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    Israele preoccupa l’Ue, Borrell chiede di “fermare l’espansione delle colonie illegali”

    Bruxelles – Le tensioni sempre più forti tra Israele e Palestina preoccupano l’Europa. La crescente violenza nei territori palestinesi occupati, culminata il 26 febbraio con l’attacco da parte di centinaia di israeliani al villaggio di Huwara, ha raggiunto livelli che ricordano sempre più il periodo della seconda intifada, nel 2006. Il dialogo tra il governo israeliano e l’Autorità nazionale Palestinese è praticamente inesistente, e a Tel Aviv si è insediato l’esecutivo più estremista di sempre, con ministri di destra che non nascondono posizioni radicalmente anti-palestinesi.
    Al primo ministro Benjamin Nethanyahu, in viaggio per Roma dove domani (10 marzo) incontrerà la premier Giorgia Meloni, si sono rivolti il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell. Il primo ha avuto una telefonata ieri sera con il premier israeliano, in cui ha ribadito il sostegno di Bruxelles alla “soluzione dei due Stati”, il secondo ha rilasciato un comunicato in cui chiede “ai leader israeliani e palestinesi di ridurre le tensioni e di astenersi da azioni che possano aumentarle”.
    Il capo della diplomazia europea non usa mezza termini, e va oltre la dichiarazione approvata all’unanimità due settimane fa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, in cui gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono stati definiti “un ostacolo alla pace”. Borrell sottolinea invece che le colonie “sono illegali secondo il diritto internazionale”, ed esorta Israele a “fermare l’espansione degli insediamenti, prevenire la violenza dei coloni e garantire che gli autori siano ritenuti responsabili”. Difficile che il governo di estrema destra colga l’invito dell’alto rappresentante, vista l’intenzione di legalizzare in modo retroattivo avamposti in Cisgiordania finora considerati illegali.
    Autorità di Israele e Palestina si sono incontrate in Giordania
    Poco prima della distruzione del villaggio di Huwara, che ha causato una vittima e oltre trecento feriti tra la popolazione palestinese, si erano tenuti a Aqaba, in Giordania, dei colloqui tra le autorità israeliane e palestinesi con la mediazione di funzionari statunitensi ed egiziani, in cui le parti si erano impegnate a “ridurre le tensioni per raggiungere una pace giusta e duratura”. Ma sembra sempre più inverosimile interrompere il vortice di violenze che, da una parte e dall’altra, si susseguono con un drammatico effetto domino: la vicenda di Huwara ne è la prova lampante.
    Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, in visita a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Il 22 febbraio, in un’operazione militare l’esercito israeliano aveva ucciso 11 palestinesi a Nablus, vicino al villaggio di Huwara: la vendetta palestinese si è manifestata con l’uccisione di due coloni israeliani, che ha infine scatenato la feroce rappresaglia. L’ennesima smentita delle buone intenzioni messe nero su bianco anche ad Aqaba. “Lodiamo gli sforzi di Stati Uniti, Giordania ed Egitto per ridurre le tensioni e sostenere il comunicato di Aqaba”, ha dichiarato Borrell, ricordando che “tutte le parti devono rispettare gli accordi di Aqaba in buona fede”. Secondo questi accordi, Israele e Palestina si sono impegnate a non compiere azioni unilaterali per un periodo di 3-6 mesi e hanno deciso di rincontrarsi a Sharm el Sheikh nel mese di marzo.
    La visita di Benjamin Nethanyahu in Italia rischia già di peggiorare un’altra volta la situazione: il primo ministro, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, ha dichiarato che insisterà con Meloni affinché “Roma riconosca Gerusalemme come la capitale di Israele da tremila anni”. La richiesta di Nethanyahu cozza totalmente con l’avvertimento dell’Ue, secondo cui “lo status quo dei Luoghi Santi deve essere mantenuto in linea con le precedenti intese”, perché “la convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e musulmani deve essere mantenuta”.

    With @netanyahu discussed 🇪🇺-🇮🇱 relations and the Middle East Peace Process.
    We are committed to peace in the region and the two-state solution.
    The EU will work with 🇮🇱 based on shared values and interests. pic.twitter.com/3RUSKj8TrR
    — Charles Michel (@CharlesMichel) March 8, 2023

    Le tensioni crescenti tra Israele e Palestina sono culminate nell’attacco dei coloni al villaggio di Huwara, lo scorso 26 febbraio. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha telefonato al primo ministro Nethanyahu, che sarà in visita in Italia

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    Talebani, Iran e Russia. Per la prima volta l’Ue adotta sanzioni contro la violenza sessuale e sulle donne

    Bruxelles – Dai talebani agli ufficiali di polizia russa, dalle milizie sud sudanesi al viceministro degli affari interni in Myanmar. Sono in tutto nove le persone e tre le entità che l’Unione europea ha deciso di sanzionare per violazioni e abusi dei diritti umani, ma in particolare per le loro violenze sessuale e di genere. In Unione europea è la ‘prima volta’ che si riconosce e si adottano sanzioni relative alla violenza di genere, un annuncio che arriva oggi (7 marzo) alla vigilia della Giornata internazionale della donna che sarà celebrata domani.
    Nello specifico l’elenco include due ministri talebani ad interim per l’istruzione superiore e per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, che sono dietro i decreti che vietano alle donne l’istruzione superiore e le pratiche di segregazione di genere negli spazi pubblici in Afghanistan. Poi ancora, gli ufficiali della stazione di polizia di Mosca responsabili di arresti e detenzioni arbitrari e di torture e altri trattamenti che Bruxelles definisce “crudeli, inumani e degradanti” nel contesto della censura e dell’oppressione perpetrata dalle autorità russe.
    Una nota del Consiglio Ue precisa che nell’elenco figureranno anche membri di alto rango delle forze armate di Mosca, le cui unità hanno “sistematicamente partecipato ad atti di violenza sessuale e di genere in Ucraina” tra marzo e aprile dello scorso anno, nel pieno della guerra di Russia in Ucraina. Poi ancora comandanti delle milizie sud sudanesi responsabili “dell’uso diffuso e sistematico della violenza sessuale e di genere come tattica di guerra nel Paese”, il viceministro degli affari interni in Myanmar/Birmania e infine la prigione di Qarchak in Iran, la guardia repubblicana siriana e l’ufficio del capo degli affari di sicurezza militare in Myanmar/Birmania sono sanzionati per il loro ruolo in gravi violazioni dei diritti umani sessuali e di genere. I sanzionati andranno incontro al congelamento dei beni nell’Ue e saranno soggette a un divieto di viaggio verso l’Ue. Inoltre, alle persone ed entità nell’UE sarà vietato mettere fondi a disposizione , direttamente o indirettamente, delle persone elencate.
    “In vista della Giornata internazionale della donna, passiamo dalle parole ai fatti. Non importa dove accada, combatteremo ed elimineremo tutte le forme di violenza contro le donne. Con la decisione odierna, stiamo intensificando gli sforzi per contrastare la violenza sessuale e di genere, per garantire che i responsabili siano pienamente responsabili delle loro azioni e per combattere l’impunità”, ha dichiarato l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.

    Ahead of #IWD2023, we move from words to action.
    We are sanctioning 12 individuals and entities for violence against women & girls.
    We are enhancing efforts to counter sexual & gender-based violence, to ensure that those responsible are fully accountable https://t.co/6eaNXVL1ZS
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 7, 2023

    Sono nove le persone e tre le entità che l’Unione europea inserisce nella lista nera di sanzionati a cui congelare i beni e vietare i viaggi. Per la prima volta l’Ue colpisce il reato di violenza sessuale e violenza di genera e lo annuncia alla vigilia della Giornata internazionale della donna

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    Allarme Ue sui migranti: Tajani preoccupato per la situazione tunisina, Grecia al lavoro per barriera con la Turchia

    Bruxelles – Se in Tunisia la situazione interna si fa di giorno in giorno più tesa, l’Italia non può stare a guardare. Perché il rischio, evocato oggi (20 febbraio) dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, al vertice a Bruxelles con gli omologhi dei 27 Paesi membri, è di avere “flussi migratori sempre crescenti”. Ma l’allarme per un rinnovato “panico flussi” non arriva solo da Roma: anche il governo di Atene avrebbe sollevato le proprie preoccupazioni a causa del drammatico terremoto che ha colpito Turchia e Siria, che potrebbe intensificare nei prossimi mesi la pressione al confine greco-turco.
    L’Europa si sente braccata sulle due rotte che già nel 2022 hanno registrato ingressi da record: l’anno scorso, secondo i dati dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), dai Balcani occidentali sono entrate, in modo irregolare, più di 145 mila persone migranti, mentre gli sbarchi dal Mediterraneo centrale sono stati oltre 102 mila. E già nel 2022, la maggior parte di questi erano da una parte cittadini turchi e siriani, dall’altra egiziani e tunisini.
    A Tunisi la situazione non fa che aggravarsi, con un Paese che da 11 anni vive una profonda crisi economica e politico-istituzionale: prima la pandemia e poi le conseguenze della guerra in Ucraina stanno portando lo Stato nordafricano sull’orlo della bancarotta. “Sappiamo che c’è una situazione molto complicata, stanno arrivando flussi migratori preoccupanti”, ha esordito a proposito Tajani dal Consiglio Affari esteri Ue. Per questo il ministro ha chiesto che la questione tunisina venga inserita come punto principale nell’agenda del prossimo vertice di Bruxelles, previsto il 20 marzo. Il mantra è sempre lo stesso: “Stiamo facendo in modo di avere un coinvolgimento dell’Europa sulla situazione tunisina, perché non può essere un problema solo italiano”, ha dichiarato Tajani, che in mattinata ha avuto un colloquio di una decina di minuti con l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Josep Borrell, che “si è mostrato disponibile a confrontarsi e trovare delle soluzioni”. Tajani e Borrell avrebbero ipotizzato anche di recarsi di persona a Tunisi per discutere con il presidente Kaïs Saïed.
    Nelle zone devastate dal più forte terremoto degli ultimi cento anni, che ha colpito il sud est della Turchia e il nord della Siria lo scorso 6 febbraio, secondo l’Unhcr potrebbero esserci già oltre 5 milioni di sfollati. “Siamo pronti ad ogni evenienza e il lavoro sulla recinzione di Evros sta già accelerando”, avrebbe dichiarato il ministro greco per la Protezione civile, Takis Theodorikakos, a un’emittente locale. Atene sta infatti innalzando una recinzione lungo il fiume Evros, confine naturale con la Turchia, che mette ancora una volta sotto i riflettori il dibattito che da qualche settimana sta divampando a Bruxelles, sulla necessità che sia l’Ue a finanziare le infrastrutture per proteggere i confini esterni. L’Unione europea “deve capire che i confini dell’Evros non sono solo confini della Grecia, ma anche dell’Europa”, ha ricordato Theodorikakos, che ha espresso ottimismo sul fatto che almeno alcuni Paesi Ue contribuiranno a coprire i costi.

    Il ministro degli Esteri ha chiesto a Josep Borrell di affrontare la questione dei “flussi migratori sempre crescenti” dalla Tunisia al prossimo Consiglio Affari Esteri. Da Atene l’allarme per i profughi del terremoto in Turchia e Siria: “Stiamo accelerando sulla recinzione a Evros”

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    Borrell in visita ufficiale in Marocco: in agenda il partenariato con l’Ue, non si parlerà del Qatargate

    Bruxelles – Tempismo non dei migliori, quello scelto dall’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, per compiere una visita ufficiale di due giorni in Marocco, Paese implicato nello scandalo di presunta corruzione che sta sconvolgendo il Parlamento europeo. Domani (5 gennaio) Borrell incontrerà a Rabat il Capo del Governo, Aziz Akhannouch, il Ministro degli Affari Esteri, della Cooperazione Africana e degli Espatriati marocchini, Nasser Bourita, e una delegazione di interlocutori istituzionali della società marocchina e attori economici. Il giorno seguente l’Alto rappresentante terrà un discorso a professori e studenti dell’Università euromediterranea di Fez.
    “La visita in Marocco è stata pianificata da tempo, ci sono temi di cui dobbiamo discutere”, ha dichiarato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano, cercando di spegnere sul nascere le polemiche per la scelta della Commissione Ue di non attendere le conclusioni delle indagini della magistratura belga prima di incontrare il partner mediterraneo. “Non dimentichiamoci che ci sono accuse, ma non ancora prove e conclusioni”, ha ricordato Stano riportando la posizione della Commissione, secondo cui “non si può giudicare solamente basandosi sulle accuse“.
    Non sussistono ragioni, per l’esecutivo comunitario, per cancellare una visita che sarà l’occasione per un approfondimento sull’attuazione del partenariato UE-Marocco, anche nella prospettiva della nuova Agenda mediterranea. “Il Marocco è un partner molto importante, vogliamo migliorare la cooperazione in settori di interesse reciproco, ma anche sollevare preoccupazioni da parte nostra e loro”, ha confermato ancora Peter Stano. Questioni regionali e internazionali di interesse comune e di particolare importanza nel difficile contesto globale, condizionato dalla guerra russa contro l’Ucraina.
    Josep Borrell e il ministro degli Esteri del Qatar, Al Thani
    Per il momento, il Qatargate può dunque aspettare, nonostante la richiesta del giudice istruttore Michel Claise di revocare l’immunità parlamentare all’eurodeputato Andrea Cozzolino, presidente della delegazione per le relazioni con il Magreb: “Abbiamo totale fiducia nel lavoro della magistratura belga e quando avremo i verdetti e le prove, agiremo di conseguenza“, ha concluso il portavoce dell’Alto rappresentante. Borrell che, a conferma della politica dell’esecutivo comunitario, il 20 dicembre scorso, aveva già incontrato in Giordania il ministro degli Esteri del Qatar.

    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri è in partenza per Rabat e Fez, dove incontrerà il capo del governo marocchino e terrà un discorso all’università di Fez. Sulle accuse al partner mediterraneo in merito al Qatargate, la Commissione “agirà di conseguenza quando avrà le prove e i verdetti”

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    Iran, bilaterale tra Borrell e il ministro degli esteri di Teheran a causa del “deterioramento dei rapporti” con l’Ue

    Bruxelles – Un incontro vis à vis, dopo i ripetuti colloqui telefonici delle ultime settimane. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il Ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, hanno sfruttato la seconda conferenza di Baghdad per la cooperazione e il partenariato per discutere in un bilaterale le forti divergenze che allontanano sempre di più Bruxelles e Teheran. La brutale repressione delle proteste interne messa in atto dal regime dell’ayatollah Khamenei, la vendita di droni militari alla Russia, la trattativa decennale sul nucleare iraniano: questi i temi sollevati da Borrell a margine del summit regionale, che si è tenuto oggi (20 dicembre) nella capitale del regno di Giordania, Amman.

    Necessary meeting w Iranian FM @Amirabdolahian in Jordan amidst deteriorating Iran-EU relations Stressed need to immediately stop military support to Russia and internal repression in IranAgreed we must keep communication open and restore #JCPOA on basis of Vienna negotiations
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) December 20, 2022

    Un faccia a faccia “reso necessario a causa del deterioramento delle relazioni Ue-Iran“, ha dichiarato in un tweet il capo della diplomazia europea: negli ultimi mesi la Repubblica islamica e le istituzioni europee si sono sfidate a colpi di sanzioni, in un’escalation che ha toccato il punto più alto con la decisione, presa lo scorso 23 novembre dalla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, di interrompere qualsiasi contatto tra gli europarlamentari e i loro omologhi di Teheran.
    Come ha ribadito il portavoce della Commissione europea responsabile per gli Affari esteri, Peter Stano, l’Iran “è entrato nell’agenda degli ultimi tre vertici dei 27 ministri degli Esteri Ue”, dato significativo per capire i venti che soffiano a Bruxelles sul dossier iraniano. Nell’ultimo Consiglio Affari esteri Ue, il 12 dicembre, i 27 Paesi membri hanno deciso di aggiungere alle misure restrittive anche gli alti gradi dei Pasdaran, le guardie della Rivoluzione islamica, e l’emittente televisiva statale del regime, l’Irib: ora nella lista nera di Bruxelles figurano ben 155 individui e 12 entità, soggetti al congelamento dei beni e al divieto di viaggio in territorio Ue.
    Peter Stano ha assicurato che “in ogni meeting con i partner l’Ue si prende tutto il tempo necessario per veicolare i propri messaggi”: sempre su twitter, Borrell ha reso noto di aver insistito affinché Teheran metta fine immediatamente al supporto militare al Cremlino e alla brutale repressione interna, che, secondo l’ultimo bollettino dell’ong Iran Human Rights, ha già provocato 469 vittime, tra cui 63 minori e 32 donne.
    Le trattative sul nucleare iraniano
    L’Alto rappresentante Ue avrebbe cercato di lavorare i fianchi di Amirabdollahian anche su un terzo punto: la ripresa dei dialoghi sul JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action), l’accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015 a Vienna dall’Unione europea, dall’Iran e dal gruppo dei 5+1 (Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Germania), messo in stand-by nel 2018, quando gli Stati Uniti dell’allora presidente Donald Trump hanno deciso unilateralmente di ritirarsi. “Ci siamo trovati d’accordo nel mantenere aperta la comunicazione e ripristinare il JCPOA sulla base dei negoziati di Vienna”, ha dichiarato ancora Borrell.
    Le trattative sull’intesa, che pone significative restrizioni al programma nucleare iraniano in cambio della cessazione delle sanzioni economiche imposte dalle Nazioni Unite a Teheran, sono lentamente riprese a novembre 2021 grazie al cambio di amministrazione a Washington, ma lo sforzo diplomatico per avvicinare le parti è soprattutto a carico di Bruxelles: come ha sottolineato il portavoce Peter Stano, “Borrell è il coordinatore del JCPOA, quindi è logico che incontri tutte le parti dell’accordo, specialmente nel momento in cui si cerca di riportare l’intesa a un pieno funzionamento”.

    Il capo della diplomazia europea ha incontrato Hossein Amirabdollahian a margine della seconda conferenza di Baghdad per la cooperazione e il partenariato: sul tavolo la violenta repressione delle proteste nel Paese, il sostegno militare di Teheran al Cremlino e la ripresa dei dialoghi sul programma nucleare iraniano

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    Sul rapporto tra Ue e Cina Borrell chiede “unità e realismo”, ma il Parlamento Ue è spaccato

    Bruxelles – Un dibattito dai toni tutt’altro che concilianti, quello andato in scena oggi (22 novembre) al Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo sulle relazioni Ue-Cina. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ha aperto la seduta presentando il nuovo testo, redatto dal Consiglio affari esteri lo scorso 17 ottobre, che spiega la posizione ufficiale dei 27 ministri sul rapporto con il gigante asiatico: in sintesi, la riconferma di quell’approccio realistico adottato nel 2019, secondo cui il vecchio continente “non può pensare di costruire un futuro senza tener conto dell’enorme forza di un Paese che è chiamato a svolgere nel mondo il ruolo che gli spetta, per le sue dimensioni e per la sua forza economica, indipendentemente dal fatto che abbia un sistema politico diverso dal nostro”.
    Che in altre parole significa: cooperazione e competizione economica, pugno fermo sui diritti umani, riduzione della dipendenza strategica sulle materie prime, e soprattutto maggiore unità europea sul tema. Ma se Borrell pensava di trovare una comunione di vedute nell’emiciclo di Strasburgo, torna a casa a mani vuote: “Dov’è l’unità sul dialogo con la Cina?”, ha tuonato l’alto rappresentante dopo aver ascoltato gli interventi degli europarlamentari in aula.
    Tra chi ha accusato le istituzioni Ue di complicità con il regime cinese, chi all’opposto di essere “i tirapiedi di Washington”, chi ha invocato un maggior pragmatismo nel rapporto con Pechino e chi invece ha chiesto di tagliare le relazioni con il sistema comunista del presidente Xi Jinping, il Parlamento è parso più spaccato che mai. Per questo, su un tema che “risente sicuramente di condizionamenti ideologici”, Borrell ha chiesto maggiore realismo. “Scambiamo con la Cina beni per un valore di quasi 2 miliardi di dollari al giorno”, ha ricordato il capo della diplomazia europea, “il decoupling dall’economia cinese non può essere un opzione”.
    Le questioni più dibattute sui rapporti sino-europei sono state essenzialmente due: il rischio che le relazioni con il colosso cinese si riducano a una dipendenza europea nell’approvvigionamento di materie prime fondamentali per la transizione energetica e le norme di Pechino in materia di diritti umani e del lavoro. La Cina copre oggi circa il 90 per cento della domanda europea di terre rare, e l’80 per cento dei pannelli solari utilizzati in territorio Ue è di produzione cinese: la Commissione Ue ha annunciato che presenterà una legge sulle materie prime, che dovrebbe aumentare “la resilienza interna” e evitare che “le dipendenze si trasformino in vulnerabilità”. Materie prime e semiconduttori, secondo Borrell, “rappresentano la battaglia tecnologica fondamentale nella competizione economica del ventunesimo secolo”.
    Alla presidente della sottocommissione per i diritti dell’uomo dell’Europarlamento, Maria Arena, che lo incalzava sui “lavori forzati, il regime di sorveglianza e le sanzioni agli oppositori politici” perseguiti dal governo di Xi Jinping, Josep Borrell ha risposto: “A settembre la Commissione ha presentato la proposta di regolamento che vieta l’ingresso in Ue di merci provenienti da lavoro forzato, regolamento che da allora sta aspettando l’approvazione di quest’aula”.Dal dibattito tenutosi al Parlamento europeo, appare ancora difficile immaginare un approccio unitario dell’Unione europea al dialogo con la Cina. Dialogo che non può prescindere, in ogni caso, dall’alleato a stelle e strisce, anche se Borrell rivendica maggiore indipendenza: “Gli Stati Uniti sono i nostri alleati più importanti, ma in alcuni casi la loro posizione sulla Cina è diversa dalla nostra”. Per portarla avanti però, ancora una volta, serve unità europea, “perché quello che succederà nella nostra relazione con la Cina segnerà il ventunesimo secolo”.

    Al dibattito sulle relazioni sino-europee, il capo della diplomazia Ue ha presentato il testo redatto dal Consiglio Affari Esteri lo scorso 17 ottobre. Toni accesi sulla dipendenza dalle materie prime cinesi e sul rispetto dei diritti dell’uomo nel regime di Xi Jinping, ma Borrell avvisa: “la nostra relazione con la Cina segnerà il ventunesimo secolo”