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    Dai russi in fuga dalla mobilitazione agli scontri Azerbaigian-Armenia. L’Asia centrale rischia di diventare una polveriera

    Bruxelles – Ora l’Ue deve guardare sempre più a Est, anche oltre il conflitto russo sul territorio dell’Ucraina. Perché se l’Asia centrale e il Caucaso da anni sono teatro di un’instabilità cronica, gli sconvolgimenti dell’equilibrio e dell’ordine internazionale degli ultimi sette mesi di guerra in Europa potrebbero rendere le due regioni delle polveriere pronte a scoppiare. Dalla Georgia al Kazakistan, dall’Armenia all’Azerbaigian, le tensioni militari e le pressioni migratorie determinate dalla mobilitazione dei riservisti dell’esercito russo rischiano di aumentare le tensioni anche nei Paesi più vicini politicamente all’Unione Europea.
    Uno dei potenziali detonatori dell’instabilità nel Caucaso e nell’Asia centrale è la decisione del 21 settembre dell’autocrate russo, Vladimir Putin, di richiamare alle armi 300 mila riservisti per proseguire una guerra in Ucraina che sta fallendo su quasi tutti gli obiettivi per cui è stata scatenata. Nemmeno la reazione della popolazione russa è stata in linea con quanto prospettato dal Cremlino, con le prime crepe di dissenso che si sono aperte in reazione alla mobilitazione parziale: oltre alle proteste in piazza soffocate dalle autorità, è iniziato un piccolo esodo (non per le dimensioni in sé, ma in rapporto ai 144 milioni di abitanti della Federazione Russa) di cittadini fuori dalle frontiere nazionali, per evitare di essere arruolati e finire sul fronte in Ucraina. Mettendo insieme le cifre riportate dai Paesi confinanti, si arriva a contare oltre 370 mila persone fuggite oltreconfine, più del numero dei riservisti richiamati alle armi.
    In Kazakistan sono già arrivati più di 200 mila russi, in Georgia oltre 90 mila, in Mongolia circa 15 mila e 66 mila nell’Unione Europea – di cui 53 mila solo nell’ultima settimana, come riporta Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) – in particolare nei valichi di frontiera di Finlandia, Estonia e Lettonia, ma anche di Polonia e Lituania dall’exclave russa di Kaliningrad. Le nuove politiche restrittive di Bruxelles per la concessione di visti ai cittadini della Federazione Russa rischiano ora di creare ulteriore pressione sui Paesi dell’Asia centrale e del Caucaso che contano pochi milioni di abitanti (fatta eccezione per il Kazakistan, con 18 milioni). In Georgia fanno ingresso quasi 10 mila russi al giorno, creando difficoltà nella gestione della solidarietà sul territorio di uno Stato da 3,7 milioni di abitanti (la migrazione russa rappresenta già il 2,5 per cento della popolazione), che guarda verso l’adesione all’Unione Europea ma che nel frattempo si trova ad affrontare una secessione di due autoproclamate Repubbliche – l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia – sostenute da migliaia di soldati di Mosca dopo l’operazione militare del 2008.
    Una pressione migratoria avvertita non solo nel Caucaso, ma anche in Asia centrale. Il Kirghizistan (6,6 milioni di abitanti, non confinante con la Russia) ha accolto oltre 30 mila cittadini russi – più i lavoratori kirghisi di ritorno – dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina e con la mobilitazione militare di Putin il numero è destinato ad aumentare ulteriormente. Per quanto riguarda il Kazakistan, invece, si rischia una nuova destabilizzazione dopo le proteste di inizio gennaio contro il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev, represse con l’intervento proprio di Mosca attraverso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (alleanza militare composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan). La questione è legata soprattutto alle richieste che oggi il Cremlino potrebbe fare agli alleati ex-sovietici e il loro impatto sulle società dell’Asia centrale: temendo ripercussioni sulla stabilità, al momento non è stato chiesto loro di riconoscere l’annessione delle quattro regioni occupate in Ucraina né di sostenere la guerra. Ma la mobilitazione parziale rischia di stracciare l’equilibrio di neutralità mantenuto per sette mesi, dal momento in cui anche i kazaki, uzbeki, tagiki o kirghisi con un passaporto russo potrebbero essere arruolati dal Cremlino, ma in patria andrebbero incontro alla giustizia penale (combattere per un Paese straniero è un reato). Un’altra fonte di preoccupazione è dettata dal fatto che non sembra più inverosimile che Putin decida di scatenare altre guerre per ‘proteggere’ la componente etnica russa negli Stati confinanti in cui si sono rifugiati i renitenti alla leva.
    Dall’Asia centrale al Caucaso, a rendere ancora più tesa la situazione geopolitica ai confini meridionali della Russia c’è la nuova ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che prosegue ininterrottamente dal 13 settembre scorso, quando Erevan e Baku si sono accusate a vicenda di bombardamenti alle postazioni e alle infrastrutture militari. Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio, si tratta della prima vera violazione cessate il fuoco negoziato nel novembre del 2020. I nuovi combattimenti tra i due Paesi caucasici rappresentano un grosso problema anche per i tentativi di mediazione di Bruxelles. Dallo scorso 22 maggio sono iniziati i contatti di alto livello tra il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, che oggi (giovedì 6 ottobre) si incontreranno a Praga nel corso della prima riunione della Comunità Politica Europea.
    Le tregue temporanee finora negoziate non sono riuscite a porre fine a un conflitto congelato che si protrae dal 1992, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020. In sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (che invece è a maggioranza musulmana). Da quest’anno l’Ue è subentrata alla Russia come mediatrice tra le due parti, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Ma nelle ultime settimane, mentre l’Ue ha stretto accordi strategici con l’Azerbaigian per affrontare le conseguenze energetiche della guerra in Ucraina, l’Armenia si è appellata alla Russia per affrontare l’aggravarsi della crisi armata, in virtù del Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza tra i due Paesi.

    Alla vigilia della prima riunione della Comunità Politica Europea a Praga (a cui parteciperanno anche Armenia, Azerbaigian e Georgia), l’Ue deve fare attenzione alla situazione incandescente nella regione asiatica determinata dalle pressioni migratorie e militari

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    L’Ue avverte Armenia e Azerbaigian sugli scontri di confine: “Imperativo cessare ostilità e tornare al tavolo dei negoziati”

    Bruxelles – Il fronte di guerra congelato nel Caucaso rischia ancora una volta di diventare caldissimo. Nella notte tra lunedì 12 e martedì 13 settembre si sono registrati nuovi scontri armati tra Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh, in una replica delle violazioni del cessate il fuoco e sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio. Questa volta però Erevan e Baku si accusano a vicenda di bombardamenti alle postazioni e alle infrastrutture militari, spezzando davvero per la prima volta il cessate il fuoco negoziato nel novembre del 2020.
    “È imperativo che le ostilità cessino e che si torni al tavolo dei negoziati, tutte le forze dovrebbero tornare alle posizioni occupate prima di questa escalation e il cessate il fuoco dovrebbe essere pienamente rispettato”, ha avvertito l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in una nota. Come ha reso noto lo stesso Borrell, il rappresentante speciale dell’Ue per il Caucaso meridionale, Toivo Klaar, si recherà “immediatamente” nelle due capitali “per sostenere la necessaria distensione e per discutere le prossime tappe del processo di dialogo di Bruxelles tra i leader armeni e azeri”.
    Mentre l’alto rappresentante Borrell si è messo in contatto con i due ministri degli Esteri, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha telefonato al presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, e al premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, per ribadire alle due parti che “non c’è alternativa alla pace e alla stabilità, e non c’è alternativa alla diplomazia per garantirle”. La soluzione è sempre la stessa – “serve un cessate il fuoco completo e sostenibile” – che superi la soluzione temporanea negoziata due anni fa dalla Russia e che, con le vicende sul fronte ucraino, non rendono più Mosca un partner affidabile per il rispetto dell’ordine internazionale nel Caucaso. “L’Ue si impegna a continuare ad agire come onesto mediatore tra Armenia e Azerbaigian“, ha ribadito senza mezzi termini Borrell, con l’obiettivo di rendere la regione del Caucaso meridionale “sicura, prospera e in pace”.

    Reports about fighting on the #Armenia – #Azerbaijan border are extremely worrying.
    Need a complete and sustainable ceasefire.
    There is no alternative to peace and stability – and there is no alternative to diplomacy to ensure that.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) September 13, 2022

    Così come era successo a fine maggio, gli scontri di frontiera tra i soldati di Erevan e Baku rischiano di rappresentare un grosso problema non solo per i rapporti tra i due Paesi, ma anche per i tentativi di mediazione di Bruxelles. Dallo scorso 22 maggio sono iniziati i contatti di alto livello tra il numero uno del Consiglio Ue, il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan, per tentare di raggiungere un accordo di pace definitivo nel Nagorno-Karabakh. Si cerca di andare oltre le tregue temporanee finora negoziate, per porre fine a un conflitto congelato che si protrae dal 1992, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020. In sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaijan (che invece è a maggioranza musulmana).
    In particolare da quest’anno l’Ue è subentrata alla Russia come mediatrice tra le due parti, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Il 24 maggio si era tenuta la prima “storica” riunione delle due commissioni di frontiera, il cui compito è quello di trovare una soluzione definitiva e condivisa per garantire la stabilità e la sicurezza lungo il confine. Ma proprio questa notte l’Armenia si è appellata alla Russia – in virtù del Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza tra i due Paesi – per affrontare l’aggravarsi della crisi con l’Azerbaigian. Uno scenario che, sommato all’assenza di una vera volontà politica da parte dei due governi per cercare una soluzione sostenibile, potrebbe riabilitare la Russia come attore sullo scacchiere internazionale e mettere la parola ‘fine’ sui complessi sforzi diplomatici dell’Unione Europea.

    Dopo la ripresa degli scontri tra Erevan e Baku nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha ribadito la posizione di Bruxelles come “onesto mediatore”. Contatti del presidente del Consiglio, Charles Michel, con i leader di entrambi i Paesi

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    L’Unione europea sigla un accordo con l’Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas entro il 2027

    Bruxelles – 20 per cento. E’ la quota di gas russo proveniente da gasdotto che l’Unione europea ha importato quest’anno da Mosca. Un livello molto inferiore rispetto al 40 per cento (circa 150 miliardi di metri cubi di gas) che in media ha importato negli ultimi anni, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo di affrancare l’UE dagli idrocarburi russi. Bruxelles punta “a compensare” quel 20 per cento, diversificando i suoi fornitori e a tale scopo la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha siglato oggi (18 luglio) un protocollo d’intesa con l’Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas naturale azero ad almeno 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027.
    “Con questo protocollo d’intesa, stiamo aprendo un nuovo capitolo nella nostra cooperazione energetica con l’Azerbaigian, un partner chiave nei nostri sforzi per abbandonare i combustibili fossili russi”, ha detto in conferenza stampa a Baku la presidente dell’esecutivo, affiancata dal presidente azero Ilham Aliyev. L’UE sta cercando fornitori alternativi alla Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca e la decisione assunta a livello politico di dire addio ai combustibili fossili importati dalla Russia al più tardi entro il 2027. Secondo la Commissione europea, l’Azerbaigian sta già aumentando le consegne di gas naturale nell’UE da 8,1 miliardi di metri cubi registrati a fine 2021 a 12 miliardi di metri cubi previsti nel 2022, si legge nella nota dell’Esecutivo comunitario.
    Il corridoio meridionale del gas
    Il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio arriva in Europa attraverso il corridoio meridionale del gas, il Southern Gas Corridor, una vera e propria infrastruttura di approvvigionamento di gas naturale dalle regioni del Caspio e del Medio Oriente all’Europa, che si basa su tre componenti principali: il South Caucasus Pipeline (SCP), il gasdotto che segue la rotta dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e arriva fino al confine tra Georgia e Turchia; il gas azero, dopo essere arrivato in Turchia, prosegue poi attraverso il TANAP (Trans Anatolian Pipeline) al confine turco-greco a Kipoi, che attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico; prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia) attraverso il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline).
    Proprio il Tap avrà un ruolo particolarmente importante per l’aumento dei flussi di gas azero, dal momento che è l’ultimo tratto del Corridoio meridionale del gas che va dalla Grecia all’Italia, e Bruxelles prevede la necessità di lavori aggiuntivi per aumentare i flussi dagli attuali 8,1 miliardi di metri cubi registrati a fine 2021 ai 12 del prossimo anno”, ha spiegato un funzionario europeo spiegando i dettagli dell’accordo. A novembre sono previsti i primi “stress test” per comprendere le potenzialità di aumento di flussi attraverso l’infrastruttura che, in quanto progetto di interesse comune europeo (PCI) è stato finanziato con sovvenzioni europee e lo stesso sarà per i lavori aggiuntivi.
    Dato l’obiettivo di aumentare i volumi di gas, il memorandum contiene anche un impegno a ridurre le emissioni di metano lungo l’intera catena di approvvigionamento del gas. Il metano è tra i peggiori gas inquinanti atmosferici che contribuisce ai cambiamenti climatici: intrappola più calore rispetto alla CO2, ma si decompone nell’atmosfera più rapidamente, quindi impegnarsi per tagliare queste emissioni dovrebbe avere un impatto più rapido sul surriscaldamento globale. Non solo gas, Bruxelles punta su Baku anche in termini di energia pulita, in particolare nell’eolico offshore e nell’idrogeno verde. Con il memorandum, ha riferito von der Leyen, “stiamo gettando le basi per una solida cooperazione in quell’area. Quindi, gradualmente, l’Azerbaigian si evolverà dall’essere un fornitore di combustibili fossili a diventare un partner di energia rinnovabile molto affidabile e importante per l’Unione Europea”.
    Von der Leyen parla dell’Azerbaigian come di un partner “affidabile” dal punto di vista energetico. Lo stesso aveva detto, appena un mese fa, dell’Egitto, quando era volata al Cairo a metà giugno per siglare un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. Nel quadro del suo piano ‘RepowerEu’ per liberarsi dagli idrocarburi in arrivo da Mosca, Bruxelles stima che sarà necessario aumentare le sue importazioni di gas da fonti non russe, principalmente gas naturale liquefatto (+50 miliardi di metri cubi), ma anche gas proveniente da gasdotto (+10 bcm) visti i limiti infrastrutturali di molti Paesi membri UE che dispongono di pochi rigassificatori sul proprio territorio. L’UE ha già siglato un accordo con gli Stati Uniti per la consegna di almeno 15 miliardi di metri cubi di Gnl nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno almeno fino al 2030. Cresce l’insicurezza dell’Ue sugli approvvigionamenti di gas dal momento che è iniziata la scorsa settimana la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino a giovedì 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre.

    Fino a 20 miliardi di metri cubi di gas entro cinque anni. Baku “partner cruciale”, dice la presidente von der Leyen, per la diversificazione degli approvvigionamenti all’Europa e in particolare per l’Italia. Bruxelles mette in conto nuovi lavori sul tratto del gasdotto Tap (Trans Atlantic Pipeline) per portare i flussi dagli attuali 8 miliardi di metri cubi a 12 già il prossimo anno

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    Von der Leyen vola in Azerbaigian, l’UE cerca l’intesa per raddoppiare la capacità del gasdotto TAP

    Bruxelles – Se all’inizio dell’invasione dell’Ucraina un’interruzione “grave” delle forniture di gas russo all’Europa era solo possibile, oggi l’Unione europea è sempre più certa che ci sarà, e dunque accelera il lavoro per diversificare i fornitori di energia. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e la sua commissaria per l’energia, Kadri Simson, voleranno oggi (18 luglio) in Azerbaigian per “rafforzare ulteriormente la cooperazione esistente” tra i due partner. Cooperazione soprattutto energetica, di fronte a un possibile taglio alle forniture di gas dal principale fornitore all’Europa, la Russia.
    Del viaggio a Baku dell’esecutivo comunitario aveva parlato per la prima volta lo scorso 27 giugno la commissaria Simson, al termine di un Consiglio dei ministri europei dell’energia in cui si era mostrata preoccupata della possibilità concreta di vedersi tagliare completamente il gas dalla Russia. Bruxelles si prepara dunque a siglare un memorandum d’intesa con l’Azerbaigian per aumentare le importazioni di gas provenienti dalla regione. “Il corridoio meridionale del gas ha un ruolo centrale da svolgere nell’approvvigionamento di gas naturale dell’Ue, in particolare per l’Europa sudorientale“, si legge in una nota dell’esecutivo comunitario in cui è stata comunicata la traversata.
    Il memorandum dovrebbe spianare la strada al raddoppio della capacità del Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto TAP che trasporta in Europa il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio. Il gasdotto è lungo 878 km e si collega con il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) al confine turco-greco a Kipoi, attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico, prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia). Con il completamento della costruzione del TAP il 31 dicembre 2020, l’Azerbaigian ha iniziato le forniture commerciali di gas all’Europa attraverso il Southern Gas Corridor, il corridoio meridionale del gas, una rotta di approvvigionamento di gas naturale dalle regioni del Caspio e del Medio Oriente all’Europa. La rotta dall’Azerbaigian all’Europa è costituita dal gasdotto del Caucaso meridionale (SCPX), Gasdotto Trans Anatolico (TANAP) e dal TAP.
    Il corridoio meridionale del gas
    Il TAP a gennaio 2022 ha erogato circa 8 miliardi di metri cubi standard, con la previsione di raggiungere i 10 miliardi di metri cubi nell’estate 2022. Le trattative con l’Azerbaigian sono iniziate già lo scorso febbraio – nell’ottica di diminuire la dipendenza delle forniture dalla Russia, da cui provengono il 40 per cento delle importazioni di gas all’Europa – per aumentare la capacità di erogazione massima da 10 miliardi di metri cubi l’anno a circa 20, raddoppiandone quindi la capacità.
    A metà giugno Bruxelles aveva già siglato un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. L’insicurezza per ulteriori tagli alla fornitura di gas russo è aumentata questa settimana quando è iniziata la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino al 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre. A quanto riferito da Bruxelles, l’Ue e l’Azerbaigian stanno anche lavorando insieme per costruire un partenariato a lungo termine sull’energia pulita e l’efficienza energetica e negoziando un nuovo accordo globale, che consentirà una cooperazione rafforzata in un’ampia gamma di settori, tra cui la diversificazione economica, gli investimenti e il commercio.

    La presidente della Commissione europea oggi a Baku insieme alla commissaria per l’Energia, Kadri Simson. Si punta a raddoppiare i flussi ad almeno 20 miliardi di metri cubi annui entro il 2027, nell’ottica dei piani di diversificazione dei fornitori di gas dalla Russia