’impresa che controllo il porto di Amburgo. All’Ue “manca una valutazione dei colli di bottiglia nella spedizione di merci dalla Cina all’Europa che consideri il trasbordo”, vale a dire il trasferimento di merci. “A seguito di tale valutazione, dovrebbero essere creati piani di emergenza per prepararsi a un conflitto con la Cina”.Ma in tema di sicurezza il caso ellenico è forse quello più emblematico. Nel porto del Pireo “la presenza di COSCO accanto a infrastrutture civili e militari critiche è altamente problematica, in termini di rischi informatici e potenziali fughe di dati sensibili”. Un rischio considerato dagli autori dell’analisi realistico poiché “vi sono indicazioni che in futuro gli scali delle navi militari statunitensi saranno più frequenti”. Alla luce di questo “è ragionevole supporre che i servizi segreti cinesi siano interessati a raccogliere dati sulle tecnologie militari avanzate degli Stati Uniti”. Si rende dunque “un’azione approfondita del rischio dell’investimento di COSCO” attraverso “uno stretto coordinamento con i partner occidentali in termini di assistenza tecnica”. Allo stesso modo, “la creazione di un meccanismo di gestione delle crisi e la mitigazione di vari rischi potenziali sono possibili solo di concerto con i partner dell’UE e della NATO”.Lo studio di nuova pubblicazione evidenzia una situazione in contrapposizione con la nuova strategia dell’Ue per la difesa navale e la sicurezza marittima. Questa include la protezione delle infrastrutture marittime critiche che includono gasdotti, cavi sottomarini e anche porti. Rispetto a questa necessità l’Ue appare già in ritardo. 
    Un nuovo studio del Parlamento europeo per la prima volta evidenzia i rischi non-economici di una troppa presenza asiatica negli scali marittimi a dodici stelle