More stories

  • in

    L’Ue non demorde sulla mediazione tra Azerbaigian e Armenia. Michel riceve i due leader e definisce l’agenda

    Bruxelles – Continua la missione impossibile dell’Unione Europea nella regione del Caucaso meridionale, alla ricerca di una pace complicatissima tra Armenia e Azerbaigian. “L’Ue non ha un’agenda nascosta, il nostro unico obiettivo è aiutare l’Armenia e l’Azerbaigian a raggiungere una pace completa ed equa“, è stato il commento del presidente del Consiglio, Charles Michel, al termine del nuovo round di discussioni di alto livello a Bruxelles insieme al presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Praga il 6 ottobre 2022 (credits: Ludovic Marin / Afp)
    Quello di ieri (14 maggio) è stato il quinto incontro trilaterale nel dialogo tra Baku e Yerevan mediato dall’Unione: “I nostri scambi sono stati franchi, aperti e orientati ai risultati”, ha sottolineato Michel, cercando di mettere in evidenza i punti più positivi in agenda, in un momento particolarmente delicato per gli equilibri nel Caucaso meridionale. Il numero uno del Consiglio Ue ha chiesto di “compiere passi decisivi verso la firma di un accordo di pace globale” tra Armenia e Azerbaigian, a partire da una serie di nuovi incontri a Bruxelles “tutte le volte che sarà necessario”. In calendario è già fissato un nuovo appuntamento tra i tre leader “a luglio”, mentre il primo giugno a margine del secondo vertice della Comunità Politica Europea a Chișinău (Moldova) “ci incontreremo insieme al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz” (lo stesso invito arriverà al terzo vertice di Granada in ottobre).
    Per quanto riguarda le discussioni sul tavolo, la sfida è enorme se si guarda al quadro generale. È dal 1992 che si protrae in quest’area del Caucaso meridionale un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. È per questo che la delimitazione dei confini rimane una delle questioni più complesse da mettere a terra, auspicabile solo attraverso la “ripresa degli incontri bilaterali concordata” da Aliyev e Pashinyan: “La delimitazione definitiva del confine sarà concordata attraverso i negoziati”, ha ribadito Michel. Più nello specifico nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è necessario garantire “diritti e sicurezza agli armeni che vivono nell’ex-provincia autonoma del Nagorno-Karabakh”. Baku è stata incoraggiata a “impegnarsi nello sviluppo di un’agenda positiva” ed entrambe le parti ad “astenersi dalla retorica ostile, impegnarsi in buona fede e mostrare leadership per raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili”.
    Tra gli altri temi affrontati anche le questioni umanitarie sulle persone scomparse, lo sminamento e il rilascio dei detenuti “nelle prossime settimane”, con la tutela dell’intesa “sul fatto che i soldati che hanno attraversato il confine continueranno a essere rilasciati attraverso una procedura rapida”. Nonostante il constante conflitto a bassa intensità le due parti hanno compiuto “chiari progressi nelle discussioni volte a sbloccare i trasporti e i collegamenti economici nella regione“, ha reso noto Michel, parlando di posizioni che “si sono avvicinate molto”, in particolare per quanto riguarda la riapertura dei collegamenti ferroviari attraverso la Repubblica Autonoma del Nakhchivan, enclave azera in Armenia.
    Un anno di difficile mediazione Ue tra Armenia e Azerbaigian
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente Michel ha cercato di rendere sempre più frequenti i contatti diretti con il leader azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan. La priorità dei colloqui di alto livello è sempre stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale (attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati) il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Da 154 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la risposta secca dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere sempre garantiti”.

    Dopo gli ultimi colloqui di ottobre 2022 con il presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan, il numero uno del Consiglio li ha ricevuti a Bruxelles per un confronto su confini, questioni umanitarie e diritti in Nagorno-Karabakh: “Vogliamo una pace completa ed equa”

  • in

    Le mosse dell’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh irritano Bruxelles: “Posti di blocco unilaterali non riducono le tensioni”

    Bruxelles – Mentre l’attenzione internazionale è focalizzata sull’invasione russa in Ucraina e sulle tensioni tra Cina e Taiwan, un altro fronte di conflitto a bassa intensità da un anno è sempre attivo e, nonostante gli intensi sforzi diplomatici da parte delle istituzioni comunitarie, non sembra trovare alcuna via di risoluzione. “Il posto di blocco unilaterale dell’Azerbaigian lungo il corridoio di Lachin è contrario agli appelli dell’Ue a ridurre le tensioni e a risolvere le questioni con il dialogo”, ha denunciato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a proposito delle recenti decisioni sul piano militare di Baku nel Nagorno-Karabakh.
    È dal 12 dicembre dello scorso anno che l’Azerbaigian ha bloccato in modo informale (attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati) il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Da 136 giorni su questa strada sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile, e gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa. Ma con la decisione di domenica scorsa (23 aprile) è stata formalizzata la chiusura del collegamento strategico tra l’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) e l’Armenia. Baku ha giustificato la creazione del posto di blocco con la volontà di impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh, “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”.
    L’irritazione a Bruxelles è legata al fatto che, nonostante l’impegno a “promuovere la pace e la stabilità nel Caucaso meridionale”, da un anno i due interlocutori – e in particolare l’Azerbaigian – continuano a non mostrare una seria volontà per la de-escalation: “I diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh devono essere garantiti“, ha ribadito senza mezzi termini l’alto rappresentante Ue Borrell. Guardando al quadro più ampio, è dal 1992 che si protrae in quest’area del Caucaso meridionale un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh.
    Cosa sta succedendo tra Azerbaigian e Armenia
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente della Francia, Emmanuel Macron, il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Praga il 6 ottobre 2022 (credits: Ludovic Marin / Afp)
    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio dello scorso anno il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha reso sempre più frequenti i contatti diretti con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, sul terreno non si è mai allentata la tensione. Nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici.

    L’alto rappresentante Josep Borrell ha denunciato la presenza permanente di soldati azeri nel corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia per gli abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh: “È contrario agli appelli dell’Ue a risolvere le questioni con il dialogo”

  • in

    In Armenia sarà dispiegata una missione civile dell’Ue per stabilizzare il confine con Azerbaigian e il Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – L’impegno dell’Unione Europea per sostenere gli sforzi diplomatici tra Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh diventa concreto. I ministri degli Affari Esteri dei Paesi membri Ue hanno stabilito oggi (23 gennaio) di istituire una missione civile dell’Unione Europea in Armenia nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di “contribuire alla stabilità nelle zone di confine, rafforzare la fiducia sul terreno e garantire un ambiente favorevole agli sforzi di normalizzazione” dei due Paesi caucasici. È da quasi un anno che Bruxelles sta cercando di prendere le redini della diplomazia nel Caucaso meridionale, ma la situazione sul campo continua a deteriorarsi e al momento non si vede una via d’uscita alla crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    La missione civile Euma “avvia una nuova fase dell’impegno dell’UE nel Caucaso meridionale, verso una pace sostenibile”, ha rimarcato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando la decisione del Consiglio dell’Ue di continuare a sostenere e rendere più efficaci gli sforzi di allentamento della tensione tra Armenia e Azerbaigian. Dopo il dispiegamento di 40 esperti di monitoraggio dalla missione in Georgia (Eumm) a metà ottobre e i 176 pattugliamenti fino al 19 dicembre, a Bruxelles è stato dato il via libera al mandato della nuova missione civile dell’Ue in Armenia (inizialmente di due anni) con a capo Stefano Tomat, amministratore delegato della capacità civile di pianificazione e condotta del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae).
    In risposta alla richiesta dell’Armenia “l’Euma effettuerà pattugliamenti di routine e riferirà sulla situazione”, ha precisato in una nota l’alto rappresentante Borrell, aggiungendo che la missione “contribuirà anche agli sforzi di mediazione nel quadro del processo guidato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel“. Dal maggio dello scorso anno l’Unione Europea ha preso il posto della Russia come mediatrice tra Armenia e Azerbaigian, sia lungo il confine sia nella regione del Nagorno-Karabakh. Nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è dal 1992 che si protrae un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh.

    We establish today a civilian EU Mission in Armenia #EUMA, to contribute to stability, build confidence & ensure an environment conducive to normalisation efforts between Armenia & Azerbaijan.
    It launches a new phase in our South Caucasus engagement, towards sustainable peace. https://t.co/lLJFN04pee pic.twitter.com/dS50l1UQ0P
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) January 23, 2023

    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio il presidente del Consiglio Ue Michel ha reso sempre più frequenti i contatti diretti con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Tuttavia, mentre a Bruxelles si gioca la partita diplomatica, sul campo non si è mai allentata la tensione: nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra i due Paesi caucasici, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan (22 maggio 2022)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte del principale mediatore internazionale ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Il compromesso iniziale è stato raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, durante il vertice bilaterale tra il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan mediato dal presidente francese, Emmanuel Macron, e del Consiglio Ue Michel. A pochi giorni dalla fine della missione dei 40 esperti a dicembre, la situazione si è ulteriormente aggravata nel Nagorno-Karabakh. Il 12 dicembre l’Azerbaigian ha bloccato il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh: da 43 giorni su questa strada non transitano più beni essenziali come cibo e farmaci, ma Baku ha tagliato anche l’erogazione di gas e acqua potabile.
    L’appello degli eurodeputati sul Nagorno-Karabakh
    Proprio sulla crisi umanitaria in atto nel Nagorno-Karabakh è arrivata la denuncia del Parlamento Europeo la scorsa settimana durante la sessione plenaria a Strasburgo. La risoluzione approvata dagli eurodeputati ha accusato Baku per le “tragiche conseguenze” del blocco del corridoio di Lachin da parte di “sedicenti ambientalisti”, che viola la tregua del novembre 2020. Considerata “l’inerzia” della diplomazia russa nella regione e l’impossibilità per gli armeni dell’enclave di accedere a beni essenziali e fonti energetiche – case, ospedali e scuole sono senza riscaldamento – il Parlamento Ue ha intimato all’Azerbaigian di “riaprire immediatamente” la strada e ad “astenersi dal compromettere il funzionamento dei collegamenti di trasporto, energia e comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh”.
    In questo contesto è considerata necessaria la sostituzione dei peacekeeper russi con forze di pace internazionali dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) su mandato delle Nazioni Unite, così come un ruolo attivo da parte dell’Unione Europea nel “partecipare attivamente” e “garantire che gli abitanti del Nagorno-Karabakh non siano più tenuti in ostaggio dall’attivismo di Baku, dal ruolo distruttivo della Russia e dall’inattività del gruppo di Minsk”. L’obiettivo ultimo è “un accordo di pace globale, che deve garantire i diritti e la sicurezza della popolazione armena” nell’enclave in Azerbaigian, che ne tuteli i diritti e la metta al riparo dalla “retorica incendiaria che invoca la discriminazione nei confronti degli armeni” perché lascino la regione.

    Il Consiglio dell’Ue ha deciso di istituire la missione Euma con l’obiettivo di “garantire un ambiente favorevole” agli sforzi diplomatici per la normalizzazione dei rapporti dei due Paesi caucasici. Oltre 120 mila persone nell’enclave armena sono tagliate dal mondo esterno da quasi 50 giorni

  • in

    L’Ue dispiegherà 40 esperti sul confine Armenia-Azerbaigian per monitorare la situazione di conflitto nella regione

    Bruxelles – L’Unione Europea interviene concretamente negli sforzi diplomatici sul campo per tentare di trovare una soluzione al conflitto tra Armenia e Azerbaigian. I 27 ministri degli Esteri Ue hanno dato il via libera oggi (lunedì 17 ottobre) al dispiegamento di 40 esperti di monitoraggio lungo il lato armeno del confine tra i due Paesi del Caucaso meridionale, con l’obiettivo di “monitorare, analizzare e riferire” sulla situazione di conflitto politico e militare nella regione.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    La decisione di oggi mette a terra il compromesso raggiunto lo scorso 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, durante il vertice bilaterale tra il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan (mediato dal presidente francese, Emmanuel Macron, e del Consiglio Ue, Charles Michel), il primo dopo lo scoppio delle violenze di confine iniziate più di un mese fa. Il dispiegamento dei 40 esperti Ue lungo il confine “mira a creare fiducia in una situazione instabile che mette a rischio vite umane e compromette il processo di risoluzione del conflitto”, si legge in una nota dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Questa è un’altra prova del pieno impegno dell’Ue nel contribuire all’obiettivo finale di raggiungere una pace sostenibile nel Caucaso meridionale“.
    Dallo scorso 13 settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra, dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio. Le tregue temporanee negoziate – compresa quella del novembre 2020 – non sono mai riuscite a porre fine a un conflitto congelato che si protrae dal 1992, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno Karabakh, enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano). Negli ultimi mesi l’Unione Europea ha preso il posto della Russia come mediatrice e ha posto come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi: entro la fine di ottobre si dovrebbe svolgere la prossima riunione delle commissioni di confine.
    Con lettera ricevuta dall’alto rappresentante Borrell il 22 settembre il ministero degli Esteri dell’Armenia aveva invitato l’Ue a dispiegare esperti civili lungo il confine di Stato. Venerdì scorso (14 settembre) era arrivata a Yerevan la missione di valutazione tecnica, in preparazione delle discussioni del Consiglio Affari Esteri di oggi a Lussemburgo a proposito dell’invio dei 40 esperti. La missione di monitoraggio avrà “carattere temporaneo e in linea di principio non durerà più di due mesi“, specifica la nota del Consiglio dell’Ue. Per garantirne il “rapido dispiegamento”, i 40 esperti saranno dislocati “temporaneamente”dalla missione di monitoraggio dell’Ue in Georgia, con “misure operative per non compromettere la propria capacità” nel Paese caucasico che ha fatto domanda di adesione all’Unione.
    La decisione è stata dettata dall’urgenza del momento (una missione apposita avrebbe richiesto tempi troppo lunghi per i preparativi), anche in considerazione della situazione generale nel Caucaso meridionale e nell’Asia centrale e l’influenza calante della Russia di Putin. L’Armenia fa parte dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (alleanza militare composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan) e ha siglato un Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza con la Russia, ed è per questo che la presenza Ue a Yerevan e lungo il lato armeno del confine con l’Azerbaigian assume un significato non di poco conto per il rafforzamento del ruolo di Bruxelles come attore politico e mediatore nella regione.

    Welcome rapid deployment of monitoring capacity in 🇦🇲 along its international border with 🇦🇿 following meeting with @azpresident @NikolPashinyan & @EmmanuelMacron
    Will help build confidence & allow EU to better support border commissions which will convene shortly in Brussels.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) October 17, 2022

    La decisione è arrivata dopo il vertice bilaterale del 6 ottobre a Praga tra il presidente azero, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan, mediato dal presidente francese, Emmanuel Macron, e del Consiglio Ue, Charles Michel. Gli esperti arriveranno dalla missione in Georgia

  • in

    Dai russi in fuga dalla mobilitazione agli scontri Azerbaigian-Armenia. L’Asia centrale rischia di diventare una polveriera

    Bruxelles – Ora l’Ue deve guardare sempre più a Est, anche oltre il conflitto russo sul territorio dell’Ucraina. Perché se l’Asia centrale e il Caucaso da anni sono teatro di un’instabilità cronica, gli sconvolgimenti dell’equilibrio e dell’ordine internazionale degli ultimi sette mesi di guerra in Europa potrebbero rendere le due regioni delle polveriere pronte a scoppiare. Dalla Georgia al Kazakistan, dall’Armenia all’Azerbaigian, le tensioni militari e le pressioni migratorie determinate dalla mobilitazione dei riservisti dell’esercito russo rischiano di aumentare le tensioni anche nei Paesi più vicini politicamente all’Unione Europea.
    Uno dei potenziali detonatori dell’instabilità nel Caucaso e nell’Asia centrale è la decisione del 21 settembre dell’autocrate russo, Vladimir Putin, di richiamare alle armi 300 mila riservisti per proseguire una guerra in Ucraina che sta fallendo su quasi tutti gli obiettivi per cui è stata scatenata. Nemmeno la reazione della popolazione russa è stata in linea con quanto prospettato dal Cremlino, con le prime crepe di dissenso che si sono aperte in reazione alla mobilitazione parziale: oltre alle proteste in piazza soffocate dalle autorità, è iniziato un piccolo esodo (non per le dimensioni in sé, ma in rapporto ai 144 milioni di abitanti della Federazione Russa) di cittadini fuori dalle frontiere nazionali, per evitare di essere arruolati e finire sul fronte in Ucraina. Mettendo insieme le cifre riportate dai Paesi confinanti, si arriva a contare oltre 370 mila persone fuggite oltreconfine, più del numero dei riservisti richiamati alle armi.
    In Kazakistan sono già arrivati più di 200 mila russi, in Georgia oltre 90 mila, in Mongolia circa 15 mila e 66 mila nell’Unione Europea – di cui 53 mila solo nell’ultima settimana, come riporta Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) – in particolare nei valichi di frontiera di Finlandia, Estonia e Lettonia, ma anche di Polonia e Lituania dall’exclave russa di Kaliningrad. Le nuove politiche restrittive di Bruxelles per la concessione di visti ai cittadini della Federazione Russa rischiano ora di creare ulteriore pressione sui Paesi dell’Asia centrale e del Caucaso che contano pochi milioni di abitanti (fatta eccezione per il Kazakistan, con 18 milioni). In Georgia fanno ingresso quasi 10 mila russi al giorno, creando difficoltà nella gestione della solidarietà sul territorio di uno Stato da 3,7 milioni di abitanti (la migrazione russa rappresenta già il 2,5 per cento della popolazione), che guarda verso l’adesione all’Unione Europea ma che nel frattempo si trova ad affrontare una secessione di due autoproclamate Repubbliche – l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia – sostenute da migliaia di soldati di Mosca dopo l’operazione militare del 2008.
    Una pressione migratoria avvertita non solo nel Caucaso, ma anche in Asia centrale. Il Kirghizistan (6,6 milioni di abitanti, non confinante con la Russia) ha accolto oltre 30 mila cittadini russi – più i lavoratori kirghisi di ritorno – dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina e con la mobilitazione militare di Putin il numero è destinato ad aumentare ulteriormente. Per quanto riguarda il Kazakistan, invece, si rischia una nuova destabilizzazione dopo le proteste di inizio gennaio contro il regime del presidente Kassym-Jomart Tokayev, represse con l’intervento proprio di Mosca attraverso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (alleanza militare composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan). La questione è legata soprattutto alle richieste che oggi il Cremlino potrebbe fare agli alleati ex-sovietici e il loro impatto sulle società dell’Asia centrale: temendo ripercussioni sulla stabilità, al momento non è stato chiesto loro di riconoscere l’annessione delle quattro regioni occupate in Ucraina né di sostenere la guerra. Ma la mobilitazione parziale rischia di stracciare l’equilibrio di neutralità mantenuto per sette mesi, dal momento in cui anche i kazaki, uzbeki, tagiki o kirghisi con un passaporto russo potrebbero essere arruolati dal Cremlino, ma in patria andrebbero incontro alla giustizia penale (combattere per un Paese straniero è un reato). Un’altra fonte di preoccupazione è dettata dal fatto che non sembra più inverosimile che Putin decida di scatenare altre guerre per ‘proteggere’ la componente etnica russa negli Stati confinanti in cui si sono rifugiati i renitenti alla leva.
    Dall’Asia centrale al Caucaso, a rendere ancora più tesa la situazione geopolitica ai confini meridionali della Russia c’è la nuova ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian, che prosegue ininterrottamente dal 13 settembre scorso, quando Erevan e Baku si sono accusate a vicenda di bombardamenti alle postazioni e alle infrastrutture militari. Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio, si tratta della prima vera violazione cessate il fuoco negoziato nel novembre del 2020. I nuovi combattimenti tra i due Paesi caucasici rappresentano un grosso problema anche per i tentativi di mediazione di Bruxelles. Dallo scorso 22 maggio sono iniziati i contatti di alto livello tra il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, che oggi (giovedì 6 ottobre) si incontreranno a Praga nel corso della prima riunione della Comunità Politica Europea.
    Le tregue temporanee finora negoziate non sono riuscite a porre fine a un conflitto congelato che si protrae dal 1992, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020. In sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (che invece è a maggioranza musulmana). Da quest’anno l’Ue è subentrata alla Russia come mediatrice tra le due parti, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Ma nelle ultime settimane, mentre l’Ue ha stretto accordi strategici con l’Azerbaigian per affrontare le conseguenze energetiche della guerra in Ucraina, l’Armenia si è appellata alla Russia per affrontare l’aggravarsi della crisi armata, in virtù del Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza tra i due Paesi.

    Alla vigilia della prima riunione della Comunità Politica Europea a Praga (a cui parteciperanno anche Armenia, Azerbaigian e Georgia), l’Ue deve fare attenzione alla situazione incandescente nella regione asiatica determinata dalle pressioni migratorie e militari

  • in

    L’Ue avverte Armenia e Azerbaigian sugli scontri di confine: “Imperativo cessare ostilità e tornare al tavolo dei negoziati”

    Bruxelles – Il fronte di guerra congelato nel Caucaso rischia ancora una volta di diventare caldissimo. Nella notte tra lunedì 12 e martedì 13 settembre si sono registrati nuovi scontri armati tra Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh, in una replica delle violazioni del cessate il fuoco e sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio. Questa volta però Erevan e Baku si accusano a vicenda di bombardamenti alle postazioni e alle infrastrutture militari, spezzando davvero per la prima volta il cessate il fuoco negoziato nel novembre del 2020.
    “È imperativo che le ostilità cessino e che si torni al tavolo dei negoziati, tutte le forze dovrebbero tornare alle posizioni occupate prima di questa escalation e il cessate il fuoco dovrebbe essere pienamente rispettato”, ha avvertito l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in una nota. Come ha reso noto lo stesso Borrell, il rappresentante speciale dell’Ue per il Caucaso meridionale, Toivo Klaar, si recherà “immediatamente” nelle due capitali “per sostenere la necessaria distensione e per discutere le prossime tappe del processo di dialogo di Bruxelles tra i leader armeni e azeri”.
    Mentre l’alto rappresentante Borrell si è messo in contatto con i due ministri degli Esteri, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha telefonato al presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, e al premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, per ribadire alle due parti che “non c’è alternativa alla pace e alla stabilità, e non c’è alternativa alla diplomazia per garantirle”. La soluzione è sempre la stessa – “serve un cessate il fuoco completo e sostenibile” – che superi la soluzione temporanea negoziata due anni fa dalla Russia e che, con le vicende sul fronte ucraino, non rendono più Mosca un partner affidabile per il rispetto dell’ordine internazionale nel Caucaso. “L’Ue si impegna a continuare ad agire come onesto mediatore tra Armenia e Azerbaigian“, ha ribadito senza mezzi termini Borrell, con l’obiettivo di rendere la regione del Caucaso meridionale “sicura, prospera e in pace”.

    Reports about fighting on the #Armenia – #Azerbaijan border are extremely worrying.
    Need a complete and sustainable ceasefire.
    There is no alternative to peace and stability – and there is no alternative to diplomacy to ensure that.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) September 13, 2022

    Così come era successo a fine maggio, gli scontri di frontiera tra i soldati di Erevan e Baku rischiano di rappresentare un grosso problema non solo per i rapporti tra i due Paesi, ma anche per i tentativi di mediazione di Bruxelles. Dallo scorso 22 maggio sono iniziati i contatti di alto livello tra il numero uno del Consiglio Ue, il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan, per tentare di raggiungere un accordo di pace definitivo nel Nagorno-Karabakh. Si cerca di andare oltre le tregue temporanee finora negoziate, per porre fine a un conflitto congelato che si protrae dal 1992, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020. In sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaijan (che invece è a maggioranza musulmana).
    In particolare da quest’anno l’Ue è subentrata alla Russia come mediatrice tra le due parti, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Il 24 maggio si era tenuta la prima “storica” riunione delle due commissioni di frontiera, il cui compito è quello di trovare una soluzione definitiva e condivisa per garantire la stabilità e la sicurezza lungo il confine. Ma proprio questa notte l’Armenia si è appellata alla Russia – in virtù del Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza tra i due Paesi – per affrontare l’aggravarsi della crisi con l’Azerbaigian. Uno scenario che, sommato all’assenza di una vera volontà politica da parte dei due governi per cercare una soluzione sostenibile, potrebbe riabilitare la Russia come attore sullo scacchiere internazionale e mettere la parola ‘fine’ sui complessi sforzi diplomatici dell’Unione Europea.

    Dopo la ripresa degli scontri tra Erevan e Baku nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha ribadito la posizione di Bruxelles come “onesto mediatore”. Contatti del presidente del Consiglio, Charles Michel, con i leader di entrambi i Paesi

  • in

    L’Unione europea sigla un accordo con l’Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas entro il 2027

    Bruxelles – 20 per cento. E’ la quota di gas russo proveniente da gasdotto che l’Unione europea ha importato quest’anno da Mosca. Un livello molto inferiore rispetto al 40 per cento (circa 150 miliardi di metri cubi di gas) che in media ha importato negli ultimi anni, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo di affrancare l’UE dagli idrocarburi russi. Bruxelles punta “a compensare” quel 20 per cento, diversificando i suoi fornitori e a tale scopo la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha siglato oggi (18 luglio) un protocollo d’intesa con l’Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas naturale azero ad almeno 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027.
    “Con questo protocollo d’intesa, stiamo aprendo un nuovo capitolo nella nostra cooperazione energetica con l’Azerbaigian, un partner chiave nei nostri sforzi per abbandonare i combustibili fossili russi”, ha detto in conferenza stampa a Baku la presidente dell’esecutivo, affiancata dal presidente azero Ilham Aliyev. L’UE sta cercando fornitori alternativi alla Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca e la decisione assunta a livello politico di dire addio ai combustibili fossili importati dalla Russia al più tardi entro il 2027. Secondo la Commissione europea, l’Azerbaigian sta già aumentando le consegne di gas naturale nell’UE da 8,1 miliardi di metri cubi registrati a fine 2021 a 12 miliardi di metri cubi previsti nel 2022, si legge nella nota dell’Esecutivo comunitario.
    Il corridoio meridionale del gas
    Il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio arriva in Europa attraverso il corridoio meridionale del gas, il Southern Gas Corridor, una vera e propria infrastruttura di approvvigionamento di gas naturale dalle regioni del Caspio e del Medio Oriente all’Europa, che si basa su tre componenti principali: il South Caucasus Pipeline (SCP), il gasdotto che segue la rotta dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e arriva fino al confine tra Georgia e Turchia; il gas azero, dopo essere arrivato in Turchia, prosegue poi attraverso il TANAP (Trans Anatolian Pipeline) al confine turco-greco a Kipoi, che attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico; prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia) attraverso il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline).
    Proprio il Tap avrà un ruolo particolarmente importante per l’aumento dei flussi di gas azero, dal momento che è l’ultimo tratto del Corridoio meridionale del gas che va dalla Grecia all’Italia, e Bruxelles prevede la necessità di lavori aggiuntivi per aumentare i flussi dagli attuali 8,1 miliardi di metri cubi registrati a fine 2021 ai 12 del prossimo anno”, ha spiegato un funzionario europeo spiegando i dettagli dell’accordo. A novembre sono previsti i primi “stress test” per comprendere le potenzialità di aumento di flussi attraverso l’infrastruttura che, in quanto progetto di interesse comune europeo (PCI) è stato finanziato con sovvenzioni europee e lo stesso sarà per i lavori aggiuntivi.
    Dato l’obiettivo di aumentare i volumi di gas, il memorandum contiene anche un impegno a ridurre le emissioni di metano lungo l’intera catena di approvvigionamento del gas. Il metano è tra i peggiori gas inquinanti atmosferici che contribuisce ai cambiamenti climatici: intrappola più calore rispetto alla CO2, ma si decompone nell’atmosfera più rapidamente, quindi impegnarsi per tagliare queste emissioni dovrebbe avere un impatto più rapido sul surriscaldamento globale. Non solo gas, Bruxelles punta su Baku anche in termini di energia pulita, in particolare nell’eolico offshore e nell’idrogeno verde. Con il memorandum, ha riferito von der Leyen, “stiamo gettando le basi per una solida cooperazione in quell’area. Quindi, gradualmente, l’Azerbaigian si evolverà dall’essere un fornitore di combustibili fossili a diventare un partner di energia rinnovabile molto affidabile e importante per l’Unione Europea”.
    Von der Leyen parla dell’Azerbaigian come di un partner “affidabile” dal punto di vista energetico. Lo stesso aveva detto, appena un mese fa, dell’Egitto, quando era volata al Cairo a metà giugno per siglare un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. Nel quadro del suo piano ‘RepowerEu’ per liberarsi dagli idrocarburi in arrivo da Mosca, Bruxelles stima che sarà necessario aumentare le sue importazioni di gas da fonti non russe, principalmente gas naturale liquefatto (+50 miliardi di metri cubi), ma anche gas proveniente da gasdotto (+10 bcm) visti i limiti infrastrutturali di molti Paesi membri UE che dispongono di pochi rigassificatori sul proprio territorio. L’UE ha già siglato un accordo con gli Stati Uniti per la consegna di almeno 15 miliardi di metri cubi di Gnl nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno almeno fino al 2030. Cresce l’insicurezza dell’Ue sugli approvvigionamenti di gas dal momento che è iniziata la scorsa settimana la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino a giovedì 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre.

    Fino a 20 miliardi di metri cubi di gas entro cinque anni. Baku “partner cruciale”, dice la presidente von der Leyen, per la diversificazione degli approvvigionamenti all’Europa e in particolare per l’Italia. Bruxelles mette in conto nuovi lavori sul tratto del gasdotto Tap (Trans Atlantic Pipeline) per portare i flussi dagli attuali 8 miliardi di metri cubi a 12 già il prossimo anno

  • in

    Von der Leyen vola in Azerbaigian, l’UE cerca l’intesa per raddoppiare la capacità del gasdotto TAP

    Bruxelles – Se all’inizio dell’invasione dell’Ucraina un’interruzione “grave” delle forniture di gas russo all’Europa era solo possibile, oggi l’Unione europea è sempre più certa che ci sarà, e dunque accelera il lavoro per diversificare i fornitori di energia. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e la sua commissaria per l’energia, Kadri Simson, voleranno oggi (18 luglio) in Azerbaigian per “rafforzare ulteriormente la cooperazione esistente” tra i due partner. Cooperazione soprattutto energetica, di fronte a un possibile taglio alle forniture di gas dal principale fornitore all’Europa, la Russia.
    Del viaggio a Baku dell’esecutivo comunitario aveva parlato per la prima volta lo scorso 27 giugno la commissaria Simson, al termine di un Consiglio dei ministri europei dell’energia in cui si era mostrata preoccupata della possibilità concreta di vedersi tagliare completamente il gas dalla Russia. Bruxelles si prepara dunque a siglare un memorandum d’intesa con l’Azerbaigian per aumentare le importazioni di gas provenienti dalla regione. “Il corridoio meridionale del gas ha un ruolo centrale da svolgere nell’approvvigionamento di gas naturale dell’Ue, in particolare per l’Europa sudorientale“, si legge in una nota dell’esecutivo comunitario in cui è stata comunicata la traversata.
    Il memorandum dovrebbe spianare la strada al raddoppio della capacità del Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto TAP che trasporta in Europa il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio. Il gasdotto è lungo 878 km e si collega con il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) al confine turco-greco a Kipoi, attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico, prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia). Con il completamento della costruzione del TAP il 31 dicembre 2020, l’Azerbaigian ha iniziato le forniture commerciali di gas all’Europa attraverso il Southern Gas Corridor, il corridoio meridionale del gas, una rotta di approvvigionamento di gas naturale dalle regioni del Caspio e del Medio Oriente all’Europa. La rotta dall’Azerbaigian all’Europa è costituita dal gasdotto del Caucaso meridionale (SCPX), Gasdotto Trans Anatolico (TANAP) e dal TAP.
    Il corridoio meridionale del gas
    Il TAP a gennaio 2022 ha erogato circa 8 miliardi di metri cubi standard, con la previsione di raggiungere i 10 miliardi di metri cubi nell’estate 2022. Le trattative con l’Azerbaigian sono iniziate già lo scorso febbraio – nell’ottica di diminuire la dipendenza delle forniture dalla Russia, da cui provengono il 40 per cento delle importazioni di gas all’Europa – per aumentare la capacità di erogazione massima da 10 miliardi di metri cubi l’anno a circa 20, raddoppiandone quindi la capacità.
    A metà giugno Bruxelles aveva già siglato un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. L’insicurezza per ulteriori tagli alla fornitura di gas russo è aumentata questa settimana quando è iniziata la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino al 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre. A quanto riferito da Bruxelles, l’Ue e l’Azerbaigian stanno anche lavorando insieme per costruire un partenariato a lungo termine sull’energia pulita e l’efficienza energetica e negoziando un nuovo accordo globale, che consentirà una cooperazione rafforzata in un’ampia gamma di settori, tra cui la diversificazione economica, gli investimenti e il commercio.

    La presidente della Commissione europea oggi a Baku insieme alla commissaria per l’Energia, Kadri Simson. Si punta a raddoppiare i flussi ad almeno 20 miliardi di metri cubi annui entro il 2027, nell’ottica dei piani di diversificazione dei fornitori di gas dalla Russia