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    Stretta su potassio, acciaio e combustibili: nuove sanzioni UE contro la Bielorussia per la guerra russa in Ucraina

    Bruxelles – Di fronte a una Bielorussia sempre più ostile e allineata alla Russia di Vladimir Putin, l’UE appesantisce le sanzioni economiche contro il regime di Alexander Lukashenko. La nuova stretta è stata approvata dal Consiglio dell’UE all’interno del terzo pacchetto di misure restrittive, che comprende il blocco della propaganda e della disinformazione russa e la disconessione di sette banche dal circuito di pagamenti internazionale Swift.
    A scatenare le sanzioni UE sono state le azioni di supporto, favoreggiamento e poi di partecipazione militare della Bielorussia di Lukashenko nell’invasione russa dell’Ucraina, a scapito anche del tradizionale status di Paese non-nucleare. Il sostegno bielorusso permette al Cremlino di sparare missili balistici sul territorio ucraino dal fronte nord, oltre al trasporto di soldati, armi pesanti, carri armati e convogli militari, e a fornire punti di rifornimento e di equipaggiamento per l’areonautica russa. “Il coinvolgimento della Bielorussia avrà un prezzo elevato“, ha tuonato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Con queste misure stiamo prendendo di mira coloro che collaborano in questi attacchi contro l’Ucraina, limitando il commercio in una serie di settori-chiave”.
    La base di partenza delle sanzioni UE è il pacchetto approvato nel maggio dello scorso anno – per motivi diversi, ma in qualche modo ancora attuali, cioè la violazione del diritto internazionale – che avevano già colpito il settore dei prodotti petroliferi, del cloruro di potassio, del tabacco e delle tecnologie civili e militari. Oltre a questi, a cui è stata data un’ulteriore stretta, il Consiglio dell’UE ha messo nel mirino anche il commercio di beni utilizzati per la produzione di sostanze bituminose e prodotti di idrocarburi gassosi, di legno, di cemento, di ferro e acciaio e di gomma. La nota del Consiglio precisa che “sono state inoltre imposte ulteriori restrizioni alle esportazioni di tecnologie avanzate che potrebbero contribuire allo sviluppo militare, tecnologico, della difesa e della sicurezza della Bielorussia”.
    A 22 membri “di alto rango del personale militare bielorusso” sono state imposte misure restrittive, “in considerazione del loro ruolo nei processi decisionali e di pianificazione strategica”. Questo significa che saranno congelati i loro beni nell’UE, sarà vietato mettere a loro disposizione fondi e subiranno un divieto di viaggio e di transito sul territorio comunitario. Tra Russia e Bielorussia, la lista dei sanzionati per l’aggressione dell’Ucraina conta ora 702 individui e 53 entità, Putin e Lukashenko compresi.
    Non bisogna però dimenticare che “Lukashenko non è la Bielorussia”, come Putin non è la Russia. Lo scrive in un appello indirizzato ai giornalisti italiani la presidente legittima secondo l’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya. “I bielorussi sono contrari alla guerra, non dovrebbero assumersi la responsabilità dei crimini di Lukashenko”, si legge nella lettera, che chiede ai suoi cittadini di protestare e ai soldati di “non andare in Ucraina”. In un momento “drammatico”, l’Italia è invece invitata a mostrarsi solidale con il popolo bielorusso, oltre a quello ucraino: “So che alcuni potrebbero provare pregiudizi, ma per favore non fatevi ingannare“. Giornalisti, difensori dei diritti umani, medici e atleti che vivono nel nostro Paese “stanno con l’Ucraina” e anche questo va ricordato quando si condannano i regimi dittatoriali.

    Il Consiglio dell’UE ha incluso nel pacchetto di misure restrittive 22 responsabili del supporto bielorusso all’esercito russo e del coinvolgimento militare: colpiti nuovamente i settori-chiave dell’economia nazionale

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    La guerra parallela di Lukashenko. La Bielorussia abbandona lo status di Paese non-nucleare: può ospitare le armi russe

    Bruxelles – Da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ma senza dubbio anche prima – l’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, ha iniziato una sua personalissima guerra a fianco di Mosca, per stringere ancora di più i legami con il suo protettore Vladimir Putin. Ormai la Bielorussia sembra sempre meno uno Stato sovrano e indipendente e sempre più una succursale de facto del Cremlino, sin dall’inizio delle esercitazioni militari delle forze russe (e il loro stanziamento) sul territorio bielorusso a inizio mese. Con gli eventi delle ultime ora, però, Lukashenko ha deciso di trascinare tutto il popolo giù per una china inquietante: un referendum (farsa) ha dato il via libera alla nuova Costituzione della Bielorussia, che cancella lo status di Paese non-nucleare e permette il dispiegamento di armamenti nucleari russi sul territorio nazionale.
    La presenza militare russa in Bielorussia
    Secondo quanto rende noto la commissione elettorale centrale bielorussa, il 65,2 per cento degli elettori che si sono recati alle urne ieri (domenica 27 febbraio) ha votato a favore degli emendamenti costituzionali. Un risultato per nulla sorprendente, in linea con le volontà dell’ultimo dittatore d’Europa (se non vogliamo ancora considerare tale anche Putin) in un Paese che di democratico non ha più nulla sicuramente dalle elezioni-farsa dell’agosto 2020. Quello che cambia è però il nuovo pericolo nucleare che arriva per Minsk e per l’Europa intera dalla Bielorussia di Lukashenko, in un momento in cui l’ex-Repubblica sovietica è già una base di partenza per le truppe russe che stanno invadendo da nord l’Ucraina e dopo le dichiarazioni minacciose del Cremlino sullo stato di allerta nucleare.
    Si tratta del terzo emendamento della Carta costituzionale introdotto da Lukashenko da quanto è saluto al potere nel 1994. Ma è la prima volta in assoluto dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica che viene autorizzato il dispiegamento dell’arma nucleare sul suolo della Bielorussia. Tra le altre novità introdotte in Costituzione c’è anche una nuova Assemblea Popolare che agirà come struttura parallela al Parlamento (presieduta da Lukashenko) con ampi poteri in politica estera, di sicurezza ed economica. Proprio per Lukashenko è prevista la possibilità di essere rieletto almeno altre due volte, conferendogli la possibilità di rimanere in carica per altri  13 anni (fino alle elezioni del 2035) e l’immunità dai procedimenti giudiziari anche dopo la fine del mandato. A chiunque abbia lasciato temporaneamente il Paese negli ultimi 20 anni sarà impossibile diventare presidente della Repubblica, una misura diretta in particolare contro la leader legittima secondo l’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Nessuno in Occidente è intenzionato a riconoscere i risultati del referendum e questo aggrava ulteriormente l’isolamento del dittatore bielorusso, che ormai ha solo il Cremlino come interlocutore: “Se trasferirete le armi nucleari in Polonia o Lituania, ai nostri confini, allora mi rivolgerò a Putin per farci restituire quelle di cui ci eravamo liberati senza alcuna condizione”, ha minacciato Lukashenko le potenze europee. “La cancellazione del riferimento nell’articolo 18 allo status non-nucleare della Bielorussia è un altro elemento preoccupante”, ha condannato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, senza dimenticare il “forte sostegno a una Bielorussia indipendente, sovrana e democratica”, dove non ci siano “più di 1070 prigionieri politici e uno spazio per un autentico dibattito pubblico completamente chiuso”.
    La sala dei negoziati tra le delegazioni di Mosca e Kiev al confine tra Bielorussia e Ucraina
    Sul fronte militare, oltre alle 30 mila truppe russe di stanza a tempo indeterminato in Bielorussia, le ultime notizie dal fronte orientale – ancora non verificate – danno l’esercito bielorusso pronto a unirsi nella guerra in Ucraina “nel giro di ore”, riporta il Kyiv Independent, parlando di circa 17 mila soldati in mobilitazione. Intanto però è tutto pronto al confine tra Bielorussia e Ucraina per i colloqui tra le delegazioni di Mosca e di Kiev a Gomel. La parte ucraina è già arrivata nell’area del fiume Pripyat ed è rappresentata dal ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, e da David Arakhamia, leader del partito ‘Servitore del popolo’ del presidente, Volodymyr Zelensky. Proprio Zelensky si è detto “scettico” sulle possibilità che possa uscire qualcosa dall’incontro, ma ha aperto alla possibilità di “almeno provarci”. Nelle prossime ore si dovrebbe conoscere l’esito del confronto.
    Da Bruxelles la reazione nei confronti della minaccia nucleare della Bielorussia è stata durissima. “Il regime di Lukashenko è complice di questo feroce attacco contro l’Ucraina, perciò lo colpiremo con un nuovo pacchetto di sanzioni“, ha puntato il dito la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa di presentazione delle nuove misure restrittive contro la Russia di ieri. Il regime bielorusso condividerà le stesse sanzioni di Mosca: “Prenderemo di mira i loro settori più importanti, fermeremo le loro esportazioni di prodotti dai combustibili minerali al tabacco, legno e legname, cemento, ferro e acciaio“, ha spiegato von der Leyen, precisando che saranno estese anche alla Bielorussia “le esportazioni che abbiamo introdotto sui beni a doppio uso per la Russia”, in modo da “evitare qualsiasi rischio di elusione delle nostre misure contro Mosca”.
    Anche dal presidente francese, Emmanuel Macron, titolare della presidenza di turno del Consiglio dell’UE, è arrivato un ammonimento a Lukashenko, nel corso di una telefonata tra i due: “Il ritiro delle truppe russe dalla Bielorussia deve avvenire il più rapidamente possibile, perché stanno conducendo una guerra unilaterale e ingiusta”. Macron ha cercato di fare leva sulla “fratellanza tra i popoli bielorusso e ucraino” per instillare a Minsk il pensiero di “rifiutare di essere vassallo della Russia e complice nella guerra contro l’Ucraina“. Ma le ultime decisioni del regime non sembrano andare in questa direzione.

    Third, we will target the other aggressor in this war, Lukashenko’s regime, with a new package of sanctions, hitting their most important sectors.
    All these measures come on top of the strong package presented yesterday,agreed by our international partners. pic.twitter.com/ikN99V14zU
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 27, 2022

    È stato approvato il referendum-farsa che cancella il riferimento alla neutralità del Paese nell’articolo 18 della Costituzione. Il presidente Lukashenko sempre più isolato e dipendente da Putin, ma organizza l’incontro tra le delegazioni di Kiev e Mosca

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    La Polonia chiede un rafforzamento della NATO su tutto il fronte orientale per rispondere alle minacce russe

    Bruxelles – Ora la parola d’ordine è rafforzamento, di tutto il fronte orientale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). La richiesta è arrivata oggi (lunedì 7 febbraio) dal presidente della Polonia, Andrzej Duda, e si sposa perfettamente con l’impostazione del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, nella risposta da dare alla crescente presenza di forze militari russe sul confine con l’Ucraina. “Dovrebbe essere presa una scelta collettiva da parte dell’Alleanza per rafforzare tutto il fronte orientale“, ha sottolineato in conferenza stampa a Bruxelles il presidente polacco, al termine dell’incontro con Stoltenberg.
    A preoccupare non sono solo le “oltre 100 mila truppe lungo il confine con l’Ucraina, ma anche le circa 30 mila in Bielorussia, il più grande dispiegamento in quel Paese dai tempi della guerra fredda”, ha spiegato il segretario generale della NATO. “Questi schieramenti non sono giustificati, non sono trasparenti e sono molto vicini ai confini” dell’Alleanza. È in quest’ottica che si giustifica il rafforzamento della capacità di risposta degli alleati e la possibilità di dispiegare “nuovi gruppi tattici”sul fronte sud-orientale (Romania): “La NATO farà tutto il necessario per proteggere e difendere tutti gli alleati e l’invio di più truppe statunitensi in Polonia, Germania e Romania è una potente dimostrazione di impegno per uno schieramento difensivo e proporzionato”. Il presidente Duda si è detto preoccupato soprattutto per la presenza delle truppe russe in Bielorussia per esercitazioni: “Se non dovessero lasciare immediatamente il Paese, dovremo agire di conseguenza, perché si tratterebbe di un nuovo distretto militare ai suoi confini”.
    Sul piano del dialogo con Mosca, è stata ribadita la necessità di trovare “una soluzione politica a livello di Consiglio NATO-Russia”, ha ricordato Stoltenberg. Tuttavia, in linea con quanto definito nella lettera del 26 gennaio, “non scenderemo a compromessi sui principi fondamentali“, tra cui la difesa degli alleati e la possibilità per ogni Paese di scegliere le proprie alleanze per la sicurezza nazionale. A rendere necessaria questa precisazione è stata la dichiarazione congiunta di venerdì scorso (4 febbraio) di Russia e Cina, in cui entrambi i Paesi hanno chiesto alla NATO di smettere di ammettere nuovi membri nell’Alleanza: “Si tratta di un tentativo di negare alle nazioni sovrane il diritto di fare le proprie scelte e di ritornare a un’epoca di sfere d’influenza”, ha accusato con forza Stoltenberg.

    Met #Poland’s President @AndrzejDuda at a critical time for our security. We addressed #Russia’s build-up, and the Russia–#China statement, which calls on #NATO to bar new members. We must not return to spheres of influence where big powers tell others what they can & cannot do. pic.twitter.com/HN6TuU7Ua1
    — Jens Stoltenberg (@jensstoltenberg) February 7, 2022

    Il presidente Duda a Bruxelles
    Nel corso della sua visita a Bruxelles, il presidente polacco ha incontrato anche i presidenti della Commissione, Ursula von der Leyen, e del Consiglio UE, Charles Michel. Al centro delle discussioni la questione della sicurezza delle frontiere dell’Unione e del rafforzamento militare della Russia, compresa la necessità di un “coordinamento sulle sanzioni per rispondere a qualsiasi ulteriore escalation e anche sull’approvvigionamento energetico“, ha commentato von der Leyen.
    Punti ricordati da Michel, che si è anche soffermato sulla situazione al confine polacco – compreso il nuovo muro in costruzione lungo il confine con la Bielorussia – e la necessità di un “maggiore impegno sul rispetto dello Stato di diritto” nel Paese, in particolare sull’indipendenza della magistratura. Proprio il presidente Duda ha presentato la settimana scorsa un disegno di legge per abolire la sezione disciplinare della Corte Suprema, per tentare di risolvere lo scontro tra Varsavia e Bruxelles sul primato del diritto comunitario, scatenatosi nel luglio dello scorso anno.

    Good exchange with President @AndrzejDuda on the security situation and Russia’s military build-up.
    We are coordinating deeply our preparedness, including on energy supply, and on sanctions to respond to any further escalation. pic.twitter.com/OW8tohxKGa
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 7, 2022

    La richiesta del presidente della Polonia, Andrzej Duda, si sposa con la visione del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, per rispondere alle minacce di Mosca: “Faremo tutto il necessario per difendere gli alleati”

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    Il “vergognoso traguardo” dei mille prigionieri politici in Bielorussia: “Riflesso della continua repressione del regime”

    Bruxelles – A distanza di un anno e mezzo dalle elezioni-farsa in Bielorussia e l’inizio del movimento di protesta contro l’ultimo dittatore d’Europa, Alexander Lukashenko, c’è un dato che spiega in tutta la sua drammaticità la situazione interna nel Paese: il numero di prigionieri politici detenuti nelle carceri bielorusse ha raggiunto quota mille “e continua a crescere”.
    A denunciarlo è il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), che in un nota firmata dal portavoce Peter Stano: “Questo vergognoso traguardo riflette la continua repressione del regime di Lukashenko contro la sua stessa popolazione”. Ai prigionieri politici bisogna poi aggiungere le migliaia di oppositori che sono fuggiti dalla Bielorussia per evitare le persecuzioni, tra cui la presidente e guida ad interim riconosciuta dall’Unione, Sviatlana Tsikhanouskaya, che oggi vive in Lituania.
    Tra i prigionieri politici detenuti in Bielorussia ci sono Maria Kolesnikova e Maksim Znak, membri del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione condannati rispettivamente a 11 e 10 anni di carcere, il marito della leader Tsikhanouskaya, Siarhei Tsikhanouski, imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali e condannato a 18 anni, e Ales Bialiatski, uno dei vincitori del Premio Sakharov 2020 dell’UE e fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna. L’accusa di Bruxelles è senza giri di parole: “Il regime di Lukashenko continua a detenere e imprigionare persone in condizioni spaventose“, esponendole a “maltrattamenti e torture” e condannandole a “lunghe pene detentive in processi politici condotti a porte chiuse”.
    “In Bielorussia lo spazio per l’opposizione politica democratica e le attività dei media liberi e indipendenti è stato drasticamente chiuso”, ha ricordato Stano. Da febbraio dello scorso anno anche la stampa è finita nel mirino del regime Lukashenko, quando le giornaliste Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova sono state condannate a due anni di carcere con l’unica colpa di aver effettuato riprese della manifestazione in memoria dell’attivista Raman Bandarenka. A maggio era stato chiuso il sito di notizie indipendente TUT.BY e per arrestare il giornalista e oppositore politico Roman Protasevich era stato dirottato il volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk.
    Anche difendere legalmente i prigionieri politici è diventato pericoloso in Bielorussia, dal momento in cui “a più di 40 avvocati è stata revocata la licenza” dopo essersi schierati al fianco dei loro diritti. Per tutti questi motivi è stato ribadito con forza sia l’imperativo di “rispettare gli impegni e gli obblighi internazionali”, sia la richiesta di “rilascio immediato e incondizionato” di tutti i prigionieri politici.

    Belarus: shameful milestone 👉number of political prisoners reached 1000 & crackdown by Lukashenko against his own people continues. 🇧🇾 must adhere to intl commitments in 🇺🇳 & @OSCE. 🇪🇺 calls for immediate & unconditional release of all political prisoners https://t.co/DtPfMI4ibN
    — Peter Stano (@ExtSpoxEU) January 27, 2022

    Duro affondo dell’UE contro il regime guidato da Alexander Lukashenko: “Detiene e imprigiona persone in condizioni spaventose, esponendole a maltrattamenti e torture e facendole condannare a lunghe pene”

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    Un report dell’ONU conferma che l’allarme bomba sul volo Ryanair dirottato in Bielorussia era “deliberatamente falso”

    Bruxelles – Dopo un’inchiesta approfondita, durata quasi sette mesi, è arrivato il responso dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO): “l’allarme bomba” lanciato da Minsk il 23 maggio dello scorso anno per dirottare il volo Ryanair Atene-Vilnius in Bielorussia è stato “deliberatamente falso”. Lo ha messo nero su bianco l’agenzia delle Nazioni Unite in un report su cui si baseranno le decisioni del Consiglio dell’ICAO nella riunione del 31 gennaio prossimo sulle possibili violazioni del diritto internazionale dell’aviazione da parte della Bielorussia di Alexander Lukashenko.
    Il giornalista e oppositore politico bielorusso Roman Protasevich, arrestato dopo il dirottamento del volo Ryanair su Minsk
    “Durante i controlli prima della partenza ad Atene e dopo varie perquisizioni dell’aereo in Bielorussia e Lituania, non è stata trovata né una bomba né prove della sua esistenza“, è la spiegazione dell’agenzia ONU, che smonta la giustificazione di Minsk di interferire nelle operazioni del velivolo FR4978 del vettore Ryanair. A seguito del dirottamento era stato arrestato il giornalista e oppositore politico bielorusso Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega, che stavano viaggiando in direzione della capitale lituana. A seguito di questi eventi l’Unione Europea aveva imposto la chiusura dello spazio aereo alla compagnia di bandiera bielorussa Belavia e il lancio di sanzioni economiche contro il Paese.
    Secondo la ricostruzione dell’ICAO, l’allarme bomba risulterebbe “deliberatamente falso” anche per una  questione di tempistiche. Nel giro di tre minuti – tra le 11:25 e le 11:28, fuso orario italiano – cinque e-mail erano state inviate agli aeroporti di Vilnius, Atene, Sofia, Bucarest e Minsk (a quello Kiev invece alle 11:34, cinque minuti dopo che il velivolo aveva lasciato lo spazio aereo ucraino). Il testo, uguale per tutte le mail, era attribuito a “soldati di Hamas” che chiedevano il cessate il fuoco da parte di Israele nella Striscia di Gaza e la fine del sostegno da parte dell’UE a Tel Aviv: se non fossero state soddisfatte le richieste “la bomba che abbiamo piazzato sul volo FR4978 esploderà il 23 maggio sopra Vilnius”, causando la morte dei partecipanti del Delphi Economic Forum di ritorno da Atene. L’organizzazione palestinese Hamas ha sempre negato ogni coinvolgimento nella vicenda.
    Non appena il velivolo Ryanair aveva lasciato l’Ucraina, il controllore dello spazio aereo della Bielorussia si era messo in contatto con il comandante del volo, avvertendolo del pericolo e sostenendo che l’informazione era stata ricevuta da “diversi aeroporti”. Il problema è che nel caso di Atene e di Kiev le mail non siano mai state ricevute, mentre tutti gli altri Paesi hanno confermato che le autorità aeroportuali competenti avevano visualizzato il testo solo minuti o ore più tardi. “Non è stato possibile stabilire come il controllore sapesse che le e-mail erano state condivise con diversi aeroporti“, si legge nel rapporto, anche per il fatto che lo stesso responsabile per lo spazio aereo bielorusso “non era disponibile per essere intervistato durante l’indagine conoscitiva” dell’ICAO.
    Il velivolo FR4978 di Ryanair dirottato su Minsk (23 maggio 2021)
    Nonostante la mancanza di spiegazioni, informazioni e supporto da parte della Bielorussia alle indagini sul dirottamento del volo Ryanair con materiale utile (come le registrazioni delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto di Minsk, o i tabulati telefonici tra le autorità aeroportuali e il controllore dello spazio aereo bielorusso), gli investigatori dell’agenzia ONU non sono riusciti ad attribuire la commissione dell’atto di interferenza illegale “a nessuno Stato”. Sulla base di questo rapporto preparato dal segretario generale dell’Organizzazione, Fang Liu, il Consiglio ICAO presieduto da Salvatore Sciacchitano dovrà ora decidere se e come procedere nei confronti di queste violazioni del diritto internazionale dell’aviazione, in particolare sulla “comunicazione consapevole di informazioni false che mettono in pericolo la sicurezza di un aereo in volo”.
    La leader dell’opposizione a Lukashenko e presidente ad interim della Bielorussia riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha sottolineato in un tweet che il rapporto ICAO “mostra che il regime ha cercato di nascondere i fatti sull’incidente”. Dal momento in cui il documento “conferma anche che la verità è dalla parte dei bielorussi, non del dittatore” Lukashenko, l’agenzia ONU “dovrebbe adottare una linea dura per impedire agli autocrati di ripetere tali incidenti” e “la questione deve essere sollevata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.

    The @icao report shows that the regime tried to hide facts about the @Ryanair incident. It also confirms – the truth is on the side of Belarusians, not the dictator. ICAO should take a hard line to prevent autocrats to repeat such incidents. The issue must be raised by the #UNSC. pic.twitter.com/4EliMZhAZd
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 19, 2022

    L’indagine dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile conferma che “non c’erano prove” che giustificassero l’azione del 23 maggio 2021. Mancano spiegazioni, ma “non è stata riscontrata interferenza illegale da parte di nessuno Stato”

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    Soldati russi in Kazakistan per aiutare il regime a reprimere le proteste. L’UE temporeggia (e fa male)

    Bruxelles – In Kazakistan sono stati paracadutati i soldati russi dell’alleanza militare guidata da Mosca per aiutare il regime a reprimere le proteste in corso da sabato scorso (1 gennaio) e per l’UE è una notizia tutt’altro che rassicurante. Non lo è sotto due aspetti: per prima cosa, il caso dell’Ucraina dovrebbe aver dimostrato che quando la Russia invia soldati in un Paese confinante è per rispondere a mire egemoniche e territoriali. Ma soprattutto perché il Kazakistan rappresenta un attore geopolitico chiave sul piano energetico e in particolare per i piani (divisivi) di transizione verde dell’UE: non solo per l’estrazione di gas naturale – risorsa fondamentale nel pieno della crisi energetica globale – ma anche per le aspirazioni sul nucleare della Commissione Europea e di parte degli Stati membri. Senza dimenticare l‘accordo rafforzato di partenariato e cooperazione UE-Kazakistan, che fa di quella kazaka la repubblica ex sovietica con cui il blocco dei Ventisette vanta relazioni approfondite.
    Insomma, l’UE rischia di perdere il Kazakistan. Avrebbe tutti gli interessi per alzare la voce sul coinvolgimento russo nel Paese, ma al momento temporeggia. “Prendiamo nota della richiesta di assistenza al Trattato di Sicurezza Collettiva per un periodo di tempo limitato e per stabilizzare la situazione. Questo intervento deve rispettare la sovranità del Paese“, ha commentato oggi (giovedì 6 gennaio) la portavoce della Commissione UE, Nabila Massrali, durante il punto quotidiano con la stampa. “Continuiamo a seguire la situazione delicata in corso in Kazakistan, l’Unione Europea è pronta a sostenere il dialogo per arrivare a una risoluzione pacifica della situazione”.
    Proteste ad Almaty, Kazakistan
    L’UE monitora la situazione, ma intanto il Cremlino si è attivato attraverso l’alleanza composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. L’obiettivo è quello di sostenere il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev a riprendere il controllo del Paese, dopo l’ondata di violenze che ha travolto Almaty, la città più grande del Kazakistan, e la capitale Nur-Sultan (Astana, fino a marzo 2019). A scatenare il disordine è stata la decisione del governo di eliminare il limite massimo al prezzo del GPL, facendo lievitare i prezzi del carburante. Ad Almaty si stanno riunendo da giorni migliaia di manifestanti, con duri scontri con le forze dell’ordine: ieri (mercoledì 5 gennaio) è stata assaltata la sede del governo locale.
    La risposta del presidente Tokayev è stata particolarmente dura. Dopo aver sciolto l’esecutivo, ha dichiarato lo stato di emergenza – che prevede coprifuoco e limitazioni di libertà di assemblea – ha ordinato alle forze di sicurezza di reprimere proteste “nel modo più duro possibile”, ha bloccato l’accesso a Internet su tutto il territorio nazionale e infine ha assunto personalmente la guida del Consiglio di Sicurezza, (l’organo che si occupa di questioni militari e di sicurezza), togliendola a Nursultan Nazarbayev, l’ex-presidente kazako dal 1990 al 2019. Come gesto estremo ha invocato l’aiuto del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) contro le “azioni di terroristi e banditi”, subito approvato dall’alleanza e a cui ha dato una risposta sul campo la Russia di Vladimir Putin.
    A far temere interessi che vanno aldilà della solidarietà dell’alleanza in Asia centrale è la concomitanza di eventi con la crisi a un’altra frontiera della Russia, quella ucraina. A causa di un possibile intervento di Mosca nel Paese, l’alto rappresentante UE per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, si è recato sulla frontiera orientale dell’Ucraina per ribadire il sostegno di Bruxelles alla sovranità dell’Ucraina, e anche l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si è mobilitata: per domani è previsto un vertice straordinario dei ministri degli Esteri NATO e mercoledì prossimo (12 gennaio) si terrà la riunione del Consiglio NATO-Russia.
    Il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev
    Mosca si muove su diversi scenari strategici e sembra essere preoccupata dall’incapacità del presidente kazako di tenere sotto controllo le proteste in un Paese alleato a livello militare ed economico (partner dell’Unione eurasiatica, con Bielorussia, Armenia e Kirghizistan), che dal crollo del regime sovietico non ha praticamente mai assistito a forme di dissenso organizzato di dimensioni rilevanti. Se l’ondata di violenze è scattata a causa dell’aumento dei prezzi del gas, è facile comprendere che si tratta solo dell’ultima goccia in un vaso ormai colmo dopo tre decenni di autoritarismo: come riportano fonti di The Guardian, i manifestanti chiedono riforme politiche, elezioni libere ed eque, opportunità di lavoro, migliori condizioni di vita e la fine del regime nepotista e corrotto. La stabilità politica che ha conosciuto il Kazakistan dal 1990 a oggi è stata frutto di un dominio incontrastato dell’ex presidente Nazarbayev (leader post-sovietico più longevo, a cui è stato dedicato il nuovo nome della capitale), che solo dal 2019 ha iniziato a passare il testimone del potere ai suoi uomini più fidati.
    Un ultimo parallelismo che si può facilmente delineare – e che ancora una volta coinvolge le mire egemoniche russe – è quello con la Bielorussia di Alexander Lukashenko. Anche in questo caso l’ultimo dittatore d’Europa è ininterrottamente al potere da decenni (dal 1995) e da agosto del 2020 sta reprimendo nel sangue le proteste dell’opposizione, grazie al sostegno militare e finanziario del Cremlino. Se in entrambi i Paesi le proteste sono scoppiate in modo dirompente dopo anni di autoritarismo e con rivendicazioni di diritti civili e politici, il Kazakistan presenta però alcune differenze che rischiano di far naufragare le speranze di democrazia.
    Prima di tutto la violenza delle proteste (mai verificatasi in Bielorussia) ha dato una scusa alla Russia per intervenire in modo formale, attraverso l’attivazione di una clausola dell’alleanza. In secondo luogo, l’eliminazione sistematica di qualsiasi astro nascente dell’opposizione ha lasciato il movimento di protesta privo di figure carismatiche attorno alle quali unirsi. L’opposizione bielorussa invece ha sempre potuto contare sulla voce forte e ascoltata a livello internazionale della presidente riconosciuta dall’UE, Sviatlana Tsikhanouskaya, che in queste ore ha preso posizione sulla questione kazaka: “L’invio di truppe è un’ingerenza militare negli affari di un altro Stato e Lukashenko non ha nessun mandato per inviare truppe bielorusse”.
    Infine, a differenza del caso bielorusso, nei confronti del Kazakistan l’UE sta mantenendo un atteggiamento attendista. “Pur riconoscendo il diritto a manifestazioni pacifiche, l’Unione Europea si aspetta che esse rimangano non violente ed evitino qualsiasi incitamento alla violenza”, si legge in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Intanto però non viene rispettata quella richiesta di “proporzionalità nell’uso della forza” da parte delle autorità kazake e la Russia muove le proprie pedine nell’area centro-asiatica. Mentre i leader europei dovranno trovare una linea comune con la NATO sulla situazione sul confine ucraino e non dimenticare il sostegno all’opposizione bielorussa, per l’UE è già tempo di ragionare su come affrontare le ingerenze russe in Kazakistan, se non vuole già dire addio a una parte dei propri piani sulla transizione verde.

    Belarus troops deployed to 🇰🇿 participate in an armed intervention into internal affairs of a sovereign state. Lukashenka lost legitimacy & has no mandate to make such decisions, especially when they threaten the sovereignty of Belarus itself. We call for dialogue in 🇰🇿. pic.twitter.com/MelHdjID7f
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) January 6, 2022

    Si tratta di una nuova fonte di preoccupazione per Bruxelles, dopo la crisi in Ucraina: il Kazakistan è un attore geopolitico fondamentale per la transizione verde dell’UE, sia per il gas sia per il nucleare

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    Tra sanzioni, violazioni dei diritti umani e traffico di migranti: l’anno in cui i rapporti tra UE e Bielorussia si sono frantumati

    Bruxelles – È difficile pensare a un anno più tormentato per le relazioni tra l’UE e un Paese terzo. Dopo le elezioni-farsa a Minsk dell’agosto 2020, nemmeno a Bruxelles ci si aspettava che tra la Bielorussia e l’Unione Europea non solo calasse il gelo, ma che si aprisse uno scontro diplomatico la cui fine non si riesce ancora a intravedere.
    Che le relazioni tra Minsk e Bruxelles fossero ormai irrimediabilmente incrinate si era capito già da tempo, almeno da quando l‘Unione Europea aveva dichiarato “illegale” l’insediamento dell’autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, riconoscendo nella leader dell’opposizione, Sviatlana Tsikhanouskaya, la presidente eletta e guida ad interim del Paese. Tuttavia, aldilà delle denunce e delle prese di posizione, alla fine del 2020 l’azione delle istituzioni europee non era sembrata così decisa per sostenere il popolo bielorusso oppresso da quello che viene definito “l’ultimo dittatore d’Europa”. Fatta eccezione per i tre pacchetti di sanzioni contro il regime e l’assegnazione del Premio Sakharov per la libertà di pensiero ai leader dell’opposizione.
    Il dirottamento dell’aereo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk da parte delle autorità bielorusse (23 maggio 2021)
    Ma dopo mesi di silenzio da parte dell’Unione Europea – in cui la repressione delle proteste pacifiche e del dissenso in Bielorussia è comunque continuata senza sosta (come ha recentemente ricordato Tsikhanouskaya alla plenaria del Parlamento UE) – la crisi è scoppiata il 23 maggio con il dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk. L’azione bollata come “terrorismo di Stato” da parte dei leader UE è stata voluta dallo stesso dittatore bielorusso per arrestare il giornalista e oppositore politico, Roman Protasevich, che stava viaggiando su quell’aereo. La risposta di Bruxelles è stata la chiusura dello spazio aereo alla compagnia di bandiera bielorussa, Belavia, e il lancio di sanzioni economiche contro il Paese.
    Da quel momento i rapporti tra Unione Europea e Bielorussia si sono disintegrati, complice anche la fragilità del regime di Lukashenko, messo in crisi dalle misure restrittive di un importante partner commerciale quale è l’UE. Come un animale accecato da una ferita, il dittatore si è reso ancora più dipendente dal presidente russo, Vladimir Putin, annunciando poi la sospensione della propria partecipazione al Partenariato orientale e giocandosi la carta che sarebbe diventata dominante nei mesi a seguire: una nuova rotta migratoria aperta artificialmente dal regime bielorusso verso le frontiere dell’Unione.
    La questione era stata sollevata per la prima volta dai Paesi baltici al Consiglio Europeo di giugno, ma allora erano in pochi ad aver capito che la rotta bielorussa avrebbe creato non pochi problemi ai Paesi membri UE. Già a inizio luglio l’incremento di arrivi irregolari di persone migranti in Lituania e Lettonia era stato esponenziale rispetto agli anni precedenti, ma per tutta l’estate il flusso è costantemente aumentato e ha coinvolto anche la Polonia. I leader dell’Unione Europea hanno iniziato a parlare di una “guerra ibrida” condotta dal dittatore della Bielorussia, caratterizzata dall’organizzazione di viaggi per i cittadini dei Paesi del Medio Oriente e dall’Africa subsahariana verso Minsk e di lì verso le frontiere dell’UE.
    Idranti usati dai soldati polacchi contro le persone migranti bloccate alla frontiera con la Bielorussia (16 novembre 2021)
    La mossa di Lukashenko è stata ben calcolata, dal momento in cui sapeva di toccare uno dei tasti più delicati dell’Unione: quello delle divisioni interne nella gestione dei flussi migratori. Non è un caso se i Paesi di frontiera hanno iniziato subito a destinare fondi per la costruzione di barriere di filo spinato e muri, introducendo stati di emergenza e zone rosse che hanno reso inaccessibili a giornalisti e ONG i confini con la Bielorussia. In particolare in Polonia, si sono iniziati a registrare una serie di pushback (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea), mentre a Bruxelles si aprivano duri scontri tra istituzioni comunitarie e tra eurodeputati su come affrontare la crisi: il tema prevalente è diventato presto la possibilità di destinare fondi comunitari per il finanziamento di muri al confine con la Bielorussia.
    Alla fine è passata la linea del ‘no’ della Commissione: “Nel proteggere l’Unione va comunque rispettato il principio di non-respingimento e la possibilità di richiedere la protezione internazionale ai valichi di frontiera”, ha ribadito alla plenaria del Parlamento UE di novembre l’alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell (anche se solo un mese dopo è stato proprio l’esecutivo UE a proporre la sospensione di alcune regole sull’asilo e la migrazione in Polonia, Lituania e Lettonia). Bruxelles si è concentrata su tre direttrici di intervento per cercare di risolvere la crisi lungo la rotta bielorussa: convincere i Paesi di origine delle persone migranti a interrompere i voli verso Minsk, inviare aiuti umanitari alla frontiera e colpire con un nuovo pacchetto di sanzioni i responsabili del favoreggiamento della tratta di migranti per scopi politici. Una tattica che al momento sembra aver tamponato una situazione che non è mai stata disperata in termini numerici – mai più di diecimila persone migranti in tutto il territorio bielorusso, secondo le stime più negative – ma lo stesso non si può dire in termini umani.
    La leader bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, e il presidente del Parlamento UE, David Sassoli (24 novembre 2021)
    In tutti questi mesi di crisi alla frontiera l’errore che però l’Unione Europea ha commesso spesso è stato quello di dimenticare la situazione interna in Bielorussia (anche questo era uno degli obiettivi di Lukashenko). Nel Paese si contano almeno 882 prigionieri politici, un regime del terrore che ha messo in ginocchio non solo l’opposizione, ma anche qualsiasi voce critica e il giornalismo indipendente. In ordine temporale, gli ultimi a essere condannati sono stati Maria Kolesnikova e Maksim Znak, membri del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa, e il marito della leader Tsikhanouskaya, Siarhei Tsikhanouski, imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali). Dietro le sbarre c’è anche Ales Bialiatski, uno dei vincitori del Premio Sakharov e fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna.
    La leader bielorussa Tsikhanouskaya, presidente eletta riconosciuta dall’UE, ha spiegato dettagliatamente quali sono i passi per non far passare invano un altro anno: isolamento del regime, limitazioni alle risorse e rafforzamento della resistenza democratica. Se era difficile pensare a un anno più tormentato per le relazioni tra l’Unione Europea e la Bielorussia, non risulta molto più semplice immaginare come evolverà la situazione nel 2022. Una delle poche certezze è che Bruxelles dovrebbe iniziare a dare più ascolto alle voci che lottano contro il regime di Lukashenko dall’interno, o rischierà di essere messa di nuovo in crisi su piani che fatica a gestire e che scavano divisioni ancora più profonde all’interno dell’Unione.

    Dopo le elezioni-farsa dell’agosto dello scorso anno, nel 2021 è scoppiata la crisi tra Bruxelles e Minsk. Dopo le sanzioni economiche imposte dall’UE, Lukashenko ha risposto aprendo una nuova rotta migratoria. Ma rimane drammatica anche la situazione dell’opposizione nel Paese

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    La risposta di Europol al favoreggiamento sui social media del traffico di persone migranti dalla Bielorussia

    Bruxelles – È arrivata una prima risposta da Europol alla richiesta della Commissione Europea di coordinare un’azione contro il traffico di persone migranti dalla Bielorussia alle frontiere dell’Unione. Secondo quanto reso noto dall’Ufficio europeo di polizia, sono stati individuati 455 account sui social media che favoreggiano l’immigrazione irregolare, attraverso la pubblicizzazione online della vendita di documenti d’identità, passaporti e visti contraffatti o servizi di trasporto illegale.
    Con questa operazione su larga scala il Centro europeo per il traffico di migranti (EMSC) di Europol – insieme all’Unità di riferimento Internet dell’Unione europea (EU IRU), all’interno del Centro europeo antiterrorismo (ECTC) – ha coordinato l’azione di contrasto contro il traffico di esseri umani in Bielorussia, coinvolgendo anche le autorità di Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Polonia e Germania. Il fulcro delle attività è stata la raccolta di contenuti e dati sui social media che promuovono i servizi di immigrazione per i cittadini di Paesi terzi, in particolare del Medio Oriente e dell’Africa subsahariana.
    Dal momento in cui la rotta bielorussa è “fortemente pubblicizzata” alle persone migranti sui social media e sulle applicazioni di messaggistica istantanea (“il che rappresenta un fattore di attrazione significativo”, spiega la nota di Europol), i 455 account sono stati segnalati ai fornitori di servizi online con la richiesta di esaminarli per violazione dei termini di servizio. “L’uso improprio di queste piattaforme online” da parte dei trafficanti è considerato un fattore decisivo per il “grande aumento delle partenze e degli attraversamenti irregolari” delle frontiere dell’Unione. 
    La questione del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare dalla Bielorussia è al centro dell’attività di Europol e delle altre agenzie UE a supporto dei Paesi di frontiera: l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) per l’elaborazione delle domande di asilo e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) per le attività di controllo delle frontiere e di rimpatrio. Dallo scorso 23 novembre anche gli operatori di trasporto complici della tratta delle persone migranti sono stati inseriti nella lista delle sanzioni UE contro il regime bielorusso di Alexander Lukashenko.

    L’Ufficio europeo di polizia ha individuato e segnalato 455 account che pubblicizzano sulle piattaforme online la vendita di documenti contraffatti e servizi di trasporto illegali per cittadini di Paesi terzi che vogliono entrare nell’UE